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Titolo: L'ago nel pagliaio
Autore: Dandy Vainwall
Serie: Darkover di Marion Zimmer Bradley e il gioco "The Elvas Project" ad esso ispirato
Pairing: Dannil x Juliano
Spoiler: conclusione del racconto "Alla fiera di Dembe" di Dannil Macrae y Lindir-Aillard
Rating: NC-17 - X - Yaoi
Parti: 1
Status: concluso
Disclaimer: tutti i diritti su Darkover sono di Marion Zimmer Bradley e di chi la rappresenta. I personaggi di Elvas appartengono agli autori delle storie che li coinvolgono
Archivio: HSC

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: L'ago nel pagliaio :

< Dandy Vainwall >



La giornata era passata, il sole aveva lasciato il posto alla pioggia e questa alla neve... così presto dopo il tramonto che non c'era stato il tempo di finire quello che si doveva fare.
"E accidenti a me se ho ancora l'energia per muovere un solo passo!"
Posai la sella di Alar al suo posto e scelsi una balla di fieno dove sedermi... tutto sommato le aspettative della mattinata erano presto naufragate nei dubbi del pomeriggio e nella tristezza della sera... qualcosa era cambiato in Juliano, qualcosa di impercettibile, poiché era sempre lui, ma qualcosa era cambiato. Stava crescendo: era un uomo. Ed io ero un bambino. Avrei voluto raggiungerlo, fare un passo ed avere la sua età. Com'era quella leggenda? La principessa nella Bara di Cristallo? In attesa di riprendere il suo regno dei monti, o in attesa del suo promesso sposo di ritorno dal regno dei morti... aaah! Non mi ricordavo più. Arliss le sapeva raccontare bene, le favole e le storie; io invece...
All'improvviso la porta laterale della stalla si aprì piano con un cigolio sinistro sui cardini di legno.
«Sei qui, dom?» mi disse Juliano.
"Che domanda cretina," pensai io, "mi vedi, no?"
«Che cos'hai? Stai male?»
"Eccoci, siamo alla chioccia con il pulcino..."
Intanto lui si era avvicinato, dannate le sue gambe lunghe...
«Non capisco, a cena non hai toccato quasi niente, eri distratto... e ora ti trovo qui...» mi disse, guardandomi negli occhi. Sentii l'esplorazione incerta dei suoi pensieri, un frullo di note di flauto, fluttuanti ai confini della mia barriera mentale: cercava il contatto, come un tempo. «Bredu, che succede?»
"Sono qui," inviò alla mia testa.
Serrai la mia mente, malgrado il mio bisogno della sua vicinanza... cosa non andava? Era solo il mio umore? Era meglio allontanarlo, tenerlo a distanza. Juliano rimase in piedi davanti a me, atterrito... mai l'avevo escluso dalla mia mente.
«Ho... ho fatto qualcosa che...» cominciò, turbato.
«No. Nulla, Julo. Ma voglio stare solo,» mi affrettai io a dire, deciso, «sono solo un po'...» espirai a fondo l'aria che avevo in corpo, «triste.»
«Cosa c'è, dom? E' dal Solstizio che non parli più con me... »
La mia mente si chiuse con forza... questa volta non per colpa mia... era il potere della Madre... la sua voce nella mia mente... "mai, mai, mai!"
"Mai parlare con nessuno dei riti, dei Solstizi, del donas, dei chieren, di Cassilda, degli equinozi..."
Ma il segreto non era in pericolo... Juliano era mio fratello di spada... "Mai, mai! Solo con chi già conosce il Segreto..."
La Madre e le leroni avevamo pasticciato con la mia mente? Come con Arliss? Cosa aveva detto, durante la prova? ... ricordai subito:
«Non so come ci sono riuscita, se non dovevo partire per incontrare i chieren non ci pensavo, semplicemente...»
E la Madre aveva aggiunto: «Io ho bloccato i suoi pensieri per evitare che il segreto fosse divulgato ad altri...»
Restai lì, gli occhi sbarrati per un attimo, poi ripetei a mia volta un'altra frase di Arliss. «Ti giuro che non è mia intenzione ingannarti, bredu
«Ingannarmi? Perché dovresti, Dannil?» domandò il mio scudiero, osservandomi. Mi ripresi subito... avevo la mente serrata e ripiegata all'interno, come un guanto a cui riparare una cucitura... mi morsi il labbro, per parlare, sbiancai... anch'io ero diventato diverso, e davo la colpa tutta a Juliano, da quel bambino che ero. Cominciai a piangere amaramente.
«Bredu! Che cosa ho fatto?» chiese preoccupato lui, ancora in piedi di fronte a me... si chinò sollevandomi il mento con la mano...
Scostai le sue dita calde e nascosi il viso... avevo più segreti io per lui che lui per me... Juliano mi aveva raccontato le sue avventure, io non potevo farlo.
«Tu? Nulla, caryu,» ammisi, cosa potevo rimproverargli, veramente? «Sono solo triste...»
Lui s'inginocchiò di slancio di fronte a me. «Perché? E' successo qualcosa ad Arliss?»
«No, no... nulla. Sono io...» negai io, «vorrei...»
«Vorresti?» mi chiese, disarmante.
«Vorrei...» m'interruppi nuovamente. I suoi occhi grigio scuro erano ingenuamente limpidi, puntati nei miei, non si rendeva conto che mi mancava sempre, quando eravamo separati? Cercò di nuovo il contatto, e stavolta lo lasciai fare. Mi vergognavo dei miei sentimenti un poco sciocchi, e di avere bisogno di lui, come avevo bisogno di mia sorella... perché era il mio caro bredu. Lui percepì la gran parte del subbuglio che erano i miei pensieri, e rimase fermo per un attimo, incerto. Io però mi feci forza, e presi la sua mano forte, poggiata sulla mia gamba.
«Siamo bredini, lo sai... » dissi, a mo' di spiegazione.
Lui sembrò capire. «Lo siamo, Dannil,» mi strinse la mano, «non dubitarne mai, per sempre.»
Mi feci forza un'altra volta, volevo che fosse chiaro anche a lui quello che mi stava torturando, non gelosia o senso di possesso, quello mai, ma il bisogno, anche fisico, di lui. La sua vicinanza mi faceva respirare meglio, poiché quando ero schiacciato, abbattuto, potevo sempre appoggiarmi a lui. Non avevo paura perché lui ed Arliss erano con me. Mi guardai intorno, a quest'ora nella stalla non c'erano che i cavalli, e gli stallieri erano nella camera comune a dormire.
«Per sempre,» ripetei, «tu ed io e Arliss. Non dimenticarlo.»
«Come potrei?» domandò lui. "Non vivrei senza di voi... morirei per voi!" Sentii dalla sua mente. Mi tranquillizzai molto, poiché la telepatia è un linguaggio senza compromessi, e non si può mentire coscientemente. Un cauto sorriso spuntò sulle mie labbra, mi sporsi ad abbracciarlo, visto che i nostri corpi erano alla stessa altezza. Lui contraccambiò impacciato, ed io lo strinsi a me... il mio laran sensibilissimo cominciò senza volere a scandagliare i suoi pensieri, che mi giunsero in rapida successione, confusi, uno sopra (o dentro, o attraverso) l'altro. Percepii che era confuso e preoccupato... che cosa volevo dirgli? E cosa nascondevo? La mia pelle bruciava dal calore... forse ero malato? I miei capelli profumavano di fieno, ero triste, lo stringevo con forza. Sotto quei pensieri superficiali percepivo un senso di cameratismo, di possesso, che mi scaldava il cuore: "Il mio dom, il mio bredu. Lo difenderò con la vita: sono il suo uomo giurato. Bredin."
Cercai con la bocca la sua guancia, poi la bocca... lui rimase perplesso... sì... eravamo bredini, era logico che ci sarebbe stato anche questo... partecipai della sua accettazione, come se fosse nella mia mente, nel mio animo. Bene... era giusto, naturale.
Il bacio aveva perso, almeno da parte mia, la componente di affettuosità, acquistando in cambio una urgenza mai provata, un bisogno di affermazione... la partecipazione emotiva da me provata avvolse subito Juliano, che avvampò. Lui era più grande, sapeva meglio di me cosa fare, pensavo... mi staccai dalla sua bocca e mi alzai in piedi, cosa difficile perché ora lui si sporgeva verso di me, a baciarmi ancora... lo fermai un secondo con la mano. «Aspetta...» mi voltai a mezzo, poi gli presi la mano e lo guidai verso la scala che portava di sopra... c'era una stanza sopra gli stalli, dove erano stipate diverse balle di fieno e i giacigli degli stallieri più giovani, che avevano il compito di star dietro alle situazioni più particolari... una fattrice incinta, un puledro appena nato... ma in questo mese non c'era niente del genere. Salii i pioli della scala di legno e Juliano mi seguì immediatamente, capendo cosa volevo fare... mi guardai attorno e scelsi due coperte abbandonate su un pagliericcio, le presi e me le portai il più in fondo possibile, lontano dalla luce...
«Dannil,» m'interruppe lui, «non sarebbe meglio andare a casa? In camera tua... »
«No!» lo bloccai io. «Dovremmo mettere uno smorzatore... mia madre... mentre qui.. » avevo trovato il punto adatto, buttai le coperte e mi voltai. Il mio scudiero era ad un passo da me, allungammo le braccia uno verso l'altro e ci abbrancammo, come in una lotta scherzosa.
«Tua madre noterà che non sei in casa...» tentò lui.
«Può darsi,» assentii io, «ma non importa.»
Lo baciai nuovamente, con passione. Ci buttammo sulle balle di fieno, compattate per essere facilmente trasportate dabbasso, e continuammo a baciarci a lungo, lui sopra di me. Presi a passare le mani attraverso gli strati del suoi vestiti, raggiungendo la pelle calda della schiena, lui armeggiò con i lacci, sempre baciandomi. La stalla era calda, a causa del respiro degli animali, e quindi iniziai col togliere la giubba di lana grossa e la camicia che indossavo. Cominciai a baciare il suo petto muscoloso, accarezzando con le mani il suo dorso, lui guidava la mia testa con le mani fra i miei riccioli chiari, le sue brache, premute contro di me, avevano un rigonfiamento che spingeva per essere liberato... ci baciammo ancora, in profondo, la lingua giocava nella bocca dell'altro. Lui si tirò in piedi e tolse lo stivale destro, poi il sinistro, con due tonfi sordi sull'assito. Io sciolsi la fibbia di metallo della cintura e i lacci delle brache. Ancora mezzo vestito Juliano si voltò e si chinò a terra, sollevando la mia gamba fra le sue per togliermi lo stivale alto. Il gesto familiare che aveva compiuto tante volte, in qualità di scudiero, stavolta era meno rapido, quasi a sottolineare la differenza sorta nel grado d'intimità fra di noi, la nuova complicità, decisamente sessuale. Liberò il mio piede con un piccolo sforzo, poi prese l'altra gamba, cominciò a tirare, io puntai il mio piede calzato sul suo fondoschiena e spinsi, in modo scherzoso.
Gli stivali vennero abbandonati anch'essi sul pavimento, poi Juliano tornò a dedicarsi a me. Praticamente rimanevano le brache di entrambi e i calzettoni, ci liberammo di quelli con la rapidità di saette nel cielo, e lui si ributtò sopra di me... sentivo la sua eccitazione... non poteva essere altro, quell'emozione forte che riverberava nella sua mente come rintocchi di campana d'incendio... di cui avevo una prova ben più tangibile nella sua decisamente potente erezione. Ci baciammo con passione e ardore sempre crescente... il desiderio, a lungo insoddisfatto, mi spingeva ad essere affamato del suo sesso come del suo amore. Anche la mia eccitazione era visibile, nudo com'ero, quindi mi dedicai a baciarlo con passione, mentre la mia mano scendeva verso il basso. Non ero certo pratico come poteva esserlo lui... avevo tredici anni. Conscio del mio pensiero, poiché eravamo aperti l'uno all'altro, lui si scostò dalla mia bocca, mi sorrise teneramente e con gesti calmi e rassicuranti mi fece stendere sulla coperta. Lo guardavo con adorazione, perché alla luce della lanterna il suo corpo abbronzato dal sole era molto bello. Capivo perfettamente mia sorella e le donne della tenuta... ma ora era mio, solo mio. Mi appoggiò le dita sulla bocca, come a farmi tacere, poi si chinò sopra di me, sostituì le dita con le labbra, esplorò con la sua lingua la mia bocca, come facevo io con la sua, poi con un guizzo mentale che aveva del diabolico, passò con le sue calde labbra umide sulla guancia e sul lobo dell'orecchio. Le sue braccia, intanto scorrevano accarezzandomi il petto, rapide, lente, veloci, indugianti a tratti. I brividi di piacere che provavo a causa della sua bocca sul mio orecchio erano devastanti, la passione montava di mente in mente tanto che fui quasi sopraffatto, dapprima. Le mie dita esploravano la sua schiena e le sue braccia, i suoi muscoli forti, che tante volte avevo stretto in altri, più camerateschi abbracci.
"Lo so, Dannil," mi inviò la sua mente.
"Cosa?" chiesi.
"Quanto mi desideri, quanto mi desideravi," sussurrò la sua mente alla mia, con semplicità... "ora sono qui, con te! Lasciami fare, non aver paura."
"Non ho paura..." dissi. Il linguaggio mentale non permetteva di mentire, ma non avevo paura di lui... era una sensazione troppo forte, potente, martellante, essere vicino a lui, in quel momento. Le nostre menti erano lucide solo a tratti, mentre il fuoco della passione ci coglieva. Non era paura, era amore. Volevo averlo vicino, sopra, sotto, dovunque...
In quel momento il mio donas scattò, credo, per istinto... volevo lui, il suo amore. La sua mente era completamente aperta alla mia, ricettiva. Il legame che si instaurò fu doloroso solo per me, quasi mi fossi strappato una ciocca di capelli dal cranio, gridai. Lui si immobilizzò all'improvviso. Gli occhi spalancati, terrorizzati e vigili. In un certo senso l'avevo violato, più intimamente in quel momento di quanto avessi mai potuto farlo in passato e, probabilmente, di quanto avrei mai potuto farlo in futuro. Lo legai a me improvvisamente. E lui, per una frazione di secondo che parve una clamorosa vittoria, accettò anche quello, prima di soccombere al mio potere.
Riprese a baciarmi il collo, mi prese con le mani i polsi e mi costrinse tenendomi le braccia sopra la testa. Continuò a baciarmi, poi ancora sulla bocca, poi di nuovo il collo, e scese lentamente leccando la pelle. Il pomo d'adamo, lo sterno, si soffermò sul capezzolo sinistro, la testa nera si muoveva, i capelli lunghi ricadevano sul mio corpo, solleticandomi. Prese a succhiarmi il capezzolo, a mordicchiarlo senza farmi male, a stimolarlo. Le sue mani sciolsero la stretta sui miei polsi, le sue dita scivolarono piano lungo le mie braccia, carezzandole. Le sue mani erano forti e insieme protettive, i piccoli calli dell'uso delle redini premevano sulla mia pelle, le riconoscevo. La bocca di Juliano scese ancora, mordicchiando il mio ventre asciutto. Si sollevò, guardandomi come se fossi tutto ciò che desiderava. Sorrise trionfante e tirò indietro i capelli, scostandoseli dal viso.
«Aspetta,» sussurrò. Io misi le braccia sul suo petto nudo. Lui prese una correggia di pelle che aveva al polso, sottile e morbida, sollevò i capelli e li annodò rapido con gesto automatico. Ne fece una coda che non lo intralciasse nei movimenti, poi si chinò di nuovo verso di me. Mi baciò ancora, lungamente, questa volta. Io tenni le mie mani sul suo collo, trattenendolo. Così messi i nostri sessi erano a contato, sentivo il suo strusciare contro il mio, piano.
«Ti amo,» riuscì a sussurrare, in una pausa tra un bacio e l'altro, tutto d'un fiato.
«Anch'io, giovane dom, ti amo...» disse il mio Juliano. Mi diede un bacio poi tornò a sollevarsi, poi si riabbassò e ricominciò a baciarmi la bocca, il collo, lo sterno, succhiò entrambi i miei capezzoli, poi scese rapido sul ventre, poi in basso, le sue mani mi spinsero il petto in basso, e la sua bocca accolse il mio pene eretto. Così bloccato non potevo vedere, ma altri sensi mi aiutavano a comprendere le sue azioni.
Si aiutò con una mano, tenendo il fusto e andando su e giù con foga. Era accoccolato sul pavimento, tra le mie gambe, mentre il mio membro era fra le sue labbra. Mi sollevai a guardarlo mentre mi dava tutta quella soddisfazione. Mi stava uccidendo di piacere. Tremai d'eccitazione, quasi volevo che smettesse. E infatti... si fermò; smise per guardarmi a sua volta. Si sollevò in piedi, mostrandomi il suo sesso turgido e palpitante.
Io sorrisi di sbieco... si, era giusto ricambiargli il favore... aprii la bocca e cominciai a massaggiare con la lingua il suo glande scoperto, delicatamente ma con foga. Avvicinai il suo corpo contro il mio, poggiai una mano sul suo sedere sodo, e con l'altra gli accarezzai la zona dell'ombelico. Lui prese con le mani la mia testa, guidandomi al suo piacere. Pompai più volte e presi nella destra i suoi testicoli, massaggiando anche quelli, con le dita. Ormai mi dedicavo completamente al suo membro eretto, ero annullato come lui lo era stato. I nostri pensieri si inseguivano l'un l'altro rapidamente, senza senso, a parte il reciproco piacere. Ormai scoppiavo di energia che voleva esplodere. Lui mi tolse di bocca il giocattolo e mi fece stendere nuovamente, mi baciò di nuovo con dolcezza e passione, poi si pose in ginocchio sopra di me. Stavolta non gli permisi di restarci a lungo: lo spinsi da parte, in modo deciso, e ribaltai rapido le posizioni. Mi misi a cavalcioni sulle sue cosce leggermente pelose, in modo che le nostre erezioni fossero alla stessa altezza, poi mi abbassai contro di lui, e cominciai a baciarlo con passione il volto, il petto, leccai i capezzoli, li titillai, li succhiai con gioia. Lui mugolò di piacere. Mi sollevai, guardandolo dall'alto, presi con le mani i due membri, uno contro l'altro e cominciai a massaggiare entrambi con la mano destra, dapprima lentamente, poi più veloce. Con la sinistra stropicciavo il capezzolo destro, con forza, tanto da fargli male, le sue mani massaggiavano su e giù le mie cosce. Juliano teneva gli occhi chiusi, si mordeva il labbro inferiore, aggrottava un poco la fronte e strizzava gli occhi, come per controllare le sensazioni che provava... cercai un contatto ancora più profondo, se era possibile... la sua mente era aperta, senza difese; ed io vi entrai con forza, a spron battuto, come entravo cavalcando, con foga, nel mio villaggio, d'estate. Mi ritrovai dentro di lui, con la sua presenza amorevole tutta intorno, il suo sentimento per me. Sperimentai la stessa cosa, più debole, ma percepii chiaramente il suo contatto, esitante, nella mia mente. Condivisione assoluta, di corpo e di mente, compartecipazione... la stessa che provano i telepati che fanno l'amore, in completa balia uno delle emozioni e dei pensieri dell'altro. Il livello di intimità era così forte e coesivo che io e Juliano fummo trascinati vorticando uno nella mente dell'altro, persi al vento come foglie secche. Fu un attimo folle, senza tempo, in cui il mio corpo si muoveva da solo, meccanicamente... presente ma lontano, allo stesso tempo... un gorgo mentale che fluì d'improvviso, come era giunto... a tale livello di passione, l'energia laran semplicemente cedeva il passo, si esauriva... ritornai nella mia mente, ad una condizione più bassa di partecipazione. Non ero in grado di oppormi, come neppure lui, intanto i nostri corpi continuavano a muoversi all'unisono, più velocemente. Il culmine del rapporto mentale si era esaurito, ora dovevamo raggiungere il culmine fisico... che non era lontano, per la verità. Il mio, almeno.
Ormai avevo preso il ritmo... sotto di me Juliano non ce la faceva più a resistere... il mio donas, avevo scoperto da poco meno di minuto, aveva un interessante aspetto secondario: far desiderare le cose... fare struggere di desiderio qualcuno... era proprio quello che rendeva gli amanti Macrae tanto apprezzati... come erano le donne chieren per noi umani, probabilmente...
«Julo...» dissi io, sussurrando... stavo raggiungendo il mio orgasmo velocemente... «Io...»
«Sì, sì...» disse lui, di rimando, «anch'io sto per venire... sì...»
Il fiotto del suo seme scoppiò all'improvviso, dopo poco tempo... seguito immediatamente dal mio... non avrei resistito di più... non più...
Mi adagiai sopra di lui, ansante, soddisfatto, un momento. Poi gli baciai la guancia e la bocca, con dolcezza.. rispose al mio bacio.
«Bredhyu,» dissi, come per confermare.
«Sì, bredhyu,» rispose lui, assentendo. Ora il legame era maturato... migliorato. Eravamo fratelli di spada, amanti. Era una cosa di cui gioire assieme... sospirai. La mia mente si diresse subito verso il contatto con mia sorella... però lei era troppo lontana, a Dalereuth, avrei dovuto attendere. Ma, dovunque fosse, probabilmente, si sarebbe fermata in ascolto, come ad un suono che solo lei poteva sentire, e in seguito avrebbe saputo dirmi il momento esatto in cui la mia mente e quella di Juliano si erano legate.














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