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Titolo: Il male minore
Autore: Shadar
Serie: originale
Pairing: Robin/Kendrene
Sommario: Saprà Robin, che è divenuta cacciatrice di vampiri per motivi personali, resistere alle lusinghe della Master che controlla tutti i non-morti della città in cui vive?
Rating: NC17 - Yuri
Parti: 1/2
Status: in lavorazione
Warnings: nel racconto sono presenti tematiche omosessuali e una buona dose di violenza. Non dite che non vi ho avvertito.
Disclaimers: tutti i personaggi di questo racconto appartengono a me. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è del tutto casuale. Se qualcuno fosse interessato a pubblicare il racconto sul proprio sito è pregato di mandarmi una richiesta via mail e di rispettare il copyright specificando che io sono l'autrice.
Note: un ringraziamento particolare a Sadako, che ha pazientemente corretto la bozza.
Feedback: tutti i tipi di feedback sono graditi... sperando che le critiche siano costruttive. Scrivete a: shadar@darkover.it
Archivio: HSC

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: Il male minore :

< Shadar >



Dimenticate tutto ciò che sapete, o credete di sapere sulla realtà delle cose. I vampiri esistono. Almeno nel mio mondo, che poi non è tanto diverso dal vostro.
Il mio nome è Robin e questa è la mia storia. Nel mio mondo non esistono individui prescelti che combattono il male mentre gli altri se ne stanno tranquilli in casa a sorseggiare un bicchiere di bourbon.
Qui esistono persone comuni che dormono di giorno e vivono la notte quando vanno a caccia di succhiasangue. I non-morti li chiamano Esecutori. Il loro è un lavoro duro, pericoloso e poco apprezzato. Lo so perché lo facevo anch'io. Fino a che una notte accadde una cosa che sconvolse la mia vita...


Il vampiro le strappò di mano la spada, scagliandola lontano, nel buio. Poi la spinse con tutte le sue forze e Robin volò all'indietro per alcuni metri, finendo contro un muro. L'impatto la fece quasi svenire; piccole scintille bianche saettavano davanti ai suoi occhi e le sembrava che la mano di un gigante le comprimesse il petto, impedendole di respirare.
Dopo il fragore della battaglia, un improvviso silenzio era sceso sulla strada deserta come se la notte trattenesse il fiato, in attesa di qualcosa di definitivo.
Il vampiro era forte, troppo forse, ma lei l'aveva capito quando ormai era tardi. Ora le si avvicinava senza fretta, sapendo che ormai lei non costituiva più una seria minaccia.
Si inginocchio accanto a lei e Robin si impose di guardarlo negli occhi, cercando di mascherare il terrore che l'attanagliava.
«Non berrò del tuo sangue se è questo che temi. Per stanotte mi sono già nutrito.» La voce del vampiro sembrava persino gentile ed i suoi occhi erano belli come un demonio non avrebbe il diritto di avere. Estrasse un pugnale dal fodero che portava alla cintura.
Robin cercò di allontanarsi da lui, ma il colpo subito sembrava avere intorpidito le sue membra. Non poteva far altro che attendere la prossima mossa del suo nemico.
Il non-morto si spostò sopra di lei, schiacciandola sotto il suo peso.
Levò il coltello sopra la testa e lo abbassò di scatto. Robin sussultò e spalancò la bocca in un urlo muto. Con una torsione secca e un rumore d'ossa spezzate il vampiro estrasse l'arma dalle carni della donna. La spalla destra.
Robin comprese all'improvviso, con un moto d'orrore, che la sua agonia era appena iniziata.
"Ma perché non mi uccide subito?"
Come se avesse letto la domanda nella sua mente il non-morto sorrise. «Tu hai sterminato il mio clan, Esecutrice. Occhio per occhio...»
Alzò di nuovo l'arma coperta di sangue, preparandosi ad affondarla una seconda volta.
«Sei pronta? Indovina dove...» La frase gli morì sulle labbra e lasciata cadere la lama, si artigliò il petto, straziando le proprie carni. La punta della stessa spada che lui le aveva sottratto pochi istanti prima spuntava dal suo corpo, orrido pene d'acciaio. La lama venne divelta con uno stridio umido e di nuovo spinta nelle sue carni, questa volta più in alto a cercare il cuore. Il mostro cadde in avanti con un grido acuto e si tramutò in polvere, imbrattando l'Esecutrice con i suoi resti immondi.
L'ombra del suo soccorritore incombeva su Robin e la giovane strinse gli occhi, tentando di discernere i suoi lineamenti.
Una risata crudele le ferì le orecchie.
«Pare che io abbia trovato un nuovo giocattolo.» Era una voce di donna fredda ed ironica.
La sconosciuta abbandonò la spada e, chinatasi, fece scorrere rapidamente le mani sul corpo della donna ferita.
«Niente che non si possa rimediare,» sentenziò alla fine, «non sarebbe divertente possedere un giocattolo rotto, ti pare?»
Robin avrebbe voluto urlare. Si era liberata di un vampiro solo per finire preda di un altra e le intenzioni di quest'ultima le rimanevano oscure.
La vampira avvicinò il volto a quello di Robin fino quasi a sfiorare la pelle con le labbra.
«Hai capito che cosa sono vero?»
Robin non riuscì a parlare, ma annuì impercettibilmente. La rediviva emanava un sentore d'antico, di morto.
«Ascoltami Esecutrice, queste sono le regole del nostro piccolo gioco: più a lungo riesci a interessarmi più a lungo ti lascerò in vita. E' semplice mi pare. Ma se c'è qualcosa che non ti è chiaro, chiedi pure.»
Robin voltò lentamente il capo verso la donna a incrociare il suo sguardo. La fissò negli occhi per un lungo momento. Poi le sputò in faccia.
La vampira si tirò indietro con un'espressione di sorpresa, poi rise. La sua mano scattò verso il volto di Robin, la colpì una, due volte. Un dolore lancinante investì la ragazza quando la sua testa picchiò contro il muro.
«Non sei molto educata, Esecutrice. Vediamo se riesco ad insegnarti le buone maniere.»
Tese una mano ad accarezzarle la guancia e Robin rabbrividì al contatto della sua pelle gelida. La vampira lasciò scivolare la mano verso il basso e poi improvvisamente strinse la spalla ferita, frugando nello squarcio con le dita.
Robin si dibatté selvaggiamente cercando di liberarsi, ma la non-morta la tratteneva in una morsa ferrea.
Alla fine ritirò la mano e studiò le dita arrossate dal sangue. Parve sul punto di leccarle, ma poi le pulì sui pantaloni.
«Immagino che ora sia tutto chiaro.»
Robin non si mosse e la vampira sorrise.
«Impari in fretta.»
Rise ancora, poi afferrò l'Esecutrice per la vita e se la gettò sulle spalle.
Sollevò il volto verso il cielo e inspirò profondamente, assaporando l'aria della notte.
«Andiamo a casa,» mormorò sommessamente, «l'alba non è troppo lontana.»

... In quel momento pensai che non avrei mai più rivisto il sole...

Robin fissava il soffitto della stanza, cercando di ignorare le fitte di dolore che la tormentavano sin da quando si era svegliata.
La luce dorata del sole entrava dall'ampia vetrata, inondando la camera in cui si trovava quasi a smentire le sue paure della notte precedente. Quei raggi benevoli, che tante volte avevano rappresentato la salvezza dopo una notte di battaglie, ora sembravano irriderla, aurei messaggeri delle tenebre a venire.
Robin non poteva muoversi. Forse per uno scherzo crudele, la vampira l'aveva lasciata in una stanza da cui avrebbe potuto tentare la fuga, se fosse stata in grado di reggersi in piedi, ma non poteva e la non-morta lo sapeva perfettamente. Persino la porta era spalancata.
Le ferite che aveva riportato, erano state medicate con eccezionale cura e alla giovane appariva evidente che la vampira intendeva tenerla in vita. Non era in grado di stabilire se ciò fosse un bene o meno.
Aveva trascorso le ultime ore a cercare di escogitare un piano per tirarsi fuori dai guai, ma l'unica cosa sensata da fare, almeno per il momento, era aspettare che la vampira facesse la sua apparizione.
Robin voltò il capo verso la finestra, fissando la città che si stendeva sotto di lei. Per la prima volta in vita sua si augurò che la notte calasse in fretta.

Doveva essersi addormentata, perché quando riaprì gli occhi il sole stava tramontando e l'ultima luce del giorno tingeva il mondo di rosso come se tutto fosse stato immerso nel sangue.
Si accorse improvvisamente che la vampira era seduta sul letto accanto a lei, così immobile da sembrare di marmo.
Da quanto tempo era lì? Già il fatto che fosse sveglia prima del buio completo, stupiva Robin: doveva essere molto antica.
«Sei sveglia finalmente. Cominciavo ad annoiarmi.» La voce della non-morta era petulante, come quella di una bambina che chiede dei dolci e non li ottiene.
Voltatasi verso di lei, Robin scrutò il suo viso, come non aveva potuto fare al momento del loro incontro.
In vita era sicuramente stata una donna molto bella e la morte, che in genere faceva emergere una sorta di bestialità nei redivivi, aveva soltanto indurito un poco i suoi tratti. Portava i capelli raccolti all'indietro perché non la intralciassero e i suoi occhi erano dorati come quelli di qualche belva della giungla.
La vampira sorrise, mostrando per un istante le zanne, quasi a ricordare a Robin che, per quanto apparisse umana, non lo era affatto.
«Con tutta l'eccitazione di ieri notte abbiamo dimenticato le presentazioni. Il mio nome è Kendrene. Dimmi il tuo.»
Un nome non poteva certo nuocere, anche se avrebbe potuto chiedere in modo più gentile...
«Robin,» rispose la ragazza. La sua voce era un sussurro appena udibile.
«Robin...» la non-morta ripeté piano il nome, come se lo stesse assaggiando.
Poi si sporse all'indietro e versò un bicchiere d'acqua da una brocca, poggiata su un tavolino che l'Esecutrice non aveva notato.
Lo avvicinò alle labbra di Robin, ma tenendolo fuori dalla sua portata.
La giovane si rese conto di bruciare di sete.
«Ti prego,» supplicò.
La rediviva sorrise compiaciuta, le passò un braccio dietro la testa e la sollevò, aiutandola a bere.
«Il mio cucciolo è diventato d'un tratto gentile? Non lo credo perché posso vedere il disprezzo nei suoi occhi. Oh, ma il tuo fuoco è ciò che ammiro.» Si chinò, poggiandole la testa su una spalla.
«Un peccato che quell'idiota ti abbia ferita. Per fortuna conosco molti giochi da fare a letto.»
Si stese di fianco a Robin abbastanza vicina da farle avvertire la pressione del proprio corpo, ma non tanto da farle male.
Infilata una mano sotto le coperte, prese ad accarezzarle lentamente il ventre e poi scese più in basso verso l'inguine. Robin si irrigidì e la vampira si fermò, alzando di scatto la testa a guardarla.
«Non ti piaccio?» chiese con una sfumatura di minaccia nella voce. «Sii sincera. Se menti me ne accorgerò.»
Robin trasse un respiro profondo, riconoscendo il pericolo implicito nella domanda.
«Tu sei... molto bella,» replicò infine.
«Allora cos'è? E' perché sono una donna? O un vampiro?»
Incapace di trovare una bugia convincente, l'Esecutrice distolse lo sguardo.
Kendrene la obbligò a voltarsi di nuovo verso di lei e con furia animalesca premette le labbra sulle sue, forzando la lingua nella sua bocca.
Robin gemette, cercando di liberarsi, mentre il corpo della vampira si spostava sopra il suo, premendo sulle ferite.
Alla fine la non-morta sollevò di nuovo il capo, continuando a tenerla bloccata sotto di sé. Con gesto quasi tenero le scostò i capelli dal viso.
«Potrei prenderti adesso e poi finirti,» mormorò con voce roca, «ma ho altri piani per te. Ti voglio. Tu sarai mia, devi essere mia.»
Robin chiuse gli occhi e quando li riaprì lo sguardo ambrato della vampira era ancora fisso su di lei.
«Mi stai facendo male,» bisbigliò la giovane, una smorfia di dolore sul viso.
Kendrene si sollevò un poco, continuando però a restarle addosso.
«Voglio svelarti un piccolo segreto,» riprese, sfiorando la spalla ferita della sua prigioniera, «il mio intervento ieri notte... ebbene, non è stato un caso che io mi trovassi lì. E' da molto tempo che ti osservo. Ogni notte, dopo la caccia, venivo a cercarti. Hai mai avuto la sensazione che occhi sconosciuti ti scrutassero dalle tenebre? Erano i miei.»
D'improvviso Robin capì che avrebbe potuto evitare la cattura se solo avesse prestato più attenzione ai suoi istinti. Molte volte negli ultimi tempi aveva avuto la sensazione di essere spiata, ma l'aveva attribuita alla paranoia. In fondo quando si vive in costante pericolo, si tende a sospettare di ogni ombra.
Cercando di reprimere il proprio orrore chiese con una baldanza che non provava:
«Ti interesso così tanto?»
Kendrene sorrise.
«Se così non fosse avrei lasciato che ti facesse a pezzi e mi sarei goduta lo spettacolo.»
D'improvviso si tese, come avesse percepito qualcosa che Robin non poteva avvertire.
In un lampo si staccò dalla giovane e quando Robin riuscì ad individuarla di nuovo era all'altro capo della stanza.
«Devo nutrirmi e non posso starti vicino. L'odore del tuo sangue è...» trasse un profondo respiro e con uno sforzo terminò la frase, «una tentazione.»
Si mosse per uscire, ma giunta sulla porta si voltò e fissò Robin in silenzio, come a volersela imprimere nella mente.
Sembrò perfino che le forze oscure che l'animavano l'avessero abbandonata, poi si riscosse con un movimento languido e la sua energia si liberò nella stanza, strisciando in onde gelide sulla pelle dell'Esecutrice.
«Mi raccomando... non andare via.» Quella frase ironica aleggiò attorno a Robin per molto tempo dopo che la non-morta se ne fu andata.

... Non avevo mai conosciuto un vampiro come lei prima. E credetemi, ne avevo incontrati molti. Era così potente che la sua sola presenza mi faceva dolere le ossa e, nonostante volessi allontanarmi da lei il più in fretta possibile, provavo una morbosa curiosità nei suoi confronti. Ancora per molto tempo però, non avrei saputo che il suo nome...

Robin riprese coscienza per la terza volta dacché il suo incubo era cominciato.
Nel sonno si era rigirata di nuovo verso la finestra: un tenue bagliore grigiastro si stava spandendo nel cielo e le luci notturne della città impallidivano a poco a poco. Era l'ora prima dell'alba, quella che i suoi colleghi amavano definire "ora del morto", durante la quale di solito si uccidevano più vampiri. O si veniva uccisi.
Un lieve fruscio attirò la sua attenzione e Robin si volse di scatto, notando un'ombra che si avvicinava al letto.
Gli occhi dorati di Kendrene, rilucevano nell'oscurità, catturando la poca luce proveniente dalla vetrata.
«Che carina. Mi hai aspettato sveglia.»
La vampira avanzò verso la finestra a rapidi passi e con un movimento brusco tirò le tende, immergendo entrambe nelle tenebre.
Non potendo più vedere, Robin si sentiva indifesa. Se vicino a lei ci fosse stata una persona normale avrebbe potuto affidarsi all'udito per seguire i suoi spostamenti. I morti purtroppo non fanno rumore.
La voce di Kendrene era un sussurro al suo orecchio.
«Il tuo cuore batte così forte. Hai paura?»
«Sempre,» replicò Robin, «ciò che non si teme si sottovaluta. Non posso permettermi questo errore con te.»
Kendrene parve trovare la sua risposta divertente, perché rise sommessamente.
«Mi fai un grande onore, Esecutrice. E forse mi doti di poteri che non ho.»
Lasciò che il silenzio le avvolgesse per un istante, poi proseguì.
«Sai, stanotte ho ucciso pensando a te.»
Cinse Robin con le braccia e l'attirò a sé, baciandole prima la gola e poi risalendo verso la sua bocca.
Le loro labbra si incontrarono, ma a differenza di poche ore prima il tocco di Kendrene era appassionato e possessivo. Robin sapeva che se l'avesse voluto avrebbe potuto respingerla, ma si sentiva invasa da uno strano languore. Si abbandonò tra le braccia della vampira che prese ad accarezzarle dolcemente il corpo.
Kendrene mormorò qualcosa e lei avvertì un liquido caldo scivolarle in bocca. Allarmata, tentò di tirarsi indietro e di risputarlo, ma la vampira, trattenendola con un braccio, spostò l'altra mano per massaggiarle la gola, obbligandola a deglutire.
"Bevi piccola. Ti renderà forte."
Robin sapeva che Kendrene non le stava parlando eppure la sua voce risuonava nitida nella mente dell'Esecutrice.
Le parve che rimanessero così per un'eternità: Kendrene la stringeva a sé, continuando a passarle le mani sulla schiena.
Alla fine si staccò da Robin, rimanendo stesa accanto a lei. La giovane riuscì a sollevarsi su un gomito, notando con stupore che ora poteva vedere al buio.
«Che cosa mi hai dato?» si strofinò nervosamente le braccia cercando di quietare un tremito improvviso. «Io... brucio...»
Kendrene premette una mano fredda sulla sua fronte e la giovane parve calmarsi, riadagiandosi accanto a lei.
«Ti ho nutrito del mio sangue, cucciolo. Ora capisci cosa ci spinge a cercare ogni notte una nuova preda? L'estasi... il fuoco... Ho sentito chiaramente la sete dentro di te.»
Robin fece per replicare, ma Kendrene scosse il capo, poggiandole le dita sulle labbra.
«Dormi adesso. Il sole è sorto e anch'io devo riposare.»
Robin chiuse gli occhi, fingendo di dormire e poco dopo avvertì un cambiamento nella creatura che giaceva vicino a lei. L'energia vitale che l'animava parve fuggire dal suo corpo e Kendrene divenne fredda e rigida. La luce del giorno rivelava, rifletté disgustata Robin, quello che i vampiri erano veramente. Nient'altro che cadaveri.

... Il sole era appena al di là delle tende e pensai che con un semplice gesto avrei potuto annientarla. Quando provai a muovermi però, lei si girò nel sonno abbracciandomi, come se avesse capito le mie intenzioni. Sulle sue labbra aleggiava un misterioso sorriso. Aver bevuto il suo sangue mi nauseava, ma le mie percezioni si erano acuite e mi sentivo più forte. Non so se per merito del sangue le mie ferite cominciarono a migliorare e presto fui in grado di alzarmi per brevi periodi. Kendrene si prendeva cura di me con fredda efficienza, come si fa con un oggetto. Ma a volte mi baciava con la stessa passione che avevo avvertito in lei quella notte. Imparai che era spesso preda di furie improvvise e come evitare di essere il suo bersaglio. Mi accordava molte libertà, ma non gradiva essere sfidata.
Una cosa mi inquietava più delle altre: la facilità con cui penetrava nella mia mente.
E venne infine il giorno in cui decise di portarmi a caccia con sé...


«E' ora di uscire, cucciolo,» annunciò Kendrene, entrando nella stanza. Reggeva un involto tra le braccia.
«Uscire? Per andare dove?»
«Stasera verrai a caccia con me. Non vorrai restare sempre qui dentro, vero? Per quanto vederti a letto non mi dispiaccia affatto.»
Robin scrollò le spalle. Si era ormai abituata alle allusioni della vampira.
«Ecco, metti questi,» proseguì Kendrene, poggiando l'involto sul letto, «ma prima un piccolo regalo.»
Da una tasca del soprabito estrasse una scatoletta nera, di quelle che si usano per i gioielli.
La aprì e tirò fuori un girocollo d'argento con un pendaglio a forma di targa allungata. Su di questa erano sbalzati degli strani simboli.
Quando Kendrene fece per allacciargliela, Robin si tirò indietro di scatto.
«Non sono un cane.»
La non-morta sorrise sfiorandole una guancia.
«No di certo. Pensavo piuttosto a un lupo. Cucciolo ascolta: io so che mi appartieni, ma gli altri hanno bisogno di segni visibili. I miei glifi ti proteggeranno.»
Robin sospirò e chinò il capo permettendo alla vampira di chiudere il fermaglio della collana.
«Ti sta molto bene,» mormorò Kendrene, sfiorando le labbra della giovane con le sue in un raro momento di tenerezza.
«Ora vestiti. Spero non ti imbarazzerai se rimango. Tanto ormai ho visto tutto quello che c'era da vedere,» aggiunse con finta innocenza.
Robin le volse le spalle e cominciò a spogliarsi. Sentiva lo sguardo della vampira scivolare lascivo sulla sua schiena.
Si infilò in fretta gli abiti che le erano stati portati. Quando notò che tutto sembrava essere nero, non riuscì a trattenersi.
«Andiamo al funerale di qualcuno?»
Kendrene gettò indietro la testa e rise selvaggiamente.
«Il mio cucciolo ha anche senso dell'umorismo! Cosa posso desiderare di più?»
Sotto i vestiti Robin scoprì una pistola e una fondina ascellare, da nascondere sotto la giacca.
Era una Beretta, nera come tutto il resto e appariva la cosa più reale degli ultimi tempi mentre la giovane la soppesava. C'erano anche due caricatori di riserva.
Si voltò verso la non-morta senza poter nascondere la sua sorpresa.
«Ti fidi cosi tanto?»
Kendrene le si avvicinò, sorridendo.
«La possibilità che tu possa rivoltarti contro di me rende tutto più... eccitante...» Si passò la lingua sulle labbra poi afferrò Robin per un braccio e la spinse gentilmente verso la porta.
«Usciamo.»

... L'aria della notte mi inebriava, ma non mi illusi nemmeno per un istante di essere libera...

Robin e Kendrene camminarono in silenzio per lungo tempo. Giunsero infine davanti ad una vecchia fabbrica che aveva tutta l'aria di essere abbandonata. Kendrene si fermò e si voltò verso l'Esecutrice, sistemandole la giacca in modo che il monile d'argento fosse ben visibile.
«Devo concludere degli affari qui. Tu cerca di fare la brava. Ecco,» le allungò delle banconote, «bevi alla mia salute.»
Ripresero a camminare verso l'edificio, ma un improvviso movimento attirò l'attenzione di Robin che si irrigidì, portando la mano verso la pistola.
Kendrene le toccò il braccio e scosse il capo. Dalle tenebre emerse un altro vampiro che porse loro dei lasciapassare. Robin rigirò il suo, ma era troppo buio per vedere cosa c'era scritto sopra.
«Benvenute signore alla Taverna dei Loschi,» le salutò il non-morto.
Le precedette all'entrata dell'edificio e poi, inchinatosi, si spostò per farle passare.
«E' un... locale?» Robin era perplessa.
«Una definizione riduttiva. E' un locale di vampiri.»
Percorsero uno squallido corridoio male illuminato, poi si trovarono di fronte un'altra porta che venne prontamente aperta da un redivivo molto simile al primo.
Era un night in piena regola, constatò Robin, con tanto di ballerine in topless. Solo la clientela era... particolare. C'erano in maggioranza vampiri e qualche umano, probabilmente lì in compagnia dei loro padroni, come lei.
Non appena furono immerse nella ressa, Kendrene si dileguò, lasciandola sola.
Robin pensò per un istante di avere un'opportunità di scappare, ma poi sentì qualcuno mormorare accanto a lei:
«Non ci pensare neanche, dolcezza. Ti teniamo d'occhio.»
Robin si guardò attorno, ma chiunque le avesse lanciato quell'avvertimento si era allontanato tra la calca.
Tanto valeva annegare le sue preoccupazioni nell'alcool e così la donna si diresse verso il bar per approfittare della generosità della vampira.
Con un cenno attirò l'attenzione del barman.
«Dammi da bere.»
L'umano lanciò un'occhiata alla sua collana, spalancò gli occhi e si affrettò a servirla.
"Ma tu guarda; tutti sanno cosa significa tranne me," pensò lei con amarezza.
Robin sollevò il bicchiere, ma una mano le afferrò il polso, stringendo dolorosamente.
«Io ti conosco.» sibilò minacciosamente una voce al suo orecchio.
Robin si voltò: il vampiro che l'aveva importunata era tanto vicino che poteva sentire il lezzo del suo alito.
«Sei ubriaco, amico.»
Senza darle il tempo di reagire, lui la sollevò e la spinse contro il bancone, torcendole un braccio dietro la schiena. La spalla, che non era ancora guarita completamente, prese a pulsare e un gemito le sfuggì dalle labbra.
«Urlerai prima che io abbia finito, cagna schifosa! Davvero non ti ricordi di me?»
Robin digrignò i denti nel tentativo di non gridare.
«Ne ho ammazzati troppi di idioti come te,» replicò sprezzante, «non posso ricordarmeli tutti.»
Con la mano libera il vampiro le tirò indietro la testa facendola poi sbattere contro il bancone. Per un momento, fitte tenebre le annebbiarono la vista.
Il barista intanto si era raggomitolato in un angolo e appariva terrorizzato.
«Cosa fai pazzo?» gemette con voce strozzata, rivolgendosi al redivivo. «Non vedi che appartiene alla Master? Per colpa tua ci punirà tutti!»
Il vampiro lo ignorò e strattonò di nuovo il braccio di Robin come se volesse staccarglielo.
La giovane scosse più volte il capo nel tentativo di scacciare il dolore, poi avvertì una specie di spostamento d'aria come se qualcuno l'avesse sfiorata, correndo.
Qualcosa si avventò sul suo assalitore e quando lei, finalmente libera dalla sua presa, poté spostarsi, vide che il vampiro era caduto a terra travolto da un energumeno che sembrava un buttafuori.
I due si rotolarono sul pavimento per qualche minuto, ma ben presto il nuovo venuto ebbe la meglio. Afferrò il piantagrane per il bavero della giacca e lo spinse contro un muro, poi lo lasciò andare. Il redivivo si appoggiò alla parete, ansimando. Aveva un labbro spaccato e un rivolo di sangue gli colava sul petto.
«Non vogliamo guai qui Devon, dovresti saperlo. Se le regole non ti piacciono te ne puoi anche andare.»
Quasi a voler sottolineare le proprie parole, il buttafuori mosse minacciosamente un passo verso l'altro.
Devon alzò le mani, come se si aspettasse di doversi difendere da un nuovo attacco.
«Quella troia è un'Esecutrice,» ringhiò indicando Robin, «non dovrebbe essere qui.»
La parola Esecutrice parve attirare l'attenzione di tutti i clienti del night e i più vicini si tirarono indietro, atterriti. Molti fissavano Robin con odio.
Il buttafuori fece per rispondere, ma Robin, riacquistato il controllo, gli si avvicinò e gli toccò una spalla, attirando la sua attenzione.
«Ti dispiace se me la sbrigo io?»
Il vampiro scosse il capo e si fece da parte.
Con un gesto fluido, dovuto alla grande esperienza l'Esecutrice estrasse la pistola, puntandola alla testa del non-morto. Da qualche parte una donna lanciò uno strillo acuto.
Alla vista dell'arma Devon si appiatti contro la parete. Apriva e chiudeva la bocca come se avesse voluto dire qualcosa senza esserne in grado. Era perfettamente conscio che, nonostante tutti i suoi poteri di guarigione un proiettile nel cervello equivaleva a morte certa.
«Cosa sta succedendo qui?»
Robin fu improvvisamente consapevole che Kendrene era comparsa vicino a lei. Non si chiese nemmeno come avesse fatto: tentare di comprendere i poteri dei vampiri era una perdita di tempo.
La voce della Master era fredda come il ghiaccio e Robin sentì un brivido correrle lungo la schiena.
Senza aspettare risposta, Kendrene le si avvicinò, cingendole la vita con un braccio e mettendosi dietro di lei.
Poggiò l'altra mano sulla sua, ma non fece alcun tentativo di sottrarle la pistola.
«Per merde come quella non ne vale la pena, dolcezza,» intervenne il buttafuori, forse con l'intento di calmare gli animi.
Kendrene lo fulminò con lo sguardo.
«Taci, Chuba. Può decidere da sola.»
Robin allentò per un attimo la presa sul calcio della pistola, ma non abbassò l'arma.
«Per quanto Chuba esponga le sue idee in modo piuttosto rozzo non ha tutti i torti,» mormorò la non-morta al suo orecchio.
«Ti arrabbieresti se lo facessi?» Quelle parole di sfida lasciarono le sue labbra prima che Robin potesse impedirlo.
Kendrene si strinse nelle spalle.
«Trovare un imbianchino che lavori nei week-end sarà impossibile.»
Robin consegnò l'arma alla non-morta.
«Per sua fortuna oggi non è lunedì.»
Devon si rilassò visibilmente e si lasciò cadere sul pavimento. Gli altri clienti cominciarono ad allontanarsi e il brusio delle conversazioni si levò di nuovo come se nulla fosse accaduto. Poi uno sparo echeggiò nel locale, annullando ogni altro suono.
Con rapidità sorprendente, Kendrene aveva puntato di nuovo la pistola, colpendo il non-morto allo stomaco.
Devon aveva un'espressione stupita dipinta sul viso e la fissava come incapace di comprendere quello che era appena successo.
Alla vista del sangue che colava in rivoli scuri sul pavimento, i vampiri più vicini emisero un gemito.
Una ragazzina bionda, tentò di avvicinarsi al ferito, ma Chuba le si parò davanti, impedendole di procedere.
Kendrene mosse una mano, in uno strano gesto che a Robin sarebbe sfuggito se non l'avesse osservata con tanta attenzione.
Istantaneamente il buttafuori si spostò permettendo alla giovane vampira di passare. Questa si voltò, fissando Kendrene a occhi spalancati.
«Grazie Master, grazie!»
Poi si lasciò cadere a terra e cominciò a lappare il sangue che macchiava il pavimento, producendo un terribile rumore di risucchio.
Il suo gesto parve scatenare nella folla una tensione primordiale. Altri redivivi si fecero largo a spintoni, lottando tra loro per arrivare al sangue. Devon si copriva lo stomaco con le mani, nell'inutile tentativo di arrestare l'emorragia, ma il branco dei vampiri si faceva sempre più vicino e minaccioso.
La ragazzina che per prima aveva iniziato a nutrirsi, lo afferrò per i polsi, sollevandolo e ributtandolo contro il muro. Continuò a trattenergli le braccia in alto perché non potesse proteggersi e poi con un'espressione di gioia selvaggia affondò il viso nel suo petto straziandolo con i denti, mentre i lunghi capelli si coloravano di scarlatto.
"Lo faranno a pezzi!"
Robin sentì in bocca il gusto della bile e distolse lo sguardo.
Un'ondata di nausea le fece perdere l'equilibrio, ma poi la mano di Kendrene si chiuse sul suo avambraccio, sostenendola.
«Non c'è bisogno che tu veda,» le disse, conducendola verso l'uscita. Quando fu sicura che non sarebbe caduta, ritrasse la mano e affrettò il passo.
Non si voltò indietro nemmeno quando il primo, disperato urlo le inseguì nella notte...

... La barbarie di cui ero stata testimone, mi aveva svuotato la mente. Incapace di sentire e di pensare, seguivo la Master per le strade della città, come un automa. Comprendevo in modo molto distante che nella sua distorta visione Kendrene pensava di proteggermi, ma il tremendo banchetto a cui avevo assistito rendeva solo più chiaro quanto i vampiri potessero essere inumani. Quando fummo abbastanza distanti dal club, si volse di nuovo verso di me...

Kendrene prese tra le mani il viso di Robin e il suo tocco gelido parve riscuotere l'Esecutrice dalle sue riflessioni.
«Ti ha fatto male, cucciolo?» Le passò le mani tra i capelli tagliati corti, arruffandoli. La giovane si affrettò a scuotere il capo.
«Sto bene, sul serio.»
Kendrene la fissò negli occhi per un lungo istante.
«Non ingannarmi, piccola. E' quello che hai visto a turbarti?»
Robin si morsicò un labbro, poi annuì.
«Ah, cucciolo. Non comprendi? Aggredendo te ha sfidato la mia autorità. Ora gli altri sanno. E in questo modo nessuno ti toccherà più,» la sua voce si fece calda e dolce, «perché solo io posso farlo. Tu mi appartieni, ricordalo.»
La baciò sulla fronte e poi le tese una mano.
Cercando di dominare le sue paure Robin la strinse e permise alla vampira di guidarla attraverso il buio della notte.
«Perché non hai sparato?» le chiese d'un tratto Kendrene.
Robin ci pensò su.
«Non so. All'inizio volevo farlo, ma... forse per non dare ai suoi amici un motivo in più per odiarmi.»
«Io non ti odio,» le fece notare l'altra.
Robin sorrise.
«Sei la Master, te lo puoi permettere.»
La vampira frugò nelle tasche del soprabito e, trovato l'occorrente, si accese una sigaretta.
«E tu cucciolo, mi odi?»
Da quella domanda dipendeva tutto. "La odio abbastanza per ucciderla?" Robin non ne era più così sicura. Per quanto detestasse i vampiri, provava per la vampira una strana attrazione, quasi dolorosa. "Forse siamo più simili di quanto io creda." Per cancellare quel pensiero inquietante, rispose:
«In certi momenti meno che in altri.»
«E' già qualcosa. Ecco, siamo arrivate.»
Robin si guardò attorno. Un lampione solitario gettava la sua luce fioca su un alto muro di cinta, eroso dal tempo. Loro due si trovavano vicino a quella che doveva esserne stata l'entrata. Il cancello che chiudeva la proprietà era ormai scomparso, ma ancora nel muro erano infissi i cardini che l'avevano sostenuto.
Quando Robin provò a toccarne uno, il metallo si sbriciolò sotto le sue dita, cadendo a terra in una polvere finissima.
«Che posto è?» chiese, pulendosi le mani, «non so nemmeno in che zona ci troviamo.»
Senza parlare, Kendrene le indicò una targa di pietra infissa nel muro.
Le incisioni erano smussate e annerite dagli anni, ma in parte ancora leggibili.
C'era uno stemma: quando Robin lo sfiorò con le dita le parve una testa di lupo o forse di leone e sotto delle scritte. Le uniche parole che riuscì a decifrare furono "cimitero" e "famiglia".
«La tua famiglia?»
La vampira annuì e, sempre in silenzio, le accennò di seguirla.
L'atmosfera greve del cimitero pareva ingoiare tutti i rumori: lo stridio lontano del traffico era scomparso e persino lo scricchiolio dei loro passi sulla ghiaia era come ovattato.
Non vi erano luci, se non l'etereo chiarore di un misero quarto di luna.
«Sembra molto esteso,» mormorò Robin, spezzando quel macabro incanto.
Kendrene si voltò, gli occhi splendidi a incontrare i suoi.
«Il buio può dare questa impressione. Di qua.»
Abbandonarono il vialetto principale e si fecero strada tra le lapidi, che spuntavano dal terreno come denti storti. Kendrene si arrestò infine nella parte più antica del cimitero. Vicino a una parte del muro di cinta miracolosamente integra, tra le radici di un vecchio abete, biancheggiava una pietra tombale.
La non-morta porse a Robin un accendino perché potesse farsi luce e la fiammella brillò nella notte scura più di quanto avrebbe dovuto.
Poi attese con pazienza mentre la donna esaminava la tomba.
La lastra di pietra, forse a causa della posizione riparata, era in ottime condizioni e le lettere che vi erano incise spiccavano nitide come ferite profonde. Vi si poteva leggere:


Qui giace Kendrene
amata figlia in vita
prematuramente dipartita
per sempre vivrà nel ricordo

Più sotto una data:

1605-1632

Robin sentì un brivido diaccio correrle lungo la schiena. "Così antica..."
Il silenzio la opprimeva come un sudario.
«Il nome della tua casata è andato perduto,» sussurrò a disagio.
Kendrene si sedette su un vecchio masso e sospirò:
«Così come la sua fortuna. Ma forse è meglio, credimi.»
«Perché mi hai portato qui?»
La vampira scrollò le spalle.
«Ogni tanto ci vengo. Mi ricorda che nonostante tutto non sono immortale.»
«E' solo per questo? Non volevi che conoscessi la tua età?»
Kendrene sorrise.
«Ero sicura che tu l'avessi già indovinata.»
Robin si lasciò cadere sull'erba accanto a lei.
«Non credevo... ah, lascia perdere.»
La vampira cominciò ad accarezzarle lentamente i capelli.
«Ti prego, va avanti.»
Robin la fissò stupefatta. Era la prima volta che le si rivolgeva non con un ordine, ma quasi con tono di supplica.
«Ora finalmente capisco perché il tuo potere mi appariva così grande. Ho sperato di riuscire a fuggire, ma adesso so che sono perduta.»
Kendrene scivolò per terra e le sfiorò gentilmente una guancia.
«Temi ancora che possa farti del male?»
«Non lo so.»
Robin cercò di riordinare i propri pensieri, poi chiese:
«Perché io? Cosa ti ha spinto a volermi catturare?»
Kendrene l'attirò a sé.
«Dal primo istante in cui ti ho vista, ho desiderato tenerti con me e questo è l'unico modo che conosco.»
Rimasero in silenzio per un poco, e Robin, colse l'occasione per guardarsi in giro. I suoi occhi però, dopo aver vagato tra le ombre del cimitero, tornavano irrimediabilmente alla tomba della non-morta.
«E' strano.»
«Cosa?» la rediviva la scrutò incuriosita.
«Molti vampiri non tornano mai nel luogo da cui sono risorti. Anzi, spesso distruggono le proprie tombe come se avessero paura della morte. Però non è così semplice liberarsi di voi.»
«Forse un tempo,» esclamò ridendo Kendrene, «il sole, il frassino, l'acquasanta e qualche sant'uomo con un coraggio fuori del comune erano tutto ciò da cui ci dovevamo guardare. Ma poi hanno inventato le pistole e ci siete voi, simpatici Esecutori.»
Robin le poggiò la testa su una spalla.
«Eppure per noi il tempo è un fattore cruciale. Ci affanniamo tutta la vita per lasciare un segno, perché qualcosa rimanga e poi finiamo dimenticati in una bara umida. Bah... i cimiteri mi fanno uno strano effetto.» Si riscosse e si alzò, stringendosi addosso la giacca.
Kendrene seguì il suo esempio e insieme, volsero le spalle alla lapide.
Mentre tornavano verso il suo rifugio diurno, Kendrene lasciò che la giovane la precedesse. Sentiva che l'Esecutrice era tormentata da una profonda sofferenza e provava lo strano desiderio di lenirla. Aveva avuto molte donne, ma Robin suscitava in lei emozioni che non riusciva ad afferrare.
"E' forse la tua luce che mi attira così tanto?" pensò sconcertata.
Un unico pensiero dominava la sua mente, mentre si distendeva per dormire.
"Qualunque cosa succeda, non ti lascerò morire. Lo giuro!"

Forse avevo parlato troppo al cimitero, ma Kendrene mi era sembrata accomodante e da molto tempo provavo il desiderio di sfogarmi. Avvertivo comunque che le cose tra noi stavano cambiando. Spesso la coglievo a fissarmi, quando mi credeva distratta. Allora distoglieva lo sguardo, ma era come se volesse dirmi qualcosa e non trovasse le parole.
Mi sembrava che entrambe attendessimo, come sospese, che un evento esterno chiarisse le cose. Finché giunsi al punto di svolta che mi spinse verso la strada che oggi ancora percorro...


«Posso farti una domanda?» chiese l'Esecutrice mentre camminavano.
«Certo piccola, purché sia breve. Abbiamo parecchie cose da fare stanotte.»
Robin si schiarì la voce.
«Ecco, io... ah, non hai bisogno di nutrirti?»
«Come sei dolce a preoccuparti per me,» la canzonò la vampira, «ma già da più di un secolo posso dominare la sete. Il sangue ormai è solo un piacere.» Attirò a sé la giovane e le baciò la gola.
Un tremito percorse tutto il corpo di Robin e lei capì che non si trattava di paura, ma di desiderio.
Distolse gli occhi dal volto di Kendrene perché non vedesse quello che provava e accelerò il passo.
La vampira, forse con un lampo di preveggenza, parve intuire il suo turbamento e, interrotto il contatto, si limitò a camminarle vicino senza dir nulla.
D'un tratto Robin si fermò e chinatasi prese ad armeggiare con il laccio di una scarpa.
«Kendrene...?»
«Cosa?»
Senza preavviso la giovane le si avventò contro, gettandola sul selciato. Il crepitio secco di uno sparo risuonò sopra di loro.
Le due donne si rialzarono e, correndo a testa bassa, ripararono dietro l'angolo di una casa vicina.
«Grazie.»
«Di che?» replicò Robin, poi, estratta la pistola, tolse la sicura. «Li vedi?» domandò, sbirciando oltre l'angolo.
La rediviva scosse negativamente il capo.
«No. E sono troppo lontani perché possa sentire il loro odore.»
Robin chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo.
«Ascolta,» disse a voce bassa, «l'unica soluzione è farli sparare di nuovo. Occhi aperti.»
Alzò la pistola e si lanciò nel mezzo della strada, scattando poi verso il lato opposto per appiattirsi contro la facciata dell'edificio di fronte.
Due lampi improvvisi illuminarono la notte, il primo proiettile schizzò sull'asfalto sprizzando scintille, il secondo le sfiorò il braccio e il metallo incandescente le azzannò la carne.
Si premette una mano sulla ferita, imprecando, poi alzò la testa e fissò il punto in cui si trovava la non-morta.
Kendrene indicò i propri occhi e, sollevata la mano, segnalò che erano in due.
Per un istante Robin ebbe l'impressione di vedere la strada attraverso gli occhi della Master e seppe dove i due cecchini si trovavano e che erano umani.
"Coprimi." Il comando di Kendrene riecheggiò nella sua mente e la donna sparò alcuni colpi per distrarre i due uomini dai movimenti della vampira.
La non-morta saettò non vista di ombra in ombra e, giunta alle sue spalle, atterrò il più grosso dei due, togliendogli il fucile e colpendolo allo stomaco con il calcio dell'arma.
L'altro emerse gridando dalle tenebre e puntò la sua pistola contro Kendrene...

Avrei potuto restare a guardare. Forse l'avrebbero uccisa e sarei stata libera. Ma non sono il tipo che si tira indietro di fronte a una rissa. E poi trovo che attaccare in due un solo avversario sia molto scorretto. Perciò feci una cosa che andava contro tutto quello in cui credevo. Sparai a un umano per salvare un vampiro...

L'Esecutrice si spostò di nuovo allo scoperto, mirando alla spalla del secondo aggressore e fece fuoco. L'uomo perse la presa sulla pistola e cadde a terra, gemendo e bestemmiando.
Robin si avvicinò con calma, tenendolo sotto tiro. La ferita era dolorosa, ma non mortale.
"Solo una piccola lezione," pensò ironica.
Diede un calcio all'arma abbandonata, allontanandola da lui e poi si volse verso la Master.
Kendrene era completamente assorbita dalla sua preda. Stringeva alla gola l'uomo semisvenuto e il suo viso si era trasformato: le zanne apparivano più evidenti e i suoi bellissimi occhi avevano assunto una sfumatura rossastra.
«Abitualmente non mi nutro di feccia, ma stasera credo farò un'eccezione,» sibilò.
Tirò indietro la testa e spalancò la bocca, come una vipera che si prepari a colpire.
In quell'attimo Robin riconobbe l'uomo che l'altra teneva bloccato sotto di sé.
«Kendrene, no!»
Afferrò la non-morta per le spalle e, forse perché l'aveva colta impreparata, riuscì a strapparla dalla sua vittima.
Kendrene si voltò inferocita e la spinse, facendola cadere a terra.
«Come osi! Voglio il suo sangue, e lo avrò. Non mi sfidare!»
I suoi occhi ardevano paurosamente e Robin si sentiva schiacciata dal suo potere. Provò il forte impulso di scavare una buca e rintanarvisi per non uscirne più.
Si costrinse a incontrare il suo sguardo.
«Se è sangue che vuoi, prendi il mio, ma non lo uccidere.»
Kendrene la rimise rudemente in piedi, strattonandole la giacca.
«Perché ti interessa tanto? E' stato forse un tuo amante?»
In quella domanda Robin percepì una pericolosa traccia di gelosia.
«Non ho mai avuto amanti. Ma una volta mi ha salvato la vita. Vorrei ricambiare.»
Kendrene sorrise lievemente, un sorriso tagliente e crudele.
«Onore, lealtà. Per questo sei disposta a rischiare tutto ciò che hai. Ammirevole.»
Parve notare che Robin era ferita al braccio e toccò il punto in cui il proiettile l'aveva colpita, facendola sussultare.
«Il tuo sangue hai detto? Uno scambio accettabile.» La sua ira si dissipò e in un attimo ridivenne quella di sempre.
Un rumore dietro di loro, allarmò Robin. L'uomo che aveva ferito si era rialzato e brandiva un lungo coltello da caccia.
«Mettilo giù!» Ordinò Robin, indicando l'asfalto con la canna della pistola.
«Muori puttana!» L'aggressore le si scagliò contro, cercando con gli occhi un varco in cui la sua lama potesse colpire.
Kendrene si mosse per fermarlo, ma, prima che avesse fatto due passi, l'uomo piegò le gambe, accasciandosi lentamente a terra. Ebbe uno spasimo e non si mosse più. Kendrene raccolse la pistola che Robin aveva lasciato cadere, poi scosse gentilmente la giovane per un braccio.
«Andiamo. Presto avremo compagnia. Inoltre,» soggiunse umettandosi le labbra, «voglio quello che mi spetta.»
A fare da contrappunto alle sue parole, in lontananza si udiva già il lamento delle sirene.

Non volevo ucciderlo, non volevo ucciderlo, non volevo ucciderlo, non volevo ucciderlo, non volevo ucciderlo...

«Non volevo ucciderlo.»
Si trovavano di nuovo nella tana della Master. Robin era seduta sul letto a capo chino e continuava a ripetere quella frase, come un mantra.
Kendrene le si avvicinò e, inginocchiatasi davanti a lei, prese il suo volto tra le mani.
«Non ti ha lasciato scelta, cucciolo.»
«Non avevo mai ucciso un umano prima.»
«Ed è tanto diverso dall'eliminare un vampiro?» domandò la non-morta, un accenno di rabbia negli occhi.
Robin si scostò da lei e, alzatasi, prese a misurare la stanza a grandi passi.
Alla fine si fermò davanti alla finestra e volgendo lo sguardo verso la città, replicò:
«Che Dio mi perdoni. Non lo è...» Appoggiò la fronte al vetro, come se la superficie limpida potesse portare chiarezza anche nei suoi pensieri.
«Io... non so più in cosa credere.»
Kendrene le si avvicinò silenziosamente, rimanendo dietro di lei.
Robin volse lo sguardo a terra, fissando l'ombra della vampira, che si allungava sul pavimento. "Posso credere in te?" Quella domanda muta sembrò aleggiare tra di loro per un istante e la donna considerò come non aveva mai fatto prima che forse i veri assassini non erano i vampiri, ma gli Esecutori. "Ho sempre supposto di saper distinguere tra bene e male, ma da quando sei entrata nella mia vita la linea che mi separa dall'uno e dall'altro è stata cancellata."
Si girò a fronteggiare la rediviva, perdendosi nei sui occhi color dell'ambra.
"Ironia della sorte, tutto quello che mi resta è quello che odio di più."
Kendrene parve capire il tormento della donna che le stava di fronte e colmata la distanza tra di loro, la strinse tra le braccia.
«Poco fa ti ho fatto una promessa,» sussurrò Robin, rialzando la testa.
La vampira le prese le mani tra le sue e se le portò alle labbra.
«Mi sono lasciata dominare dai miei istinti, ma per quanto lo desideri, non è necessario che sia stanotte.»
Robin scosse il capo, negando le sue parole.
«Non so come sia possibile, ma percepisco il tuo bisogno. Inoltre,» soggiunse con un sorriso amaro, «mantengo sempre la mia parola.»
Fece un passo indietro e, portata una mano al braccio ferito, si graffiò, rompendo la crosta che si stava formando. Subito grosse gocce di sangue le macchiarono le dita. Tese la mano verso la Master, come un sacerdote che offra un sacrificio al proprio dio.
Kendrene fissava rapita il liquido scarlatto e si passava la lingua sulle labbra, ma Robin intuì che non era conscia di quel gesto.
«No,» mormorò alla fine, volgendole deliberatamente le spalle. «Non è così che lo voglio. Ma che tutti gli dei mi siano testimoni, tu mi tenti.»
«Vuoi fare di me una spergiura, dunque?» Robin disse, lasciando cadere la mano.
«Tu non comprendi. Se io ora bevo il tuo sangue,» si fermò per un istante e la tensione attorno a lei parve aumentare, «se succede questo, il nostro legame sarà completo. Non sono sicura che tu lo voglia.»
Robin le si avvicinò di nuovo, ma senza toccarla.
«Se il mio destino è questo, lo accetto.»
"Quello che ho fatto stanotte è stato terribile, ma peggio ancora, ho ucciso innumerevoli volte senza mai chiedermi se fosse giusto, provando anche piacere nel farlo."
Proseguì i suoi pensieri ad alta voce. «Tu uccidi per nutrirti, ma io per quale assurdo motivo lo faccio?» Afferrò Kendrene per un braccio e bruscamente la fece voltare verso di sé.
«Non le senti? Le mie vittime che reclamano la loro vendetta. Non senti le loro grida?» Si accorse di urlare, ma ormai non le importava più. Era in preda ad una sorta di delirio febbrile e si sentiva come se le parole che pronunciava portassero alla superficie un dolore nascosto di cui mai prima aveva percepito la presenza dentro il suo animo.
Kendrene la trasse ancora una volta a sé, tentando di blandirla.
«Mia povera piccola, non sai quel che dici.»
Robin si svincolò dal suo abbraccio, piangendo e ridendo allo stesso tempo.
«Se Dio avesse misericordia di me sarebbe così. Se avesse misericordia, impazzirei e potrei dimenticare tutto. Ma si diverte a torturarmi attraverso di te. Lasciami pagare il prezzo del sangue. Ormai sei tutto quello che ho.»
Kendrene comprendeva il senso di colpa che opprimeva la giovane. Tutte le sue certezze erano state spazzate via e la morte dell'umano che le aveva aggredite aveva scatenato in Robin quel violento rifiuto di se stessa che poteva portarla all'autodistruzione. "Non ho forse provato anch'io le stesse cose un tempo?" Ricordi sepolti da secoli riemersero dall'oblio, invadendo la sua mente. Poi mormorò, così piano che nessuno avrebbe potuto udirla:
«Io pure ti ho fatto una promessa, anche se non lo sai.»
Avendo preso una decisione le tese le mani in un gesto di benvenuto.
«Vieni dunque, se è ciò che vuoi. Vieni e pagami quanto mi devi.»

... Non mi fermai nemmeno per un istante a considerare le conseguenze di quanto stava per accadere. Mi chiedo ancora, a volte, cosa sarebbe successo se fossi stata più meschina e meno incline al rimorso...

La Master fece stendere Robin sul letto e poi vi salì a sua volta, mettendosi a cavalcioni sopra di lei.
Le sbottonò la camicia e, scostato il tessuto, scoprì la carne tenera ed invitante della gola. La giovane umana la lasciava fare, rimanendo in silenzio, quasi che la sfuriata di poco prima l'avesse prosciugata di ogni energia.
Kendrene si chinò su di lei, sfiorandole il lobo dell'orecchio con la lingua.
«Non ti farò male,» bisbigliò, «non tanto.»
La sua bocca scese più in basso, a tracciare il contorno della mascella e poi si fermò sul collo. La vampira rialzò il capo per un istante permettendo all'altra di vedere il suo vero volto.
Come poche ore prima, Robin poté assistere a quella prodigiosa trasformazione, e il cambiamento la lasciò senza fiato.
Le zanne della vampira si allungarono sotto gli occhi di Robin e le sue iridi sfolgorarono per un attimo come colpite da luce diretta, non più dorate, ma rosse. Eppure rimanevano stupendi abissi in cui Robin sarebbe volentieri sprofondata fino a morire. Quegli occhi la fissarono, trattenendo i suoi e la donna avvertì la magia della Master operare dolcemente su di lei. Una calma profonda la invase e le parve di fluttuare al di fuori del proprio corpo mentre la vampira si chinava nuovamente sulla sua gola.
Fu strappata a quel paradiso sospeso dalla voce di Kendrene. Ancora una volta non erano parole, ma un sussurro nella sua mente.
"Preparati, cucciolo."
Nonostante l'avvertimento il dolore della trafittura arrivò comunque inatteso e la fece gemere, mentre un tremito convulso la scuoteva da capo a piedi. Kendrene la sollevò dal letto, stringendo protettivamente le braccia intorno al suo corpo indifeso e affondò ancor di più il viso nell'incavo del suo collo, mordendo in profondità.
"Mi appartieni," pensò la vampira mentre sentiva la vita abbandonare la ragazza, scorrendo via assieme al nutrimento che invece andava riempiendo le sue vene, "così come io appartengo a te."
Alla fine, ormai appagata, staccò la bocca dalla ferita e la leccò gentilmente un paio di volte perché il sangue stagnasse.
Robin aveva gli occhi chiusi e sembrava dormire. Il suo respiro era talmente leggero che se Kendrene avesse posseduto un udito umano non l'avrebbe percepito.
La vampira riadagiò con gentilezza l'Esecutrice sul letto e la avvolse nelle coperte. Poi si alzò e mise una bracciata di legna nel grande camino che occupava un'intera parete della camera da letto. Il fuoco avrebbe riscaldato la stanza portandola alla giusta temperatura per quando la sua amante si fosse risvegliata.

... Dormivo, sprofondata nell'incoscienza, eppure ero invasa da una strana consapevolezza del mio corpo. Sentivo una strana tensione, come se gli atomi che mi componevano si stessero disgregando per poi riunirsi in modo diverso. Voci sconosciute chiamavano il mio nome e mi supplicavano di ascoltarle con grida e lamenti indicibili. Erano i morti a chiamarmi, cercando di attirarmi nel loro reame di tenebra invidiosi del fatto che io, nonostante tutto, fossi ancora viva. Ma, in realtà, ero più vicina alla morte di quanto immaginassi...

Kendrene osservava pigramente i riflessi che le fiamme guizzanti traevano dal bicchiere ricolmo di liquore, poggiato sul tavolino di fronte a lei. Aveva versato il liquido color del miele soltanto per contemplare quelle imprevedibili variazioni cromatiche. La sfavillante alternanza di luci ed ombre le dava lo stesso piacere - mentre la fissava ad occhi socchiusi - di quello che avrebbe potuto provare l'avventore di un bar nel sorseggiare quello stesso pregiato liquore.
Amava circondarsi di bellezza e la ricercava soprattutto nelle piccole cose, come in quel bicchiere. Avrebbe anche potuto berne il contenuto, se l'avesse desiderato. Contrariamente alle credenze degli umani, i vampiri potevano assumere sostanze diverse dal sangue, ma questo accadeva di rado e, soprattutto i più giovani che non avevano un controllo completo sul proprio metabolismo, trovavano ributtante qualsiasi tipo di cibo e bevanda.
Il sangue di Robin cantava con tale forza nelle sue vene però, che non avrebbe avuto necessità né desiderio di nutrirsi forse addirittura per settimane.
Si stiracchiò voluttuosamente e poi sprofondò ancora di più nella poltrona su cui era seduta. Non si era mai sentita così... completa. Il suo sguardo si volse verso la giovane donna che riposava ignara nel letto e mentre i suoi occhi la sorvegliavano attenti ad ogni minimo cambiamento, la Master lasciò che la sua mente vagasse in cerca di quella dell'altra.
«A ghràt,» mormorò piano.
Come obbedendo a quel richiamo Robin si mosse, girandosi verso di lei.
Subito la rediviva si alzò e si accostò al letto e, presa la giovane tra le braccia, cominciò ad accarezzarle il volto con tocchi lievi, appena percettibili.
Robin avvertiva la vicinanza della vampira e cercava di aprire gli occhi, ma lo sforzo le sembrava immenso e si sentiva sopraffatta da sensazioni che non conosceva.
Kendrene percepì la sua confusione e, chinatasi, la baciò sulle labbra per calmarla.
«Non avere fretta,» sussurrò, «ci sono molte cose che ora puoi percepire e fino a poche ore fa non esistevano. Prima di tutto cerca di concentrarti sulla mia voce.»

... Capivo che le sue parole corrispondevano a verità. Il mio corpo sembrava aver sviluppato dei nuovi sensi o forse quelli vecchi si erano acuiti. Mille cose diverse attiravano la mia attenzione, affollandosi nella mia testa. La carezza delle coltri sulla pelle e la pressione delle braccia di Kendrene attraverso il tessuto. Il sussurro del fuoco che ardeva nel camino e pareva raccontare una storia. Un tarlo che da qualche parte rosicchiava in un incessante lavorio. Tutto questo lo percepivo contemporaneamente e sapevo che se non avessi imparato a controllare quelle nuove facoltà, sarei impazzita. Perciò concentrai tutti i miei pensieri su Kendrene, sul suo odore, sulla sua voce...

«Ora prova ad aprire gli occhi,» proseguì la Master, avvertendo che l'ansia di Robin si era placata.
La giovane volse il viso verso di lei e fece come le veniva detto. I suoi occhi grigi erano leggermente appannati, ma si misero a fuoco quasi subito fissandosi in quelli della non-morta.
"... freddo..."
Il pensiero riverberò chiaro nella mente di Kendrene e la vampira annuì come se l'avesse previsto.
«Devo aver preso troppo cucciolo, perdonami.»
Con gesti rapidi si slacciò la camicia, scoprendo il seno candido e si graffiò poco sopra il capezzolo destro.
Subito il sangue cancellò i contorni del taglio, lasciando una scia scarlatta sulla pelle chiarissima.
Un tremito scosse il corpo che teneva tra le braccia e Robin si sollevò a sedere di scatto, fissando la ferita come ipnotizzata.
Una strana tensione si era impossessata della giovane che si umettava le labbra, mentre ad occhi sgranati osservava i disegni che il sangue, colando verso il basso, tracciava sulla pelle dell'altra. Sollevò per un istante lo sguardo verso il volto della vampira come a chiederle il permesso e Kendrene, sorridendo, le mise una mano dietro la nuca spingendola verso il suo seno.
L'odore del sangue eccitava i sensi già sovraccarichi di Robin, annullando qualsiasi altra cosa. La giovane premette con violenza la bocca contro il petto dell'altra, quasi temesse che anche una sola goccia di quel liquido prezioso potesse andare sprecata.
Il sangue bruciava la gola, entrando in ogni sua fibra e la riscaldava come il sole dell'estate. Robin affondò i denti nella carne dell'altra e Kendrene gettò indietro la testa con un urlo a metà tra il dolore e l'estasi.
Lasciò che l'Esecutrice si nutrisse e continuò a stringerla tra le braccia, poi quando un brivido ghiacciato la scosse la allontanò dal suo seno con fermezza.
«Basta così per ora, cucciolo.»
Robin alzò lo sguardo e la fissò, ma la vampira sapeva che in quel momento non era in grado di vederla veramente.
Avvertiva chiaramente il senso di soddisfazione che pervadeva la ragazza e il cambiamento, che già era cominciato dentro di lei, ora accelerato dal sangue che lei le aveva donato.
«Dormi piccola,» mormorò la vampira, affondando il viso tra i capelli dell'altra. La cullò dolcemente e quando sentì che si era abbandonata contro di lei, si lasciò cadere sul letto, trascinandola con sé.
Robin nascose il viso contro il suo seno, troppo stanca anche solo per pensare di cercare altro sangue e il suo respiro si fece profondo e regolare, mentre scivolava verso il sonno.
Kendrene rimase cosciente più a lungo, ascoltando il respiro dell'altra e il battito del suo cuore.

... Mi svegliai poche ore dopo, anche se mi era parso di aver dormito per giorni. Kendrene giaceva immobile accanto a me, anch'ella sfinita da quanto avevamo compiuto. D'improvviso la portata di ciò che era successo mi colpì, come un pugno allo stomaco. Che cos'ero io? O più precisamente, che cosa ero diventata? Sentivo che dentro di me si era compiuto un cambiamento prodigioso anche se non sapevo precisamente di cosa si trattasse. Non avere alcun controllo su tutto ciò mi spaventava terribilmente. Mi accorsi di tremare, e cercando di non svegliare il demonio che mi stava accanto mi alzai dal letto. Ogni movimento mi costava uno sforzo immenso come se le mie membra fossero diventate di pietra e più di una volta rischiai di rovinare ingloriosamente sul pavimento. Un pensiero si fece largo nella mia mente annebbiata da quella stanchezza mortale: avevo bisogno di bere. E possibilmente qualcosa di forte.

Mentre percorreva il corridoio, Robin colse la propria immagine riflessa in un grande specchio appeso ad una parete e, incapace di resistere, si fermò a fissarla. Esaminò ogni tratto del suo viso cercando con insistenza morbosa qualsiasi dettaglio che le paresse diverso o strano. C'era forse una nuova luce nei suoi occhi? Oppure la sua pelle era più pallida, quasi traslucida? Il viso che la fissava di rimando dallo specchio sembrava intuire i suoi dubbi e nella sua muta immobilità si prendeva gioco di lei.
"Ma certo," pensò la ragazza, scrollando le spalle, "non c'è motivo perché il cambiamento che percepisco in me sia visibile esteriormente. Dopotutto i peggiori mostri sono quelli che hanno un aspetto umano."
Di nuovo avvertì quella morsa gelida di puro terrore alla bocca dello stomaco e si costrinse a proseguire, ignorando la paura che le strisciava appresso come un'ombra.
Non senza difficoltà e dopo aver vagato per numerose stanze, alcune delle quali sembravano inutilizzate da secoli, riuscì ad arrivare in cucina e, mentre frugava un mobile dopo l'altro, si chiese distrattamente come mai ci fossero tutte quelle provviste. Raramente aveva visto un non-morto mangiare più di uno o due bocconi di cibo solido.
"Tutta questa roba da mangiare e nemmeno un goccio di alcool!"
Aveva ormai cercato dappertutto, ma se Kendrene aveva in casa del liquore, di certo lo teneva ben nascosto.
L'unico posto dove non aveva guardato era il frigorifero. Quando lo aprì si meravigliò del freddo che emanava. Doveva essere regolato al massimo.
Poi la sua attenzione fu attirata da qualcosa di rosso. Tante sacche piene di sangue, impilate ordinatamente una sull'altra, di quel tipo che si usano negli ospedali quando si fa una trasfusione. Robin si tirò indietro di scatto, richiudendo con violenza la porta del refrigeratore. Non era tanto quella macabra dispensa ad averla spaventata, quanto la reazione del suo corpo. Una sete incredibile la torturava, seccandole la gola e lei smaniava di riaprire il frigorifero e ingozzarsi come un animale davanti a una carcassa.
Cadde in ginocchio, scuotendo il capo per liberarsi di quella specie di incantesimo e procedendo carponi, si trascinò verso il lavabo. Stava per vomitare.
Braccia incredibilmente forti la afferrarono per la vita e sorreggendola, la aiutarono ad alzarsi. Qualcuno aveva aperto il rubinetto e le bagnava il viso, parlandole, ma tutto si perdeva nello sciabordio dell'acqua e nella canzone suadente che il sangue, nel suo ultimo tentativo di irretirla, cantava ancora nelle sue orecchie.
«Robin, Robin ascoltami,» la voce era quella di Kendrene, ma come era possibile? La giovane era sicura che stesse ancora dormendo, quando lei aveva lasciato la loro stanza.
Si accorse che la vampira era inginocchiata davanti a lei. L'aveva fatta sedere per terra con la schiena appoggiata ad un mobile perché non cadesse e la scrutava in viso, con espressione preoccupata.
«Devi resistere,» stava dicendo la sua Master, «non lasciare che la sete guidi le tue azioni. Questo non deve succedere mai. Se sarà la sete a possederti non sarai null'altro che un animale.» Le passò una mano tra i capelli e la sua voce si addolcì, «so che è difficile, cucciolo, ma ti devi sforzare.»
Robin chiuse gli occhi e reclinò la testa all'indietro. Ogni fibra del suo essere era contratta, tormentata dalla sete e lei cercò di rilassarsi, di cancellare qualsiasi pensiero. Poco a poco, la bramosia che l'aveva soggiogata scomparve, abbandonando il suo corpo e, quando si riscosse, Kendrene sorrideva.
«Sono fiera di te,» mormorò la vampira, attirandola in un abbraccio quasi materno. La baciò dolcemente sulla fronte e poi, con altrettanta gentilezza, si staccò da lei.
«Sarà meglio che ti prepari qualcosa di caldo,» disse ancora, «dopo ti sentirai meglio. E immagino che tu abbia parecchie domande da farmi.»

... Quando Kendrene mi mise davanti una tazza ricolma di tè bollente cominciai a sentirmi meglio. Ero ancora seduta sul pavimento e dubito che senza il suo aiuto sarei riuscita a muovere un passo. Bevvi tutto d'un fiato, scottandomi la lingua, ma non importava. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di cancellare quel sapore di bile che continuava a salirmi in gola. Kendrene si sedette accanto a me e attese che fossi io a rompere il silenzio. Sapeva che ero arrabbiata e confusa e sembrava pronta a chiarire i miei dubbi. Ma mentre mi preparavo a farle la prima domanda, mi chiesi se volevo conoscere la verità e se lei davvero aveva intenzione di rivelarmela.

«Non è possibile,» Robin scosse violentemente il capo e si allontanò dalla vampira.
Nonostante quelle parole di negazione, l'Esecutrice poteva leggere la verità negli occhi dorati della donna che le stava di fronte.
«Io non sono morta...» sussurrò, mentre la paura ancora una volta la stringeva nella sua morsa gelida.
L'espressione della vampira si era fatta più triste, ma Kendrene non disse nulla, lasciando che la giovane rediviva che le stava davanti traesse da sola le ovvie conclusioni.
«Io non sono morta!» Robin le si scagliò contro, sbattendola contro il muro. «Tu menti, menti!»
Kendrene la afferrò per i polsi e la gettò a terra. Robin si divincolava cercando di liberare almeno un braccio, ma la sua forza non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella del suo Sire. La vampira più vecchia la colpì al volto un paio di volte, poi si alzò, lasciandola a contorcersi sul pavimento.
Pochi istanti dopo si chinò di nuovo su di lei. Teneva in mano un coltello.

... Mentre giacevo sul pavimento, dolorante per le percosse ero invasa dalla rabbia. Come poteva Kendrene prendersi gioco di me in modo tanto crudele? Non potevo essere morta. Era semplicemente ridicolo. La mia attenzione fu attratta da un argenteo fulgore di metallo e mi accorsi che lei era di nuovo accanto a me e in mano stringeva...

«Che cosa vuoi fare? Cosa...» un nuovo schiaffo le impedì di terminare la frase. Si morse le labbra e il sapore metallico del sangue le scese in gola, soffocandola nell'estasi che portava con sé.
Kendrene frattanto le aveva afferrato un braccio e lo strattonava dolorosamente. Con uno scatto del coltello strappò la manica della camicia.
"Guarda!" La mente della Master entrò a forza nella sua e Robin urlò, invasa da quella presenza antica che sembrava volerla smontare pezzo per pezzo.
"Obbediscimi, guarda!" ripeté la voce dentro di lei.
Robin sottomessa alla sua volontà, voltò il capo verso di lei anche se non lo voleva. Non c'era altro che potesse fare.
La non-morta accostò la lama alla pelle candida e con un movimento deciso praticò un taglio sull'avambraccio.
Robin smise di lottare contro di lei e incredula rimase a fissare la ferita. Dopo pochi secondi il taglio smise di sanguinare e nel tempo di un respiro si era richiuso.
Kendrene evidentemente soddisfatta dalla propria dimostrazione, poggiò il coltello sul tavolo che stava alle sue spalle.
«Cucciolo, hai finalmente capito? Negare la realtà dei fatti renderà tutto più doloroso.»
Lasciò andare il braccio di Robin e restò ad osservarla in silenzio. La giovane, sdraiata immobile sul pavimento, teneva il viso premuto contro le mattonelle gelide. Il silenzio avvolse entrambe come un sudario.

... Era vero, era vero! Non c'era respiro, il cuore non batteva più. Quello dunque era il mio destino? Trascorrere l'eternità nei panni di quelle creature che per tanti anni avevo disprezzato e ucciso? Nell'infliggermi la sua punizione Dio mostrava ben poca misericordia...

«Non puoi restare così tutta la notte,» sentenziò alla fine la Master, vedendo che l'altra non accennava a muoversi. Come una madre amorevole che si stesse prendendo cura della propria figlia, sollevò il corpo inerte di Robin e la riportò a letto.

Mentre io dormivo sfinita da quanto avevo appreso, un nuovo giorno stava sorgendo sulla nostra città. Lontano dal rifugio di Kendrene intanto, a nostra insaputa, stava per svolgersi una conversazione che ci riguardava direttamente. In un ufficio all'ultimo piano di uno dei grattaceli che dominavano la Città Vecchia, squillò il telefono...

«Spero siano buone notizie,» era una voce maschile, fredda e abituata al comando.
Un sospiro all'altro capo del filo. «Mi spiace.»
«Avevi detto che erano i migliori sulla piazza.»
«Lo pensavo anch'io. Mi sono sbagliato, è evidente,» la seconda voce ora aveva assunto un tono dimesso e conteneva una nota di nervosismo.
«Cos'è andato storto?»
Una pausa, come se l'interlocutore stesse raccogliendo il coraggio necessario.
«Non era sola.»
«Sapete chi era con lei?» non c'era traccia di sorpresa nella prima voce, solo irritazione per quel contrattempo.
«... No... mi spiace.»
«Scoprilo e tienimi informato,» il primo interlocutore stava per riagganciare, disgustato. Una domanda dell'altro lo bloccò a metà del gesto.
«Andiamo avanti comunque?»
Un attimo di riflessione, poi la risposta.
«Sospendete tutto. Voglio prima sapere con cosa o chi abbiamo a che fare.»

Quando mi risvegliai non avevo certo di che rallegrarmi.
Mi trovavo in una stanza spoglia che prima di allora non avevo mai visto. Era completamente vuota e il pavimento di ruvida pietra, fastidiosamente duro sotto il mio corpo, emanava un freddo intenso.
L'unica fonte di luce era una fiaccola, di quelle che normalmente immaginiamo punteggino i muri dei castelli medievali. Quell'ambiente assomigliava in modo inquietante ad una prigione e avevo la strana sensazione di trovarmi sottoterra. Cercai di trovare una posizione più confortevole per le mie membra intorpidite e mi resi conto con un moto di panico che ero incatenata al muro. Dov'era Kendrene?


Poi eccola materializzarsi improvvisamente di fronte a lei come uno spirito dell'aria. La vampira più antica era splendida e Robin, incapace di distogliere gli occhi, la contemplava con stupore, intrappolata com'era nella sua magia.
Fin dal loro primo incontro l'aveva vista indossare abiti moderni, ma ora le appariva vestita come una dama, come doveva essere stata vestita quando era morta.
La stoffa dell'abito era tinta di quello stesso verde cupo che si ritrova nelle foreste incontaminate del profondo nord e la Master portava i capelli sciolti, una cascata color nocciola che ricadeva sulle sue spalle nude.
La luce della torcia traeva da quelle onde morbide cangianti riflessi rossi e dorati e dalla sua figura immobile era maestosa quanto quella di una regina.
Poi la vampira parlò e a Robin sembrò che la sua voce frantumasse il silenzio in una miriade di schegge.
«Non vorrei dover ricorrere a certi metodi, ma tu non mi lasci altra scelta.»
Robin si mosse, facendo tintinnare le catene e accennò una protesta, ma Kendrene alzando la mano in un gesto imperioso le impose il silenzio.
«Da secoli desideravo una compagna con cui dividere la mia esistenza,» la non-morta fece una pausa e avvicinatasi, le pose una mano sotto il mento obbligandola ad alzare gli occhi su di lei, «e ho scelto te. Ti ho donato l'eternità ed ora voglio che tu mi dimostri di esserne degna.»
La sua espressione si fece cupa ed il suo sguardo ancor più penetrante. Robin avrebbe voluto distogliere gli occhi, ma la vampira le strinse il mento con dita d'acciaio, scavando solchi dolorosi nella sua carne.
«Avrebbe potuto essere tutto più semplice,» riprese la Master, «ma con la tua testardaggine hai scelto la via del dolore. Rimarrai qui sino al mio ritorno, tormentata dalla fame. Quando tornerò porterò con me il tuo pasto e tu mi mostrerai che puoi sopravvivere da sola.»
La rabbia di Kendrene si dissipò in un istante, così com'era venuta e la sua voce si addolcì.
«Potrei nutrirti con il mio sangue,» accarezzò il volto di Robin e la ragazza non riuscì a trattenere un gemito d'aspettativa. "So che lo desideri più di ogni altra cosa," Kendrene sorrise.
«Medita su queste parole, cucciolo. Se davanti alla tua preda rifiuterai di nutrirti, io ti ucciderò. Anche i vampiri muoiono.» Quelle parole erano intrise di terribile minaccia, ma il viso della rediviva era privo di ogni emozione.
«Dimostrami che trasformandoti non ho commesso un errore,» premette dolcemente le sue labbra su quelle di Robin e la giovane cercò di trovare in quel gesto un po' di conforto.
Poi, spenta la torcia, Kendrene uscì dalla stanza e l'eco dei suoi passi venne inghiottito dal buio.

Le parole di Kendrene avrebbero dovuto gettarmi nella disperazione. Invece, con l'arroganza tipica dei giovani, mi dissi che in fondo, se già una volta avevo resistito alla sete, avrei potuto farlo di nuovo. Avevo ancora molto da imparare.
Dopo un giorno - ma non sono certa del tempo trascorso poiché quando si è al buio tenere il conto delle ore diventa difficile - era incominciata la mia lenta agonia. Avrei dato qualunque cosa per un po' d'acqua, venduto l'anima al demonio per del sangue. Giunsi al punto di mordermi le mani pur di sentirne il sapore.
Più tardi ricevetti delle visite...


Una risata crudele nell'aria. Robin alzò il capo e si guardò attorno, ma per quanto si sforzasse non distingueva altro che tenebre.
"Sei morta, morta..."
Una voce maschile, un ricordo di tanti anni prima. Il rumore della pioggia. Robin urlò, coprendosi il volto con le mani. Non voleva rammentare, non doveva...

«Non è giusto mamma, io voglio uscire in giardino a giocare!»
Una mano gentile accarezzò la testa della bambina.
«Oh tesoro, ma non vedi come piove? E poi tra poco sarà ora di cena. Che ne diresti di darmi una mano ad apparecchiare la tavola?»
La bambina volse nuovamente lo sguardo all'esterno, schiacciando il naso contro il vetro della finestra.
«Non mi va,» mugugnò imbronciata.
La donna scosse il capo, divertita.
«Come preferisci. Ma in questo caso niente dolce dopo cena.»
Sua figlia la fissò indignata poi, con un borbottio intelligibile, abbandonò la propria postazione e prese a rovistare di malavoglia nella credenza.
Il campanello suonò all'improvviso, infrangendo la quiete domestica e la piccola corse alla finestra, lieta di avere una scusa per interrompere quel lavoro che detestava con tutto il cuore.
Cercava, strizzando gli occhi di capire chi era stato a suonare, ma la fitta pioggia confondeva ogni cosa e il cortile era pieno di ombre.
«E' tornato papà?» chiese speranzosa.
«Non credo proprio, Robin. Ora vado a vedere, tu rimani qui d'accordo?»
La bimba annuì compita, ma non appena sua madre si allontanò, la seguì senza fare rumore. Era una bimba troppo curiosa per restare dove le era stato detto.
Appeso al muro in ingresso c'era un grande specchio e Robin sapeva che, rimanendo nel corridoio, avrebbe potuto vedere il nuovo venuto nel suo riflesso.
Si accoccolò vicino al muro e vide che la madre di spalle, apriva la porta senza però togliere il catenaccio.
Il freddo e l'umidità della notte penetrarono in casa, giungendo fino a lei e la fecero rabbrividire.
Le voci degli adulti le arrivavano smorzate, ma lei non si curava nemmeno di ascoltare. Ciò che le importava era l'aspetto dello sconosciuto, ma la porta chiusa per metà le impediva di vederne il volto.
D'improvviso sua madre si portò una mano al volto. Pareva sconvolta - forse a causa di qualcosa che le era stato detto - e aprì la porta, facendo entrare il forestiero.
Robin fissò accigliata lo specchio. Lo straniero che pure sentiva discorrere a bassa voce con sua madre non gettava alcuna immagine sulla superficie brunita.
La bambina intuì che in quello c'era qualcosa di estremamente sbagliato e avrebbe voluto avvisare la madre, ma sapeva che non sarebbe stata creduta.

Robin strattonò le catene, come se liberandosi da quei pesi metallici potesse fare altrettanto con i ricordi, ma gli anelli che le assicuravano al muro erano radicati troppo in profondità nella pietra e non cedettero.
La giovane rediviva si accasciò sfinita sul pavimento, piangendo. Il dolore di quella tragedia lontana straziava la sua mente come una bestia selvatica con la propria preda. Persino il tormento della sete impallidiva al confronto.

Robin non ricordava il momento esatto, ma ad un tratto l'elettricità era saltata, immergendo la cucina in un buio misericordioso che diminuiva in qualche modo l'orrore degli istanti appena vissuti. Solo un lampo di tanto in tanto squarciava le tenebre, ma in quei pochi attimi di luce i dettagli rimanevano confusi ed irreali.
La bambina si acquattò ancor di più sotto al tavolo, stringendosi le ginocchia al petto.
L'uomo nero era ancora lì, lei lo sapeva perché poteva sentirne l'odore nauseabondo. Robin aveva sentito un puzzo simile una sola volta, quando i genitori l'avevano portata a visitare un rettilario. Quella gita non le era per niente piaciuta.
Sentì qualcosa di umido sotto una mano e ansimò spaventata. Era un liquido scuro e appiccicoso che nella semioscurità sembrava nero. Il pavimento ne era ricoperto.
L'uomo nero si avvicinò al suo nascondiglio, le scarpe eleganti sul pavimento non facevano rumore.
«So che sei li sotto, carina. Devo venire a prenderti io?»
La sua voce bassa e dolce sembrava persino gentile, ma Robin non si fece ingannare. Aveva visto il lampo di malvagità che aveva attraversato lo sguardo del mostro quando aveva aggredito sua madre. La bimba iniziò a spostarsi all'indietro con cautela, stando ben attenta a non urtare le sedie. Il tavolo, sua unica protezione, venne sollevato d'improvviso e scagliato con violenza contro la parete opposta, fracassandosi in un'esplosione di schegge.
Robin urlò quando mani crudeli la afferrarono, stringendo dolorosamente le sue braccia.
«Non è così che si accolgono gli ospiti, piccola,» sibilò il forestiero, obbligandola a volgere il viso verso il suo.
Quindi le afferrò una ciocca di capelli, tirandoli con violenza e gli occhi della bambina si velarono per il pianto.
Sentì sul viso il suo tocco gelido poi il mostro deterse le lacrime dai suoi occhi e con espressione estatica si portò una mano alla bocca, leccandosi le dita.
«Non piangere per la mamma, carina. E' come se fossi già morta anche tu.»

Robin si rannicchiò su se stessa, premendo il viso contro la parete. Avrebbe voluto piangere ancora, ma non aveva più lacrime.

Quella prigione era in realtà una tomba. In un momento di lucidità pensai che se Kendrene non fosse tornata presto sarei impazzita. Se almeno mi avesse lasciato il conforto della luce...
Lo sentivo strisciare nel buio appena fuori della portata del mio braccio. Era l'unico essere per cui avessi mai nutrito un odio tanto assoluto. Rideva e si prendeva gioco di me che, dopo tanti anni passati a combattere la mia guerra personale, ero caduta sul campo e divenuta uguale al nemico.
Poi sopraggiunse un altro ricordo...


L'odore acre della carne bruciata permeava l'aria. Il non-morto, inchiodato a terra dal peso dell'Esecutrice si contorceva nel disperato tentativo di liberarsi e le sue unghie le laceravano la pelle degli avambracci, attraverso il tessuto della camicia leggera. Robin non faceva caso al bruciore dei tagli e, mentre un ringhio orribile le contorceva il volto continuava a premere la pesante croce d'argento sul viso del vampiro.
I lineamenti di Wypion erano ormai irriconoscibili e tra i brandelli di carne annerita si intravedeva il candore delle ossa.
«Hai stuprato mia madre prima di ucciderla, maledetto bastardo! Adesso hai capito chi sono?»
Robin non si illudeva che l'altro potesse rispondere, ma ricoprirlo d'insulti le impediva di pensare.
Aveva atteso quel momento per anni e ora che stava finalmente portando a termine la sua vendetta, come aveva giurato tanto tempo prima, non provava sollievo né gioia.
Lóng l'aveva avvertita che sarebbe stato così, ma lei, invasa dalla furia, non gli aveva creduto.
Alla fine l'Esecutrice, sfinita e nauseata, si scostò dal vampiro e la croce le cadde di mano, finendo dimenticata nel fango.
Robin rimase per un istante a contemplare la sua opera poi si rialzò, soffocando un gemito.
Wypion non si muoveva più: alla fine era veramente morto. La ragazza avrebbe desiderato bruciarne il corpo, per cancellare quell'espressione irridente che, anche nella morte era stampata sulla sua faccia ustionata, ma sarebbe stato meglio lasciarlo come monito per gli altri redivivi.
"Così sapranno che c'è una nuova cacciatrice sulla piazza!" pensò cupamente mentre tornava alla macchina.

Esausta me ne stavo sdraiata sul pavimento, perfettamente immobile, per non sprecare nemmeno una briciola della poca energia che mi era rimasta. La bramosia di sangue sembrava essere divenuta parte integrante di me e oramai non facevo nemmeno più caso al dolore che mi provocava. Nemmeno il rumore della porta della mia prigione che veniva aperta riuscì a smuovermi. Eppure avevo pregato tanto...

Kendrene entrò nella stanza senza far rumore e la torcia che portava con sé proiettò la sua ombra contro il muro opposto, facendola apparire un gigante deforme. Robin giaceva a terra, apparentemente addormentata e le catene che le stringevano i polsi avvolgevano il suo corpo come un serpente argentato.
La Master si richiuse la porta alle spalle, frenando l'impulso di correre dalla vampira più giovane per confortarla.
"A ghràt... vorrei tanto averlo potuto evitare..."
Quasi avesse percepito quel pensiero, e probabilmente era così, Robin si mosse, emettendo un debole gemito. Cercò di volgere lo sguardo in direzione dell'altra, ma subito fu costretta a nascondere il viso alla luce che, come la lama di una spada, le trafiggeva gli occhi.
Kendrene le si avvicinò e inginocchiatasi, la liberò dalle catene, lasciando che ricadessero sulle pietre con un tintinnio stridulo.
Robin, i cui occhi si erano ormai abituati al chiarore delle fiamme, alzò lo sguardo a fissarla.
"Ho sperato..."
Quel pensiero carico di sofferenza, le sfiorò la mente e Kendrene sussultò involontariamente. Avrebbe desiderato trarre a sé quel corpo torturato e trasmettergli il proprio calore, ma ancora non era il momento della compassione. Doveva mostrarsi crudele o Robin non sarebbe mai riuscita a resistere in quel nuovo mondo che era tanto diverso da quello umano.
"Cosa mi hai fatto?" pensò la Master mentre aiutava la giovane a sollevarsi dal pavimento, "mai da quando sono divenuta immortale ho provato simili sentimenti..."
Mantenne il contatto fisico solo per il tempo necessario ad assicurarsi che l'altra potesse stare seduta senza aiuto, poi con un movimento incredibilmente veloce si portò all'altro capo della piccola cella.
«Robin,» la sua voce risuonò fredda e impersonale, celando il tumulto interiore, «dimmi che cosa senti.»
La giovane si concentrò sulle sensazioni che l'ambiente le trasmetteva, ma mantenere la mente su un unico pensiero le risultava difficile. Un suono strano e umido attirò la sua attenzione. Era una pulsazione sorda, un richiamo irresistibile quanto il canto di una sirena. Proveniva da una forma scura, abbandonata al centro della stanza che prima, nella luce incerta, non aveva notato.
Robin si staccò dal muro e con movimenti lenti e guardinghi perché le gambe malferme non la tradissero, si avvicinò.
"Un cuore," la comprensione arrivò improvvisa, "si tratta di un cuore umano." Qualcosa scattò dentro di lei e la sua bocca si riempì di saliva. Robin scosse il capo più volte, tentando di tenere a bada la bestia oscura che sentiva agitarsi nelle profondità del suo spirito. Aveva inconsciamente proteso una mano per sfiorare quel corpo caldo, vivo, ma per paura di perdere il controllo la ritrasse, conficcandosi le unghie nella carne.
Kendrene teneva gli occhi dorati fissi su di lei e nella sua assenza di movimento era un nulla terribile, quasi non fosse realmente lì.
«Non scarti il mio regalo?» sussurrò alla fine la non-morta, dissipando il silenzio.
Robin avrebbe voluto girarsi a guardarla, ma il calore della vita che stava tra di loro continuava a chiamarla a sé e per quanto lo desiderasse lei non era abbastanza forte da spezzare quell'incantesimo.
Con mani tremanti scostò il ruvido cappuccio che copriva il capo della vittima che le era stata portata.
Nello scoprire che Kendrene aveva scelto per lei una ragazzina, fu invasa dalla collera e sibilò piano, volgendosi finalmente a fronteggiare la sua Master.
«Non sei obbligata.»

Lo sapevo bene. Ma, mi chiesi in quel momento, volevo davvero conoscere il riposo eterno? La risposta era che per quanto i vampiri mi ripugnassero, ero spasmodicamente attaccata a quella non-vita, come se mi fosse stata data una seconda possibilità. La vigliaccheria è un sentimento molto umano, non trovate?
Kendrene intuì quello che stavo pensando e sorrise...


"Darei la mia vita per proteggerti," pensò Robin ritrovandosi a scrutare tristemente il visetto ignaro della bambina, "ma non ho più una vita. Spero che potrai perdonarmi."
La piccola sembrava non rendersi conto di nulla. I suoi occhi chiari erano vacui e Robin sapeva che ciò era dovuto ai poteri ipnotici di Kendrene.
All'improvviso sbatté le palpebre e sospirò, come se fosse riemersa da un sonno profondo. Poi notando l'ambiente estraneo che la circondava si guardò attorno ad occhi sgranati. Il suo sguardo scivolò su Kendrene senza notarla e poi si appuntò su Robin.
«Dove sono?»
La giovane vampira tese una mano ad accarezzarle la guancia.
«Non avere paura piccola.» Avrebbe voluto chiederle il nome, ma si trattenne. Conoscerla avrebbe in qualche modo reso più acuto il rimorso.
La bambina inclinò il capo, mentre un lampo di curiosità infantile le attraversava il viso.
«Signora, stai male? Sei così pallida...»
La bocca di Robin si tese in un sorriso amaro.
«No piccola. Sono solo stanca,» le tese le braccia e nel contempo penetrò nella sua coscienza indifesa, come le suggeriva l'istinto. La bambina le si accostò fiduciosa e lasciò che le sue braccia la cingessero, come un rifugio sicuro.
"Non soffrirà se tu non lo vuoi." Kendrene si mosse impercettibilmente e Robin annuì.
«Mi riporterai a casa?» la bambina appoggiò la testa sulla sua spalla e si accoccolò contro di lei, vinta da una sonnolenza improvvisa.
"Sì. A casa."
Poi Robin scostò i suoi capelli, scoprendo la gola, e chinatasi su di lei, cominciò a nutrirsi.

La strinsi a me per molto tempo sentendo il suo corpo diventare sempre più freddo contro il mio. Pensai a tutte le persone che l'avrebbero cercata invano, alla disperazione di sua madre che forse per anni avrebbe continuato a tenere in ordine la sua camera vuota, nella speranza che lei tornasse. Il rimorso già mi strisciava addosso come un ladro nella notte. Con uno sforzo indurii il mio cuore, imponendomi di non provare nulla e mi abbandonai allo scorrere impetuoso del sangue vivo che fluiva dentro di me.
Forse un giorno avrei potuto ripagare il suo sacrificio, compiendo un bene più grande...


La pioggia inzuppava la camicia di Robin, incollandola al suo corpo. Si raddrizzò, massaggiandosi la schiena. I muscoli delle spalle le dolevano terribilmente per lo sforzo che aveva sostenuto, ma il dolore maggiore era quello che si annidava dentro di lei.
Fissò la fossa che aveva scavato con occhi spenti, poi si chinò e sollevò il cadavere della bambina che aveva precedentemente avvolto in una coperta.
Con attenzione calò il corpo nella buca che a causa del nubifragio si andava già riempiendo d'acqua.
"Non posso nemmeno darti una sepoltura decente," rifletté amaramente.
Si rialzò, affondando le mani nel fango per aiutarsi e d'improvviso percepì la presenza di Kendrene alle sue spalle, come un'onda di calore che premeva sulla sua schiena.
«Avrei potuto farlo io,» sussurrò la non-morta più antica.
«Mi è stato insegnato a prendermi le mie responsabilità,» rispose Robin senza voltarsi.
La sua Master le si avvicinò, cingendole le spalle con un braccio e le pose una mano sotto il mento, facendole alzare il viso.
«Permetterai almeno che ti aiuti?» le chiese dolcemente.
Robin annuì, incapace di parlare.
Insieme raccolsero gli attrezzi che Robin aveva usato e ricoprirono di terra la morta.

Il cadavere, nascosto dal sudario improvvisato, scomparve a poco a poco, fagocitato dal fango. Alla fine esausta, mi appoggiai alla pala e chiusi gli occhi. Mi chiesi per un istante se la bambina fosse l'unica vittima della sete sepolta in quel grande giardino. Decisi, non appena formulato quel pensiero, che non volevo saperlo.
Avrei voluto dire una preghiera, ma come poteva un essere blasfemo come me rivolgersi a Dio e soprattutto sperare di essere ascoltato?
Quella constatazione rendeva in qualche modo tutto più patetico.
Sentii che Kendrene era rientrata in casa, lasciandomi sola sotto la pioggia. Forse non capiva la mia sofferenza, però la rispettava a tal punto da non tentare di lenirla e per quello le ero grata.


Il vapore annebbiava la vista e si raccoglieva in gocce scintillanti sulla sua pelle. Robin si appoggiava al muro con le mani aperte, e l'acqua della doccia, tanto calda da provocarle fremiti di dolore, fluiva violentemente sulla sua schiena.
La giovane vampira sospirò, chinando il capo. L'acqua aveva da tempo cancellato il sangue e la terra che l'avevano imbrattata, ma lei non si sentiva minimamente purificata. Prima o poi avrebbe dovuto abbandonare la relativa sicurezza di quel liquido abbraccio e la prospettiva non era delle più allettanti. Dopo quanto era successo era davvero impossibile prevedere cos'altro il destino le avesse riservato.
L'acqua venne a mancare d'improvviso e Robin sobbalzò, alzando la testa di scatto. Kendrene si era avvicinata alle sue spalle, ma la sua mente antica aveva obnubilato quella della vampira più giovane impedendole di notare la sua presenza.
La Master le cinse la vita con un braccio e la attirò a sé. Un improvviso rossore salì alle guance di Robin quando si rese conto che anche l'altra era nuda.
La risata divertita di Kendrene parve avvolgerla e riscaldarla come una coperta. La non-morta premette il viso contro il suo collo e con un guizzo della lingua lambì il segno del morso che, ancora, non si era rimarginato.
Robin gemette piano, poi scuotendo la testa si scrollò come un cane che uscisse dall'acqua.
«Non sono dell'umore adatto per fare sesso.»
Kendrene la fece voltare, in modo da guardarla in viso e la spinse gentilmente contro il muro.
Si chinò su di lei, fino a che le loro labbra non si toccarono e la baciò avidamente, insinuando la lingua nella sua bocca ad esplorare senza vergogna ciò che era suo.
Con un movimento languido, quasi felino, prese Robin per i polsi e la obbligò a portare le braccia sopra la testa. Poi, trattenendola con una sola mano, scese con l'altra ad accarezzarle il viso.
«Non lo definirei sesso,» precisò con voce roca, «piuttosto conforto reciproco.» La baciò ancora e il contatto divenne ben presto qualcosa di più. Kendrene le divorò la bocca, invasa da una bramosia violenta e quando le morsicò il labbro inferiore con le zanne, Robin avverti il gusto metallico del sangue. Sentiva scorrere sulla sua pelle il desiderio della compagna, a stento trattenuto.
Kendrene si staccò da lei per un istante e la fissò ad occhi sgranati. Le pupille si erano tanto rimpicciolite, diventando quasi invisibili in mezzo al mare dorato delle iridi, da farla sembrare cieca.
Un po' di sangue le era rimasto sulla bocca e la non-morta si leccò deliberatamente le labbra ad occhi socchiusi.
«Non ho mai voluto qualcuno in questo modo...» un tremito la scosse e strinse spasmodicamente la presa sui polsi di Robin.
La giovane vampira represse un ansito, ferendosi ancor più profondamente le labbra con le zanne. Il dolore era piacevole.
Kendrene allentò la presa, poi fece scorrere le mani sui suoi avambracci e più giù, fino a posargliele sulle spalle. L'altra cercò di abbassare le braccia, ma una pressione improvvisa delle mani di Kendrene la indusse a fermarsi.
La Master si appoggiò a lei e avvicinò il proprio volto al suo, guancia contro guancia.
«Io non lo farei se fossi in te,» disse con una strana luce nello sguardo, «voglio che tu tenga le braccia in alto. Certo capirai... le mani mi servono e se dovessi trattenerti non potrei farti molte delle cose che ho in mente.» Rimase in silenzio per qualche istante, ma Robin poteva avvertire il suo divertimento, come una massa calda alla bocca dello stomaco.
«Se ti muoverai, qualsiasi cosa io stia facendo smetterò,» le mordicchiò giocosamente il lobo dell'orecchio, «e tu non vuoi che smetta, vero?»
Incapace di formulare una frase coerente, Robin scosse il capo con veemenza, strappandole una risata.
"Il mio cucciolo... capisci sempre così in fretta." La mente dell'antica si fuse con la sua e Robin si vide attraverso gli occhi dell'altra come non si era mai immaginata.
Fu una strana sensazione di sdoppiamento quasi che lei si fosse divisa, diventando due persone distinte eppure unite da una forza invisibile che pure le pareva di poter scorgere di sfuggita come un tremolio dell'aria intorno a loro.
"Come?"
"Sei mia figlia."
"Questo dovrebbe spiegare tutto?" a Robin occorse uno sforzo enorme per formulare quel pensiero. Le continue carezze di Kendrene erano una distrazione difficile da ignorare.
"Molto più di quanto immagini."
Il sorriso della Master, mentre si chinava di nuovo su di lei, sfiorandole la gola con la lingua, era quello di chi custodisse gelosamente un segreto.
Le labbra di Kendrene tracciavano oscuri sentieri sulla carne dell'altra tanto che le era impossibile capire dove il tocco successivo si sarebbe posato. Robin gemette, spingendosi contro di lei, seno contro seno e sfregando i capezzoli inturgiditi contro quel corpo, così caldo che sembrava ardere come fuoco.
Le mani di Kendrene si insinuarono tra quelle membra palpitanti e sfiorarono il suo ventre, risalendo poi verso i seni, lentamente in una dolcissima agonia.
Robin chiuse gli occhi e inarcò la schiena, tentando di stringersi di nuovo a lei, ma Kendrene la teneva a distanza, limitandosi ad accarezzarla in modo appena percettibile.
«Ahh... ti prego...»
I suoi occhi si riaprirono di scatto, quando sentì che una gamba di Kendrene si era insinuata tra le sue, premendo contro il suo sesso.
Avrebbe voluto gridare, ma d'un tratto le era mancata la voce e si limitò a fissare la sua amante, desiderando di essere presa in quell'istante, poiché il piacere che la colmava si stava rapidamente tramutando in una sofferenza tormentosa.
Con uno scatto involontario mosse il bacino, cercando di raggiungere l'orgasmo che sapeva essere così vicino.
Kendrene scosse il capo, ritornando ad allontanarsi da lei e Robin percepì una nostalgia insostenibile come se le avessero detto che l'inverno seguente sarebbe durato in eterno.
«Non sei ancora pronta, piccola,» la voce di Kendrene pareva cullarla, come quella di sua madre tanto tempo prima.
"Forse posso rimediare..."
Le mani della Master ritornarono ad indugiare sul suo seno, questa volta con violenza, stringendo ritmicamente le dita su di lei e graffiandola, fino a che stille di sangue non le sporcarono le dita. Le mani di Kendrene sembravano in qualche modo più ruvide e lo sfregamento continuo sulla pelle arrossata, provocò in Robin uno spasimo che parve volerla scuotere all'infinito, mentre fitte ombre nere le annebbiavano la vista.
Quando tornò a vedere, il viso di Kendrene era premuto contro il suo petto. i delicati tocchi della sua lingua umida esploravano il suo seno poi, in un lampo d'estasi accecante, Robin sentì che la bocca della sua amante si chiudeva prima su un capezzolo e poi sull'altro, succhiando con dolcezza la carne tenera.
Lacrime di frustrazione le riempirono gli occhi, intrappolate per un istante come cristalli tra le sue ciglia e poi colando calde sulle sue guance.
Le mani di Kendrene le carezzarono il volto poi se le portò alla bocca, leccando le dita una per una.
«Così dolce...» disse in un sospiro.
Robin la fissava ad occhi spalancati. Quel gesto era così simile a quello di Wypion tanti anni prima...
Si conficcò le unghie nel palmo della mano, sperando che quel dolore pulsante cancellasse i ricordi, ma scrollarseli di dosso le era impossibile.
Kendrene percepì il suo turbamento e dolcemente la attirò nel rifugio sicuro delle sue braccia, mormorando parole sommesse, in una lingua che la giovane vampira non poteva capire.
Incapace di parlare Robin affondò il viso nei lunghi capelli dell'altra, lasciando che il suo sentore antico, così familiare la circondasse.
«Voglio dimenticare,» mormorò infine con voce spezzata, «fammi dimenticare.»
L'altra annuì e mentre con un braccio continuava a stringerla per la vita, portò l'altra mano verso il suo inguine e tra le sue cosce, sfiorando per alcuni istanti il suo centro, prima di penetrarla delicatamente.
Rimase immobile per alcuni momenti dentro di lei, temendo che Robin si sarebbe spaventata se avesse agito con troppa foga, ma poi avvertì la contrazione dei muscoli fradici che si rinserravano sulle sue dita e il lungo lamento di Robin, mentre questa cominciava a muoversi, spingendo il bacino contro il suo.
Kendrene adeguò le proprie spinte a quelle dell'amante, riportandola ben presto vicino al culmine del piacere.
Un pensiero confuso, proveniente da Robin si fece strada nella sua mente e lei, sorridendo compiaciuta, acconsentì alla richiesta, insinuando un altro dito dentro di lei.
Il desiderio di Robin crebbe ancora e poi all'improvviso la giovane le si abbandonò contro, ansimando, mentre l'orgasmo s'impadroniva di lei rilassando tutto il suo corpo.
Kendrene continuò a sorreggerla, sapendo quanto avesse bisogno della sua vicinanza.
Il calore tra le sue gambe però non si era attutito e anzi, la vista della compagna che veniva davanti a lei l'aveva eccitata ancora di più.
Robin sollevò gli occhi che stavano riassumendo la loro limpidezza abituale e incrociò quelli dorati della Master, condividendo con lei le proprie sensazioni.
Poi distolse lo sguardo, facendolo scorrere lungo il corpo pallido dell'altra donna, timido e famelico allo stesso tempo.
«Letto,» disse quasi in un ringhio, spingendo con decisione la rediviva più vecchia verso la loro stanza.

Non avrei mai pensato che la mia prima volta sarebbe stata così dolce né che avrei saputo muovermi con tanta sicurezza tra le curve morbide di lei. D'altronde Kendrene era un'ottima insegnante. Ci prendemmo a vicenda per tutta la notte, rimarcando il nostro reciproco possesso e alla fine ci abbandonammo sfinite tra le lenzuola, incuranti del sole che splendeva con forza, imprigionandoci tra le ombre, e dei pericoli che i giorni successivi avrebbero portato.

     Deep inside your soul there's a hole you don't want to see,
     every single day what you say makes no sense to me
     even though I try I can't get my head around you.

     Somewhere in the night there's a light in front of me
     Heaven up above with a shove, abandons me.
     And even though I try I fall in the river of you,
     you've managed to bring me down too.

     All you're faking,
     shows you're aching

     Every single day what you say makes no sense to me,
     lettin' you inside, isn't right, cause you'll mess with me.
     I never really know what's really going on inside you,
     I can't get my head around you.

     All you're feeling,
     shows you're bleeding

     Deep inside your soul there's a hole you don't want to see,
     you're covering it up like a cut with the likes of me.
     You know I've really tried,
     I can't do anymore about you.

     The cut's getting deeper.
     The hill's getting steeper.
     I guess I'll never know what's really going on inside you,
     I can't get my head around you.


"Can't get my head around you" The Offspring

... continua...














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