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Titolo: Ari di Hali
Autore: Guido
Serie: Marion Zimmer Bradley's Darkover
Parti: 1
Status: Concluso
Dedica: A Simona, Senpai di Elvas, che ha letto questo racconto per prima e ha creduto nelle sue potenzialità.>br> Disclaimer: Tutti i personaggi non originali appartengono a Marion Zimmer Bradley e a chi ne detiene i diritti dopo la sua morte.
Note: Questa storia è il seguito de "La pace del Custode", racconto di Patricia Duffy Novak pubblicato, in Italia, all'interno dell'antologia "L'Alba di Darkover"; tuttavia, ho collocato la morte di Coryn Hastur ad alcuni anni di distanza, lasciandomi lo spazio per un altro racconto - attualmente in corso di stesura - sull'addestramento di Ari come Custode e successore del padre.
Archivio: SLC, EFP
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Ari di Hali

Guido




Non come fiamma che per forza è spenta,
ma che per sé medesma si consume,
se n'andò in pace l'anima contenta,
a guisa d'un soave e chiaro lume
cui nutrimento a poco a poco manca,
tenendo al fine il suo caro costume.

[Petrarca, Il Trionfo della Morte, I 160-165]



Coryn Hastur era morto.
Una morte bella, se esiste qualcosa del genere. No, non la bella morte degli eroi, al contrario: Coryn si era semplicemente spento, consumato dall'uso eccessivo del laran e - secondo i sospetti di tutto il Cerchio - vittima anche della sua scarsa cautela nel trattare con pece stregata e polvere mangiaossa. Ma tutti gli astanti erano rimasti toccati dalla serenità del morente; anche chi sopraggiungeva adesso, per rendere omaggio alla salma, non poteva fare a meno di pensare che l'espressione placida del Primo Custode faceva sembrare superflua ogni lacrima.
Ari Ridenow - no, Ari Hastur, si corresse - fissava il corpo esanime di suo padre, la spoglia che, non appena fossero stati resi tutti gli omaggi al defunto Custode di Hali, sarebbe stata inumata in un luogo noto soltanto ai membri del suo Cerchio. Coryn Hastur avrebbe concluso degnamente il proprio ingresso nella leggenda. Era morto ancora giovane, ma la sua figura era leggendaria già cinque anni prima, quando Ari era giunto alla Torre per l'addestramento, tremando alla sola idea di lavorare sotto il suo Primo Custode, noto in tutto Darkover come un demone della distruzione, dedito al proprio mortifero lavoro con dedizione fanatica, incurante del benessere del proprio Cerchio. La leggenda nera non si era dissolta affatto; ma, nel corso di quei cinque anni, Ari aveva avuto modo di conoscere l'uomo che - la rivelazione era stata un trauma per entrambi - era suo padre; ne conosceva il fascino, la risata, il calore e l'affetto.
"Allora perché non piango?"
"Padre..."
Coryn aveva voluto che suo figlio portasse il nome che gli spettava per diritto di sangue e di laran. Ari, che non aveva mai avuto contatti con il proprio padre putativo, né con altri Ridenow, non aveva obiettato. Era stata una decisione improvvisa, giunta al termine della loro prima conversazione, dopo che Coryn gli aveva parlato di sua madre. Subito dopo, Ari Ridenow, ribattezzato Hastur, con il Dono degli Hastur nel corpo e nel cervello, aveva iniziato l'addestramento per diventare Custode.
In silenzio, immerso nei propri pensieri, Ari si allontanò dalla grande sala che, accolti i componenti degli altri Cerchi, attendeva l'arrivo dei nobili Comyn di Thendara; teneva lo sguardo fisso sulla matrice, che portava scoperta, intento a ricordare... «L'abbinamento delle risonanze, per te, deve diventare naturale come il respiro,» ripeteva la voce di Coryn, nella sua testa, con la stessa intensità di cinque anni prima. Ma ancora adesso, a dispetto dell'addestramento e del Dono degli Hastur, pur essendo un Custode pienamente qualificato, Ari continuava a non sopportare lo sforzo di quell'esercizio e proprio non riusciva a compierlo senza pensare. Forse, come suggeriva Coryn, si trattava soltanto di un blocco emotivo, visto che, nel Cerchio, abbinava le risonanze in un batter d'occhio. Chissà, un altro po' di allenamento... era sgradevole, certo, ma...
"Ma cosa?"
"Io sono Ari Hastur, Custode di Hali."
Di colpo, comprese davvero ciò che la scomparsa del padre significava per lui.
"Adesso sono davvero "Ari di Hali", Custode e responsabile solo dinanzi alla mia coscienza. Adesso sono libero."
"Peccato che non me ne freghi niente."
E finalmente, nella sua stanzetta, dove i passi lo avevano portato senza che se ne avvedesse, Ari di Hali, figlio del clan Hastur, scoppiò a piangere.

Dyan Syrtis, che, a dispetto della giovane età, era il Primo tra i Tecnici di Hali, lo trovò un'ora dopo, esausto, disteso sul letto, gli occhi arrossati e ancora gonfi di lacrime che non avevano più la forza di sgorgare.
«Bredu,» chiamò.
Nessuna risposta.
Improvvisamente allarmato, Dyan si accostò al corpo magro, ancora più fragile in quello strano abbandono; gli bastò un attimo per capire che Ari si trovava... altrove.
"Oh, per tutti gli Dèi!" Secondo logica, poteva trovarsi soltanto nel Supramondo, ad inseguire gli spiriti dei morti - lo spirito di Coryn - nella speranza che non avesse ancora detto addio alla vita, allontanandosi per sempre dalle regioni dei vivi.
In teoria, un Custode non correva pericoli, nel contatto con i defunti; ma la teoria era teoria. Dyan sapeva bene come, in tali casi, il pericolo maggiore fosse il coinvolgimento emotivo, e non pensava neppure per un istante che Ari riuscisse a mantenere il proprio distacco, di fronte al padre... se pure lo avesse incontrato e non si fosse, piuttosto, smarrito all'inseguimento di un'illusione, incapace di rassegnarsi alla perdita, finché il suo corpo non avesse dimenticato anche la semplice arte del respiro, consentendogli di riabbracciare il padre, nelle regioni dove i vivi non potevano entrare...
"No!" Dyan decise di agire, e in fretta. Trasmise freneticamente un messaggio telepatico di allarme a tutti i telepati della Torre, pregandoli di venire a controllare lui e - soprattutto - Ari; poi si concentrò e, in un attimo, con un lieve strappo, si vide immerso nella foschia grigia del mondo mentale.
"Ari!"
Il grido mentale non ottenne risposta, non gli fornì neppure la più labile delle tracce.
"Coryn!"
Disperato, Dyan pensò che, in qualche modo, il Custode defunto potesse condurlo dal figlio.
Poi riacquistò la calma e il controllo che facevano di lui uno dei migliori Tecnici di tutto Darkover. "Devo agire in maniera razionale. So che devo trovare Ari in fretta, ma andiamo con ordine." Per prima cosa, dunque, visualizzò la Torre di Hali, alta e orgogliosa, resa solida dal laran che ne plasmava la proiezione su quel piano della realtà. Il tempo di un pensiero, e fu nella grande sala dove la salma di Coryn Hastur giaceva composta, mentre i Comyn giungevano a rendergli omaggio. Ari sarebbe dovuto essere con loro - era andato a cercarlo proprio per avvertirlo che erano arrivati i primi condolenti da ricevere - ma non se ne vedeva traccia. Poi, avvertì un tocco mentale inconfondibile.
"Dyan. Hai visto Ari?"
Voltandosi, o piuttosto concentrandosi, Dyan scorse Coryn Hastur, che proiettava una strana immagine di sé, sdoppiata: da un lato lo vedeva contemplare la salma, con un sorriso triste; dall'altro, era eretto davanti a lui e lo fissava preoccupato, identico in tutto al Coryn vivo; mancavano soltanto le cicatrici sul volto, che era giovane e fresco come non lo aveva conosciuto mai.
"Coryn!"
Non ebbe bisogno di articolare la propria urgenza in pensieri razionali: il Custode - ammantato del cremisi proprio delle occasioni cerimoniali, lo stesso abito della salma - comprese all'istante.
"Temevo che potesse accadere qualcosa del genere. Ma niente paura!" Sfoderò uno dei suoi sorrisi ammalianti, che non avevano perduto proprio nulla, con la morte. "Conservo ancora la mia conoscenza del Supramondo."
Con la voce mentale del comando, amplificata dal Dono degli Hastur, Coryn esclamò:
"Ari! Ari Hastur, Custode di Hali! Torna immediatamente ai tuoi doveri!"
Oziosamente, nonostante l'apprensione, Dyan si chiese se il laran sopravvivesse alla morte e alla distruzione del cervello.
"Non ne ho idea," rispose allegramente il Custode, i capelli scompigliati come dopo una cavalcata. "Ma sai com'è questo mondo... probabilmente, è sufficiente la convinzione di aver conservato tutto il mio potere." E ripeté il proprio richiamo, con voce ancora più alta, ora lievemente ansiosa.
Infine, da molto lontano, giunse una flebile eco di risposta:
"Doveri... ho mancato al primo dei miei doveri. Era mio padre e non sono riuscito a salvarlo. Non ci ho neanche provato, per le forge di Zandru! E adesso, cosa mi resta se non sprofondare nell'oblio? Non potrei più sopportare la vista di me stesso..."
Dyan e Coryn - o, piuttosto, le loro immagini mentali - sbiancarono: il giovane era molto prossimo a perdersi. Poi, il solo Dyan sbiancò ancora di più, ma per una ragione ben diversa: sotto i suoi occhi attoniti, il defunto Figlio di Hastur - come pensare a lui in altri termini? - si stava trasformando. La statura, già ragguardevole, si faceva torreggiante, gigantesca, titanica; un manto di luce azzurrina, palpitante e viva, lo ammantava.
"Aldones, Signore della Luce che Canta!"
Nella speranza di attingere, in qualche modo, ai poteri del divino antenato, Coryn aveva assunto le sembianze del progenitore di tutti i Comyn.
"Figlio di Hastur che è Figlio di Aldones, che è Signore della Luce..." mormorava Dyan, senza più sapere neppure se si trattasse di una preghiera, di un giuramento o di un'invocazione.
E, preannunciata da un brevissimo preludio, una Voce vibrante riempì il non-spazio del Supramondo, echeggiando direttamente nelle loro menti.
"Solo l'Amore è reale."
La Voce disparve, lasciando solo un ricordo indelebile. Dyan fissò Coryn e vide che era tornato piccolo di statura, impressionato quanto lui. «Mai, mai in tanti anni di viaggi nel Supramondo... ma ha ragione» lo sentì mormorare.
Adesso stava usando il suo tono più dolce ("Quello da ruffiano," pensò il Tecnico, malgrado l'ansia). "Ari, ti prego, non andare via. Ho bisogno di te. Ho ancora bisogno di te qui."
E la forza dell'avverbio compì il miracolo: quasi trascinato, riluttante e incredulo, Ari Hastur comparve dal nulla, a un passo da loro.
"Padre?" La sua voce mentale era molto debole, come se si fosse avventurato troppo su quei sentieri che sono preclusi ai vivi.
"Figlio mio, dove stavi andando a cercarmi? Pensavi davvero che sarei partito senza salutarti?" E, in tono dolente: "Hai davvero creduto che potessi abbandonarti?"
Da Ari giungevano solo ondate contraddittorie di gioia e di perplessità.
"Sei mio figlio, Ari, e non ti amo di meno solo perché sono morto, o perché non puoi vedermi."
"Non andare via." Ari stava piangendo, ora: nel Supramondo non c'è modo di nascondere le emozioni. "Ti prego."
"Sai bene che non posso restare," replicò Coryn con dolcezza.
L'angoscia del ragazzo si fece ancora più forte.
"Saremmo egoisti entrambi, se pretendessimo di sottrarci alle leggi di Avarra."
"Avarra! Che ne sa, Lei, della perdita, del distacco...?"
"Avarra è la Dea della Nascita, oltre che della Morte. Io ti sembro morto, Ari?"
"Ma... ma adesso te ne andrai. E non ti vedrò più. Mai più!"
"Non sarai solo," intervenne Dyan. E solo allora Ari si accorse della sua presenza.
Bredu! "Ma perché...?" Non ci fu bisogno di spiegazioni: Ari comprese in un lampo cosa avesse spinto il Tecnico a rincorrerlo nel Supramondo.
"Vedi, Ari, quale dolore avresti causato a Dyan? Non puoi venire con me, tu appartieni ai vivi e hai il dovere di vivere. Il dovere di amare."
Nella mente del giovane Custode era tornata la confusione iniziale, ma sembrava meno angosciato.
"Torna a casa, Ari. E ricorda: tu non potrai vedermi, ma io ci sarò. Cosa credi che facessi, accanto al mio corpo, dove mi ha trovato Dyan? Aspettavo te."
"Ti saresti potuto degnare di venirmi a cercare!" Ribatté il ragazzo nel tono pugnace che, naturalmente, aveva ereditato dal padre.
"No, ragazzo mio: avrei rinfocolato il tuo dolore, o peggio, alimentate false speranze. Speravo soltanto di poterti sussurrare proprio questo, che ti sarei sempre stato vicino. Non ho fatto in tempo a dirtelo, prima di morire... e forse non ci avrei creduto neppure io."
"E perché, adesso, dovrei crederci io?"
Ma conosceva già la risposta: nel Supramondo, dove pensieri ed emozioni sono chiaramente visibili, non è possibile mentire o fingere. Suo padre lo amava ancora allo stesso modo, non poteva negarlo.
"Insomma, posso solo sperare che tu abbia ragione, non è così?"
"Una speranza è pur sempre meglio di niente, Ari:se l'avessi avuta, non mi avresti inseguito, rischiando di morire perché non ti importava più di vivere."
Il ragazzo, ormai rassegnato, fece il gesto di resa dello schermidore e, come se non avesse atteso altro, Dyan si portò al suo fianco, cingendogli le spalle in un abbraccio saldo.
"Padre... Se devi andare, va' in fretta."
Ma la figura di Coryn Hastur si stava già facendo indistinta, l'abito cremisi del Custode sfumava nel grigio circostante; rimase soltanto l'eco mentale di un pensiero di commiato:
"Adelandeyo, figlio mio."
I due ragazzi si fissarono.
"C'è una vita tra noi, Dyan Syrtis."
"C'è amore tra noi, Ari Hastur. Non sentirti in debito."
Sfinito e ancora in lacrime, ma stranamente sollevato, Ari, Custode di Hali, lasciò che Dyan lo riconducesse verso la stanza dove almeno metà della Torre, in preda all'ansia, vegliava i loro corpi, sperando che facessero ritorno.







StrangeLandsChronicles © 2006
© Guido