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L'arrivo a Elvas

Aurora MacColin

Aurora aveva sempre saputo di essere una seconda scelta per tutti, ma questo non l'aveva mai ferita. Come tutti, aveva amato immensamente sua sorella Bethia, più alta, più bella, più dolce e con una voce così melodiosa da commuovere anche i sassi. Fino all'arrivo di lui, quel verme sotto spoglie d'uomo, Donal, quel bastardo così fiero del suo rame e di tutta la reish che aveva al posto dell'anima. Di lui, di quel viscido essere, non avrebbe mai voluto nemmeno essere la prima scelta. Egli aveva cambiato le cose in casa, facendosi benvolere come futuro, ricco, genero di suo padre; facendosi amare incondizionatamente da Bethia, che avrebbe sposato all'inizio dell'estate. Chi poteva saperlo, forse aveva perfino convinto i suoi genitori che lei non sarebbe mai stata una brava donna di casa, operosa sì, ma troppo amante dell'aria aperta e dei cavalli... chi poteva sapere cosa aveva detto loro?
La sua giumenta, come se fosse stata a conoscenza dei suoi sogni, prese il giusto sentiero nella valle di Elvas senza bisogno di essere guidata.
"Ma come può non conoscere i miei sogni, ormai, dopo che di sera in sera le ripeto il mio strazio? Come può non riconoscere Elvas, e la sua Torre Verde, dopo che gliel'ho descritta tante volte? Non è semplice la strada per giungervi, e dubito che qualcuno verrà comunque a cercarmi: è il posto ideale per ricominciare, per lasciarmi alle spalle i fardelli da abbandonare."
E tuttavia, il suono delle foglie ed un abbaiare lontano le ricordarono il suo villaggio, e provò nostalgia del passato, del tempo in cui era ancora la brava figlia operosa di suo padre, e la sorellina silenziosa di Bethia. Nostalgia di ciò che non voleva più essere, mai più.
"A cosa mi ha portata, essere una brava figlia, una brava sorella?"
Il dolore le bruciava l'anima, così come aveva bruciato il pugnale di Donal sul suo viso, dove ora una cicatrice slabbrata le attraversava lo zigomo. Più ancora aveva bruciato il membro congestionato di lui, aprendosi una strada sanguinolenta nel suo corpo. E, quando aveva creduto che nulla l'avrebbe più ferita, erano state roventi le parole ed il disprezzo della sua famiglia. «Piccola puttana, non sei stata capace altro che di comportarti come un animale?» Inutile protestare, indicare il taglio ancora rosso sul viso. Ma certo, una brava ragazza avrebbe preferito farsi uccidere, piuttosto che essere disonorata, e Donal non ci avrebbe certo provato, se lei non l'avesse in qualche modo incoraggiato.
Aveva visto gli sguardi tra Donal e suo padre, fra suo padre e sua madre. Aveva colto parole sussurrate.
"Schifoso essere, quanto avevi promesso a mio padre perché diventassi la tua barragana? E poi cos'è successo? Non hai saputo aspettare? Tu, così forte e valente e perfetto non hai saputo far tacere i tuoi istinti con una che lo fa per lavoro? Tu, così bello, hai dovuto minacciarmi di cavarmi gli occhi, per avermi..."
Ma ora si era lasciata tutto alle spalle, doveva smetterla di affliggersi. Aveva quasi raggiunto il villaggio di Elvas, e sapeva che vi avrebbe trovato una Loggia di Rinunciatarie. Ricacciò indietro il senso di nausea e spronò Preciosa. Il sole iniziava a calare e lei avrebbe fatto bene a mangiare qualcosa, per rimettersi in forze dopo la terza mattinata di cavalcata e per mettersi a posto lo stomaco. Ma ora che era in vista delle case di Elvas, dei suoi palazzi e dell'imponente Torre, iniziava ad essere impaziente e non voleva fermarsi. Al diavolo, poteva sempre mangiare a cavallo. Mentre s'inarcava all'indietro, avvertì una fitta fra le gambe: stavano diminuendo, ma di tanto in tanto provava ancora dolore nel compiere certi movimenti, e trovava qualche traccia di sangue nella biancheria. Si morse il labbro, concentrandosi sull'atto di prendere una manciata di frutta essiccata dal bagaglio.
Fu con il cuore in gola che entrò in quella che sembrava la piazza principale del villaggio, dominata dalla struttura imponente della Torre e da una fontana in pietra nera raffigurante le Dee. Le sembrò, da lontano, di vedere nell'ombra la figura di una donna anziana che la fissava. Oh, beh, che la fissassero pure. Sì, erano pantaloni, quelli che indossava, pantaloni smessi di suo padre, ormai sformati, ma utili e comodi. A chi importava il suo modo di vestirsi, ormai? E poi, se fosse diventata una Rinunciataria, avrebbe avuto tutto il diritto di indossarli.
Ed ecco la Gilda, come non riconoscerla? Avvicinandosi, poteva udire voci femminili chiamarsi a vicenda, ed era una giovane donna quella che stava lavorando nella serra.
Scese di sella e deglutì a vuoto un paio di volte, prima di suonare la campana. Ad aprire il portone fu, pochi istanti dopo, una giovane alta, dai capelli scuri, che per un attimo le ricordò Bethia. Il primo impulso di Aurora fu quello di voltarsi e fuggire, ma gli occhi della donna erano verdi, non bruni, il suo corpo era muscoloso sotto gli abiti di foggia maschile e non aveva certo l'aria di una bambolina!
«Sì?»
Aurora si rese conto di essere rimasta a fissare l'altra, senza parlare.
«Il mio nome è Aurora. Io vorrei diventare una di voi.» Mormorò.
Dopo aver dato un'occhiata a lei ed al cavallo, l'altra la pregò di attendere e si allontanò per un momento all'interno. Pochi attimi dopo era di ritorno.
«Lasciami pure il cavallo, ci penso io. Quanto a te, penso sia meglio farti parlare con la Madre, puoi aspettarla di là.»
Di là si rivelò una stanza appartata, un piccolo studio. Aurora si tolse il mantello pesante e si sedette ad aspettare. Non dovette attendere molto prima che la Madre arrivasse. Dall'appellativo, si era immaginata una donna anziana, perlomeno sulla cinquantina. La donna che aveva davanti era invece matura, ma giovane ed energica, o così le sembrava. Si presentò come Gwennis n'ha Hannah, e le chiese chi fosse.
«Aurora,» rispose, ricordando che le Amazzoni si facevano chiamare con il nome della madre, «il mio cognome è MacColin, ma il nome di mia madre è Viviana.» Rispose perciò, incerta sul da farsi. Si domandò per un attimo se fosse il caso di aggiungere il nome del suo villaggio di provenienza, ma Gwennis non sembrava particolarmente interessata a saperlo.
«E Rafi mi ha detto che vuoi diventare una di noi...»
"Rafi? Ah, certo, deve essere quella che somiglia a Bethia." Annuì.
«Sì, voglio essere un'Amaz... una Rinunciataria.» Si rese conto appena in tempo di aver usato il termine sbagliato, e si morse le labbra, mentre sentiva di arrossire sul collo e sulle guance. «Ma, ti prego, non chiedermene il motivo. Non ho voglia di parlarne. Spero ti basti il proverbio secondo cui ogni storia di un'Amazzone è una tragedia.» Aggiunse precipitosamente quando vide che la donna stava per rivolgerle un'altra domanda. La donna spostò per un attimo lo sguardo sulla sua cicatrice, come intuendone l'origine, ma lo distolse subito.
«Non c'è problema, chiya. Ma qualcosa mi dice che tu non conosci bene la vita di noi Rinunciatarie, non è così?»
«No, Madre. Non ne so molto, in effetti, ma penso che potrò conoscerla con il tempo. Qualsiasi cambiamento richiede tempo...»
«Questo è anche uno dei motivi per cui, per essere sicura del passo che compirà, una donna deve passare con noi almeno sei mesi di ritiro, in cui non è possibile uscire dalla Casa. Lo sapevi, questo? Saresti disposta a farlo?»
«Non sapevo...» Sei interi mesi... a pensarci sembrava un'eternità. Sei mesi senza uscire, senza sentire il vento sul viso, o i piccoli baci della pioggia e della neve. Sei mesi senza cavalcare la sua Preciosa. Ma cos'erano sei mesi rispetto ad un'intera vita libera? Libera dal passato, dalla sua famiglia, dagli obblighi verso gli uomini. Dopotutto, stava entrando in un mondo completamente nuovo. «Comunque mi sembra una cosa utile, e se lo fanno tutte le donne non vedo perché dovrei esserne esonerata proprio io. Qualcuno farà correre Preciosa, vero?»
«Preciosa?»
«La mia giumenta. È poco più che una puledra e le piace molto il movimento. Poi, non vorrei che si impigrisse.»
«Qualcuna penserà sicuramente a lei. Immagino dunque che tu sappia cavalcare ed occuparti dei cavalli, all'occorrenza.» Ricevuto un cenno d'assenso, continuò. «Che altro sai fare?»
«Conosco la maggior parte dei lavori domestici, so cucinare, rigovernare, cucire... Mio padre è un vasaio e lo aiutavo nel suo lavoro. Me la cavo molto bene in giardino.»
«Sei in grado di leggere e scrivere, cacciare, combattere?»
«Mio padre mi ha insegnato a leggere, ma solo qualche parola e i numeri, per tenere i conti del negozio. Però sono tutte arti che mi piacerebbe imparare.» Il suo sguardo si rifugiò in un angolo. Non si aspettava questo genere di interrogatorio. Forse che le Rinunciatarie non accettavano chi non sapeva scrivere o battersi con le armi? Aurora non era nemmeno in grado di far nascere un bambino - né questo la interessava, la nascita era un processo vicino a disgustarla, più che ad affascinarla.
«Non ti ho ancora domandato la tua età, ma immagino tu abbia da tempo compiuto i quindici anni.» Riprese la Madre.
«Vado per i diciassette.» Probabilmente, si disse, dimostrava ben più della sua età, dopo quel che le era accaduto e dopo tre giorni e tre notti di viaggio. Specchiandosi nel fiume che percorreva la valle, si era vista smunta, e con profondi cerchi scuri intorno agli occhi. Aveva anche bisogno di una bella lavata.
Gwennis lanciò un'occhiata alla posizione del sole, fuori dalla finestra. «Parleremo ancora più tardi o nei prossimi giorni. Intanto, fra un paio d'ore sarà il momento di cenare. Forse vorrai fare un bagno, prima.»
«Grazie. Mi piacerebbe molto.»
Fu affidata alla ragazza che le aveva aperto la porta, Rafi, che l'accompagnò nella stalla a recuperare le sue bisacce. Qualcuno, forse lei stessa, aveva strigliato Preciosa e l'aveva sistemata in uno stallo ben pulito e profumato di fieno, ed Aurora la ringraziò.
«Non c'è di che,» le fu risposto, «è proprio una bella cavallina.»
«Non è bellissima, ma è resistente e molto dolce. Si chiama Preciosa.» Ripensò a ciò che l'attendeva ed aggiunse: «Spero che qualcuno la porterà fuori durante il mio ritiro, altrimenti ne soffrirebbe.»
«Questo è fuor di dubbio, a meno che anche lei non voglia prestare il Giuramento!»
Solo dopo che ebbero smesso di ridere insieme, Aurora si trovò a domandarsi da quanto tempo non aveva riso così, liberamente e di gusto. Sentì improvvisamente un groppo in gola... che stupida! Proprio ora che era al sicuro, che era giunta alla sua meta, le veniva il magone! E tuttavia, non riuscì a scacciare la sensazione.
Rafi le mostrò il bagno e la lasciò in una stanza singola. Era la cosa migliore, le disse, finché non si fosse ambientata un po', ed in seguito avrebbe potuto dividere la stanza con delle altre ragazze.
Si immerse nell'acqua calda, i muscoli stanchi e doloranti finalmente rilassati, il cattivo odore lavato via dal sapone. Era la prima volta, dopo ciò che era successo, che si ritrovava in intimità con il proprio corpo nudo. Certo, dopo la violenza, si era lavata con acqua gelata, strofinandosi fino a farsi male, nell'inutile tentativo di lavarsi di dosso la vergogna e il dolore, ma quello era stato un atto di espiazione e nient'altro. Il suo corpo non era cambiato, non visibilmente, era ancora il corpo giovane di una sedicenne. Si sfiorò un ginocchio nudo, e quasi si stupì quando la pelle le restituì la sensazione del suo tocco.
Tuttavia le erano rimasti dei solchi profondi nell'anima, nella mente. Solchi che - lo sapeva bene - non sarebbe stato facile riempire, nascondere.
Il nodo alla gola si sciolse in lacrime.









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Disclaimers

Aurora MacColin arriva a Elvas.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008