[Home] [Racconti] [Disegni] [Articoli e Recensioni] [News] [Links]

[J.K. Rowling's Harry Potter] [Ho sparato a Lord Voldemort] [capitolo 9] [capitolo 11] [salva]

barra spaziatrice
Titolo: Ho sparato a Lord Voldemort
Capitolo 10/11: Antidoti
Autore: sssilvia
Serie: J.K. Rowling's Harry Potter
Status: concluso
Archivio: SLC, Fanfiction.net
barra spaziatrice

Ho sparato a Lord Voldemort

sssilvia



capitolo 10

Antidoti

Piton si materializzò nel salotto di casa sua in preda ai brividi. Non era solo la maledetta tempesta perenne intorno alla base dell'Oscuro Signore (anche se la tempesta aveva la sua parte di responsabilità), bensì l'Oscuro Signore stesso.
Piton, da bravo essere raziocinante qual'era, cercò di riprendere il controllo dei suoi nervi. Si trattava di un esperimento, nient'altro che un esperimento. In un certo senso sarebbe stato peggio se l'oscuro Signore avesse davvero guardato Nagini. Ora, quello sarebbe stato uno spettacolo!
Si tolse le scarpe e si infilò le morbide moffolette che prediligeva nei suoi momenti relax, e si sedette davanti al camino. In fondo non c'era niente di veramente fuori posto.
Voldemort gli faceva venire i brividi, vero, ma non l'aveva sempre fatto?
Sì, ma non è sempre andato in giro declamando il suo amore, rispose una voce stridula nel suo cervello.
E' solo un esperimento, rispose Piton alla sua parte dissidente.
"Sta rincoglionendo," ribadì la parte.
Beh, se anche fosse... Piton iniziò ad immaginare tutta una serie di gratificanti situazioni in cui Voldemort spaventava tutti e lui teneva i fili. Basterebbe continuare a rifornirlo di pozione... Davvero, perché non ci aveva mai pensato?
Ma poi un'altra considerazione si fece largo nel suo cervello. Se Voldemort avesse continuato su quella strada presto non avrebbe più fatto paura a nessuno.
Sarebbe diventato lo zimbello della comunità magica. L'avrebbero schernito in pubblico. Gli avrebbero tirato le uova marce.
No, decisamente doveva fare qualcosa per riportarlo alla normalità. O a quello che era prima, in ogni caso.
«Devi riportarlo come prima! Ti prego!»
Il grido (apparentemente disperato) era uscito dall'enorme fiammata verde che si era materializzata nel suo soggiorno. Dalla fiammata, poi, era uscita Lene. La ragazza aveva la faccia sconvolta.
«Non può continuare in questo modo! Ti supplico, Severus, prepara subito un antidoto!» strillò, buttandosi ai suoi piedi.
La prima risposta che salì alla bocca di Piton era un no (la forza dell'abitudine), ma ripensandoci pensò di indagare un po' più approfonditamente nella faccenda.
«Che cosa succede? Pensavo che fossi contenta.»
«Per i primi cinque minuti, forse! E' completamente innaturale! Continua a seguirmi dappertutto! Continua a blaterare di fiori e di cuori! Mi ha già chiesto di sposarlo tre volte! Cerca continuamente di baciare il suolo dove cammino!»
Piton inarcò un sopracciglio. «Davvero?» L'idea che l'Oscuro Signore sposasse quella mina vagante non gli sorrideva nemmeno un po'. Meglio sarebbe stato se avesse sposato lui. Sembrava che in Olanda fosse consentito.
«Deve smettere immediatamente. Ho dovuto stordirlo, per venire qua.»
Piton sogghignò. Avrebbe pagato oro per vedere Voldemort stordito.
«Bene, ti preparerò una contro-pozione,» disse, evocando il suo calderone e gli ingredienti. Accese la fiamma nel camino e si mise all'opera.
«Ti sarò eternamente debitrice. Solo fa presto, se si riprende...» un brivido la attraversò dalla testa ai piedi.
Piton mescolò gioiosamente gli ingredienti nel calderone. Sempre meglio...
«Eternamente debitrice?» chiese, con voce soave.
Lene lo guardò da sotto in su.
«Non farò saltare per aria quel tuo culo secco,» rettificò.
Piton deglutì.

***

Harry Potter, finalmente, si era ripreso dalla soverchiante sensazione di passione (Voldemort, a casa sua, giaceva privo di sensi). Ma questo non lo rendeva felice come avrebbe dovuto.
Da dove poteva provenire quella sensazione? La risposta era solo una. Voldemort.
E se Voldemort era pazzescamente innamorato (Harry si diede il quattordicesimo pizzicotto degli ultimi venti minuti, tanto per essere sicuro di non star sognando) lui era fottuto.
Si supponeva che l'amore fosse l'unica cosa che avesse più di lui. Non giovava pensare a tutte le cose che invece aveva in meno.
Come ad esempio decenni di studio delle arti oscure, un eccellente dispositivo salvavita e un fisique du role molto più impressionante.
Decisamente, doveva scoprire alla svelta dove fosse il suo covo e procedere ad una sua momentanea eliminazione.

***

Lene si materializzò nella tormenta e quasi buttò giù il lugubre portale nella fretta di entrare. Voldemort, staso sul tappeto dove lo aveva lasciato, stava sbattendo lentamente gli occhi.
Non appena la visualizzò scattò a sedere.
«Oh, mio dolcissimo amore... l'emozione di baciare i tuoi piedi deve avermi sopraffatto...»
Lene lo bloccò a terra con uno stivale (Voldemort non cessò di fissarla con gli occhi a forma di cuoricino, ancorché lanceolati) e estrasse la fiala che le aveva dato Piton.
«Bevi questo, tesoruccio!» gridò, ficcandoglielo il gola.
Voldemort sputacchiò, sgranò gli occhi, e alla fine ingoiò. Diventò di un allegro colore verdastro, poi tossì e sputacchiò ancora.
«Togli quello stivale dalla mia persona, lercia babbana!» strillò, non appena fu in grado di articolare di nuovo.
«O Mio Dio! Sei di nuovo in te!»
Voldemort si alzò imperiosamente in piedi e si spolverò la lunga veste nera. «Ma che diavolo...» borbottò. «E che cosa sono tutti questi calcinacci! L'hai fatto di nuovo!»
Lene aveva praticamente le lacrime agli occhi.
«Non ricordi niente?»
Lui si portò una mano alla fronte. I suoi occhi erano nuovamente gelidi e spietati e non assomigliavano nemmeno lontanamente a due cuoricini.
«Merda,» disse, con voce piatta.
Dopo di che diventò di un gratificante color peperone.
«E questo sarebbe quello che mi manca!» strillò, iniziando a passeggiare su e giù nella sala semi-distrutta. «E' così che il dannato Potter vuole battermi? Vuole farmi uccidere per l'umiliazione!»
I suoi occhi serpentini saettarono qua e là per la sala, poi iniziò a riparare i danni con imperiosi colpi di bacchetta (il che dimostra che le faccende domestiche, in momenti di tensione, possono essere di ausilio).
«Quello schifoso piccolo verme! Quell'orrido ragazzino! Non mi sono mai sentito più furioso!»
«Hem...»
«E tu, schifosa mezza babbana e mezza arpia!» urlò, voltandosi dalla sua parte.
«Io non ho fatto niente!»
«TU ESISTI!» gridò a squarciagola lui, prendendola per il collo. «E' tutta colpa tua! Io vivevo felicemente, finché TU non mi hai sparato! Avrei dovuto ucciderti subito!»
Lene, il viso cianotico, in quel momento non riusciva a sentirsi dispiaciuta per lui.
«Hai appiccicato stelline ovunque, ti sei presa gioco di me, non hai mai mostrato un minimo di rispetto!»
«Ti ho... portato... l'antidoto...»
Voldemort rifletté lentamente sull'obiezione. Lene era ormai color salvia.
«E' vero,» ammise, mollandola. Lene prese un profondo respiro e tossì disperatamente. Cadde a terra quasi subito, continuando a tossire.
«Ti ho mollata,» le ricordò, freddamente, Voldemort.
Lei continuò a tossire sempre più forte, cercando disperatamente di respirare.
«Insomma, che diavolo c'è?»
Lene respirava come un mantice, il viso cianotico, le mani che artigliavano disperatamente l'aria.
«Che cos'hai, ho chiesto. Rispondi.»
Pur nell'agonia Lene riuscì a scoccargli un'occhiata di pura riprovazione. Voldemort la afferrò per le ascelle e provò a rimetterla in piedi. La situazione non migliorava.
«Hai preso il cimurro?»
Lei tossì più forte.
«Asma?»
Lene annuì convulsamente.
«Ah. E che cosa si suppone che succeda, ora? Stai per morire?»
Lei scosse drammaticamente la testa. «Aria...» tartagliò.
Voldemort si grattò il mento. «Hai bisogno di aria? Hem... Insufla?» tentò, con un colpo di bacchetta.
Finalmente Lene ricominciò a respirare. Si sedette a terra e ripeté l'esercizio un paio di volte.
«La... la pozione...» tartagliò, «... me ne hai sputata... un po'... in bocca... formaggio...»
Voldemort inclinò la testa da un lato.
«Nell'antidoto c'era del formaggio?»
Lene prese un grosso respiro. «Evidentemente.»
«Ah, quindi lo strangolamento non c'entra.»
«Forse no.»
«Buono a sapersi.»

***

Remus Lupin stava ancora cercando di liberarsi del guazzabuglio di carte che Tonks gli aveva passato. Era una brava ragazza, ma tremendamente disordinata.
Il papiro con la segnalazione del pupazzo di neve, poi, continuava a ritornargli in mano. Con un gesto irritato lo appallottolò e provò a lanciarlo nel cestino nell'angolo della grande cucina di Grimmaud Place.
Sbagliò mira e centrò in piena fronte la persona che stava entrando in quel momento.
«Che cos'è questo?» chiese Hermione.

***

Thomas Riddle sedeva in poltrona, davanti ad un fuoco coreograficamente viola, e rifletteva depressivo sugli ultimi avvenimenti.
Il filtro d'amore lo aveva lasciato stranito, probabilmente per via di qualche componente difettoso, ma si sentiva ancora abbastanza lucido da riconoscere una sconfitta.
I suoi venti minuti di amore folle erano stati un completo fallimento. Non poteva tollerare quella roba più di quanto potesse tollerare la bubbolinfa pura nel tè.
Se Harry Potter disponeva in gran quantità di quel sentimento ripugnante e squalificante, beh, peggio per lui.
Seguì con la coda dell'occhio Lene che transitava per la sala, circondata da un gran numero di stelline vaganti.
«Non vorrai appiccicare altra di quella roba in giro,» disse, prima di riuscire a frenarsi.
Lei gli fece labbrino. «Magari solo un pochino nell'anticamera,» provò a contrattare. «E' così squallida.»
«Non è squallida. E' cupa e lugubre, esattamente come deve essere. Tutte quelle stelline non contribuiscono al decoro di questa casa.»
«Ma come, non vuoi rendere felice il tuo piccolo fiore di campo?» lo sfotté lei. Ecco, anche quella cosa dello sfottimento doveva aver fine, e al più presto.
«Tu non sei un piccolo fiore di campo. Al limite potresti assomigliare a un cardo.»
Lene si appoggiò le mani sui fianchi e scacciò via le stelline con una scossa di testa. A volte sembrava davvero un piccolo cavallino carogna.
«E'inutile che te la prenda con me. Sei tu che sei andato in giro baciando la terra su cui camminavo.»
Voldemort scosse la testa e lasciò cadere il discorso. Era troppo fottutamente depresso per rinvangare ancora un po' la propria inqualificabile caduta di stile.
«Hey, stai bene? Non ti ho mai visto rinunciare a un po' di sparring verbale.»
Voldemort sbuffò. E poi era così maledettamente invadente...
«No,» borbottò, accigliato. «Non capisco come faccia Harry Potter a convivere con quella roba. Senza uscire completamente di testa, intendo.»
Lene lo fissò in silenzio per qualche istante.
«Beh, non credo che Harry Potter conviva con quella roba, come dici tu.»
«E invece sì. L'ha detto anche lui. Credi che bluffasse?»
Lene si grattò la nuca. «Beh, no... non era quello che intendevo. Penso piuttosto che Harry Potter abbia un po' di amore autentico.»
«Che cosa significa? Ho letto attentamente le istruzioni del filtro. Era garantito come amore autentico.»
«Non credo che un filtro possa garantire qualcosa del genere. Al massimo amore sintetico.»
Voldemort grugnì. "Gli farò causa."
«Tom, non è qualcosa che si possa replicare così facilmente. Penso che i produttori abbiano fatto del loro meglio.»
«Come mi hai chiamato?»
«Tom. L'hai detto tu che Voldie non ti piaceva.»
Voldemort grugnì ancora. «Fantastico. Squalificato da Oscuro Signore a Tom nel giro di una settimana. Bah, adesso sono troppo stanco per strozzarti. Siediti. Ai miei piedi, per favore, cerchiamo almeno di mantenere le apparenze.»
Lene inarcò le sopracciglia con aria incuriosita. Davvero, il suo comportamento non era normale, ultimamente. Da dove veniva tutta quella pacatezza? Si sedette ai suoi piedi vagamente preoccupata. Come mai non aveva cercato di ucciderla nemmeno una volta dall'inizio della discussione? Probabilmente aveva la pressione bassa.
«Spiegami meglio questa faccenda dell'amore autentico, Lene,» disse lui, una volta che lei ebbe preso posto.
Lene appoggiò la testa sulla mano, meditativa.
«E' un po' complicato, credo. Tu non sei mai felice di avere qualcuno con te?»
«Che idiozia, perché dovrei?»
«Non so. Non ti è mai successo?»
«Oh, beh. Sono stato molto felice quando Codaliscia mi ha trovato. Non che fossi felice che fosse lui, bada bene, ma almeno non dovevo più infestare i corpi di animali inferiori.»
«Non era quello che intendevo. Volevo dire qualcuno che non ti fosse direttamente utile.»
«Sono stato lieto di avere nella stessa stanza molte persone,» provò a difendersi lui.
«Urlavano e si lamentavano?»
«Beh, sì.»
«Allora non conta. Intendo dire essere contento che qualcuno esista, che stia bene e che sia in salute, anche se non ti è utile in alcun modo.»
Voldemort le lanciò uno sguardo perplesso.
«Che senso ha?»
«Non ha senso, infatti. Non ti dispiacerebbe se Nagini morisse?»
«Certo che mi dispiacerebbe. C'è dentro un settimo della mia anima.»
Lene sbuffò. «Dio, ma non c'è nessuno che conosci che non ti sia utile e che tu non voglia uccidere?»
Voldemort ci pensò intensamente.
«No,» rispose, soddisfatto di sé.
«Nemmeno... Codaliscia? Dici sempre che è inutile.»
Voldemort si strinse nelle spalle. «Non proprio inutile. Fa numero. E comunque, in confidenza, non credo che sia sulla lista dei primi trenta che mi accompagneranno negli anni dieci.»
«Piton?»
«Utilissimo, a modo suo.»
«Bellatrix?»
«A parte l'uggiolio ha i suoi pregi.»
«Lucius? Draco? Nott? McNair?»
«Sprechi il tuo tempo.»
Lene roteò gli occhi. «Io?»
«Tu cosa?»
«Io... a che cosa ti servo?»
Voldemort sghignazzò. «A parte decorare la mia umile dimora?»
«Le mie stelline sono molto graziose.»
«Mi hai procurato la profezia.»
«Beh, ormai l'ho fatto, no?»
«Pasticci con le probabilità.»
«Pensavo che ti desse fastidio.»
«A volte è utile. Il che non significa che sei autorizzata a far apparire altri cavalli nel mio salotto.»
Lene si alzò in piedi, irritata.
«Beh, non lo farò più. Anzi, smetto subito. Adesso mi uccidi?»
Voldemort rise della sua aria provocatoria. «Siediti. Non puoi smettere.»
«Invece sì. Che ci riesca non è altamente improbabile, in fondo?»
La fronte di Voldemort si aggrottò leggermente. Poteva davvero smettere di pasticciare con le probabilità? Meglio fare una prova.
Lanciò una moneta in aria. Che probabilità ci sono che cada in verticale dentro uno dei suoi stivali?
Praticamente nulle, si rispose, visto che l'ho lanciata verso il camino.
Seguì con attenzione la moneta che volteggiava verso il camino, colpiva uno spigolo (ecco!) e rimbalzava... a terra? Com'era possibile?
«Visto?» fece Lene, con aria imbronciata. «Se voglio posso smettere.»
«O mio Dio...»
Lei fece due passi avanti e gli premette un dito contro lo sterno.
«Adesso mi uccidi?»
Voldemort sfoderò lentamente la bacchetta. «A meno che tu non torni a pasticciare con le probabilità...« disse, con un certo disagio.
«Impossibile. Ormai ho smesso. Che probabilità ci sono che possa ricominciare?»
Voldemort sorrise con aria soddisfatta. «Praticamente nulle?» disse, tutto allegro.
Lene abbassò lo sguardo.
«Appunto.»
«Oh.»
Tom Riddle sollevò la bacchetta e si preparò a colpire. Lene lo guardò con occhi fiduciosi, abbozzando un sorrisetto.
«Oh, beh... hai ragione. Le stelline ravvivano l'ambiente,» fece lui, abbassando la bacchetta.
«Sono sicura che potresti attaccarle anche da solo,» insistette lei.
Era vero. Voldemort alzò nuovamente la bacchetta.
«Già, ma... io non ho tempo.»
Lene sorrise più intensamente. Uno di quei sorrisi fastidiosi alla "io te l'avevo detto".
«E poi... hem... mi sei utile in altri modi,» aggiunse Voldemort, guardandosi la punta delle scarpe.
«Ah, questo è vero,» disse lei, avvicinandosi di un passo. Riddle le passò una mano dietro alla schiena e le grattò distrattamente la nuca.
«Tutto sommato sei utile, vedi,» borbottò, visibilmente insoddisfatto di qualcosa.
Lei gli appoggiò un bacio sulle labbra, facendogli arricciare il naso.
«Sai quella cosa delle probabilità?» sussurrò.
«E' terribile che tu te ne sia disfatta in quel modo...»
«Credo di aver appena dimostrato di andare contro ogni legge della probabilità, invece.»
Voldemort, irritato, annuì.







StrangeLandsChronicles © 2005
© sssilvia