[Home] [La storia del Progetto Elvas] [Regole Utilizzate]
[Personaggi] [Luoghi] [Racconti] [Download]
[Cronologia] [Genealogia] [Dizionario] [Musiche] [Immagini e Disegni]
[Giocatori] [Incontri] [Aggiornamenti] [Credits] [Link] [Mail]
barra spaziatrice
[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, gennaio (8)] [Credits & Disclaimers]



Lo spettro

Anndra Castamir

Ero di nuovo immerso fino alla vita in quella strana nebbia che mi ricordava il lago di Hali ed avanzavo lentamente, con cautela. Ero al mio secondo viaggio nel Sopramondo (il terzo da quando ero arrivato ad Elvas, se consideravo quello fatto a Neskaya ed Arilinn), ma a differenza della volta precedente non mi sentivo la mente sgombra e serena. Il mio pensiero tornava sempre a quello strano individuo che si era aggiunto alla popolazione di Elvas: Pat McHarlaw. Quelli appena trascorsi erano stati giorni lunghi e faticosi, passati prima a tranquillizzare il giovane e a fargli accettare la sua nuova condizione, poi ad insegnargli i primi rudimenti del controllo mentale. La Custode ancora non si era fidata a metterlo in risonanza con una matrice, ritenendo che fosse del tutto prematuro. Alla comunità era stata data la notizia del suo nuovo arrivo senza fornire grandi spiegazioni, mentre a tutti i telepati della Torre non al corrente della sua vera origine, era stato detto che durante una brutta crisi del male della soglia aveva avuto delle convulsioni che gli avevano provocato sia la perdita della memoria che della parola. Naturalmente nel giro di poche ore tutta Elvas era a conoscenza della vera storia di Pat, con una partecipazione a volte commovente. L'idea era stata di Dana ma, per dare maggior peso alla storia, la Custode in persona aveva parlato personalmente con tutti coloro che erano dotati di laran, raccomandando di evitare il più possibile il contatto telepatico: la crisi non era ancora passata ed un nuovo attacco poteva essere fatale. Un caso a parte fu quello di Manolo: senza che nessuno gli chiedesse niente - o lo potesse impedire - prese Pat sotto la sua personale protezione. La cosa più stupefacente fu che dopo pochissimi giorni passati insieme (le prime notti Manolo le passò dormendo su una sedia accanto al letto del terrano) i due si intendevano benissimo, sia a gesti che emettendo suoni del tutto simili. Pat si limitò a trasmettere che lo capiva anche se Manolo non gli parlava nella mente e che era un amico.
Ma nonostante tutto il pensiero andava a quello che lui rappresentava: il simbolo vivente dell'esistenza su Darkover di esseri umani scesi dalle stelle.
Anche questa volta, all'improvviso, sentii mancarmi il terreno (si fa per dire, essendo nel Sopramondo, ma la sensazione era quella) sotto i piedi. Ma la caduta non fu il dolce posarsi di una piuma, ma il precipitare, una sensazione di gelo profondo e di forti venti che mi sbatacchiavano nell'aria come se fossi un falchetto da donna al primo volo. Per qualche istante sentii anche un fermo intervento di Dana volto a ristabilire la mia temperatura corporea e temetti di essere richiamato indietro; poi all'improvviso il vento cessò, la nebbia si diradò e mi trovai in mezzo ad un bosco. La neve era alta quasi due spanne e gli alberi incombevano su di me silenziosi, cupi soldati in casacca verde scuro che svanivano nella nebbia. Sentii come uno scricchiolio di passi nella neve gelata e mi voltai, ma non vidi nulla. Mi appoggiai ad un tronco e mi guardai intorno cercando di fissare bene in mente i particolari di quel che vedevo. Ebbi di nuovo l'impressione che qualcuno si muovesse nella neve, ma ancora una volta non vidi nulla.
Confesso che quando sentii il tocco di una mano su una spalla il cuore mi saltò almeno un paio di battiti e le ginocchia mi dettero l'impressione di essere diventate molli come la cera d'api.
Mi girai di scatto e mi trovai davanti... beh, forse non era proprio un ragazzino, ma certamente non era un uomo. Piccolo, minuto, con i capelli rosso fiamma e gli occhi color del miele, il magro corpo infilato in una tunica grigia. Alla vita una cintura di cuoio da cui pendeva la fodera di un lungo pugnale a lama larga.
«Chi sei? E cosa ci fai nel mio bosco?» mi chiese con un tono di voce stridulo. Ma non mi dette nemmeno il tempo di rispondere. Ringuainò il pugnale guidando con gli occhi la lama dentro il fodero e continuò: «Ho capito, vieni da qualche parte del Sopramondo. E ti sei perso. Ma io non posso aiutarti.»
Cercai di spiegargli il perché della mia involontaria presenza nel suo bosco e lo scopo del mio viaggio, ma dopo avermi ascoltato per qualche minuto mi fece cenno di tacere. Il suo volto era diventato triste e pensieroso.
«Non mi importa poi molto chi sei e quello che devi fare. Presto te ne andrai ed io resterò di nuovo solo in questo bosco, senza nessuno da spaventare. O da uccidere.» Mi fece cenno di sedermi su un tronco d'albero caduto dopo averne spazzato via la neve con un semplice gesto della mano. «Mi chiamo Gabriel D'Asturien,» cominciò, «e quando nacqui le leroni fecero sapere che il mio laran si era manifestato potente già in grembo a mia madre e che il mio addestramento sarebbe dovuto iniziare non appena si fossero manifestati i primi sintomi del male della soglia.»


barra

Gabriel D'Asturien

Il laranzu della Torre di Hali scosse la testa visibilmente seccato: «Non ho molto tempo da perdere dietro a questo ragazzo. Non diventerà mai il laranzu di Tramontana, non ne ha né le capacità, né il fisico. Provate a dargli un addestramento nelle tecniche di base, in modo che possa diventare un discreto aiutante per i Sapienti dell'esercito. Di più non è possibile!»
Questo verdetto, sputatogli in faccia davanti alle leroni incaricate del suo addestramento iniziale, fecero sprofondare il ragazzo in un abisso di disperazione. Nella sua famiglia - come tutti i figli cadetti delle famiglie di Darkover che avessero sangue nobile - era stato allevato fin dall'infanzia con un solo imperativo categorico: entrare in una Torre e puntare a diventarne il signore assoluto. In subordine mirare ad un addestramento specifico per poter diventare il Sapiente di uno dei mille reparti militari che quotidianamente si davano battaglia sul Pianeta. Ma dover ricevere solo le tecniche di base per aspirare al ruolo di semplice aiutante era semplicemente avvilente! E questo era toccato proprio a lui! Un D'Asturien! Una delle famigli più nobili e potenti di Darkover! Ma il verdetto era inappellabile anche per un nobile del suo lignaggio: doveva rassegnarsi, gli dissero.
Ma non si rassegnò. Cercò di imparare tutto quello che gli veniva insegnato, con una tenacia ed una caparbietà tali che più di una volta persino il laranzu si domandò se non avesse valutato male il ragazzo. Furono date nuove istruzioni ai suoi insegnanti e cominciò ad apprendere tutte le nozioni per diventare - intanto - un buon tecnico. Ma ad Hali era arrivato nel frattempo Kelan Hastur Elhalyn, un ragazzone alto e robusto, con tutte le caratteristiche della sua famiglia espresse alla piena potenza e in misura minore vari donas ereditati grazie a nuovi sistemi di controllo dei matrimoni. E tutta l'attenzione della Torre venne rivolta alla sua preparazione.
Fu così che qualche decina di mesi dopo, all'età di quindici anni, Gabriel D'Asturien si presentò davanti al Primo Generale di suo padre con la tunica grigia ed un pugnale in vita per essere assegnato - in qualità di primo aiutante - ad un gruppo di Sapienti.
«Vai a farti esaminare da Mastro Owen,» gli disse. «Non è un nobile, né ha un laran potente, ma ha molta esperienza ed è bravissimo a sfruttare i donas dei telepati che gli sono affidati.»
«Ai suoi ordini, Signore.» Rispose il ragazzo con voce decisa. «Saprò far onore al nome che porto ed al vessillo del suo reparto.»
«Vedi prima di eseguire al meglio gli ordini di Mastro Owen, poi di non farti catturare in modo stupido,» ribadì seccamente Bart Syrtis. «In quest'ultimo caso sarai più utile da morto che da vivo; sarai a conoscenza di troppe cose pericolose per l'intero esercito.» Si toccò il sacchetto di pelle che conteneva la matrice e continuò: «Dovresti già sapere come si fa a fermarsi volontariamente il cuore: se non te l'hanno insegnato dillo a Mastro Owen, ci penserà lui. E in ogni modo hai il tuo pugnale... non serve per uccidere i nemici. Puoi andare.»
Gabriel aveva imparato da molto tempo la difficile arte di rimanere impassibile e di non far trapelare dalla sua mente neanche il più piccolo accenno di un pensiero, ma dentro di sé era furente.
"Sono come una lepre che è saltata dalla trappola al tegame," si disse. "Sono uscito da Hali e dalla tutela del suo laranzu solo per finire sottomesso in questa maniera! Almeno Marion era un Hastur di Hastur! Ma i Syrtis sono stati sottomessi da quasi due generazioni, e questo... Bart si permette di disprezzare l'onore dei nostri stendardi! E questo Mastro Owen, sicuramente figlio nedestro di chissà quale barragana avrà potere di vita e di morte su di me! È inconcepibile! Dovrò dirlo al mio Signore padre alla prima occasione!"
Dom Bart interruppe il corso dei suoi pensieri... «Ti ho detto che puoi andare! Sei tenuto ad eseguire gli ordini come un qualsiasi soldato!» gli ordinò in tono duro.
Mentre usciva dalla tenda ancora più sconvolto sentì nuovamente la voce del suo comandante: «Quando da solo riuscirai col tuo laran a sconfiggere un intero esercito potrai andare da tuo padre a lamentarti del suo irrispettoso generale.»
L'incontro con Mastro Owen fu ancora più sconvolgente: prima gli fece un sommario esame delle sue capacità, con la richiesta di svolgere esercizi così semplici che quando era ad Hali non venivano fatti fare neppure a chi era appena arrivato. Poi senza tanti complimenti gli indicò un pentolone col manico ordinandogli di andare alla fonte e riempirlo d'acqua. Davanti alla sua meraviglia per un ordine apparentemente offensivo, Mastro Owen ribattè senza scomporsi che le alternative erano solo due: andare a prendere l'acqua, essere messo agli arresti per insubordinazione.
Si sentì avvampare di rabbia, ma non disse nulla, ed apparentemente calmo si diresse alla fonte trascinandosi dietro il pentolone. Anche perché la sua attenzione era stata attratta da uno strano ed inesplicabile fenomeno: quando aveva dovuto far appello alla pazienza e all'autocontrollo imparati durante i lunghi mesi di addestramento ad Hali, aveva notato che per un attimo la luce sanguigna del sole che gli batteva sulla mano sinistra era stata come deviata da qualcosa... e per una frazione di secondo la mano era diventata quasi trasparente...
Poi, assorto com'era, non si avvide di una buca ed inciampò, rovinando pesantemente a terra e lacerandosi una manica della tunica ed il braccio sottostante. Un coro di risate gli fece prendere coscienza di essere vicino ad un gruppo di soldati, che però tacquero subito quando il ragazzo si rialzò e li guardò con aria di sfida. Qualcuno fece degli scongiuri, altri fecero finta di riprendere un lavoro interrotto... tutti tacquero immediatamente.
"È questo dunque il potere che ho?" si disse. "E sono appena arrivato. Ora capisco perché i Sapienti non si mescolano con gli altri soldati e si accampano un po' in disparte!"
"Questo è il potere che ci viene riconosciuto da tutti. E ci accampiamo in disparte non solo perché creiamo disagio nella truppa, ma anche per non essere disturbati dalle loro emissioni mentali." La voce di Mastro Owen gli risuonò nel cervello prendendolo quasi alla sprovvista. "Forza, ora prendi l'acqua e torna alla tenda: dovevi dare prova di obbedienza ai miei ordini agli altri telepati che sono in forza al reparto e che dovrai comandare in caso di mia assenza... o altro," lo sentì ridere. "Sei ancora troppo impulsivo! Avrei giurato che ad Hali ti avessero addestrato meglio. Ma imparerai, oh se imparerai!"


barra

Mastro Owen si dimostrò un buon maestro, anche se duro e severo fino all'incredibile. Le punizioni consistevano sempre in piccole (e dolorosissime) punture di spillo inflitte col laran, nelle cosce o nelle spalle. I premi consistevano in brevissimi permessi concessi quando si accampavano vicino ad un villaggio ed erano disponibili taverne, locande e terme. Le prime le escluse subito dopo esserci entrato solo un paio di volte: erano sempre piene di soldati che bevevano, giocavano ai dadi e parlavano sguaiatamente. Al suo ingresso le voci si tramutavano quasi in sussurri e gli uomini con salutavano con apparente rispetto, ma facendogli il vuoto intorno e trasudando ostilità e paura. Andava un po' meglio nelle locande, anche se presto imparò a scegliere un posto defilato nella sala comune, a mangiare in fretta e andare a dormire il prima possibile. L'unico posto tranquillo erano le terme, dove poteva fare un bel bagno caldo e ristoratore; nudo e con i capelli rossi sfumati dal vapore non dava molto nell'occhio. Si immergeva nell'acqua termale bollente e a volte si assopiva quasi, gustandosi la possibilità di stare in mezzo alla gente, di ascoltare i loro discorsi, ridere delle loro battute. Fu in un'occasione del genere che capì il perché di questo rispetto (e paura) e di questa repulsione nei confronti dei Sapienti in genere. Una sera, mentre si stava rosolando nell'acqua, entrarono nello stanzone tre soldati, che, spogliatisi e scelte tre vasche abbastanza vicine alla sua, cominciarono a chiacchierare tra loro durante il bagno.
«Hai sentito quello che è successo al villaggio di Snow Glenn?» disse uno.
«Cosa?» gli rispose un altro.
«È stato attaccato dai Sapienti di Lord Darriel con lanci di pece magica.»
«Se è per questo la usano anche i nostri Sapienti,» rispose il primo, «solo che noi la lanciamo contro dei soldati e non contro donne e bambini. A Snow Glenn, invece hanno cominciato a distruggere casa dopo casa, finché non hanno stanato i nostri compagni del reparto del Falco che si erano rifugiati in una stalla. Per ammazzare cinque di loro hanno bruciato vive o mutilato una quarantina di persone, quasi mezzo villaggio.»
«Tutta colpa di quei maledetti,» gli rispose quello che ancora non aveva parlato, «e dei loro maledetti poteri. Un soldato dovrebbe morire per un onesto colpo di spada e non bruciato fino alle ossa. Quella maledetta sostanza passa ogni cosa, scudo armatura, carne... quando vieni colpito è veramente la fine. Anche nel nostro accampamento...» Si girò intorno per vedere se qualcuno lo stava ascoltando e fissò per un attimo l'attenzione su di lui. L'Asturien immerse ancora di più il suo corpo magro nell'acqua, coprendo con una mano il sacchetto di cuoio che conteneva la matrice e desiderando disperatamente di non essere visto. E per la seconda volta gli parve che una parte del suo corpo diventasse quasi trasparente. Colpito da questo fatto così strano Gabriel perse il filo del discorso e quando riportò l'attenzione sull'uomo questi aveva ormai finito di parlare.
Allora ignorò il terzetto e cominciò a fare congetture e prove, ma inutilmente. Le sue braccia rimanevano tranquillamente e normalmente visibili. eppure... non poteva essere assolutamente una coincidenza, qualcosa era veramente successo. Valutò per un momento se parlarne con Mastro Owen, poi scartò l'idea. Poteva davvero essere stata una sua impressione e si sarebbe coperto di ridicolo, oppure un potere di altra natura... e il suo superiore si sarebbe potuto ingelosire o sentire in pericolo la propria posizione. Con conseguenze imprevedibili. In quel momento gli parve di cogliere una mezza intuizione e cominciò ad esaminarla... doveva fare delle prove. Uscì dall'acqua e si rivestì in fretta, senza curarsi di poter essere riconosciuto, dirigendosi in fretta verso l'accampamento. Ma nonostante tutte le prove che fece, non successe più nulla. Poi sentì la voce di Mastro Owen che stava rientrando al campo e dovette smettere. Ma l'idea non lo abbandonò più.


barra

Erano passati ormai cinque anni dalla sua partenza dalla Torre di Hali, e Gabriel D'Asturien - ormai ventenne - era diventato un Sapiente ricercato dai comandanti e temuto dai nemici. Il suo nuovo generale, Lorill Rafael Hastur di Hastur, lo aveva voluto con sé, affidandogli il gruppo di telepati più addestrati del Regno.
Era quasi estate e una parte dell'esercito aveva attraversato il Valeron poco sotto le colline Venza, dirigendosi verso Neskaya. Le altre forze si erano attestate intorno al lago di Hali ed ai villaggi che lo contornavano, cercando di attirare il grosso delle forze nemiche e mascherare il vero obiettivo: conquistare Neskaya.
Nelle prime scaramucce non ci fu bisogno di alcun intervento da parte dei Sapienti, che si limitarono a lanciare e controllare gli uccelli-sentinella. Poi arrivarono al primo villaggio fortificato e lo attaccarono quasi con noncuranza. Doveva essere una cosa rapida, ma come spesso accade in guerra le cose più facili si rivelano degli ostacoli difficilmente superabili: il villaggio era difeso da cinquecento o seicento uomini, le mura costruite con pietre murate a secco cingevano un alto torrione che dominava la radura. Fu necessario cingerlo d'assedio.
«Se si potesse prevedere tutto, anche gli asini di Durramano avrebbero fatto la figura dei sapienti,» sentenziò Lorill Hastur dando le necessarie disposizioni. «Non ci resta che cercare di sbrigarsi prima che da Armida o da Neskaya arrivino loro dei rinforzi.»
Ma lo sbrigarsi fu tale che dopo dieci giorni il villaggio resisteva ancora, I Sapienti lanciarono i loro incantesimi contro le mura, ma i Sapienti avversari si dimostrarono altrettanto bravi e numerosi, respingendo ogni attacco. Fu lanciata anche la pece magica, ma uno scudo invisibile e potente subito eretto a difesa non solo bloccò la sostanza, ma la rimandò addirittura verso il campo avversario. Il gruppetto di telepati in veste grigia che l'aveva lanciata fu decimato prima ancora che si rendesse conto di quel che stava succedendo, ed il lancio successivo fu diretto verso le tende del comando. E questa volta fu Gabriel D'Asturien in prima persona a dover erigere precipitosamente col laran una barriera a difesa della sua vita e di quella del generale. Quella fu la terza volta che il fenomeno si ripeté. E questa volta Gabriel capì.
Pressato dalle circostanze ed assalito dalla paura, nel cercare istintivamente di nascondersi, aveva utilizzato la potenzialità laran in un modo particolare. Una volta scoperto, il meccanismo era molto semplice: bastava deviare leggermente le molecole di luce che colpivano il corpo, che così risultava invisibile.
Ma non c'era il tempo per soffermarsi su questa scoperta... i soldati dell'Hastur erano ora sottoposti ad un violento contrattacco da parte degli avversari, che con una sortita improvvisa quanto audace, stavano sfondando le difese e minacciavano di tagliare in due tronconi l'esercito assediante. Mentre Lorill provvedeva a riorganizzare i suoi soldati, Gabriel chiamò tutti i telepati che erano rimasti, ordinando al contempo che gli fosse messa a disposizione parte delle riserve strategiche di pece magica. Due carri, protetti dalla guardia personale del comandante, vennero fatti avanzare dalle retrovie e portati fin quasi sulla linea del combattimento. Il Sapiente costituì il Cerchio prendendo il controllo di tutto il gruppo: ordinò ai suoi di utilizzare il laran per togliere la pece dai barili e di farne delle palle delle dimensioni di una testa di bambino. Gabriel vide il collegamento mentale tra lui e i suoi uomini sotto forma di funi luminose... con un gesto le intrecciò intorno al proprio corpo... e provò nuovamente a deviare la luce.
Il villaggio fortificato dopo l'attacco. Sullo sfondo le colline Venza. Il gruppo dei Sapienti, sotto gli occhi esterrefatti dei soldati della Guardia, sparì.
«Seguitemi, sempre restando in stretto contatto con me e facendo attenzione a mantenere il controllo della pece,» disse al gruppetto dei telepati. Poi entrò in contatto mentale con il suo comandante, avvertendolo che stava per attaccare.
Non potendo essere visti dai nemici (Gabriel si augurò che i loro Sapienti non fossero in grado di scoprirli lo stesso), fu estremamente facile aggirare lo schieramento nemico, prendendolo alle spalle. Si venne così a trovare tra il villaggio e buona parte delle forze avversarie, in una posizione che a cose normali non avrebbe mai potuto raggiungere. Le istruzioni date erano semplici... non usare il laran e la voce per comunicare, seguire solo gli ordini che lui avrebbe dato con gesti delle mani. Alzò le braccia al cielo e poi le riabbassò, indicando con la destra il fortilizio e con la sinistra le schiene dei soldati nemici: i proiettili di pece partirono frantumandosi - sotto il controllo dei sapienti - in una miriade di nere gocce mortali. Fu una strage. Dopo cinque minuti si sentivano solo le urla di dolore degli uomini che non erano stati colpiti a morte e quelle esultanti dei soldati dell'Hastur. Il villaggio fortificato mostrava al cielo solo le nude pietre... tutto il resto era stato completamente distrutto, uomini, animali, capanne. Sulla sommità, ora sbocconcellata, del torrione non sventolava più lo stendardo nero e verde degli Alton.


barra

L'esultanza per la vittoria fu però di breve durata. Da Hali infatti giungevano notizie decisamente pessime: non solo gli Alton avevano potuto mettere in campo un esercito ben più agguerrito di quanto previsto, ma accanto a loro erano scesi in campo i Lanart, i Leynier e qualche altra decina di altri signorotti. I Syrtis e gli Hastur di Elhayn mostravano un atteggiamento ambiguo ed il previsto attacco degli Aldaran contro gli Ardais veniva rimandato di giorno in giorno.
L'attacco a Neskaya da sud-est doveva essere rimandato a tempi migliori, Lorill Hastur doveva tornare indietro e disporsi sul Valeron, a difesa della stessa Hastur.
A complicare le cose giunse la notizia che gli uccelli-sentinella avevano avvistato delle forze nemiche che attraversando le foreste era giunto in prossimità delle colline Venza.
Quella sera Gabriel D'Asturien venne convocato assieme a tutti i capitani ad un consiglio di guerra straordinario.
«Conoscete tutti la situazione,» esordì Lorill Hastur, «ed è inutile che mi soffermi sui particolari. Il nostro era un esercito strutturato in modo da attaccare le fortificazioni attorno a Neskaya e quindi siamo rallentati da un centinaio di carri carichi di armi, vettovaglie, macchine d'assedio, pece magica.» Fece un pausa per vedere se qualcuno aveva da obiettare qualcosa, ma tutti assentivano, per cui continuò: «Le forze Ardais, invece viaggiano con pochissimi carriaggi al seguito e sono molto veloci. Sapiente, ho visto che gli uccelli-sentinella sono appena rientrati: quali sono le ultime notizie?»
«Confermano i precedenti avvistamenti, sono molto rapidi negli spostamenti e dispongono forse di mille o millecinquecento uomini. Ma è una valutazione molto approssimata, sono in mezzo alla foresta e quindi poco visibili. Per poter dare queste notizie ho dovuto far volare molto bassi gli uccelli-sentinella... e ne ho persi due.»
«Quanti ce ne rimangono?» chiese uno dei capitani.
«Solo due, Lord Alar,» rispose Gabriel, «e sono maledettamente pochi.»
«Fra quanto potrebbero raggiungerci?» chiese un altro.
«Cinque... sei giorni al massimo,» disse.
L'Hastur chiese nuovamente attenzione e riprese: «Non possiamo ritirarci in fretta e a quanto sento non potremmo neppure affrontarli. Comunque ho l'ordine di schierarmi al di là del Valeron. Dobbiamo rallentarli in ogni modo. Qualcuno ha dei suggerimenti?»
Nel silenzio eloquente che era sceso dentro la tenda si sentì nuovamente la voce di Gabriel D'Asturien: «Io un'idea l'avrei.»


barra

La figura del giovane sparì, ed Anndra si chiese che cosa potesse aver provocato la sua sparizione. Si alzò e si guardò intorno, ma vedeva solo neve, nebbia e gli alberi che si perdevano a vista d'occhio. Ma il silenzio era sceso sul bosco e per quanto tendesse l'orecchio non riusciva a percepire neanche il più piccolo rumore.
Chiuse allora gli occhi protendendo la mente e cercò di visualizzare col laran la poca luce che filtrava tra gli alberi: gli apparve un paesaggio del tutto diverso. Gli alberi erano ricoperti di strisce luminose che si perdevano verso il cielo, tutto il resto era un mare di pagliuzze dorate che si spargeva nell'aria. Si guardò le mani... erano interamente ricoperte - come tutto il suo corpo del resto - dalle pagliuzze dorate. Provò, inutilmente a modificarle in una qualche maniera... ma come aveva fatto quel ragazzo?
«Stavo aspettando che tu lo facessi,» disse una voce dietro di lui. «Non si fa così. Guarda, ti faccio vedere come devi fare.»
Anndra, che era di nuovo sobbalzato a sentire una voce uscire all'improvviso dal paesaggio deserto, aprì gli occhi, si voltò e vide di nuovo il ragazzo.
"Ecco, resta in contatto con me e fatti guidare..." Riapparve il paesaggio con le pagliuzze dorate e sentì la mente dell'altro che lo forzava ad utilizzare il laran in un modo leggermente diverso. Era un po' come quando usava la pirocinesi, creava il fuoco (o perlomeno qualcosa che nel mondo reale poteva essere chiamato fuoco, naturalmente era energia allo stato puro), lo controllava e poi lo usava.
O come quando visualizzava i canali dell'energon nel corpo umano, modificando poi il loro stato tramite il laran, ed usando le mani come strumento, come punto focale delle proprie capacità mentali.
Capì allora che le pagliuzze dorate non erano altro che una delle tante forme dell'energon, che poteva essere quindi controllato e piegato ai suoi voleri. Fece un gesto con la mente e le pagliuzze che erano attaccate al suo corpo cambiarono la loro inclinazione ed invece di assorbire la luce incominciarono a rifletterla. E i suoi occhi non videro più altro che la neve sottostante...
Sentì una specie di scossa ed il suo corpo riapparve come per magia... Il ragazzo rideva divertito.
«Hai visto? È così facile... Ed io ho imparato a farlo anche agli altri. A farli sparire e poi riapparire, come faccio col mio corpo.»
Si sedette nuovamente sul tronco facendogli cenno di fare altrettanto: «Ora ti racconterò perché sono qui.»


barra

L'esercito si era mosso immediatamente ed ormai i carriaggi erano lontani, anche se facilmente raggiungibili in due giorni da una pattuglia a cavallo.
Gabriel D'Asturien guardò il piccolo drappello della Guardia che gli era stato assegnato da Lorill Hastur: erano solo cinque uomini, ma tutti erano soldati e soprattutto erano dotati di potenziale laran. Era l'unica cosa sensata: i Sapienti servivano all'esercito, per sventare gli incantesimi e le trappole, per far volare gli uccelli-sentinella, per utilizzare la pece magica... inoltre non sapevano usare la spada. Questi invece erano tutti telepati che avevano avuto l'addestramento di base ad Arilinn o ad Hali e soprattutto erano soldati.
In quel punto la strada in mezzo al bosco saliva e gli alberi erano particolarmente fitti: il luogo era stato scelto appunto perché si prestava particolarmente ad un agguato. Sentirono il tintinnio dei finimenti di cavalli o di chervine e si prepararono. Gabriel era già in contatto mentale con gli altri uomini e dette gli ordini necessari. Mentre tutti diventavano invisibili, lui si piantò a gambe larghe in mezzo al sentiero: era interamente ricoperto da una tunica nera, un lungo cappuccio che finiva a punta gli ricopriva interamente il volto, lasciando scoperti solo gli occhi, che brillavano da due buchi tagliati nella stoffa. Ed aveva in mano una spada.
Una pattuglia a cavallo di una dozzina di uomini avanzava con cautela, era la parte più avanzata dell'avanguardia dell'esercito, che seguiva a due ore di distanza. Quando il loro comandante vide in mezzo al sentiero quella inquietante figura, alzò la mano sinistra per ordinare l'alt, mentre con la destra sfoderava rapidamente la strada. Ma non fece nemmeno in tempo ad aprire la bocca, la figura era sparita. Si guardò intorno, ma in mezzo agli alberi c'erano solo nebbia e neve, il bosco era completamente silenzioso.
In quel momento sentì un urlo, si voltò appena in tempo per vedere lo sconosciuto, venti metri più addietro, sfilare la spada dal corpo di uno dei suoi soldati... e sparire. E poi riapparire subito quasi in testa alla colonna, ucciderne un altro e sparire ancora. In pochi secondi fu il caos. Il misterioso individuo appariva e scompariva in un attimo, giusto il tempo di uccidere un uomo, per riapparire subito dopo a molti metri di distanza, colpire e svanire nella nebbia. In preda al panico fece girare il cavallo e tornò al galoppo verso il suo reparto... lo seguiva solo uno dei suoi uomini.
«È uno spettro! È Zandru in persona! In mezzo al sentiero... appariva, uccideva e spariva!»
Il comandante lo prese per pazzo, ma comunque mandò in avanscoperta quasi metà del reparto, quaranta uomini, e mandò una staffetta al generale perché mandassero qualche Sapiente a controllare. Quando, mezz'ora dopo tornò indietro un solo uomo, coperto si sangue ma non ferito, che urlava frasi quasi inintelligibili, nel reparto scoppiò il caos.
Occorse tutta l'autorità di cui disponeva e la minaccia di farne impiccare uno su cinque agli alberi del bosco per far tornare la calma.
«Dev'essere un trucco di qualche maledetto Sapiente! Lo smaschereranno i nostri non appena arriveranno, li ho già mandati a chiamare!»
Gli uomini si calmarono, almeno in apparenza, ma le lunghe occhiate, i gesti di scongiuro, i borbottii a mezza bocca erano fin troppo significativi.
Finalmente arrivarono due Sapienti, un uomo ed una donna, scortati da una decina di soldati: bastò poco per metterli al corrente dei fatti. L'uomo ascoltò con espressione grave, ma si limitò a chiedere di essere scortato in modo adeguato fino al luogo dell'agguato. «È un semplice incantesimo,» disse, «è un vecchio trucco che usano ad Hali. Un Sapiente proietta delle immagini mentali per distrarre le persone, e diventa quindi semplice uccidere a tradimento. È sufficiente fare il controincantesimo appropriato per impedire la proiezione delle immagini.» E con un colpo di sprone fece incamminare sul sentiero il suo chervine.
Di loro non rientrò nessuno.
La notizia in breve fece il giro dell'esercito, scatenando timori e mugugni da parte dei soldati. Il loro generale, Bard Ardais, era letteralmente furioso: «Due Sapienti e novantotto uomini! Non è possibile! E tutto per colpa di chi? Di uno spettro! Ma che soldati avete al comando? Dei pastori si difenderebbero meglio!» Riuniti nella tenda del comando tutti i suoi ufficiali ascoltarono a capo chino il suo sfogo e la sua rabbia (era meglio lasciarlo sfogare), poi avanzarono varie proposte che si concretizzarono in una sola soluzione: far marciare l'esercito a ranghi serrati, senza mandare in avanscoperta pattuglie, che, per quanto numerose, potevano essere vittime di un'imboscata.
La mattina successiva fu uno stillicidio. Non apparve nessuno spettro, ma ogni tanto un uomo si accasciava urlando nella neve, col corpo misteriosamente trafitto. Prima di mezzogiorno fu indispensabile dare l'alt e far piazzare il campo: gli uomini erano sull'orlo dell'ammutinamento. Ma anche questa misura non fu sufficiente: ogni tanto si udiva un grido ed un corpo cadeva in terra versando il sangue nella neve. Quando lo spettro gli apparve per un lungo istante, l'ultimo della sua vita, Bard portò la mano alla spada, ma non riuscì neanche a sguainarla: sentì il ferro che gli entrava nello stomaco e istintivamente abbassò lo sguardo. Quando rialzò la testa, con le ginocchia che ormai si rifiutavano di sostenerlo davanti non c'era più nessuno. Intorno a lui il panico si tramutò in terrore. Fu un fuggi fuggi generale verso Neskaya.


barra

«Ma voi cosa faceste?» chiese Anndra, rabbrividendo nel percepire le sensazioni di morte che l'altro gli trasmetteva.
«Mandai indietro i soldati, ormai potevo bastare solo io, con la consegna di mandare qualcuno a prendermi quando avessero appurato che l'esercito di Lorill Hastur era ormai in salvo. Restai di guardia sul sentiero per giorni e giorni, ma non vidi più nessuno, né amici, né nemici. Probabilmente il mio corpo ha ceduto per mancanza di alimentazione, non credo che sia mai stato ritrovato.» Si alzò facendo capire al suo ascoltatore che il colloquio era finito. «Quella tecnica fu poi divulgata in tutta Darkover dai telepati che erano con me, e naturalmente venne trovato il modo per neutralizzarla... cerca di farne un buon uso.»
Vidi che la sua figura stava svanendo, ma non riuscii a dire altro... mi stavano richiamando e sentii una leggera nausea e una forte salivazione mentre precipitavo verso il mio corpo fisico.
Aprii gli occhi e vidi Damon, Dana, Fiona intorno al divano dove ero steso: non lessi preoccupazione nei loro volti, ma curiosità.
«Quanto sono stato via?» chiesi.
«Non molto, circa un paio d'ore,» rispose Dana, «ma naturalmente tutto è soggettivo.»
«Sì, mi sembra di essere mancato per molto tempo...»
«Ora vai a mangiare e poi a dormire. Quando ti svegli vieni da me, devo parlarti.» Disse la Custode. Poi uscì dalla stanza.
«Che è successo?» chiesi.
Damon scoppiò a ridere: «Tu ci chiedi cosa è successo?» Si mise a sedere sul divano, accanto a me e mi disse: «C'è stato un momento che il tuo corpo è diventato quasi trasparente, lei,» accennando a Dana, «stava già per richiamarti, anche se le funzioni vitali erano tutte a posto. Poi sei... riapparso. E chiedi a noi quello che è successo? Vieni, amico mio, andiamo a mangiare qualcosa insieme. E raccontaci tutto.»
Mi alzai e istintivamente mi guardai le mani... «È una storia lunga... ma se mi dai un po' di quel miele che ti hanno portato i mercanti da Thendara... beh, potrei anche raccontartela.»









barra









Disclaimers

Nuovo viaggio di Anndra nel passato.

Credits

La canzone scelta come accompagnamento al racconto è The flower of the Forest, tradizione scozzese. Seguendo il link, che vi porterà alle pagine della sezione musicale, avrete ulteriori informazioni sulla canzone e sugli autori.

L'immagine de Il villaggio fortificato dopo l'attacco. Sullo sfondo le colline Venza è in realtà il NARROW WATER CASTLE, Co. Down - Northern Ireland


torna all'inizio







The Elvas Project © 1999 - 2008
© SDE Creations
Ultimo aggiornamento: 31/12/2008