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Titolo: Ho sparato a Lord Voldemort
Capitolo 4/11: Il libro coatto delle magie
Autore: sssilvia
Serie: J.K. Rowling's Harry Potter
Status: concluso
Archivio: SLC, Fanfiction.net
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Ho sparato a Lord Voldemort

sssilvia



capitolo 4

Il libro coatto delle magie

A Lene la nuova situazione non andava a genio più di quella precedente. Era ben vero che nessuno guardava più la sua fronte in cerca di cicatrici, ma d'altronde non è che il posto straripasse di vita. I principali abitanti della grande casa lugubre con le tende nere alle finestre (che, stranamente, non si aprivano) erano:
1) Un tizio basso e calvo dall'aria spaventata che se ne andava in giro squittendo e tenendosi stretto un braccio di colore argentato. Lene era d'accordo che fosse molto grazioso, ma non le sembrava davvero il caso di farlo vedere a tutti senza sosta. Il suo nome, a quanto pareva era Codaliscia. Nessuno, là intorno, sembrava avere dei nomi normali tipo Joe, Bob o Ted.
2) Una donna con una testa di capelli neri orribilmente spettinati, il rossetto sbafato e una voce leggermente irritante, tipo quella degli accattoni in metropolitana. La donna ovviamente si chiamava Bellatrix, chi mai avrebbe potuto aspettarsi un Mary, Anne o Liz? E, in ogni caso, Bellatrix la guardava sempre malissimo, quindi Lene non pensava che sarebbero presto diventate amiche del cuore.
3) Un uomo dai capelli lunghi e lisci e biondi, e gli occhi azzurri e splendenti, e i denti dritti e bianchi... insomma una specie di maledetto Principe Azzurro di nome Lucius (che era anche moderatamente normale, ma ugualmente orribile) che però la guardava con odio anche lui. Anzi, aveva un'aria tremendamente offesa, Lene non sapeva per che motivo, ma di certo quello non era un covo di allegroni.
4) Last but not least un enorme serpente viscido e squamoso di nome Nagini. In questo caso Lene non aveva commenti da fare: doveva essere semplicemente un'allucinazione, tutto qua. Cristo non esistevano abomini del genere in natura! Beh, a parte i varani. E i dinosauri.
In effetti Nagini, oltre al fatto di essere particolarmente spaventoso, sembrava avere altri difetti. Aveva una preferenza per le pennichelle in mezzo ai corridoi, ad esempio.
Quella mattina Lene si era svegliata intorno alle sei (o meglio, alle sei l'orrido ritratto di un tizio con una grossa verruca aveva iniziato ad urlarle di svegliarsi), si era vestita (sotto alle coperte, per non essere spiata dal ritratto - che la guardava con occhi laidi, secondo lei), ed era uscita nel corridoio buio per cercare di arrivare nel Sotterraneo delle Lezioni (parole del ritratto). A parte che non aveva idea di dove si trovasse (forse sottoterra, visto che lo chiamavano sotterraneo), a parte che non vedeva a un palmo dal naso (e nemmeno riusciva a vedersi il naso), a parte che aveva fame e sonno e non era di ottimo umore... subito fuori dalla sua stanza era inciampata in qualcosa.
«Ah!» aveva gridato, un po' spaventata e un po' arrabbiata.
"Ssssssssssssss..." aveva risposto la cosa.
Lene si era tolta velocemente una scarpa e aveva iniziato a colpire alla cieca davanti a sé. Il sibilare si era fatto in qualche modo più indignato e Lene aveva cominciato ad avvertire una certa costrizione, come se qualcosa di molto grosso e molto squamoso le si stesse avvolgendo attorno al corpo.
«Mollami, schifo di un serpente!» aveva protestato, colpendo con la scarpa con più convinzione.
«Che cosa stai facendo, lercia babbana!» l'aveva raggiunto a quel punto la voce fredda e stridula del padrone di casa, evidentemente poco conscio dei doveri dell'ospitalità. Voldemort stava risalendo a passo veloce il corridoio, la punta della sua bacchetta illuminata d'oro.
«E' quello che dico anch'io, signor Voldemort. Questo biscione mi vuole stritolare!» a scopo dimostrativo diede un'altra scarpata. La scarpa era in realtà uno stivale (ovvio, Lene era texana), di pelle di serpente e con la punta ben aguzza. Lene provò a far incontrare l'orrido serpentone e i suoi lontani cugini che avevano generosamente donato la propria pelle per i suoi stivali, colpendolo forte su un occhio.
Quasi immediatamente si ritrovò appesa a testa in giù per un caviglia, a dondolare a mezz'aria.
«Hey!» strillò.
«Non solo mi spari! Adesso te la prendi anche con gli animali indifesi!» replicò l'altro, con voce stridula. «Vieni qua, piccolina... che cosa ti hanno fatto?»
Lene, dal suo comodo punto di vista sottosopra a mezz'aria, vide l'enorme serpente che strisciava verso il suo padrone e gli si arrotolava languidamente intorno alle gambe.
«Indifesa? Piccolina?» balbettò.
Voldemort stava accarezzando teneramente la testa dei quattro o cinque metri di spire scagliose dell'animale.
«Non ti preoccupare, Nagini... ora c'è papà che pensa a te...»
«O mio Dio... E'una femmina?»
Voldemort sollevò su di lei i freddi occhi rossi.
«Naturale che è una femmina, lurida babbana. Non vedi che faccina delicata che ha?»
Lene, sempre sottosopra, provò a guardare il muso della bestia. Non c'era il minimo indizio né di delicatezza né di femminilità, ma solo due gelidi occhi dalle pupille lanceolate, una bocca smisurata e priva di labbra e due piccoli fori al posto del naso.
«Oh, beh...» provò a dimostrarsi accomodante, prima che la testa le esplodesse per l'eccessivo afflusso di sangue, «... in effetti ha proprio l'aria di essere una magnifica signorina. Mi... hem, mi ha colto alla sprovvista, sdraiata qui davanti, sa... è davvero...» Scagliosa? Ributtante? Abominevole? «... molto elegante, sai? Un nonsoché di regale...»
Voldemort la scrutò attentamente, poi, con un gesto appena accennato della bacchetta, la fece ridiscendere in modo dolce.
«Ah, beh... sapevo che neanche tu potevi essere così priva di cuore da prendertela con la mia piccolina...» disse, in un tono che Lene giudicò molto più inquietante della precedente freddezza.
«Guarda Nagini... la lercia babbana si è sbagliata... si è trattato di un incidente, capisci?» continuò l'altro tutto serio, guardando il serpente.
Lene provò a sorridere. Il risultato fu più che altro simile ad un'emiparesi.
Voldemort, ancora perso nella contemplazione del suo tesoruccio, fraintese nuovamente il gesto.
«Oh, la vorresti accarezzare, vedo. Ma certo, vieni pure... sono sicuro che la piccola Nagini ha capito perfettamente che si è trattato di un malinteso... è una gran coccolona, sai?»
«Ah... io...»
«Forza, non essere timida.»
Lene, la fronte imperlata di sudore, sfiorò appena la testa dell'orrido rettile e ritrasse velocemente la mano. In quel breve periodo Nagini provò a morderla. Le sue smisurate fauci si richiusero con un colpo secco a meno di un centimetro dalla punta delle sue dita.
Voldemort, tutto sdolcinato, continuava a darle affettuose pacche sulla testa e a sibilare. Perché sibilasse non era ben chiaro. Lene pensò che probabilmente era come quei padroni di cani che abbaiano alle loro bestie pensando di comunicare. Si rinfilò lo stivale e indietreggiò di qualche passo.
«Bene, bene...» mise fine al sibilio Voldemort. «Il fatto che Nagini ti ha trovato simpatica ti ha valso un minimo di rispetto in più, ma questo non significa che dobbiamo dimenticarci degli impegni della mattinata, vero?» e iniziò ad incamminarsi lungo il corridoio facendo luce con la propria bacchetta.
«Mi ha trovata... simpatica?» balbettò Lene. Beh, in fondo non era male, il serpentone.
«Appetitosa,» corresse Voldemort, con un sorriso. «In serpentese sono sinonimi.»
Lei deglutì. No, non era affatto simpatica.
«Ah... dove stiamo andando?» cambiò velocemente argomento.
«Nel Sotterraneo delle Lezioni.»
Lene gli trottò dietro cercando di non inciampare di nuovo in Nagini, che strisciava affianco a lui, e vide scorrere affianco a sé una serie di stanze polverose e buie, alcune delle quali sembravano emettere lamenti lugubri.
Quando scesero una stretta rampa di scale Lene perse l'equilibrio e rimbalzò sugli ultimi gradini come una palla. Ma non si poteva accendere la luce, in quella maledetta casa? Avevano litigato con i fornitori di elettricità?
«Ai!» fece, accasciandosi sulla pietra viscida del pavimento del sotterraneo.
«Per essere l'oggetto di così tanto interesse devo dire che mi sembri alquanto scoordinata,» commentò Voldemort, più freddo del solito, prima di tirarla su con un colpo di bacchetta.
Lene si guardò attorno.
Il Sotterraneo delle Lezioni assomigliava in modo inquietante ad una camera delle torture. Catene munite di anelli penzolavano dalle pareti, fiaccole catramate ardevano negli angoli e una serie di ferri dalle forme poco promettenti erano allegramente allineati su una cassapanca. Lene iniziò ad intuire che per lezioni forse non si intendeva lezioni scolastiche, quanto piuttosto "vieni qui che ti do una lezione".
«Hem... suppongo che i tuoi metodi didattici siano assolutamente all'avanguardia?» provò ad ipotizzare Lene, gli occhi incapaci di spostarsi da quello che sembrava un sedile per fachiri. O chi aveva rifinito l'oggetto aveva distrattamente dimenticato di ribattere la maggior parte dei chiodi, oppure la poltrona non era propriamente riservata agli amici di famiglia.
«Naturalmente. Per prima cosa prendi la tua bacchetta.»
Lene eseguì, per la prima volta leggermente in soggezione.
«Eccellente. E ora prendi questo libro.»
Lene prese il grosso libro nero che l'altro le porgeva.
«Che cosa...» iniziò a chiedere, sfogliando distrattamente l'introduzione.
«Adesso guardami,» fece Voldemort.
Lene ci provò. Dopo il primo tentativo ci provò più intensamente. Purtroppo non riusciva assolutamente a smettere di leggere.
«Benissimo,» disse l'altro, come se si aspettasse precisamente quel risultato. «Vedi, è un libro stregato. Non puoi staccare gli occhi finché non l'hai terminato.»
Lene lo sentì che si allontanava.
«Buona lettura, quindi.»

***

Harry Potter, che in quel momento si trovava immerso fino al collo in una sostanza bituminosa in una palude del Nord della Scozia, non era molto più felice di Lene.
Visto che si era prefisso l'obiettivo di trovare quattro oggetti grandi più o meno come piattini da té (Nagini esclusa, visto che era molto più vicina alla stazza di un camion dei pompieri) in una superficie grande suppergiù come l'intero globo terracqueo (anzi, in effetti corrispondente all'intero globo terraqueo, per la precisione) non aveva tempo da perdere a preoccuparsi di babbane scomparse.
Naturalmente aveva saputo degli strani avvenimenti di Camden Town, ma aveva valutato più che sufficiente mandare a controllare Ron.
Ron, dopo essersi materializzato due chilometri più a Est di Grimmaud Place ("Era sono una norma di sicurezza per non farmi seguire" si era giustificato) e aver fatto il resto della strada a piedi, era stato in grado di riportargli notizie di blando interesse.
Harry Potter, immerso fino alla gola nel limo, scacciò via il pensiero e continuò a frugare con le mani. Dio se era disgustoso, Voldemort!

***

Voldemort non trovava se stesso minimamente disgustoso. Innanzitutto non aveva mai nascosto niente nel fango, cosa che avrebbe trovato di gran cattivo gusto, e secondariamente trovava di avere delle mani decisamente interessanti, se non persino belle. Se le stava esaminando in quel momento.
Le dita lunghe e pallide rassomigliavano alle zampe di un ragno d'acqua (a chi non piacevano i ragni d'acqua?) e le vene bluastre le percorrevano come... beh, come vene bluastre. Erano molto graziose.
Smise di guardarsi le mani e sollevò lo sguardo sulla sua supposta allieva.
«Adesso l'incantesimo di appello,» ordinò.
«Accio... hem... strappalingua?» fece il suo tentativo Lene. Un enorme pinza rugginosa le schizzò in mano. «Ah, ecco... come immaginavo.»
«Uno strumento indispensabile, quando la Maledizione Crociatus ti viene a noia,» commentò Voldemort, in tono distratto. Sollevò tra pollice e indice una fiala di vetro contenente una qualche sostanza bluastra e la lasciò cadere a terra.
«E ora riparala,» disse.
«Reparo!» strillò Lene, una nota isterica nella voce. La fiala tornò intera.
«E la pozione?» fece Voldemort, in tono discorsivo.
«Per quella è sufficiente un colpo di mocio. Anzi, non farebbe male a tutto il pavimento.»
Lui rialzò gli occhi e la scrutò con attenzione.
Lene aveva occhiaie color indaco e gli occhi iniettati di sangue. I capelli erano dritti come se le avessero trapiantato in testa dei rametti di sambuco e il suo aspetto generale era di completa devastazione psicofisica. Poteva essere per via del libro stregato? D'altronde a lui non sarebbe servita a niente una strega che non sapesse almeno eseguire qualche magia. E il libro che le aveva prestato aveva anche la capacità di farti immediatamente imparare qualsiasi cosa ci fosse scritta sopra. L'aveva incantato lui stesso a quel modo e doveva dire che aveva fatto proprio un bel lavoretto. Probabilmente molti studenti di Hogwards avrebbero dato la mano destra per averlo.
Era anche vero, però, che l'aveva lasciata nei sotterranei alle sei di quella mattina e ora erano le nove e mezza di sera.
Inoltre era suo malgrado impressionato da come quella squallida babbana fosse riuscita ad eseguire subito correttamente tutto quello che aveva imparato. Merito del suo libro, ovviamente, tuttavia...
Voldemort non era abituato a comportarsi in modo gentile e, anche se intuiva che in quel momento un po' di gentilezza avrebbe potuto funzionare meglio del solito calcio nel sedere, non era sicuro di come procedere.
La scrutò inquisitivamente. «Hai fame,» disse, piatto. Proprio non gli riusciva di farla diventare una domanda, meno che mai un'offerta di cibo.
«Acuto,» fu la risposta sgarbata.
Voldemort represse giudiziosamente l'impulso di spalmare il suo cervello sulle pareti del sotterraneo e tentò perfino di esibire un sorrisino divertito. Evidentemente non era la mossa migliore, però.
«Ah, molto divertente! Mi sto scompisciando dal ridere... inizio a capire perché assomigli a un maledetto scheletro! Ma devo dirti che io di solito mangio colazione, pranzo e cena!»
Voldemort spalancò gli occhi. «Ad uno scheletro?» Si era sempre considerato piacevolmente snello.
L'altra fece schioccare la lingua. «Se ti vedesse un cannibale si ucciderebbe per la depressione.»
Voldemort si premette le dita sulle palpebre. Perché ogni volta che provava ad iniziare una discussione civile con quella donna doveva finire in zuffa?
«Bene,» disse, cercando di mantenere la calma. Quel tipo di ira trattenuta, in precedenza, aveva fatto tremare le ginocchia a qualsiasi interlocutore, ma Voldemort iniziava a non stupirsi più del fatto che queste finezze con Lene non funzionassero. «Ti sarà dato qualcosa da mangiare. Puoi tornare nella tua stanza.»
Detto questo si alzò e fece per andarsene.
«Un attimo!» lo fermò la voce di lei.
Era una sua impressione o quella stupida babbana gli aveva dato un ordine? Nel dubbio (la cosa era praticamente inconcepibile per lui) si voltò lentamente e lo chiese: «E' solo una mia impressione o mi hai appena dato un ordine?»
Lei inclinò la testa da un lato. «Era una gentile richiesta.»
«Ah. Sembrava proprio un ordine, sai?»
«Oh, non oserei mai ordinarti niente.»
«Spero che questo concetto rimanga ben chiaro nella tua mente per molto molto tempo.»
Lei sbuffò. «Sì, già, Mr. Padrone... ho delle cose da chiederti. Ad esempio... non si pretenderà che io non abbia altri vestiti che questi, no? Voglio dire... sarebbero da mettere a lavare, sai? E poi che cosa faccio, vado in giro con una foglia di fico sulle parti basse?»
Voldemort inarcò appena un sopracciglio.
«Inoltre mi serve almeno un pigiama. Stanotte c'erano duemila gradi sotto zero in camera mia. Senza pigiama mi sono quasi congelata.»
Il discorso stava iniziando ad assumere un certo interesse. Voldemort tornò a sedersi sul suo trono d'ebano, la testa appoggiata su una mano, in ascolto.
«Per non parlare dei pranzi. Io sono allergica al formaggio, lo sapevi? Scommetto di no. Se per caso mangio l'angolo di una fetta di Cheddar mi devono portare al pronto soccorso. Muoio meglio che con l'abracadabra, sai?»
Anche questo era interessante, anche se forse non quanto lei che si rigirava nuda sotto alle coperte. In ogni caso la morte improvvisa era sempre un ottimo spunto di conversazione.
«E poi... i miei cavalli. Che cosa ne sarà dei miei cavalli se sto tutto il tempo qua sotto con gli occhi incollati ad un libro. Tra l'altro, è normale che uno non riesca nemmeno a sbattere le palpebre?»
Voldemort lo fece in quel momento la prima volta in oltre mezz'ora. «Non ci avevo pensato.»
«Già. Di questo passo verrà a me la congiuntivite!»
«Congiuntivite?»
Lene sbuffò.
«Sì, quando ti ho visto a Camden pensavo che avessi una spaventosa congiuntivite,» rise senza allegria. «Poi mi hanno spiegato che sono occhi serpentini o qualcosa così. Tipo hai pasticciato un po' troppo con le ossa dei morti o roba del genere...»
Voldemort stava iniziando ad irritarsi di nuovo. Prima gli avevano dato dello scheletro, poi gli avevano detto che sembrava un tizio con la congiuntivite, infine riassumevano una delle magie più complicate, faticose e brillanti dell'intera storia della magia in un pasticciare con le ossa dei morti...
«Insomma, vuoi mangiare sì o no? Per quel che mi riguarda non ho problemi a lasciarti senza cena.»
Lene fece un passo verso di lui e si chinò fino a sfiorargli il naso col naso.
«Cena. E vestiti,» disse, in tono belligerante. «Oppure me ne vado.»
Voldemort si appoggiò una mano davanti alla bocca.
«Non c'è niente da ridere!»
Voldemort tolse la mano e cercò di restare serio. Ma concentrarsi iniziava ad essere un po' difficile con le labbra carnose dell'altra a un mezzo millimetro dalla sua faccia.
«Ah... e come pensi di andartene?»
«Ho imparato a smaterializzarmi.»
«Ma che brava. Peccato che non puoi smaterializzarti o materializzarti dentro a questa casa.»
«Allora me ne andrò a piedi!»
Voldemort sorrise. «Non hai dato un'occhiata fuori dalla finestra, vero?»
Lene si mordicchiò il labbro inferiore. Voldemort era a conoscenza del fatto che il mordicchiamento del labbro inferiore era uno dei trucchi segreti delle donne per portare qualsiasi uomo un passo più vicino ad essere un cumulo di gelatina, ma non poté impedirsi di fare quel passo.
«Le tende non si aprono...» spiegò Lene con la voce sottile.
Merda, la ragazza stava giocando pesante, e Voldemort iniziava ad accusare i colpi.
La spinse lontano con un braccio e si alzò in piedi. «Seguimi!» ordinò, secco.
Risalì velocemente gli scalini che portavano al piano superiore, tallonato da Lene. Le cose non stavano andando esattamente come aveva sperato. Il fatto che le cose non stessero andando esattamente come aveva sperato iniziava a diventare un'abitudine fastidiosa. Certo... qualche piccola soddisfazione l'aveva avuta: aveva un corpo nuovo, non aveva più tra le scatole il vecchio provolone ammuffito di Silente, i suoi mangiamorte erano più numerosi che mai...
Ma Thomas Riddle non era il tipo che si crogiolava sugli allori. Appena ottenuta una cosa ne voleva altre quattro, possibilmente più grosse e più belle.
Con un gesto minimo della bacchetta aprì le tende della sala in cui era entrato, senza pronunciare l'incantesimo ad alta voce per non farlo sentire a Lene.
Lei guardò un attimo fuori dalla finestra, stupita.
Poi appiccicò il naso al vetro e disse una cosa molto molto strana:
«Oh, la neve! Non avevo mai visto la neve...»
Voldemort rimase per un secondo senza parole. Era per caso possibile che quella donna non stesse vedendo i picchi e i burroni impervi ed inaccessibili che c'erano là fuori? Possibile che non avesse fatto caso al baratro di ghiaccio che circondava la casa? E che non avesse neanche notato la tempesta perenne che vi sibilava attorno?
Le andò le spalle e guardò fuori. No: era ancora tutto là.
«La neve?»
«Già. In Texas mica ce l'abbiamo. E' bellissima, vero?»
«Oh, beh... non credo di averci mai...» Onestamente, la neve aveva qualcosa a che spartire con la vita eterna e il dominio del mondo? No? E allora perché Voldemort avrebbe mai dovuto farci caso?
L'Oscuro Signore guardò nello specchio che creava il vetro della finestra contro il cielo scuro e notò che Lene aveva le lacrime agli occhi. Occhi grandi e molto azzurri, per essere precisi.
«Santo cielo, è demenziale.» Borbottò. Non gli piaceva la gente con gli occhi umidi. Personalmente non aveva mai gli occhi umidi, faceva parte di uno dei suoi complessi da malato mentale, ma non sopportava nemmeno che li avessero gli altri.
Senza riuscire assolutamente a fermarsi, quindi, asciugò energicamente gli occhi di Lene servendosi della manica del suo vestito nero.
Lei gli sorrise dal vetro.
«Mi porti a giocare sulla neve?» disse.







StrangeLandsChronicles © 2005
© sssilvia