[Home] [Racconti] [Disegni] [Articoli e Recensioni] [News] [Links]

[Una volta erano elvassini...] [MZB's Darkover]

barra spaziatrice
Titolo: Verso Elvas
Autore: Damien Elhalyn y Ridenow
Serie: Marion Zimmer Bradley's Darkover
Parti: 1
Status: Concluso
Note: il racconto faceva parte del gioco di letteratura interattiva The Elvas Project
Archivio: SLC
barra spaziatrice

Verso Elvas

Damien Elhalyn y Ridenow


Ecco, sto finalmente percorrendo la stretta pista che porta alla Valle di Elvas... è una stradina seminascosta dagli alberi, e se non fosse stato per le indicazioni che ho ascoltato per caso in quella locanda, adesso non avrei davvero saputo da che parte andare.
Ombra e luce si alternano sulla groppa del cavallo e sul mio mantello, disegnando esili figure che si spezzano dopo appena un momento... le foglie sussurrano lievemente, mosse da un vento leggero che porta già l'odore della neve.
Non posso fare a meno di pensare che ogni passo che sto facendo su questo sentiero mi sta portando verso qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che spero sia migliore del mondo in cui ho vissuto fino ad ora; allo stesso tempo cerco anche di non aspettarmi troppo da questo villaggio, per non rimanere deluso in futuro, come mi è successo già tante volte.
So di avere sulle spalle esperienze troppo pesanti per una persona della mia età, ma non ho potuto scegliere la vita che mi è stata data, e ho sempre fatto, nel bene e nel male, ciò che ritenevo più giusto, ciò di cui sapevo che non mi sarei mai pentito.
Mentre avanzo lentamente tra gli alberi mi tornano in mente gli ultimi mesi, un periodo disperato in cui ho vissuto completamente solo, da fuggiasco, sopravvivendo come meglio potevo.
Ho fatto tutti i lavori che ho trovato, ho venduto ogni singola cosa che avessi e ho persino rubato per vivere; non mi importa di essere giudicato per questo, sono abituato ad infischiarmene di quello che la gente pensa di me, sono stato costretto tanto tempo fa ad imparare che l'opinione della maggioranza è quasi sempre sbagliata.
Non voglio essere compatito per questo, non cerco la pietà di nessuno; non ho scelto la mia vita e non sono mai stato fortunato, ma cerco di andare avanti come meglio posso, senza vergognarmi di niente e senza chiedere la compassione di nessuno.
Ormai Elvas non può distare ancora molto... chissà che accoglienza troverò in questo villaggio, che da quanto ho sentito sembra essere una specie di terra della libertà.
Se quelle che ho sentito non erano solo voci, allora questo è il posto per me, dove potrò finalmente essere accettato per quello che sono, per la prima volta in tutti questi anni...
È strano pensarlo, ma è stata proprio la mia famiglia a rifiutarmi per prima; sono stati i miei genitori, i miei fratelli e sorelle, a insegnarmi che ero diverso dagli altri, che sarei sempre stato guardato con curiosità, disprezzo e a volte un po' di ilarità.
Il mondo non è stato gentile con me, mai.
Quando ero più piccolo, e più disperato, ho pensato molte volte di mettere fine alla mia esistenza, e ripensando a quei giorni capisco bene perché provassi un simile desiderio, ma ora un pensiero del genere non potrebbe nemmeno sfiorare la mia mente; non è certo colpa mia se sono quello che sono, non potrei cambiare la mia natura nemmeno se lo volessi, e quindi devo solo essere fiero di ciò che sono, specialmente se questo infastidisce così tante persone.
C'era un tempo su Darkover, durante e dopo le Ere del Caos, in cui gli emmasca come me erano tanto numerosi da essere diventati normali; tutti sapevano che la loro esistenza era uno dei prezzi da pagare per la creazione di laran sempre più potenti, e nessuno aveva niente da dire contro di loro.
Anche se compatiti, e talvolta scherniti, vivevano in pace... ora però è tutto cambiato, ed io non sono che uno scherzo della natura, una bizzarria che non sarebbe mai dovuta nascere.
Non stento a credere che mio padre mi avrebbe volentieri soffocato appena nato, se avesse saputo quello che sarei diventato in futuro.
Ho potuto osservare il disprezzo crescere nei suoi occhi anno dopo anno, mentre mi guardava e non vedeva altro che un ragazzino delicato e sottile come una fanciulla, al posto del robusto e virile erede che desiderava.
Sono già stato fortunato a non essere l'unico figlio maschio dei miei genitori; in quel caso non dubito che sarei morto già da tempo, ucciso da mio padre in un attacco di furia nei miei confronti.
Sembra incredibile ma è vero, drammaticamente vero.
Mio padre non ha mai potuto sopportare neppure il più piccolo e velato accenno di effeminatezza; ha cacciato dalle sue proprietà numerosi servi e scudieri solo per essere, o per essere sospettati di essere, amanti di uomini.
Cosa nasconda tutta questa foga repressiva non lo so, per quanto possa facilmente immaginare che sia legata a qualche suo segreto desiderio, tenuto saldamente incatenato per una vita intera.
Io non sono, nonostante il mio aspetto così femminile, interessato solo a poesia e musica, debole e raffinato come ci si potrebbe aspettare; al contrario, sono sempre stato interessato alle armi e alla tattica militare, e ho imparato l'arte della scherma fin da piccolo.
Probabilmente, per quanto possa sembrare strano, mi sono accostato con più gioia rispetto ai miei mascolini fratelli alla caccia col falcone e all'equitazione.
Sono effeminato, è vero, nell'aspetto e nei modi, ma il mio animo non è quello di una ragazza, così come non lo sono gli animi di tutti gli altri amanti di uomini.
Non sono mai riuscito a smettere di chiedermi, senza trovare mai una risposta e sapendo bene che è una domanda oziosa, se è stata la mia natura di emmasca a determinare il mio interesse per i ragazzi.
Forse sono stati i tanti condizionamenti che mi sono stati imposti, spesso inconsciamente, fin da quando ero piccolo a farmi diventare quello che sono... o forse invece lo sarei stato comunque, anche se fossi stato un uomo normale e completo.
Non lo so, e sono consapevole che non troverò mai una risposta, se anche ne esiste una.
Le ombre si stanno allungando tra i tronchi, che non accennano ancora a diradarsi, e io mi perdo di nuovo nei pensieri, forse per evitare di interrogarmi troppo su quello che mi aspetterà ad Elvas.
Quando sono arrivato al monastero di Nevarsin credevo davvero di trovarvi la pace che tanto desideravo, ma fui rapidamente disilluso.
Per quanto i monaci potessero essere comprensivi e affettuosi con me, io capii subito che quello non era il posto per me; la loro religione non era la mia, il loro Dio condannava senza appello gli amanti di uomini, la loro vita di contemplazione e silenzio non era fatta per me, e inoltre c'erano gli altri allievi del monastero a rendermi le giornate impossibili.
Quei mesi furono interminabili per me, scanditi da preghiere, infinite derisioni e continui maltrattamenti, di cui non potevo, ovviamente, parlare a nessuno.
Non avrei mai pensato, allora, che dei ragazzi della mia età, o poco più grandi, potessero essere così crudeli e così fantasiosi nell'immaginare nuovi tormenti per me.
Quel periodo mi fece soffrire incredibilmente anche se, oggi lo vedo, servì a rendermi più forte.
L'unica cosa positiva di Nevarsin fu che vi imparai a leggere e scrivere, scoprendo così le meraviglie che un foglio ricoperto di caratteri poteva offrire, e la potenza della cultura.
Venne infine il giorno in cui mi resi conto che non sarei potuto restare lì un attimo di più, e scappai dal monastero, ritornando da solo a casa.
Ricordo bene che cosa mi spinse a compiere quel gesto... fin da poco tempo dopo il mio arrivo ero diventato la vittima preferita degli altri ragazzi, e grazie alla mia natura e al mio aspetto effeminato, anche l'oggetto perfetto su cui sfogare i loro appetiti sessuali.
Inizialmente non ebbi troppe difficoltà a dare loro quello che volevano; dopotutto quello che mi chiedevano non era un prezzo così elevato per essere lasciato, relativamente, in pace.
Mi limitavo a far loro ciò che desideravano da me, ed era finita.
Poi però, col passare del tempo, iniziarono a volere di più, a volere tutto il mio corpo; non ebbi modo di ribellarmi, se volevo sopravvivere dovevo sottostare alle loro voglie.
Ormai ero abituato ad essere svegliato nel cuore della notte da uno, a volte due ragazzi, ma quella particolare sera si presentarono da me in cinque o sei, ed evidentemente ubriachi.
Quando cercai di fuggire, di chiamare aiuto, fui picchiato duramente, tanto da farmi passare ogni idea di resistenza; le ore di quella notte sembrarono non passare mai, così interminabilmente lunghe e piene di dolore e umiliazione.
Finalmente, con l'avvicinarsi dell'alba, fui liberato e rimandato al mio giaciglio, da cui raccolsi in fretta le mie poche cose, prima di allontanarmi il più velocemente possibile da Nevarsin.
Gli uccelli rumoreggiano sulla mia testa, volando di ramo in ramo; il cavallo avanza piano, evitando le radici troppo sporgenti.
Chissà quanto manca al tramonto... dalla luce sembra che sia pomeriggio inoltrato, e spero di riuscire ad arrivare alla valle prima che scenda la notte.
Mi guardo intorno, e tra i tronchi degli alberi che si stanno diradando mi sembra di scorgere una svolta verso sinistra; sì, la strada si sta facendo sempre più larga e curata, e vedo già sottili colonne di fumo alzarsi dai camini delle case, che immagino essere poco lontane.
Rialzandomi sulla sella per vedere meglio, mi avvolgo il mantello scuro attorno al corpo; ancora qualche metro ed ecco che la strada sbocca in una valle, verdeggiante nonostante l'altitudine.
Vedo un piccolo villaggio, protetto dalle pendici più basse degli Hellers, una specie di fortezza su un'altura e altre costruzioni sparse qua e là; varie persone sono nei campi attorno alle case, altre sono occupate a badare agli animali o a preparare la cena per la famiglia.
I bambini giocano per strada, rincorrendosi e sporcandosi di fango; al mio passaggio parecchi di loro si fermano a guardarmi... evidentemente i forestieri non capitano di frequente in questo posto.
Ora devo solo cercare una locanda dove mangiare e riposarmi; poi, dopo aver trovato un letto per la notte, potrò iniziare a chiedere in giro per un lavoro, e... chissà.







StrangeLandsChronicles © 2005
© Damien Elhalyn y Ridenow