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Scontro in biblioteca

Allart Regis-Duvic Hastur MacAnndra

Allart, le gambe ancora malferme dopo tanti mesi di immobilità, spinse i due battenti della porta che custodiva l'accesso alla Biblioteca di Arilinn, che occupava quasi per intero uno dei piani superiori della Torre. "Se mi avessero mai detto che, appena uscito dal malessere della soglia, sarei corso in una biblioteca...!" Ma non c'era divertimento nei suoi pensieri, soltanto un senso di urgenza. Sospirò, augurandosi di non avere mai cominciato a percepire i pensieri altrui e, soprattutto, di non possedere quello strano Potere... no, lì alla Torre lo chiamavano laran, si ricordò. Un sorriso sardonico gli increspò le labbra, mentre ripensava alle esortazioni di Marelie: "Non puoi fare finta di non possedere questi talenti. Ogni telepate deve imparare a convivere con essi. Non puoi smettere di essere un telepate, non più di quanto il ghiaccio possa scaldare. Trascurare, non addestrare o, peggio che mai, rifiutare il proprio laran è inutile, anzi pericoloso." Giusto, anzi giustissimo, per carità; peccato che le affermazioni di principio non spiegassero come controllare il Dono degli Elhalyn. Se davvero i Doni dei Comyn erano frutto del programma di selezione controllato dalle Torri, di certo, durante le Epoche del Caos, si sapeva come addestrare i telepati nati con questo particolarissimo talento; dopotutto, erano gli anni in cui la scienza del laran aveva raggiunto il proprio massimo fulgore e ogni individuo con un briciolo di talento doveva prestare servizio in una Torre. Ma, a quanto pareva, su tutto Darkover nessuno conservava tale conoscenza, neppure Marelie Hastur, Custode di Arilinn. "Per gli dèi, una Custode dovrebbe sapere queste cose!" Ma, accantonando con vergogna quel pensiero risentito nei confronti della sola persona che lo avesse accettato come un proprio pari, Allart scrollò le spalle e si decise ad entrare.
Batté le palpebre e strinse gli occhi, sorpreso dalla scarsa illuminazione; riuscì tuttavia a discernere i contorni di una grande stanza, in buona parte occupata da innumerevoli scaffali colmi di libri; la luce si concentrava nello spazio centrale, occupato da numerosi tavoli, tutti deserti, evidentemente destinati alla lettura. Amaramente, il giovane si disse che, per cercare informazioni lì, doveva essere proprio disperato: era evidente che - qualunque cosa contenessero quei volumi - nessuno dei telepati di Arilinn vi attribuiva la minima importanza. Proprio in quel momento, però, il suo sguardo si posò su uno dei primi tavoli, e vide una figura - inequivocabilmente femminile, si disse, con una certa sorpresa - concentrata su un volume dalla mole vagamente minacciosa, lo sguardo che marciava su e giù lungo le stesse due pagine, in maniera ossessiva e quasi marziale. Per qualche ragione, gli ricordava il padre quando ispezionava l'attrezzatura di addestramento alla scherma: la stessa competenza, la stessa concentrazione, e qualcos'altro... coscienza del pericolo, forse?
Ma Allart fu tosto strappato a queste considerazioni, poiché la lettrice, che doveva aver percepito la sua presenza, alzò gli occhi, sì che egli, in quelle pupille ambrate, riconobbe una delle leroni che lo avevano curato, durante il malessere della soglia, da cui si era appena ripreso. D'istinto, accostatosi a lei, s'inchinò e disse:
«Desidero ringraziarvi per esservi presa cura di me, damisela... perdonatemi, ma non ricordo il vostro nome.»
La ragazza si alzò e Allart notò - con un certo piacere - che era più bassa di lui, sebbene dovesse avere qualche anno in più.
«Non credo che lo abbiate mai saputo: sono Shaya Alton-Aillard,» disse con semplicità; «e voi, se ben ricordo, siete Allart Hastur y MacAnndra, giusto? Sono lieta di vedervi ristabilito.»
«Sì, sono io.» Cercando a tentoni un modo per protrarre la conversazione, Allart finì per chiederle: «Voi... uhm... venite spesso qui?»
Un lampo negli occhi della ragazza gli fece pensare di aver posto una domanda sbagliata; ma la voce di lei era placida e inespressiva:
«Spesso, sì; anzi, direi tutte le volte che ho un momento libero. Avete qualche motivo per chiedermelo, Nobile Allart?» Confusamente, il giovane Hastur capì che avrebbe fatto meglio a trovare un motivo maledettamente buono. Bene, le avrebbe raccontato la verità; se non era un buon motivo quello...
«Come forse sapete già, visto che mi avete prestato le cure del caso, in me si è risvegliato uno dei sette grandi donas leggendari, quello degli Elhalyn. Si dice che esso sia la causa della follia che, quasi sempre, affligge i membri della famiglia reale, e credetemi, non stento a crederlo. Io mi trovo a scorgere tutti i futuri possibili, tutte le conseguenze che possono derivare da una singola azione, anche dalla più banale... e, sol che io pensi a non agire, proprio per timore delle conseguenze, ecco che mi compaiono quelle che potrebbero derivare dall'inazione.» Shaya osservò il ragazzo, notando che, sebbene egli riuscisse a mantenere ferma la voce, il volto lasciava trapelare tutto il suo sconforto. «Il punto è,» proseguì Allart, «che nessuno, neppure Marelie di Arilinn in persona, sembra in grado di aiutarmi a dominare questo laran. Le leggende tramandate dalle Ere del Caos non sono di alcun aiuto, quindi mi sono recato qui in cerca di informazioni più precise e dettagliate. Ho pensato che voi poteste aiutarmi... sempre che non vi sia di troppo disturbo.» Allart si compiacque di essere riuscito a mantenere un tono freddo e distaccato dall'inizio alla fine, nonostante le fortissime emozioni che lo agitavano. "Non mi metterò a piagnucolare spaventato di fronte ad una donna, tanto meno ad un'Aillard, che mi è inferiore per rango!"
Questa risposta era giusta, forse la migliore: negli occhi di Shaya si accese una luce di interesse, al pensiero di una ricerca che non si annunciava semplice. Eppure, la giovane Aillard esitò. In circostanze normali, non avrebbe provato che simpatia per quel ragazzo, appena uscito dall'infanzia, che - nonostante l'orgoglio degli Hastur, impresso su ogni tratto e angolo del suo viso - le chiedeva aiuto. Chi meglio di lei sapeva cosa significasse affrontare un laran pressoché dimenticato, di cui nessuno sembrava sapere nulla?
Ma era proprio quello il problema: un caso così simile al suo - troppo simile - minacciava di turbare la serenità che aveva conquistato con tanta fatica, a prezzo di lotte interiori cui preferiva non pensare.
Infine, levò lo sguardo a fissare le iridi chiare del giovane Hastur e disse:
«Non mi disturbate di certo; il vostro benessere riguarda tutti noi e, se avete un laran del genere, credo anzi che il vostro problema riguardi tutto Darkover.» Ma il discorso riuscì più freddo di quanto avrebbe voluto, poiché pensava ai membri del proprio Cerchio, così poco preoccupati del suo benessere. Oh beh, la cosa era reciproca. E poi, per lei c'era Marelie... Marelie, appunto: non si era forse assunta l'impegno di addestrare personalmente quel suo giovane parente? «Mi sorprende che la Nobile Marelie vi abbia mandato in cerca di informazioni...» "Per lei, equivarrebbe ad ammettere una sconfitta, e non credo che sia disposta a farlo!"
Un lieve rossore sul volto del ragazzo le disse ciò che mai si sarebbe aspettata, prima ancora che egli parlasse: «Ecco... la Nobile Marelie non mi ha esattamente mandato... solo che... pensava spesso alla Biblioteca, non so perché, e allora io...»
Bene, bene. Un telepate ai primi passi dell'addestramento che già prende iniziative autonome e neppure interpella la Custode! "Marelie, addestrare il tuo parente non sarà facile!" Curioso poi che fosse approdato in Biblioteca; ma naturalmente - se il suo addestramento era intralciato da quel particolare donas - non era ancora tanto esperto da comprendere che Marelie associava quell'immagine con lei. In effetti, Shaya era, a memoria d'uomo, il solo telepate che si fosse mai preoccupato di frequentare quegli scaffali, quindi l'associazione era più che giustificata...
Sorrise al giovane, già pensando al modo di aiutarlo: «Capisco perfettamente. Spero di potervi aiutare... anche se non sono del tutto certa di sapere dove trovare le informazioni che vi occorrono.» Con un gesto eloquente, indicò gli scaffali che li circondavano.
Allart represse a stento un guizzo di irritazione. Belle parole, perfette per mascherare la freddezza, e adesso... cos'era, un modo per liberarsi di lui? Certo, era una donna, cosa poteva aspettarsi? Già era strano che sapesse leggere!
Shaya non mostrò di avere captato i suoi pensieri; mormorando qualcosa a proposito dell'assenza di un catalogo e di un bibliotecario, si diresse, a passo spedito, verso uno degli scaffali più vicini e ne estrasse, senza sforzo apparente, una pila di volumi polverosi che avrebbe schiantato anche un mulo; li depose sul tavolo accanto al proprio e disse tra sé:
«Se soltanto sapessi con certezza dove cercare! I registri del programma di selezione... no, non servono, contengono solo i dati sulle doti ereditarie, ma nulla su come addestrarle...» Poi scrollò il capo e riprese la ricerca, di buona lena, perlustrando uno scaffale dopo l'altro, sfogliando volumi colossali in maniera quasi spasmodica, emettendo occasionali mormorii di insoddisfazione.
In altre circostanze, Allart si sarebbe certamente gettato anch'egli tra gli scaffali, smanioso di apprendere tutto ciò che la Biblioteca potesse offrirgli; ma ansia e trepidazione spegnevano in lui l'usuale passione per lo studio e la lettura. Fu quindi con un sospiro rassegnato che si chinò sui volumi che la giovane Aillard aveva scaricati sul tavolo e prese a sfogliare il primo. Una genealogia completa delle Sette Famiglie... "Aldones ci scampi! A cosa diavolo può servirmi questo mattone? E io che speravo che costei sapesse il fatto suo! Eppure... Anche una ricerca che dovrebbe essere semplicissima..."
Questa volta, Shaya aveva udito e non fece mostra del contrario; in tono didascalico e piuttosto condiscendente, la cui freddezza era peraltro smentita dal luccichio degli occhi, spiegò:
«Vedete, anche il migliore dei libri sul laran difficilmente conterrebbe le informazioni da voi cercate. L'uso dei donas non può essere descritto, c'è una parte di questa scienza - la parte più cospicua, a dire la verità - che si impara soltanto attraverso la pratica. Non imparerete mai a domare un cavallo senza salirgli in groppa.»
"Non poteva dirmelo prima?" Allart era ormai furibondo. "Poi, cosa crede, che sia cieco? Se le cose stanno come dice, tutti questi libri a cosa servono?" Poi si diede dello stupido: se nessuno la frequentava, ovviamente la Biblioteca era inutile. "Ma allora, che ci fa qui costei?"
Sia che avesse sentito sia che le sue barriere fossero perfette come sembravano, Shaya, proseguendo sullo stesso tono, rispose agli interrogativi del giovane.
«Voi certamente sapete che, delle Torri oggi esistenti su Darkover, Arilinn è la sola che sia rimasta in piedi e attiva, senza interruzione, fin dalle Età del Caos; di conseguenza, la sua Biblioteca non ha rivali. Purtroppo, negli ultimi secoli pochissimo è stato scritto e molto dimenticato.» Sospirò. «L'uso del laran si è ridotto al minimo indispensabile per il nostro pianeta, eppure anche questo poco sembra troppo, per i nostri Cerchi ridotti. Così stando le cose, è naturale che le informazioni custodite in questa Biblioteca giacciano dimenticate; per lo più, infatti, esse riguardano le configurazioni degli schermi, il modo di costruirli e le connessioni tra le matrici... conoscenze a mio avviso preziose, soprattutto per i Tecnici... come me,» aggiunse con orgoglio, indicando la veste propria del suo rango, cui Allart non aveva prestato attenzione. «Tuttavia, è inutile approfondire ciò che poi non si potrebbe concretamente usare: gli schermi di livello nono o superiore sono stati distrutti dopo l'approvazione del Patto, quelli dal quinto all'ottavo giacciono inutilizzati e, per costruirne uno di quarto, nella remota eventualità che ce ne sia bisogno, bastano le attuali conoscenze. Inoltre, non credo che uno dei Cerchi attuali sarebbe in grado di lavorare con uno schermo potente. Quindi, a che scopo imparare a costruirli?»
Sforzandosi di mantenere la voce ferma, Allart rispose:
«Tutto ciò è molto interessante, damisela, ma non spiega per quale ragione dubitiate di trovare qualcosa che possa aiutarmi.»
«Stavo appunto per arrivarci,» replicò ella, nel medesimo tono freddo che stava alimentando la sua collera; «un Tecnico può descrivere per iscritto, in maniera oggettiva, buona parte delle proprie attività, ma esse non esauriscono affatto gli usi del laran, neppure i soli usi consentiti. Già più complesso sarebbe, ad esempio, redigere per iscritto un programma di addestramento base all'uso di una matrice, sebbene esso sia pressoché identico per tutti i telepati, visto che i singoli donas vi hanno scarsa attinenza. Attività come la guarigione, o il monitoraggio nei Cerchi, sono per lo più pratiche e intuitive. Ma l'addestramento di un telepate non all'uso, badate bene, bensì al controllo del proprio laran... è quanto di più sfuggente e soggettivo possa esservi.» La sua voce aveva perso il tono freddo, per farsi animata; ma non suonava affatto rassicurante, alle orecchie di Allart. «Pensate che non ho mai incontrato due telepati che visualizzassero la propria barriera nello stesso modo; vi assicuro che questo la dice lunga... Inoltre,» proseguì, riprendendo il tono di prima, «le Torri tendono a dare per scontato che un telepate sappia controllare il proprio donas - è una cosa che, di norma, si impara nel giro di poche settimane - e che si debba soltanto insegnargli come usarlo. Ora, il vostro è un donas particolarmente raro, quindi senz'altro qualcuno si sarà preoccupato di descriverlo, e se guardassimo i vecchi registri del programma di selezione troveremmo pagine e pagine sul modo in cui è stato selezionato, ne sono certa; potrebbero anche esservi informazioni sul suo uso, ma ne dubito, poiché non mi sembra che sia utile al lavoro nei Cerchi... ma sarà ben difficile che troviamo istruzioni utili per l'addestramento. Però,» scrollò le spalle, «chi può dirlo? Forse, qualcuno che lo possedeva, che ha vissuto, immagino, i vostri stessi problemi, ha scelto di mettere per iscritto le proprie esperienze; o forse, nei Cerchi di un tempo, questo donas poteva essere sfruttato in maniere che oggi non immaginiamo neppure. Ad ogni modo,» concluse saggiamente, «qualunque cosa potrebbe esservi di aiuto, e non abbiamo nulla da perdere a cercare, giusto?»
Allart non poté che convenirne. Mise da parte l'irritazione, e continuarono a cercare, di scaffale in scaffale, di libro in libro, di tavolo in tavolo...


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Due ore dopo, la luce era ormai troppo fioca perché potessero proseguire la ricerca. Allart pensò, sconsolato, che dovevano aver sfogliato almeno un quarto della Biblioteca: i volumi squadernati non lasciavano un tavolo libero. Eppure, non avevano trovato proprio nulla. I registri del programma di selezione, sul punto, erano piuttosto vaghi; parlavano soltanto di una instabilità che aveva messo a repentaglio la sanità mentale, e addirittura la vita, di alcuni Hastur di Elhalyn, prima che un appropriato incrocio con la famiglia Aillard la eliminasse; tuttavia, qualcosa, nei calcoli dei laranzu'in era andato storto, e questo talento era ricomparso pochissime volte, sfuggendo ai loro tentativi di selezione. Allart e Shaya, nauseati entrambi da quel genere di operazioni, si erano scambiati uno sguardo di desolato raccapriccio ed erano passati ad altro. Purtroppo, l'assenza di un catalogo e di un bibliotecario - contro cui Shaya aveva lanciato frequenti invettive a bassa voce, tra un tomo e l'altro - non erano certo di aiuto; anzi, era quasi una fortuna che, nel secolo abbondante ormai trascorso dalla morte dell'ultimo bibliotecario, la grande sala fosse stata così poco frequentata, altrimenti il disordine dei volumi avrebbe impedito qualsiasi ricerca. Anche così, però, si erano ritrovati in mano di tutto: una serie di trattati sui veleni e i relativi antidoti (Shaya scribacchiò un appunto mentale, pensando che potesse essere utile a qualche guaritore), dieci volumi di leggende sulle armi a matrice, uno di istruzioni per la costruzione delle grandi matrici trappola (lo avevano allontanato come un insetto pericoloso) e addirittura il diario intimo di una Custode... che descriveva, in maniera quasi ossessiva, ogni singola giornata di lavoro nel Cerchio. Poi, Allart aveva perso il conto dei libri e non seguiva neanche più gli argomenti; scorreva le pagine senza vederle davvero, affidandosi all'istinto che permette, ad un lettore ben allenato, di rintracciare subito poche parole-chiave.
Shaya chiuse di scatto la loro ultima speranza - un ponderoso tomo sul Dono degli Aldaran - e si sfregò gli occhi. Avevano soltanto stabilito che il laran di Allart non aveva nulla a che vedere con il Dominio Rinnegato; ma, in ogni caso, quel ragazzo così orgoglioso del nome che portava avrebbe sicuramente respinto ogni affinità, anzi, forse avrebbe giudicata addirittura insultante un'ipotesi del genere.
Nell'oscurità che si infittiva, i due si fissarono. Erano entrambi stanchi e irritati per l'insuccesso, ma fu Allart, il più amareggiato, a rompere il silenzio per sfogarsi:
«Bene,» disse, «sembra che io abbia richiesto i vostri servigi inutilmente, damisela"Che stupido sono stato... cercare aiuto nei libri e sotto la guida di una donna!" Suo padre non avrebbe mai commesso un errore del genere...
Se aveva pensato che nera di rabbia fosse solo una metafora, ora doveva ricredersi, perché, a meno che il cielo non si fosse improvvisamente rannuvolato, il volto della giovane Aillard si era fatto oscuro come il manto di Avarra. Rispose, e nella sua voce si udiva il crepitio della folgore:
«Per vostra informazione, vai Dom,» fece una riverenza ironica, «non sono tenuta a soddisfare i capricci di un poppante viziato, e neppure a soccorrere il primo incapace che capita qui a piagnucolare perché non riesce a gestire il suo laran... perché è troppo debole o troppo orgoglioso o troppo vigliacco,» sputò l'ultima parola con gli occhi accesi di una luce pericolosa, «per sottomettersi all'addestramento e alla disciplina!» Il volume della sua voce si era progressivamente alzato e l'ultima parola trasse echi cupi e cavernosi dagli scaffali che li attorniavano.
Allart era pronto a replicare nel suo tono più mordace; ma, di colpo, il suo laran si manifestò: una, due, tre volte, egli si vide cadere a terra, folgorato da quella stessa ragazza dall'aria innocua che si era azzardato a provocare. Con il terrore che gli stringeva la gola - egli stesso non avrebbe saputo dire se fosse più atterrito dal suo laran, dalle possibilità che esso gli mostrava, chiare e univoche come mai prima, o dalla sensazione di impotenza che lo dominava - il ragazzo arretrò, addossandosi allo scaffale.
Senza saperlo, compì l'unica mossa in grado di salvargli la vita: Shaya, osservandolo e percependo il suo panico, rammentò l'ostilità dei compagni del Cerchio, timorosi di essere uccisi da lei... e il proprio stesso terrore, quando qualcuno - non voleva, non doveva ricordarne il nome! - era entrato a forza nella sua mente...
"Se ora colpissi questo ragazzo, per quanto sciocco e viziato possa essere, non sarei migliore di loro. Abuserei del mio laran e tradirei la fiducia di Marelie..."
Raccolse tutto il controllo di cui disponeva, sopraffacendo stanchezza e collera; in quell'istante, la sua figura, sebbene minuta, si eresse imponente come quella di una Regina; c'era maestà nella sua voce, quando comandò al ragazzo tremante:
«Andate! Non temete la mia collera, ma andate. Qui non c'è nulla per voi, ora lo sapete. Gli Dèi vi accompagnino.»
Incapace di replicare, sforzandosi di non correre e di non piangere per il sollievo, un Allart tremante uscì dalla Biblioteca, chiudendo la porta alle proprie spalle.
Nonostante il suo amore per la lettura, passò molto tempo, prima che vi ritornasse.









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Disclaimers

Allart viene condotto ad Arilinn, colpito dal Male della Soglia. Subito dopo essersi ripreso, Allart comprende che neppure Marelie sa come si possa padroneggiare il suo laran; si reca allora, d'impulso, nella Biblioteca della Torre, sperando di trovarvi qualche informazione utile.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008