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Titolo: Una bambina comparsa dal nulla
Autore: Reyka O'Connor
Serie: Marion Zimmer Bradley's Darkover
Parti: 1
Status: Concluso
Note: il racconto faceva parte del gioco di letteratura interattiva The Elvas Project
Archivio: SLC
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Una bambina comparsa dal nulla

Reyka O'Connor



Verso la Torre sconosciuta
Reyka cavalcava la sua Storm con la sensazione di essere stata in gabbia per settimane. Finalmente poteva godersi lunghe passeggiate nelle foreste incontaminate di quel pianeta dal nome misterioso, assaporare l'aria fresca e nuovi odori, il vento tra i capelli e le sensazioni di profonda gratitudine che provenivano dal cuore della sua cavalla, che galoppava veloce.
Aveva in grembo il suo gattino bianco, un piccolo batuffolo addormentato dal pelo lungo, Tunder.
In realtà erano passate solo poche settimane dal suo arrivo, ma le aveva trascorse per lo più in biblioteca, cercando di assimilare tutte le possibili informazioni che gli studiosi terrestri avevano finora raccolto sul pianeta, anche se scarse, su usi, costumi e clima.
Ed il resto delle giornate l'aveva passato ad ascoltare e riascoltare i nastri degli idiomi locali, e passeggiare per Caer Donn, scambiando qualche parola con venditori e ragazzini, cercando di mescolarsi, per quanto poteva a loro.
Per fortuna aveva portato un sacco di abiti adatti al clima, gonnelloni, sciarpe e giacche di pelliccia, che ben si adattavano alla moda delle darkovane. Portava i capelli acconciati in modo da coprire la nuca, infatti osservando le donne aveva notato che tutte avevano quell'abitudine, tranne un paio che aveva visto in un mercato, vestite da uomini con i capelli corti e l'orecchino... Rinunciatarie, le pareva si chiamassero.
Continuava a fare quello strano sogno, che a volte si arricchiva di volti ancora sconosciuti, e quell'edificio così simile ad una torre l'attirava tanto che non aveva più sopportato di non rispondere al suo muto richiamo.
Aveva visto il padre quasi tutte le sere, ma era sempre molto impegnato con i suoi incarichi burocratici. Era però riuscita a raccontargli il suo sogno, e gli aveva anche parlato dell'intenzione di seguire quell'impulso, era la Sua strada e lo sapeva. Lui le aveva raccomandato prudenza, ma sapeva che poteva fidarsi di lei. Le procurò un permesso speciale e le consigliò di evitare le strade troppo battute, non era normale che una donna viaggiasse sola, persino le Rinunciatarie erano sempre in due.
Così era partita, con un bagaglio non troppo ingombrante che stava nelle sacche della sella, del denaro ed una tenda che smontata era grande come un ramo secco.
Era in viaggio già da qualche giorno e non aveva avuto guai, si teneva a distanza da chiunque potesse vederla e farle domande, anche se le capitava molto spesso di intercettare pensieri, molto più che sulla Terra, era ancora convinta di essere l'unica telepate su Darkover.
La strada che seguiva era dettata dal suo istinto, sapeva perfettamente da che parte dirigersi, ed ogni notte il sogno si ripeteva con intensità quasi allarmante, confermandole che era sempre più vicina al suo destino.

***

Miralys
L'ultima notte aveva trovato riparo in un rifugio per viaggiatori, vuoto ma molto più caldo di qualsiasi riparo tra gli alberi, aveva potuto occuparsi di foraggiare e scaldare la sua cavalla, accendere un fuoco e cucinarsi qualcosa di caldo. Poi si era addormentata accanto al camino avvolta nel suo mantello più caldo, con Tunder acciambellato sulla pancia. Fuori era incominciata una forte nevicata e un vento gelido spazzava il sentiero.
A notte fonda, quando il braciere era ormai quasi del tutto consumato, un urlo disperato la riscosse: "AIUTO! AIUTO, NON VOGLIO MORIRE."
Sobbalzò, e si ritrovò sola al buio, eppure le pareva che le avessero gridato direttamente in un orecchio.
Si alzò e ravvivò il fuoco, fuori la tempesta infuriava.

***

Mentre osservava la neve, avvolta nel mantello percepì chiaramente, nella sua testa un nuovo richiamo disperato, ma questa volta molto molto più flebile.
"Aiuto..."
Qualcuno, un altro telepatie, aveva bisogno di lei, se era fuori con quel tempaccio c'era il rischio che morisse assiderato prima che riuscisse a raggiungerlo!
Si coprì come meglio poteva, portando con sé un mantello in più, e si avventurò nella tempesta cercando di seguire quel grido che si faceva sempre più debole... "Resisti, chiunque tu sia! Sto arrivando!"
Tentò di concentrarsi, come quando a casa faceva smettere di piovere perché il fiume rischiava di straripare: riuscì solo ad attenuare un po' la violenza del vento, quel tanto che bastava a farle raggiungere la foresta ed avere un minimo riparo tra i grossi alberi.
Camminò ancora per circa mezz'ora, forse anche più, aveva perso il senso del tempo e cominciava a sentirsi gelare dentro.
Alla fine inciampò contro quello che sembrava un grosso fagotto di stracci e cadde in ginocchio. Dal fagotto provenne un gemito strozzato: guardò meglio e si accorse che si trattava di una bambina, coperta di stracci bagnati, semiaddormentata e tutta coperta di neve. Tremava, rannicchiata per terra.
Reyka cercò invano di farla svegliare, di farla camminare, ma era troppo debole.
Così l'avvolse nel mantello che aveva portato e la sollevò: era molto leggera. Poi si concentrò sulla sua cavalla, percependo la sua mente, e riuscì con molta fatica a ritrovare il sentiero ed il rifugio.
Appena entrata depose la piccina accanto alla panca più vicina al camino, le tolse il mantello e gli stracci gelati poi dalle sacche della sella, cercò una lunga e calda camicia da notte di lana bianca e la mise addosso alla bimba, avvolgendola poi nuovamente nel mantello. Aveva preso a tremare convulsamente e delirava, le toccò la fronte e capì che aveva la febbre alta. Non sapeva che fare, ed era stremata, perciò si avvolse nella coperta, strinse a sé la piccola e si spostò più vicina al fuoco.
Cercava di inviarle pensieri tranquillizzanti, ma si sentiva sopraffare dalla disperazione, anche perché percepiva nettamente la sua sofferenza ma non era in grado di schermarsi.
Si addormentarono abbracciate.

***

La mattina dopo nevicava ancora ma il vento era calato. La piccola sconosciuta dormiva, sempre di un sonno agitato, ma non aveva più le convulsioni, ed aveva smesso di tremare. Ma aveva ancora la febbre, e Reyka era molto preoccupata: decise perciò di fare del suo meglio, si cambiò, andò ad occuparsi di Storm, che aveva riposato tranquilla nel fienile, le diede del fieno, poi prese della legna da una catasta lì vicino e rientrò nel rifugio.
Ravvivato il fuoco, mise a scaldare una specie di zuppa liofilizzata ad alto valore nutritivo delle sue scorte, fece sciogliere della neve e la mise in una brocca.
Poi aprì il suo medikit, e cercò qualcosa contro la febbre.
Trovò delle pastiglie di antipiretico, ma più concentrate, ne prese una per sé e due per la piccola, sperando che i medicinali non creassero più problemi di quelli che c'erano già. La sollevò dalla panca e lei aprì gli occhi, stupendi occhi blu a mandorla, le mise in bocca le pastiglie e le porse la brocca alle labbra.
La piccola ingoiò e poi si riaddormentò di colpo.
Reyka non sapeva che altro fare, quindi si limitò a tener vivo il fuoco, coprirla bene e mangiare una parte della zuppa: aveva molta fame.
Infine si accoccolò al suo fianco tenendole la mano, e la osservò meglio: era molto bella e molto particolare. Aveva dei lunghi capelli bianchi da albina, ma la pelle era chiara e cosparsa di efelidi dorate. Quegli occhi erano così strani... era molto magra e non poteva avere più di dodici, tredici anni al massimo.
Un braccino scivolò fuori dalla coperta e Reyka notò con orrore le catene lavorate che le cingevano i polsi e le avevano procurato due profonde cicatrici che non si rimarginavano nel modo giusto.
Perse il pugnale e fece forza, dopo vari tentativi riuscì a romperle e le getto nel fuoco, disgustata, spalmò una pomata cicatrizzante e bendò i polsi della bambina.
Nel primo pomeriggio la bimba si svegliò, la febbre era finalmente calata. Si guardò attorno curiosa, poi si vide i polsi liberi e bendati e scoppiò in un pianto liberatorio. Reyka l'abbracciò e quando si fu calmata le porto la zuppa avanzata e l'aiutò a finirla. Le diede anche altre due compresse.
Si osservarono in silenzio per un po' poi: «Mi chiamo Miralys, e sono scappata da Shainsa. Ero una schiava orfana ma tu mi hai liberato e mi hai salvato la vita... grazie...» sussurrò la piccola con le lacrime agli occhi. Le raccontò della sua malattia, delle percosse e della fuga disperata e Reyka le promise che si sarebbe occupata di lei come fosse stata la sua sorellina, aveva sempre desiderato averne una.
Poi le racconto di venire da molto lontano, da un posto dove aveva lasciato la sua famiglia per trovare se stessa, e le disse che era sicura che il loro incontro fosse opera del Destino.
Miralys l'ascoltava con gli occhi spalancati e colmi di gratitudine, ma era ancora molto debole, allora Reyka la fece distendere, prese il suo flauto traverso e suonò una melodia triste e dolce e la bimba si addormentò.







StrangeLandsChronicles © 2004
© Reyka O'Connor