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Titolo: Gli Dei di Darkover, capitolo 7
Autore: Simona Degli Esposti
Serie: Marion Zimmer Bradely's Darkover
Status: in lavorazione
Archivio: SLC
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Gli Dei di Darkover

Simona Degli Esposti



capitolo 7

Il Signore di Aldaran

La discesa dal Passo dell'Uomo Morto, già difficoltosa se compiuta con l'utilizzo di animali da soma addestrati, fu estremamente faticosa per Ellemir e Taksya. La prima, con la stanchezza causata dall'utilizzo del laran, per uccidere il capo dei banditi prima e per curare la ferita di Taksya dopo, si ritrovò più volte a dover percorrere il ripido sentiero scivolando con il fondoschiena più che utilizzando i piedi.
L'Amazzone trovava invece difficoltoso concentrarsi sul sentiero stesso. Guardare in basso, per controllare lo strapiombo che lo evidenziava sulla sinistra, le provocava dei violenti capogiri. Non aveva mai sofferto di vertigini, sicuramente era un malessere provocato dalla contingente perdita di sangue subita.
Nessuna delle due poteva però chiedere all'altra di fermarsi. Il sole era calato quasi completamente ed il cielo era già tinto del nero della notte. Dovevano continuare fino al bosco o gli uccelli spettro avrebbero facilmente seguito il loro odore, guadagnandosi così un pasto più appetitoso dei corpi abbandonati al Passo.
Il grido dei banshee le aveva accompagnate per tutta la durata della discesa. Quando l'urlo tardava ad arrivare, le due donne si guardavano attorno terrorizzate, per il timore di trovarsi faccia a faccia con una di quelle bestie orrende. Potevano resistere al panico causato dal grido degli uccelli spettro, se giungeva da lontano. Ma sentirlo vicino, accompagnato dal fetido calore del fiato dell'uccello, le avrebbe sicuramente paralizzate.
Tanta era la tensione che, quando si inoltrarono nelle prime propaggini della foresta, quasi non si accorsero del cambiamento. Fu Taksya a dare l'alt, appoggiandosi contro un albero e lasciandosi scivolare a terra sfinita. Ellemir si sedette accanto a lei, approfittando di una radice sporgente, libera dalla neve. Erano in salvo dai pericoli del Passo, adesso dovevano solo trovare il modo di sopravvivere alla gelida notte darkovana.
Taksya si rimise in piedi, invitando Ellemir a fare altrettanto. «Dobbiamo trovare un punto più protetto,» disse, riprendendo la marcia, «poi potremo pensare a mangiare e dormire.»
Ellemir annuì, ben consapevole della scarsità delle provviste e del rischio che avrebbero corso addormentandosi nella neve, al freddo.
Non dovettero camminare a lungo. Poco distante dal luogo dove si erano fermate Taksya individuò una macchia di giovani alberi disposti a semicerchio. I loro tronchi, piegati dal peso della neve, creavano una sorta di riparo contro il vento, mentre l'intreccio dei rami impediva alla neve accumulata di cadere e creava una protezione contro l'effetto di ulteriori nevicate.
«Ci fermeremo qui,» disse.
Ellemir stava per lasciarsi andare, sedendosi direttamente sulla neve, ma venne prontamente bloccata da Taksya.
«Prima stendete questo,» disse allungandole una coperta, contenuta nella sacca dei viveri. «La famosa invenzione di Madre Nives,» ridacchiò, «non pensavo che ci sarebbe tornata utile in qualche modo.»
Ellemir, pur non condividendo l'ilarità dell'Amazzone, obbedì all'ordine, osservando in silenzio le successive manovre della donna. Taksya aveva accumulato una certa quantità di rami carichi aghi di pino, caduti sotto il peso della neve, e ne stava riempiendo la coperta. Prima che potesse chiedere qualcosa, Ellemir venne pregata di prendere la seconda coperta contenuta nella sacca, ed aiutò Taksya a distenderla sopra la prima, lasciando tra le due gli aghi che quest'ultima aveva staccato dai rami.
«Faranno da isolante,» spiegò ad Ellemir, che la osservava sempre più perplessa.
«Perché uno solo?» chiese quest'ultima al temine della preparazione, temendo la risposta.
«So che una Custode non può essere toccata da nessuno,» disse Taksya, dando voce ai timori della donna, «ma dormire separatamente ci aiuterebbe solo a morire di freddo. Così il calore di nostri corpi ci scalderà a vicenda... o perlomeno dovrebbe.»
L'Amazzone si sedette sull'improvvisato giaciglio, cominciando a disfare la sua sacca. Dopo aver utilizzato il materiale per la colorazione dei capelli, la borsa si era notevolmente svuotata. Seguendo un impulso del momento, Taksya vi aveva infilato una morbida coperta di pelliccia, in parte mangiata dalle tarme, trovata abbandonata nel rifugio. Aveva occupato quasi tutto lo spazio, impedendole di prendere con sé cibo o altro, ma dovette ammettere che era stata una decisione oculata. Probabilmente quella notte avrebbero ringraziato il tepore creato da quella vecchia coperta imbottita. Il solo contatto con il morbido tappeto di aghi di pino, abilmente ricoperto da Taksya, fece crollare tutte le resistenze di Ellemir. La stanchezza accumulata e la tensione esplosero contemporaneamente, lasciandola priva di difese contro i pericoli che avrebbe dovuto affrontare quella notte.
Taksya, la cui fibra si era rivelata molto più resistente di quanto Ellemir avrebbe mai sperato, preparò un pranzo frugale con quel poco di provviste che avevano a disposizione. Non sarebbe di certo bastato a rimetterle in forze, ma non le avrebbe lasciate ancora morire di fame.
Il vento, trasportato a valle dalle correnti fredde create dall'intricato gioco di crepacci delle montagne circostanti, rimandavano alle due donne le urla lontane degli uccelli spettro. Con un brivido, Ellemir cercò di dimenticare con cosa essi stessero banchettando. Il solo pensiero che sembrava sorreggerla era che, di lì a poco, sarebbero state al sicuro tra le mura di Castel Aldaran.
Taksya, che aveva già terminato il suo pasto e si era già sistemata sul giaciglio di fortuna, sembrò destarsi dal sonno in cui era già scivolata.
«Una follia!» esclamò, come percependo i pensieri della Custode. «Come possono sapere che siamo qui.»
Ellemir non capiva se l'Amazzone fosse realmente in grado di sostenere una conversazione o se il suo commento fosse scaturito dall'aver captato il suo pensiero, più che altro un pio desiderio. A scanso di equivoci, decise di rispondere lo stesso.
«Sapevano che stavo andando da loro, non vedendomi arrivare manderanno qualcuno a cercarci.»
Taksya si sollevò su un gomito, fissando perplessa la donna che aveva davanti. Poteva davvero fidarsi di gente come gli Aldaran, descritti dai più come dei pazzi non degni di rispetto? Probabilmente ne sapeva più di lei, inoltre non era il momento adatto per discutere. Con una fitta di dolore al petto, ricordò che gli ultimi giorni passati con Grisella erano stati guastati da stupide incomprensioni. "Non devo ripetere lo stesso errore con Ellemir," pensò, "da oggi in poi sarò sempre al suo fianco, dovrò imparare a conoscerla e capirla."
«Come potete essere sicura che vi verranno a cercare?» chiese. «Potrebbero decidere che siete troppo pericolosa per accogliervi, lasciarvi morire tra i monti risparmierebbe tanti problemi a loro ed ai vostri inseguitori.»
Ellemir la guardò, sorridendo. Loro stavano andando tra amici, non da persone che si sarebbero prese cura di una fuggiasca solo in cambio di un adeguato risarcimento.
«L'Aldaran che mi sta aspettando è un mio amico,» cercò di spiegarle, «forse il migliore che abbia mai avuto.»
Taksya ebbe la certezza che le parole che Ellemir avrebbe voluto utilizzare non fossero quelle, che la persona descritta fosse stata per lei il solo amico che avesse mai avuto. Ma non fece commenti, decidendo di restare ad ascoltare il racconto, in silenzio.
«Mi sono messa in contatto con lui quando decisi di abbandonare Tramontana,» continuò Ellemir. «A Castel Aldaran ci stanno aspettando. Non avendo più notizie, il nostro ospite si preoccuperà e manderà qualcuno in avanscoperta per vedere cosa possa esserci accaduto.»
«Scusate,» interruppe Taksya, «ma sapevano la strada che avremmo fatto?» Ellemir rispose scuotendo negativamente il capo. «Suppongo che non sapessero neppure quando saremmo partite o di quanti giorni era previsto il viaggio?»
«Ho parlato con il Nobile Aldaran prima di venire a Darriel, dopo non sono più potuta entrare nel sopramondo,» Ellemir cominciava a capire cosa preoccupasse la guida.
«Lo immaginavo,» commentò semplicemente Taksya. «Quindi, sarà solo per un colpo di fortuna se ci verranno a cercare. Gli Aldaran sono famosi per la loro preveggenza!» disse, tornando a sdraiarsi.
Ellemir chinò il capo, travolta dal peso della realtà. Edric Aldaran non poteva sapere quello che era accaduto. Si sarebbe preoccupato, ma non sarebbe stato in grado di fare nulla. La sola cosa da fare era inviargli un messaggio di aiuto attraverso i canali del sopramondo.
Il pensiero fece rabbrividire Ellemir. Lei non poteva tornare nel sopramondo, non poteva rischiare di rimanere presa in trappola o di permettere ai suoi nemici di scoprire dove avevano trovato riparo. Obiettivamente, però, non aveva altra scelta che rischiare. Sarebbero morte comunque, di fame se non di freddo.
«Ci penseremo domani mattina,» concluse Taksya, cercando una posizione comoda e calda tra le coperte. «Abbiamo bisogno di riposare, non potremo rimanere ferme qui. Dobbiamo cercare di avvicinarci il più possibile ai vostri amici, questo vuole dire camminare fino a quando non crolleremo per la fame.»
Ellemir si fece forza. Con eccessiva cautela si distese tra coperte, già scaldate dalla presenza di Taksya. Si sentiva così vulnerabile, dopo quello che aveva subito quel giorno era sicura che non avrebbe avuto la forza di resistere neppure al più innocente contatto senza reagire d'impulso. Era certa che la sua forza volontà, che le impediva di reagire come la Custode che era un tempo, sarebbe stata del tutto annullata. Invece, una volta sdraiata accanto alla Rinunciataria, sentì una calda ondata di pace travolgerla. Riconobbe per un istante il laran di Taksya, intuendo che la donna stava inconsciamente cercando di tranquillizzarla, come una madre avrebbe potuto fare con il proprio bambino.
Ellemir si lasciò andare, assaporando quella sensazione di pace che non aveva mai sperimentato, neppure durante quel breve e felice periodo della sua infanzia passato a Mariposa dalla nonna paterna. I suoi sensi si rilassarono, la mente libera di aprirsi al mondo che la circondava. La notte era calma e nessuno sembrava turbare la quiete di quei boschi, i soli pensieri che Ellemir percepiva erano quelli di Taksya, resi confusi e incoerenti dal sonno che cominciava ad avvolgerla.
Lentamente anche Ellemir si lasciò scivolare nel torpore del dormiveglia, il corpo piacevolmente riscaldato dal calore delle coperte, l'aria profumata dall'aroma degli aghi di pino che Taksya aveva usato come imbottitura e la mente come avvolta dal caldo abbraccio protettivo dello strano potere della Rinunciataria.
Quando, ormai completamente addormentata, Taksya si girò verso di lei, cingendole la vita con un braccio, Ellemir provò uno strano senso di piacere al contatto.
Una lontana parte della sua mente, quella addestrata a rimanere sempre vigile ed attenta, pronta a registrare qualsiasi evento per catalogarlo e studiarlo in seguito, le urlò che stava violando uno dei più sacri tabù di Darkover, ma la sua parte cosciente la zittì, lasciandosi dolcemente avvolgere dalle strane sensazioni che quel contatto stava generando in lei e gioendo nella consapevolezza che per lei quel divieto non aveva più ragione di esistere.
Rassicurata dalla vicinanza di Taksya, Ellemir azzardò l'impresa che non avrebbe mai voluto tentare: salire per qualche breve istante nel sopramondo per lanciare un segnale di aiuto rivolto a Edric Aldaran.
Ellemir scivolò rapidamente nel piano mentale, cercando di rimanere ai confini dei livelli più bassi del sopramondo. Appena varcata la soglia poté sentire i tentacoli del suo nemico allungarsi verso di lei, tastando l'aria intorno alla sua immagine, come nel tentativo di localizzarla. Raccolse tutta l'energia che le era rimasta e lanciò un potente grido di aiuto a Edric, indicando il luogo dove presumibilmente l'avrebbe potuta trovare. Grazie ai lunghi anni trascorsi insieme alla Torre di Tramontana, Ellemir era in grado di utilizzare una sorta di gergo cifrato per rivolgersi al vecchio amico.
Non aveva pronunciato nomi né visualizzato luoghi, ma era certa che Edric avrebbe capito immediatamente quale era la situazione e cosa avrebbe dovuto fare per trarle d'impaccio.
Ellemir scivolò nuovamente nel proprio corpo, quasi certa di non essere rimasta lontana troppo a lungo, permettendo così al nemico di localizzare la sua posizione. Nonostante ciò, la paura l'avvolse come un sudario, certamente acuita dalla tensione per i fatti di quel giorno, che solo allora cominciava lentamente a dissolversi.
Senza pensare, Ellemir allungò una mano, fino a toccare il braccio di Taksya ancora poggiato sui suoi fianchi. La donna, come rispondendo a quel leggero contatto, si strinse ancora più vicino a lei, riducendo a nulla la distanza tra i loro due corpi. Ellemir sorrise nel dormiveglia, lasciando che le mani dell'Amazzone si stringessero sulle sue.

***

Il sole rosso sangue era sorto solo da pochi minuti quando il piccolo drappello di uomini armati si mise in cammino. Edric Aldaran rimase ad osservarlo qualche istante, chiedendosi ancora una volta se non avesse sbagliato a decidere di restare al castello. Conosceva già la risposta. Organizzando la spedizione di soccorso aveva in pratica annunciato ufficialmente che stava architettando qualcosa e suo padre non avrebbe tardato ad informarsi sul perché di tanto movimento.
In effetti il cameriere personale di Dom Kevin lo stava già aspettando nell'atrio. Gli fece un cenno di assenso e lasciò che lo precedesse lungo le stanze e i corridoi che portavano allo studio del padre.
Quando aveva captato il grido di aiuto di Ellemir, gli era sembrato naturale ricorrere all'aiuto del vecchio coridom per i dettagli tecnici della spedizione di soccorso. Probabilmente il buon Rafael aveva tirato giù dal letto suo padre molto prima dell'alba per avvertirlo delle novità.
Sospirò rassegnato. "Tanto, prima o poi, doveva saperlo," pensò. "Una Custode non è come un pulcino di falco, che si può tenere nascosto in camera senza farsi scoprire per intere settimane."
Sorrise al ricordo della sua bravata infantile, ma fu solo un istante. Rafael, con un leggero inchino, gli segnalò che erano arrivati e si allontanò, sorridendo come se fosse intimamente felice del fatto di non dover essere lui quello che doveva entrare nella tana del vecchio lupo.
Edric aprì piano la porta dello studio di suo padre. Kevin Aldaran era seduto nella sua poltrona preferita, davanti alla finestra. Era un uomo alto, magro, dal viso scavato incorniciato da una corta barba dello stesso colore scuro dei capelli che stavano diventando grigi alle tempie. Aveva un'aria stupita e adirata, e i suoi occhi ardenti si posarono su Edric.
«Buon giorno, padre,» salutò Edric.
«Buono, dici tu!» ribatté Dom Kevin. «Siamo qui sull'orlo di una guerra che potrebbe annientarci e tu trovi che sia una buona giornata?!»
Edric rifletté rapidamente. Questo non poteva riguardare l'arrivo di Ellemir e, a meno che gli fosse sfuggito l'arrivo di un messaggero durante la notte, non gli risultava che ci fossero novità relative alla faida che la sua famiglia combatteva ormai da generazioni. Per quanto ne sapeva, gli ultimi scontri si erano avuti prima ancora della sua nascita.
«Gli Scathfell hanno forse fatto qualche passo di cui non sono a conoscenza?» azzardò.
«Gli Scathfell si sono barricati nella loro tana, che Zandru li fulmini, e dopo l'ultima lezione non ci daranno altri fastidi. Io sto parlando del tuo sconsiderato gesto che ci procurerà tanti di quei problemi che, al confronto, la nostra decennale faida con gli Scathfell sembrerà una scaramuccia tra bambini.» Edric fece per aprire la bocca e chiedere spiegazioni, ma il padre lo anticipò. «Non ho mai interferito con le tue decisioni, devi darmene atto. Hai trasformato la mia casa in un rifugio per profughi dei Sette Domini e non ho detto niente. Abbiamo per attendente una donna, tuo fratello vive con una ragazza che non può nemmeno sposare, visto che è scappata di casa, e Darren già da tempo è entrato nella lista nera del Consiglio dei Comyn, visto che si è unito di catenas con una comynara e poi ha avuto il buon gusto di portarla quassù, senza chiedere il permesso di nessuno. Ma quello che vuoi fare adesso è davvero troppo!»
L'espressione di Edric era di sincero stupore. «Non capisco cosa volete dire, padre.»
«Ah! Così non capisci, vero? Probabilmente a te sembra la cosa più normale del mondo dare asilo ad una Custode fuggita da una Torre! Non pensi a quello che diranno di noi gli altri Domini? Mi sembra già di sentirli: `i banditi di Aldaran non hanno più ritegno, dobbiamo deciderci a fermarli, prima che vengano a rapire le nostre figlie nelle nostre stesse case, non rispettano neppure la sacralità delle Torri o l'inviolabilità delle Custodì! Per tutti gli Dei, Edric di Aldaran, ti ha dato di volta il cervello?»
Edric represse a stento un sospiro. Sapeva che suo padre aveva ragione. La posizione degli Aldaran era già abbastanza precaria e, per quanto poco in realtà il comportamento del capo di un ramo degli Aldaran, in rotta con lo stesso Dom del settimo Dominio, potesse interessare al Consiglio, quest'ultimo scandalo non avrebbe certo contribuito a rafforzarla.
«No, padre. So bene che la mia decisione può sembrare avventata, ma vi assicuro che era l'unica possibile. Inoltre,» aggiunse, «ho riflettuto a lungo sulla questione e sono convinto che la cosa tornerà a nostro vantaggio.»
Dom Kevin spalancò gli occhi. «Che la Beata Evanda ci assista! Mio figlio, il mio erede, è diventato pazzo!»
«Sono pronto a spiegare le mie parole,» disse Edric sfoggiando tutta la sua dignità, sapeva per esperienza che in casi come questo era meglio non mostrarsi troppo impressionati dalle sfuriate paterne.
Il signore di Aldaran lo fissò aggrottando le sopracciglia, pronto ad ascoltare uno dei tanti voli pindarici del suo Erede.
«Il fatto è che noi non abbiamo una Torre, come invece hanno a Caer Donn. So che non vi piace che vi parli di queste cose, ma dovete ammettere che questa situazione ci rende inferiori nei confronti del Consiglio dei Comyn. Consiglio in cui, non so se per fortuna o per sfortuna, gli Aldaran non siedono più da secoli,» si affrettò ad aggiungere, vedendo l'espressione adirata del padre nel sentir nominare il più alto organismo governativo dei sei Domini. «Non voglio affrontare un discorso di tipo politico. Conoscete già la mia opinione in proposito e sapete che disapprovo questo isolazionismo che non ci permette di aiutare il processo evolutivo del nostro mondo. D'altra parte è anche vero che i comyn non ci vogliono tra loro o, meglio,» si corresse, «gli Hastur non ci vogliono. Cercano addirittura di negare la nostra esistenza. Ma non tutti si lasciano manovrare dagli Hastur. Ricordate quando il mio laran si è risvegliato? La sapiente del nostro castello non era in grado di seguirmi e così abbiamo dovuto chiedere aiuto alla Torre di Caer Donn, ma i nostri stessi parenti ci hanno ignorato. Allora la richiesta è stata passata alla Torre di Tramontana. Ci aspettavamo un rifiuto sdegnato, e invece la Custode mi invitò a trasferirmi nella Torre per ricevere l'addestramento di ogni giovane comyn.
«È stato un caso straordinario, lo sapete come lo so io. Da anni nessun Aldaran della nostra casata veniva più addestrato in una Torre, mentre ora tutti i miei fratelli hanno potuto trascorrere almeno un anno a Tramontana, sviluppando il loro laran. Tutto ciò è stato possibile grazie alla Custode di quella Torre, la stessa Custode a cui voi,» calcò volutamente il tono, «vorreste negare la vostra protezione?»
Dom Aldaran aveva seguito solo superficialmente il discorso del figlio. Trovava profondamente noiosi tutti i discorsi del figlio riguardo il laran e le Custodi, ma la sua mente pratica di vecchio militare stava invece soppesando i vantaggi di una Torre nel suo Dominio e doveva ammettere che erano nettamente superiori agli svantaggi diplomatici. In fondo, rifletté, era ormai giunto il momento che anche gli Aldaran avessero l'opportunità di procurarsi autonomamente tutte le materie prime di cui potevano necessitare, senza dipendere, anche se informalmente, dalle Torri degli altri Domini. Dopo tutto, peggio di così non potevano essere giudicati.
«Chi ha parlato di negare la protezione? Il Dominio di Aldaran è sempre stato pronto ad accogliere chi aveva problemi con gli Hastur e i loro schiavi. Stavo solo pensando,» si accarezzò la corta barba, «che sei stato un po' avventato nel concedere la mia ospitalità prima ancora di avermela chiesta.»
Edric sorrise mentalmente. Se suo padre ne faceva una questione di forma, voleva dire che l'essenza era ormai stata accettata. «Mi sono permesso, conoscendo la vostra disponibilità al riguardo, di anticipare le vostre parole. Ellemir aveva bisogno di una risposta immediata.»
Dom Aldaran si rabbuiò. «Quando l'hai incontrata?»
Edric comprese di aver fatto un passo falso. Suo padre non aveva mai capito il profondo rapporto tra lui e la Custode, considerandolo da una parte quasi sacrilego, da un'altra un capriccio infantile che gli aveva impedito di avere una normale vita affettiva. In effetti, doveva ammettere che c'era stata un'epoca in cui aveva amato profondamente Ellemir di Tramontana. Quella fase era passata, ma non poteva negare di aver sempre paragonato tutte le donne che incontrava al suo primo amore, e di averle involontariamente allontanate quando uscivano sconfitte dal confronto.
«È stato solo qualche giorno fa, nel sopramondo,» ignorò lo sguardo seccato del padre. Sapeva che non amava sentir parlare di tutte quelle sciocchezze da stregone come le aveva sempre chiamate. Gli aveva permesso di studiare in una Torre solo perché non aveva altri progetti per lui, ma si era pentito di quella condiscendenza una volta che si era trovato davanti un laranzu, invece che un soldato da addestrare, per prepararlo alla guida non solo del suo casato ma dello stesso Dominio... anche se l'ipotesi che Edric lo ereditasse era solo un desiderio irraggiungibile.
«Lei è venuta a cercarmi per chiedermi aiuto. La sua vita era in pericolo e temeva di coinvolgere anche gli altri membri del suo Cerchio, restando.»
«Dunque hai avuto tutto il tempo di organizzare il suo arrivo e di far preparare le sue stanze, ma non hai trovato un istante per avvertire tuo padre,» considerò gelido Dom Kevin Aldaran. «Se non avessi mandato fuori dal castello un drappello delle mie guardie, io non ne avrei saputo niente.» La voce si fece esageratamente dolce. «Pensavi forse di farmi una sorpresa?» Le sopracciglia si aggrottarono fin quasi a toccarsi, mentre il tono saliva fino a diventare un urlo. «Un simpatico regalino per la Festa del Solstizio?»
Edric cercò di mantenere un aspetto sereno. «Naturalmente no, signore. Stavo solo aspettando il momento giusto, tutto qui.»
Una vena pulsò pericolosamente sulla tempia di Dom Kevin. L'uomo aprì la bocca, la richiuse, si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra. Quando finalmente tornò a voltarsi verso il figlio aveva riacquistato una parvenza di calma. Edric espirò lentamente, rendendosi conto solo allora di aver trattenuto il fiato in attesa della prevedibile sfuriata.
«Hai mandato fuori un drappello. Posso saperne il motivo?»
«Sì, certo,» annuì Edric. «Dei banditi hanno assalito Ellemir e la sua scorta al Passo dell'Uomo Morto. Sono rimaste senza cibo e senza cavalli. Ho avvertito Alaric, che fortunatamente era già in viaggio da Nevarsin. Dovrebbe incontrarle oggi stesso, ma viaggia solo col suo scudiero e non ha molti viveri... Le guardie potrebbero raggiungerli già domani, se il tempo regge.»
«Come hai fatto a sapere che Alaric stava tornando...» cominciò a chiedere Dom Kevin, ma si interruppe subito. «Le tue solite stregonerie, immagino,» liquidò la faccenda con un gesto spazientito della mano. «Comunque hai fatto la cosa giusta. La Custode deve arrivare al castello sana e salva, o tutto Darkover ci accuserà, a ragione per una volta, di essere un covo di banditi senza onore.» Voltò le spalle al figlio e lasciò vagare lo sguardo fuori dalla finestra, verso le montagne che circondavano Castel Aldaran.
La sua mente era già impegnata a definire i particolari della nuova impresa che lo aspettava. Prima di tutto avrebbe tenuto segreta la notizia ancora per qualche tempo. La Custode sarebbe stata ricevuta con tutti gli onori adeguati al suo rango, ma nessuno al di fuori del castello ne avrebbe dovuto sapere niente. Poi avrebbe organizzato la più grande Festa del Solstizio che si fosse mai vista, invitando tutti i signori di montagna fino al Muro intorno al Mondo. Solo allora avrebbe dato l'annuncio ufficiale.
Sì, annuì soddisfatto pregustando la scena, il Dominio di Aldaran stava per avere un'altra Torre, una vera Torre.
Edric cercò di schermare la propria mente. Ufficialmente il signore di Aldaran aveva rifiutato i suoi poteri mentali, nella ferma convinzione che, alla lunga, avrebbero indebolito le sue capacità di comando militare. Edric sospettava che a provocare quel volontario blocco fosse stato piuttosto un trauma, ma non aveva mai affrontato il problema con un'indagine più approfondita. Comunque sia, rifletté Edric, Dom Kevin era un telepate e certe volte avrebbe dovuto controllare meglio la forza con cui riusciva a trasmettere i suoi pensieri, soprattutto quando era agitato da qualche forte emozione.
Non gli piaceva la sensazione di possesso che suo padre collegava all'idea della Torre, e non gli piaceva il rapido cambiamento di umore con cui aveva accettato l'idea dell'arrivo della Custode. D'altronde, considerò, almeno l'aveva accettata. Sospirò brevemente, poi uscì dallo studio e raggiunse la sua camera.
Quando aveva organizzato la squadra di soccorso aveva dovuto compiere un grande sforzo per frenare il desiderio di partire anche lui. Il grido di aiuto di Ellemir era stato troppo disperato per lasciarlo indifferente. Per fortuna aveva previsto la reazione di Dom Kevin alla notizia e aveva scelto di restare per assorbire la sua furia, prima che la scaricasse tutta sull'ignara Custode. Ma, adesso che il peggio sembrava passato, nulla gli impediva di partecipare alle ricerche.
Si avvolse in una coperta e si sistemò il più comodamente possibile su una poltrona, estraendo la matrice dal sacchetto di cuoio in cui la conservava. Pochi istanti dopo si trovò nel sopramondo. Cercò gli schemi di pensiero di Ellemir e si sentì immediatamente attratto verso di lei.
Come al solito, quando la Custode non si trovava già nel sopramondo, riuscì a visualizzarne soltanto la matrice. Questa volta, però, c'era qualcosa di strano. Il piccolo faro azzurro appariva velato, come se fosse circondato da un alone di vapore malsano.
"È ferita!" pensò con un tuffo al cuore. "Forse sta morendo, e io non posso far nulla per aiutarla." Si protese mentalmente verso la matrice offuscata, ma prima di riuscire a stabilire il contatto fu colto da una sgradevole sensazione di vertigine. "Cosa sta succedendo?" si chiese. "Non mi era mai successa una cosa del genere, prima."
Si concentrò brevemente sul suo corpo, avvolto nella coperta nella sua stanza di Castel Aldaran. Non sembravano esserci problemi, almeno a livello fisico. Con una leggera spinta, come un nuotatore che risalga alla superficie dopo un tuffo, Edric tornò nel sopramondo. Evidentemente il blocco era collegato alla matrice di Ellemir.
Abbandonò l'idea di mettersi in contatto con lei e si concentrò su Alaric.
Suo fratello non aveva un laran molto sviluppato. Era abbastanza normale che, in una coppia di gemelli, uno ereditasse gran parte del potere, mentre l'altro ne fosse quasi sfornito. Nel loro caso era Edric il privilegiato, anche se il donas di Alaric si era rivelato uno dei più preziosi esistenti su Darkover.
Alaric, infatti, era un telepate catalizzatore, uno degli ultimi esistenti sul pianeta. Era grazie a lui che Edric aveva potuto identificare molti dei telepati che ora lavoravano a Castel Aldaran. Fin dall'infanzia i gemelli avevano scoperto che era più facile vivere a contatto con altri lettori del pensiero e, anche se molti di loro non appartenevano alla casta nobiliare e non avevano ricevuto un addestramento nelle Torri, tutti gli abitanti del Dominio dotati di laran sapevano che sarebbero sempre stati bene accolti dai figli di Dom Kevin.
Utilizzando lo stretto legame che da sempre univa i gemelli Edric trovò il fratello senza difficoltà.
«Alaric?»
«Edric!» la mente del giovane si aprì con un senso di calore e di affetto. «Allora eri proprio tu! Quando mi sono svegliato, prima della partenza, non riuscivo a capire se il tuo messaggio era stato reale o se si era trattato soltanto di un sogno.»
«Purtroppo non è un sogno. Abbiamo un problema, e tu puoi aiutarci a risolverlo. Ricordi Ellemir di Tramontana?»
Nella mente di Alaric si formò l'immagine della Custode, contornata da un alone di forza. L'impressione generale era un misto di soggezione e senso di sicurezza, e Edric provò una leggera fitta di gelosia che si affrettò subito a cancellare.
«È troppo lungo spiegarti tutta la storia, comunque sappi che Ellemir stava venendo a Caer Donn quando è stata aggredita. È riuscita a lanciare un segnale di aiuto, per cui credo di aver capito dove si trova, ma non riesco più a raggiungerla.»
«Ma sta bene, vero?» la preoccupazione del giovane era sincera.
«Non lo so,» fu costretto ad ammettere Edric. «Spero di sì, ma non ho elementi per esserne certo.»
«Dimmi cosa posso fare,» si offrì Alaric.
Edric cercò di trasmettere l'immagine che aveva captato solo poche ore prima. «Riconosci questo luogo?»
Alaric meditò qualche istante. «Sì. Mi sembra il bosco sulla pista che conduce al Passo dell'Uomo Morto.»
Edric si sentì rassicurato. «Lo pensavo anch'io. Ellemir dovrebbe essere accampata lì. Probabilmente c'è qualcuno con lei, almeno lo spero, ma potrebbe essere stata solo una mia impressione. Comunque ha bisogno di aiuto immediato. Ho organizzato una squadra di soccorso che è partita all'alba. Gli uomini, però, non la raggiungeranno prima di domani in serata. Tu sei più vicino...»
«Sì, posso raggiungere il passo prima di sera. Ma Edric...» esitò. «Se è ferita io...»
«Intanto trovala!» cercò di trasmettere pensieri sereni e rassicuranti. «Io resterò in contatto e ti aiuterò in caso di difficoltà. Va, ora, non perdere altro tempo. Penserò io a mantenere il legame mentale, tu concentrati sul cammino e prega solo di arrivare in tempo.»
Senza più bisogno di parlare, Edric rimase in contatto con il gemello, seguendo ogni fase dell'operazione come se veramente vi partecipasse in prima persona. La stranezza della situazione lo aveva spaventato, ma tentò di mantenere la sua mente libera da ogni pensiero pessimistico, per non rischiare di contagiare anche Alaric.







StrangeLandsChronicles © 2004
© Simona Degli Esposti