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Titolo: Ho sparato a Lord Voldemort
Capitolo 5/11: Vecchio Porco!
Autore: sssilvia
Serie: J.K. Rowling's Harry Potter
Status: concluso
Archivio: SLC, Fanfiction.net
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Ho sparato a Lord Voldemort

sssilvia



capitolo 5

Vecchio Porco!

"Assolutamente no," aveva risposto Lord Coso. Uffa.
Lene ci sarebbe andata da sola. Là fuori c'era la neve. Neve vera. Non se la sarebbe fatta scappare. Forse avrebbe anche costruito un pupazzo, anche se era a corto di carote per il naso.
Subito dopo cena (il cibo non era assolutamente all'altezza di quello della signora Weasley) se ne andò in camera dicendo che era molto stanca. Che era molto stanca era vero, ma non che sarebbe andata a letto. Ah-ah! I suoi piani erano tutt'altri!
Per prima cosa cercò di scostare le tende. Le tende non cooperarono.
Erano grandi drappi neri di stoffa pesante, del tipo che Lene una volta aveva visto in un'agenzia funebre. Non solo non si aprivano, ma erano anche di pessimo gusto, secondo lei. Avrebbero potuto almeno appiccicarci sopra delle stelline argentate, o dei brillantini, o... Ma non era il momento di occupasi di questo. Provò a scivolare al di sotto, ma qualcosa la bloccava ancora.
Sospirò.
E va bene, in fondo era una strega, no? (Anche se maga continuava a sembrarle molto meno offensivo). Avrebbe fatto qualcosa da strega.
Tirò fuori dalla borsetta il suo kit per le unghie e usando le forbicine iniziò a ritagliare un grosso cerchio nella stoffa. Come immaginava, gli stregoni erano senza fantasia. La sua stregoneria, al contrario, sarebbe stata quella di aggiustare le tende una volta rientrata.
Quando ebbe ottenuto un buco abbastanza largo (fuori la neve continuava a scendere bianca e batuffolosa!) si tolse uno stivale e colpì il vetro della finestra col tacco rinforzato.
Era una fortuna che avesse indossato proprio quelle scarpe. Anche se la gente di solito crede che in Texas tutti portino stivali da cow-boy, in realtà non è affatto vero. I bambini piccoli e le donne molto anziane, ad esempio, a volte non li usano.
Visto che Lene non era né una bambina piccola né una donna molto anziana, però, gli stivali le fecero buon gioco.
Il vetro della finestra (reso infrangibile da non meno di cinque incantesimi differenti) non avrebbe mai pensato di poter essere colpito dal tacco di uno stivale di pelle di serpente. Quindi si ruppe all'istante, forse per la sorpresa.
Il vento forte e gelido che soffiava all'esterno sputò bordate di neve sulla faccia di Lene.
Neve!
Lene non riusciva a pensare a nient'altro.
Con un salto degno di un atleta professionista uscì all'aria aperta.

***

Thomas Riddle guardava pensieroso fuori dalla finestra. Faceva parte delle normali specifiche da signore oscuro, di stare di quando in quando in posa meditativa con le mani intrecciate dietro alla schiena e lo sguardo indecifrabile. Era una cosa come un'altra tra quelle che si dava per scontato che facesse: fissare con occhi freddi al di sopra delle dita unite a cuspide, dare prova di orgoglio satanico, togliere la vita ad innocenti senza motivo e vestire sempre di scuro.
A volte era dannatamente seccante. A Voldemort, ad esempio, il verde smeraldo piaceva molto. Ma che cosa avrebbe detto il mondo se si fosse presentato in pubblico vestito di verde smeraldo? Avrebbero scosso la testa, avrebbero riso, gli avrebbero fatto gentilmente notare che era il caso che si cambiasse subito?
Dio, le norme per entrare a far parte dell'elite dei Cattivi erano così frustranti! Vesti nere, pelle bianca ed un qualche dettaglio rosso sembravano assolutamente essenziali. Non c'era traccia di cattivi vestiti, che ne sapeva, di rosa shocking... o di giallo. A suo avviso era maledettamente ingiusto. Lui si sentiva più estroso di così!
Fissò stizzito il turbinio della neve fuori dalla finestra, soffermandosi piacevolmente sull'invalicabile strapiombo, sui picchi ghiacciati e sulle creste lontane delle montagne più alte del mondo.
Stava giusto assaporando la vastità del cosmo quando la sua attenzione fu attratta da un qualcosa che si muoveva nelle vicinanze della casa, in mezzo ai cumuli di neve.
Si irrigidì immediatamente. Che qualcuno dei suoi nemici avesse scoperto l'ubicazione del suo covo?
Per prima cosa guardò l'avversaspecchio che teneva appoggiato sul comodino. No, là dentro c'era la solita folla in lontananza. Alcuni sembravano aver anche organizzato un picchetto.
Tornò a guardare fuori dalla finestra. Dov'era finita la figura? Poteva essere magari un abominevole uomo delle nevi giunto fin là per sbaglio? Ma, Santo Cielo, nemmeno un abominevole eccetera poteva essere così stupido da uscire con un tempo del genere!
E improvvisamente l'illuminazione arrivò.
«Babbana!» esclamò Riddle, a metà strada tra l'incredulo e l'arrabbiato. «Maledetta idiota!»
Disfece l'incantesimo che teneva sigillata la finestra (chissà come aveva fatto la babbana a superarlo, era magia nera dannatamente avanzata!) e si catapultò fuori.
Il vento gelido gli creò quasi automaticamente un sottile strato ghiacciato sulla faccia, mentre i piedi gli affondavano di quaranta centimetri nella neve, bagnandogli scarpe e calzini.
«Stupida deficiente! Che cosa ci fai qua fuori!» strillò mulinando il braccio con la bacchetta sopra alla testa.
Ma Lene non rispose.
Cocciuta fino alla fine, pensò Voldemort, con stizza, sgomberando magicamente dalla neve un lungo tratto di terreno e incamminandosi contro il vento. Vuole far finta di non esserci, come se stessimo giocando a nascondino. Glielo faccio vedere io, adesso, nascondino! Dovrà nascondersi sulla cima del K2, prima che io smetta di prenderla a calci nel sedere!
«Che cosa diavolo pensi di - »
Si interruppe. Ecco perché non si muoveva più... ecco perché non rispondeva. Si era afflosciata contro un cumulo di neve dall'aspetto vagamente antropomorfo, vinta dal freddo.
«Razza di imbecille!» sibilò Voldemort raccattandola e buttandosela su una spalla. Lene scricchiolò distintamente, probabilmente per via del ghiaccio che la ricopriva.
Voldemort arrancò fino alla sua stanza e rientrò attraverso il vetro rotto della finestra e il buco della tenda. "Geniale!" non poté fare a meno di pensare. Quello che lui capiva distintamente, e che Lene invece non doveva aver capito, era che la tenda e la finestra non si erano lasciati distruggere per via dei mezzi non-magici che lei aveva utilizzato, bensì perché aveva istintivamente trovato una crepa nella teoria delle probabilità che le governava. Quante possibilità c'erano che qualcuno provasse a fare un buco in una tenda magica con delle forbicine da unghie? Era troppo improbabile persino per la magia che le aveva tenute chiuse.
Scaricò Lene sul letto senza riguardi e agitò la bacchetta tutto intorno. Successero contemporaneamente varie cose: tenda e finestra si ripararono, la pozza di neve sciolta che era entrata dal buco si asciugò, il fuoco del camino si accese scoppiettando e Lene rinvenne, avvolta in una coperta di lana e priva del resto dei vestiti. Questi si stavano pigramente asciugando davanti al camino, il maglione tendendo le maniche verso il fuoco e i pantaloni scaldandosi il didietro.
«Che cosa...»
«Che cosa hai fatto?» strillò Voldemort, prima che l'altra riuscisse a terminare la frase. «Semplice! Hai disobbedito ai miei ordini, hai scassinato le mie protezioni magiche, sei uscita nella bufera praticamente in mutande e hai reso visibile il mio rifugio ai maghi di tutto il mondo! Ecco che cosa hai fatto, dannata imbecille!»
Lene si avvolse meglio nella coperta, la fronte corrucciata. Voldemort stava respirando forte, il suo leggendario aplomb spazzato via dalla furia. Lene vedeva chiaramente una vena che gli pulsava su una tempia e, anche se era un po' difficile a dirsi visto il suo colorito abituale, le sembrava anche un po' più rosso del solito. Forse una lievissima sfumatura rosata si era infiltrata da qualche parte sulle sue guance, anche se non ne era sicura.
«Hai visto il mio pupazzo di neve?» chiese, con aria innocente. O gli veniva un infarto o scoppiava a ridere.
Voldemort scoppiò a ridere.
Si sedette accanto a lei, le lacrime agli occhi.
«Oh, doveva essere molto grazioso... peccato che tu ci sia svenuta sopra.»
«Davvero?» Lene si mordicchiò il labbro inferiore, addolorata.
«Completamente demolito.»
«Oh…» Si mordicchiò ancora il labbro.
Voldemort le puntò l'indice contro. «E' un ricatto psicologico,» disse.
Lene spalancò gli occhioni (e fece ancora labbrino). «Che cosa?»
«Quello, dannazione! Quella... cosa!» Voldemort si massaggiò sopra le palpebre. «Vigliacca...» borbottò, sventolando la bacchetta.
Bianco e panciuto, accanto al camino comparve un pupazzo di neve. Aveva gli occhietti neri che si muovevano qua e là, evidentemente ignari del fatto che erano di carbone e che quindi non avrebbero potuto farlo; il naso di carota ogni tanto si arricciava; la bombetta nera stava ferma al suo posto e la sciarpa sventolava mossa da una brezza inesistente.
«Oh... che carino!»
Voldemort si lasciò scappare un sorrisetto.
«Durerà fino a domattina. Resta inteso che se cerchi di uscire fuori un'altra volta il pupazzo ti ucciderà.»

***

All'alba Harry Potter aveva lasciato perdere la palude melmosa e si era materializzato nel ritrovo di Grimmaud Place numero 12. Non aveva detto a nessuno che stava cercando i quattro Horcruxes con i pezzi restanti dell'anima di Voldemort, per cui mise su una serie di scuse traballanti per giustificare il fango che gli era rimasto sul bordo del mantello (tra cui un notevole "fanghi anticellulite").
Lupin lo guardò con aria scettica, ma decise di lasciar perdere.
«Stiamo cercando di capire dove è stata portata Lene.»
«Se è ancora viva, vorrai dire.»
«Se Voldemort l'avesse voluta morta l'avrebbe uccisa sul posto.»
Harry Potter si grattò il cucuzzolo e si appiattì i capelli sulla fronte. Non che a Lupin fregasse qualcosa della sua cicatrice, ma ormai era un'abitudine.
«Ok, ma perché?»
«Perché che cosa?»
Harry sbuffò. «Perché l'ha rapita. A che cosa gli serve?»
Lupin sembrò sghignazzare e poi cercare di fermarsi. Il risultato fu una specie di suono lupesco tutt'altro che rassicurante. «Credo che l'abbia rapita perché ha visto che ci stavamo interessando a lei.»
«E perché vi stavate interessando a lei?» insistette Harry.
Lupin si strinse nelle spalle. «Più che altro curiosità. Gli ha sparato, sai?»
Harry si pulì distrattamente gli occhiali sul mantello. «Sì, l'ho sentito. Ma non l'ha fatto apposta, a quanto mi dicono.»
«Beh, però è riuscita a ferirlo. Se non ci fossero stati i mangiamorte a quest'ora poteva essere morto.»
Harry si morse la lingua. No che non sarebbe stato morto. Proprio no. Ma non era il caso di dirlo.
Lupin gli batté una mano sulla spalla. «Sappiamo tutti che lo vuoi fare tu,» disse, in tono gentile. «Non ti preoccupare.»
Harry scosse la testa.
«In ogni caso credo che Voldemort stia già avendo una parte della sua punizione.»

***

Che cosa ho fatto di male? Stava pensando Voldemort in quel momento. Beh, per cominciare hai ucciso un sacco di persone, poi ne hai avvelenate altre, poi stai tramando per impadronirti del mondo, poi...
"Sì, sì," tagliò corto Voldemort col suo stesso cervello.
«E guarda questo!» stava attirando la sua attenzione Lene, saltellando su e giù per il sotterraneo.
«Puff!» gridò, tutta contenta, e fece esplodere una parete.
Voldemort si mise una mano sugli occhi, mentre la polvere e i calcinacci gli imbiancavano la veste nera.
«Molto bene, Lene. Era quello che volevi ottenere?»
Lei inclinò la testa da un lato e osservò il grosso buco frastagliato che aveva aperto nel muro.
«Doveva essere un po' più a sinistra.»
Voldemort sospirò. «Eccezionale. L'hai inventata tu, scommetto.»
«Non so. Può essere.»
«Ed è indispensabile dire Puff per farla funzionare, giusto?»
Lei annuì, palesemente soddisfatta. «Puff, esatto. Molto magico.»
«Sei pregata di non eseguirla mai in pubblico, allora.»
«Ma perché?»
Voldemort sospirò ancora. «Vieni, siediti qua. Ho alcune cose da spiegarti.»
«Qua dove?»
«Ai miei piedi, naturalmente.»
«Non sui calcinacci...»
«Cazzo, ti vuoi sedere o devo prenderti per il collo!»
Lene si andò a sedere su un poggiabraccio del suo trono d'ebano. "Ma che cosa ho fatto di... SI LO SO!"
Voldemort decise di soprassedere e tornò a guardarla.
«Vedi... le formule magiche... da secoli e secoli... hanno un suono, come dire... un po' più impressionante, capisci?»
Lei aggrottò la fronte. «Come Avada Kedavra, ad esempio?» disse, sventolando la bacchetta su e giù. Un violentissimo getto verde partì dalla punta e attraversò il buco nel muro, creando un rimbombo sordo su un calderone di piombo appoggiato in mezzo alla stanza successiva.
«E dovresti anche fare un po' più di attenzione a dove punti la bacchetta. Ti assicuro che un Avada Kedavra è la maledizione che non vuoi che ti rimbalzi su un piede.»
«Ok, capo.»
Voldemort sospirò ancora. «In ogni caso era ben fatta.»
«Veramente?»
«Oh, sì. Super-letale, direi. Tornando alle denominazioni... per i tuoi prossimi incantesimi dovresti provare con qualcosa di un po' più latineggiante.»
«Ma io non parlo latino.»
«Nemmeno io. E nemmeno quelli che hanno inventato la maggior parte degli incantesimi, apparentemente. Infatti ho detto che devono avere un suono... latineggiante
«Puffulus!» esclamò Lene, demolendo allegramente un'altra parete.
Voldemort chiuse gli occhi. Forse quando li avrebbe riaperti lei non sarebbe più stata là.
«Ti senti bene?» gli arrivò, tuttavia, la sua voce.
«Oh, sì... grazie. Mai stato meglio. Tra l'altro... mi permetti di attirare la tua attenzione sul fatto che ci troviamo in un sotterraneo e che tu hai già distrutto due muri portanti?»
Lei sogghignò. «Infatti quello era lo step 1, vecchio mio,» gli disse, dandogli qualche pacca sulle spalle. Voldemort si limitò a richiudere gli occhi. «Procedi,» ringhiò.
«Zarazan!» gridò Lene e Voldemort sentì il fischio della sua bacchetta che fendeva l'aria. Cercò di rimuovere il fatto che aveva appena detto zarazan e riaprì gli occhi.
Al posto delle due attraenti, adeguate, eleganti pareti di pietra adesso ce n'erano due foderate di tappezzeria di velluto blu cospersa di stelline dorate.
«Ah!» disse, sperando ardentemente che non ci fosse uno step 3.
«E adesso guarda!» disse l'altra, tutta esaltata. Evidentemente uno step 3 c'era.
«Parimpampù
«Questo è il suono meno dignitoso che io abbia mai...» iniziò ad insorgere Voldemort. Con uno scoppio verdastro Lene aveva messo in movimento tutte le stelline sulla carta da parati, che adesso si attorcigliavano in serpentoni e si rincorrevano di qua e di là. Lo scoppio aveva anche fatto sbalzare sia lei che il trono indietro di un paio di metri, e li aveva rovesciati.
Voldemort prese una gigantesca schienata sul pavimento, e Lene gli rovinò addosso.
«Cazzo!» sibilò Voldemort, cercando di disincagliarsi dai frammenti di legno e dai chilometri di gambe e braccia che l'altra sembrava avere.
«Guarda, si muovono!»
«Mio Dio, Lene, muoviti anche tu! Mi stai schiacciando i gioielli di famiglia!»
Lei ridacchiò e saltò in piedi, spolverandosi il vestito. «Nemmeno pensavo che li avessi,» lo provocò.
Anche Voldemort si alzò in piedi (l'effetto nel suo caso fu molto più impressionante) e sventolò un dito sotto al naso di Lene.
«Certo che ce li ho! Se non lo sapessi io sono l'ultimo discendente di Salazar Serpeverde!»
Lei inarcò le sopracciglia.
«Ah, interessante. E Salazar era famoso per essere molto dotato?»
«Naturalmente! Era uno dei maghi più potenti di ogni tempo!»
Lene finse di avere i brividi. «Wow! E tu sei suo discendente... chissà che roba, eh?»
Voldemort iniziava ad avere il sospetto che qualcosa gli stesse sfuggendo. Iniziava anche ad avere il sospetto che Lene lo stesse prendendo in giro, ma, come al solito, non ne era proprio sicuro.
Quindi sollevò il naso con aria indisponente ed affermò: «Scusa, secondo te perché mi chiamano il Signore Oscuro?»
«Perché vesti molto di nero?»
Voldemort se la aspettava. «Perché sono un mago fortissimo!» replicò, feroce.
Lene inclinò la testa da un lato e sbatté un paio di volte le palpebre. «Scusa e che cosa c'entra con...» Sorrise. «Ah, sì... naturalmente,» concluse.
Gli si avvicinò e gli fece una carezzina sulla testa (Voldemort era senza parole di fronte a tanta impudenza).
«Ma quanto carino sei, eh?» disse Lene con voce flautata, deponendogli un bacetto su una guancia. Voldemort ebbe la sensazione che di averle in qualche modo fatto tenerezza e quasi si sentì svenire per la vergogna.
«Uno di questi giorni mi fai vedere gli antichi tesori della tua famiglia,» concluse lei, e lo lasciò lì come uno scemo in mezzo ai suoi nuovi sotterranei glamour.
Voldemort tirò fuori il vecchio braccialetto di nonno Marvolo e controllò che non si fosse ammaccato.

***

«Siamo pieni di segnalazioni, se proprio lo vuoi sapere!» sbottò Tonks all'ennesima educata domanda di Lupin.
Lui si sporse un altro po' in avanti, a scrutare meglio l'ammasso di cartacce che lei aveva sulla scrivania.
«Sì, zuccherino, ma io sto cercando qualche segnalazione di una ragazza con gli stivali di serpente e i capelli neri.»
«Chiamandomi zuccherino non otterrai niente.»
«Certo che no, tesoruccio... basterebbe solo che mi lasciassi dare un'occhiata in mezzo ai rapporti...»
I capelli color cicca di Tonks fremettero.
«Ti ho già spiegato mille volte che nove segnalazioni su dieci sono spazzatura. Guarda questo...» continuò afferrando un foglio a caso nel marasma della scrivania. Il foglio cercò di divincolarsi e fuggire. «Avvistato un pupazzo di neve su un picco del Karakourum...»
«Beh, potrebbe essere... Okay, potrebbe essere che il segnalatore si fosse fatto un goccetto di troppo.»
Lupin sospirò, sedendosi lì affianco.
«E va bene, tesoro, facciamo in questo modo: io ti evado tutte le cartacce e tu mi ci lasci dare un'occhiata.»
Tonks sorrise malignamente.
«In questo caso, amoruccio, il campo è tutto tuo.»
E sogghignando soddisfatta se la filò dall'ufficio, lasciando Lupin immerso fino alla vita nei documenti.

***

Thomas Riddle sfogliava pigramente un libro, seduto davanti al grande camino gotico di uno dei saloni. Aveva allungato le gambe verso il fuoco e si stava godendo gli ultimi minuti del giorno.
Una volta finito di leggere per la centotrentesima volta quel particolare testo (una sua piccola personale ossessione, una sciocchezza rispetto alle altre) avrebbe bevuto un buon infuso di camomilla e se ne sarebbe andato a letto.
Lui e l'elfo domestico avevano da tempo concordato le parole in codice da usare.
Voldemort diceva: «Che mi sia portata dell'essenza di cuore di unicorno,» e l'elfo arrivava con la camomilla. Nessuno si era mai accorto di niente, anche perché nessuno aveva mai provato l'essenza di cuore di unicorno. Voldemort aveva provato del sangue di unicorno, una volta, ma al di là degli effetti magici che aveva non si poteva certo dire che fosse buono. Sapeva all'incirca di sciroppo per la tosse a base di ortica. Davvero molto sopravvalutati, gli unicorni.
Aveva, quindi, appena finito di ordinare la sua camomilla e si preparava a riporre il suo libro, quando da uno degli oscuri corridoi sentì provenire il particolare rumore di speroni che aveva imparato ad associare con Lene.
Immediatamente dopo il suono, purtroppo, arrivò la persona in carne ed ossa, seguita da uno svolazzare di fringuellini muti. Gli uccellini le svolazzavano intorno con aria gioiosa, e sembrarono piuttosto perplessi quando lei li fece svanire in piccole nuvolette di fumo nero.
Una cosa bisognava ammettere: stava imparando davvero in fretta. Certo, era merito dei libri stregati che Voldemort le passava, ma vederla compiere magie di un certo spessore dava comunque soddisfazione. Il sottile presagio di catastrofe imminente doveva essere senz'altro una sensazione passeggera.
«Guarda guarda: una babbana,» cantilenò Voldemort in tono canzonatorio.
«Non sono più una babbana. Adesso so fare le magie.»
«Non ti starai riferendo a quei miseri passerotti muti, vero?»
«Li ho azzittiti io con il Silencio. Facevano troppo casino.»
«I miei complimenti,» continuò a canzonarla lui, tornando a sedersi sulla sua poltrona. L'elfo domestico si materializzò lì affianco con il vassoio della sua camomilla.
«Portane un po' anche a me, Potter,» disse Lene, accomodandosi su un bracciale della sua stessa poltrona.
«Essenza di cuore di unicorno, padroncina?» fece l'elfo domestico, servile.
«Padroncina?» borbottò Voldemort.
Lei sollevò un sopracciglio. «Naturalmente, Potter. Lo stesso del nostro benevolente e benvoluto Oscuro Signore...»
L'elfo, alquanto perplesso, si smaterializzò.
«Cuore di unicorno, eh?» fece Lene, annusando allusivamente l'aria.
«Nessuno ti ha invitata a sederti qua, tra l'altro,» provò a cambiare argomento Voldemort, palesemente di cattivo umore.
«Dovresti mettere più di una poltrona. Sai, accrescere lo spirito di comunità e tutto il resto...»
Voldemort la guardò con aria scettica. «Ti è mai sembrato che mi freghi un fico secco dello spirito di comunità? E, in ogni caso, scendi dal bracciolo della mia poltrona
Lene gli scivolò in braccio, facendo quasi rovesciare la tazza di camomilla.
Voldemort sospirò. Sapeva che lo faceva apposta per mettergli le mani nel sangue, sapeva che se lui si fosse arrabbiato, e l'avesse punita, e magari torturata (e il pensiero era davvero davvero invitante, in quel momento), lei avrebbe continuato a prenderlo in giro per il resto dei suoi giorni (quelli lei, ovviamente, perché quelli di lui, andava da sé, non sarebbero mai finiti).
Così si aggiustò meglio sulla poltrona e iniziò a fingere che lei non esistesse. Naturalmente non era facilissimo, con un peso di una cinquantina di chili sulle ginocchia, il suo braccio attorno alle spalle e i suoi stivali che sbatacchiavano ritmicamente contro il bracciolo della poltrona, seguendo un ritmo country particolarmente irritante; ma Voldemort era un maestro nel far finta che le cose non ci fossero e ricominciò a leggere il suo libro.
«Senti un po'...» lo interruppe Lene. «... Sarai mica leggermente ossessionato da questo Potter?» si agitò un po' cercando di trovare una posizione più comoda (Voldemort sogghignò e si congratulò con se stesso per essere così ossuto). «Voglio dire... hai chiamato Potter il tuo elfo domestico... e adesso non stai di nuovo leggendo quello stupido libro su di lui?»
«E' il quinto. Il mio preferito.»
«E' demenziale, Voldie.»
Voldemort si irrigidì. «Come mi hai chiamato?» sibilò.
«Voldie. Voldemort è molto lungo, no? E non cercare di cambiare discorso.»
Lui la guardò con uno degli sguardi più freddi del suo repertorio. «Non attacca,» canticchiò lei.
Voldemort si strinse nelle spalle. Lo sapeva. Non c'era niente che funzionasse, con quella maledetta babbana. Pardon, ex-babbana.
«E' pieno di mistificazioni. Sono tutti pieni di mistificazioni. Sono divertenti.»
«E poi parlano di te, anche se nel ruolo dell'antagonista.»
«Ovvio. Ma sono gli stravolgimenti che fanno ridere. Leggi qua, ad esempio: secondo la biografa, una certa JK Rowling, io sarei uscito dal calderone e avrei iniziato a chiacchierare con Potter...»
«Mentre invece tu sei uscito dal calderone e… ?»
«Beh, ho chiamato i miei mangiamorte, naturalmente. Perché avrei dovuto chiacchierare con Potter?»
«Oh, capisco...»
«E poi lui fa sempre la figura di quello senza macchia e senza paura...»
«Ah...»
«Quando non c'è in giro nessuno si mette le dita nel naso! Io lo so, lo vedo!»
«E' terribile.»
«Davvero. E' un ragazzino disgustoso, non stupisce se non sta simpatico nemmeno a quelli della sua parte. Io-sono-sopravvissuto di qua, io-sono-l'eletto di là... basta, dacci un taglio! Non sei tu la primadonna!»
«Tutto fumo e niente arrosto,» concordò, dolcemente, Lene. Qualcosa nel suo tono mielato insospettì Voldemort. «Che cosa intendi?»
«Beh... tu hai ucciso i suoi genitori, no?»
Lui si strinse nelle spalle. «Ma naturalmente. Non c'era alcun bisogno di farne una tragedia... tu mi hai sparato, ho forse cominciato ad andare in giro lamentandomi con tutti?»
«Sì, ma tu sei ancora vivo.»
«Oh, beh, insomma... un po' di sportività, non si può mica vincere sempre!»
«Sarai mica un po' invidioso?»
Voldemort si accigliò. «Certo che no!» strillò, le narici frementi per lo sdegno.
Lene rimase in silenzio.
«Non sono invidioso di Potter!» ripeté lui.
Altro silenzio.
«Non voglio ripeterlo ancora!»
«Oh, povero caro...» mormorò lei, facendogli pat-pat sulla testa.
Voldemort digrignò i denti. Era semplicemente insopportabile! Adesso l'avrebbe ammazzata e se la sarebbe tolta di torno una volta per tutte, e non importava se l'Ordine della Fenice per qualche motivo l'aveva ritenuta interessante. Probabilmente si sbagliavano. A parte quella faccenda di riuscire a pasticciare con le probabilità non c'era niente di interessante in lei.
Sollevò la bacchetta, preparandosi a stenderla.
Fu forse per questo che si accorse con qualche secondo di ritardo che lei gli si era avvicinata in modo preoccupante, e che adesso gli stava toccando le labbra con le sue.
Voldemort rimase un secondo interdetto.
Gli ormoni-varano, nel frattempo, stavano stappando lo champagne.
La situazione si faceva via via più intricata e strana. Beh, sicuramente intricata... ma quello era per via della sua lingua biforcuta.
Decise di appoggiare momentaneamente la bacchetta. Poteva sempre ucciderla dopo. E poi gli servivano entrambe le mani libere.
Curioso come i maglioni babbani fossero difficili da penetrare. Forse un qualche tipo di involontario incantesimo respingente? E che cosa dire dei reggiseni? Non era ancora arrivato fin lì, ma si narravano storie tremende sul loro conto.
Beh, al momento opportuno l'avrebbe fatto evanescere.

***

Harry Potter, sdraiato sul suo giaciglio provvisorio al numero 12 di Grimmaud Place, si sentiva parecchio strano. La cicatrice gli formicolava, ma non riusciva a mettere bene a fuoco la sensazione.
Aveva raccontato alla sua biografa di non avere più alcun collegamento mentale con Lord Voldemort, ma non era proprio vero.
Era vero che dopo averlo posseduto l'Oscuro Signore se l'era data a gambe levate. Ed era vero che per un po' non si era più fatto sentire.
Ma poi aveva ricominciato.
Harry Potter non l'aveva detto a nessuno, non perché volesse fare la primadonna, ma perché era troppo imbarazzante. Lord Voldemort lo guardava con espressione sorniona mentre faceva i compiti (un paio di volte gli aveva anche suggerito una risposta), mentre era sotto la doccia (solo per infastidirlo, a quanto pareva) e mentre si toglieva le caccole dal naso. Beh, uno in qualche momento doveva ben farlo, no?
Ultimamente non si era perso nemmeno una delle sue pomiciate con Ginny. Quando lui l'aveva lasciata si era addirittura messo a ridere. Harry naturalmente sapeva che lei era stata in tremendo pericolo, e ormai quando lo sentiva arrivare chiudeva gli occhi. Quella volta che era stato in equilibrio su un ponte tra due canyon (credeva che al di là ci fosse un Horcrux, ma purtroppo c'era solo una qualche città d'oro priva di significato) si era quasi ammazzato.
Così, adesso, era piuttosto perplesso.
Sembrava che Lord Voldemort non stesse guardando lui, ma che le sue difese si fossero in qualche modo abbassate. Di solito Harry non riusciva a vedere assolutamente niente di quello che faceva lui.
In quel momento, invece...
Harry quasi si strozzò con la propria saliva.
Che cosa cavolo... Oooh... Quello era molto interessante! A quanto pareva il vecchio Voldie se la stava spassando alla grande! E poi era lui quello che gli sibilava nelle orecchie: "Disgustoso, Potter" vero?
Harry non riusciva a capire chi fosse la tizia, visto che al momento era un po' troppo vicina perché Voldemort potesse metterla a fuoco.
Però sullo sfondo si vedeva una finestra nera e dei fiocchi di neve che turbinavano dietro al vetro.
Poi Voldemort spostò lo sguardo e Harry si trovò a fissare qualcosa di molto più interessante.
«Ah, vecchio porco!» esclamò, in tono di rivincita.

***

"Ah, vecchio porco!" Rimbombò nelle orecchie di Voldemort.
Lui si ghiacciò sul posto.
«Beh?» fece Lene, sollevando un sopracciglio.
«Potter...» sibilò Voldemort, sottovoce.
«Che cosa?»
«Niente. Potter stava provando a spiare. L'ho cacciato fuori.»
«Me lo spieghi più tardi, ok?»
Voldemort sogghignò. «Più tardi, certo.»

***

Harry Potter corse giù per i gradini della scala saltandoli due a due. Aprì di schianto la porta della cucina e si fermò ansante davanti a Ron, Hermione e Lupin, che a quel che pareva si stavano ingozzando di cioccolata.
«Non ci crederete mai!» disse, gli occhi luccicanti.
«Rita Skeeter si è rifatta il seno? Lo sapevamo già.» Biascicò Ron, a bocca piena.
«Ma no, ma no, che cosa stai dicendo? Voldemort sta pomiciando con una tizia!»
Lupin sgranò gli occhi, deglutì improvvisamente e quasi si strozzò con la cioccolata. Tossì e sputacchiò fino a riacquistare l'uso dell'epiglottide e poi ululò: «COOOOSA!»
Hermione sembrava molto preoccupata. «Harry...» iniziò con il tono che usava quando stava per dirgli che era fuori di testa. Era lo stesso tono che aveva usato per convincerlo che Draco Malfoy non stava architettando niente, però, e Harry la gelò con lo sguardo. In quanto a Ron, quest'ultimo sembrava incapace di smettere di ridere. Solo che la sua risata non sembrava particolarmente sana, anzi stava virando decisamente all'isterico.
«Potresti spiegarti meglio, Harry?» chiese alla fine Lupin, recuperando almeno in parte la compostezza.
«Io...» Harry si toccò la fronte. Quando Harry si toccava la fronte, come sapevano i suoi amici, una qualche storia pazzesca era in arrivo. Si prepararono mentalmente. «... Beh... ho avuto come questo flash... insomma... l'ho pizzicato mentre limonava con una tizia, direi. Hem... forse le cose erano andate anche un po' oltre, non saprei...» iniziava a sentirsi veramente in imbarazzo. Aveva sicuramente le orecchie rosse.
«Dov'erano? Chi era lei?» incalzò Lupin.
Harry si guardò intorno con aria spaesata. No, decisamente raccontarlo non era stata una buona idea... ma che cosa avrebbe dovuto fare? Poteva essere importante, no?
«Come mai l'hai visto? Avevi detto che non ti succedeva più,» inquisì invece, Hermione.
«Quanto avanti?» chiese Ron.
Harry respirò profondamente e si sedette al tavolo. Si infilò in bocca un paio di quadratini di cioccolata, visto che c'era.
«Non so dov'erano. Era... una stanza. Molto buia. C'era una luce, come... come di fiamme. Un camino, forse.» Chiuse gli occhi, cercando di mettere a fuoco. «E una finestra. Fuori era buio, nevicava...»
Lupin guardò l'orologio. «Qua sono le sette del mattino. Un posto dove è ancora notte? E c'è neve, naturalmente. E la donna?»
«Non so chi era. Non sono riuscito a vederla bene... in faccia, intendo. Cioè, io... lui, non la stava guardando in faccia, in quel momento. Prima guardava oltre la sua testa e poi, hem... altrove.»
«Era giovane, vecchia? Poteva essere Bellatrix?»
Harry fece un'espressione disgustata. «Mio Dio, spero di no! Già così me lo sognerò di notte.»
«Già, beh,» tagliò corto Hermione, a cui evidentemente non interessavano questi dettagli. «Come mai l'hai visto?»
Harry distolse lo sguardo. «Non lo so. Immagino perché era molto felice. Credo che si sia dimenticato per qualche secondo di isolare il suo cervello. Mi ha scoperto quasi subito.»
Digrignò i denti. L'idea che Voldemort fosse molto felice non gli piaceva affatto. L'idea che tra una strage e l'altra se la spassasse anche glielo rendeva ancora più insopportabile.
«Gli tirerò il collo...» iniziò a borbottare, «... gli strapperò la lingua...» Ron lo scosse per la manica.
Harry smise di borbottare e lo guardò.
«Beh?» sbottò.
Ron sogghignò.
«A che punto erano?»

***

Thomas Riddle, aka Lord Voldemort, aka Voi-sapete-chi, aka l'Oscuro Signore, si lasciò cadere nell'altra metà del materasso e provò a recuperare il fiato. Il momento sarebbe stato perfetto, se non fosse stato per la faccia di Potter che gli si era appena riaccesa nel cervello come una lampada da 1000 watt. Quello stupido mostriciattolo...
Appoggiò una mano sulla bocca di Lene, che era rannicchiata contro il suo fianco e le sussurrò: «Devo un secondo accertarmi di qualcosa.»
Con gli occhi fissi sul soffitto si concentrò fortemente su Potter.

***

Harry Potter stava cercando di spiegare a Ron quello che aveva visto (Lupin guardava altrove, apparentemente impegnato a contare le forchette nel portaposate e Hermione grugniva in tono contrariato), quando una fitta fortissima gli attraversò la fronte.
Urlò e si accasciò sopra il tavolo, il cervello che urlava di dolore.
"Fammi vedere, Potter..." la voce gelida di Voldemort gli rimbombò nel cervello. Sembrava molto, molto arrabbiato, in quel suo modo assolutamente gelido.
A Harry sembrò che la testa gli si spaccasse in due a partire dalla cicatrice, e poi iniziò a rivedere la stessa scena di prima. Solo che adesso Voldemort stava facendo scorrere il ricordo col fast forward, fermandolo e osservandolo con più attenzione in alcuni punti.
"Beh, tanta fatica per nulla, eh Potter?" Commentò la voce gelida. Poi il dolore svanì.
Harry aprì gli occhi e si rese conto che Lupin, Ron e Hermione lo stavano scuotendo per le braccia, le facce spaventate.
«Che cos'è successo?» chiese Lupin, vedendo che era tornato in sé, la voce gentile ma ferma.
Harry respirò a fondo.
«E'... è tornato a vedere che cosa avevo visto... ha detto... tanta fatica per nulla...»
«Oh, sai... non direi nulla,» commentò Lupin. «Anzi, penso che abbiamo imparato molte cose su di lui, grazie a te.»
«Sarà stato furioso,» disse Ron.
«Eh sì. L'ho sorpreso con le brache calate...»
«Davvero?»
«Mio Dio, no!»
«Oh, Harry... ti senti bene?» chiese Hermione, agitatissima.
Harry sollevò lo sguardo e pensò che sì, stava piuttosto bene, ora che quello schifo si era tolto dal suo cervello. E che, sì, Lord Voldemort non sarebbe tornato a controllare se non avesse saputo che poteva aver visto qualcosa di cruciale.

***

Voldemort chiuse gli occhi e si lasciò accarezzare la testa da Lene. Ma anche se in quel momento si sentiva piuttosto bene, non poteva evitare di pensare a quel ragazzino che era costantemente la sua spina nel fianco. Era anche irritato con se stesso per aver abbassato per un istante le difese, cosa che non avrebbe dovuto mai e poi mai fare.
«Stai ancora pensando a Harry Potter,» gli sussurrò Lene in un orecchio.
«Sì.»
«E'una vera e propria fissazione.»
«Io e lui abbiamo una specie di legame mentale. Qualche minuto fa stava guardando attraverso i miei occhi.»
«Cooosa!» le carezze cessarono di colpo. Voldemort aprì un occhio e controllò la situazione. Lene era ancora nel letto: bene. Lene aveva smesso con le coccole: male. Lene aveva l'espressione di chi sta per iniziare a rompere le scatole di brutto: molto molto male. Grazie tante, Potter, davvero!
«L'ho buttato fuori quasi subito. Non ti ha visto in faccia. Praticamente non ti ha visto. Ma ha visto la finestra.»
Perché, perché ed ancora perché aveva lasciato le tende aperte, quella sera? Perché si era dovuto interessare alla maledetta neve?
«Ah. Beh, è una finestra molto comune.»
«E nevica in un mucchio di posti,» convenne Voldemort. Eppure...
Lene tornò a sdraiarsi al suo fianco, stranamente docile. Ma lui ormai aveva perso interesse. Si alzò lentamente, si stiracchiò e raccolse il suo abito nero da mago.
«Ho molte cose da fare,» disse, prima di uscire.







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