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Una nuova Torre

Damon Aldaran



Parte Prima - Incontro Inatteso

Carissimo Danvan non so ancora come sdebitarmi per tutto il tempo che ho potuto trascorrere nella tua casa,» disse Damon mentre guardava ancora una volta la famiglia che l'aveva ospitato schierata fuori dalla sua dimora.
«Damon Kadarin, sono io che ti devo ringraziare: in questi mesi mi hai permesso di comprendere tante cose che prima mi erano misteriose e mi hai aiutato con i miei figli,» rispose Danvan.
«Ma figurati, è stato comunque interessante anche per me.»
«Ciao Damon, ciao: torna a trovarci.» dissero insieme Alaric e Cyrill.
«Un giorno tornerò, oppure un giorno sarete voi a venire a trovare me: solo gli dèi possono saperlo. Ma mi raccomando, ora mi promettete che farete i bravi e sarete ubbidienti con la mamma e il papà?»
«Certo!» dissero i piccoli abbassando un po' gli occhi.
«Domna Leonora: avervi incontrato è stato un piacere e spero di non avervi arrecato troppo disturbo.»
«No, Damon, come ha detto mio marito è stato bello avervi avuto ospite durante questo periodo,» rispose Leonora.
Damon si avvicinò al suo cavallo e vi montò sopra: «Arrivederci, amici, non vi dimenticherò!»
«Arrivederci!» fu la risposta corale.
I due bimbi urlarono come se fosse un momento eccitante per tutti. Damon nascose il dispiacere che stava provando nel lasciare quella famiglia così ospitale e si rese conto che i sentimenti erano reciproci, perché sentiva che anche Danvan e Leonora stavano soffrendo per questa separazione.
Negli ultimi cinque mesi, Damon aveva dimorato a Carcosa. Si era fermato perché aveva saputo dell'esistenza di una piccola raccolta di volumi che forse poteva servirgli per i suoi studi.
Aveva alloggiato presso la casa di Danvan Delleray che era stato un suo compagno a Nevarsin. L'aveva incrociato per caso, mentre entrava in città ed era stato così che, anziché nella solita locanda, aveva potuto alloggiare in una casa e, più di tutto, aveva potuto godere del calore di una famiglia.
Tra un volume e l'altro, aveva così aiutato Danvan ed aveva anche insegnato ai suoi figli a leggere e a scrivere.
La minuta raccolta di scritti era custodita da una vecchia nobile vedova con la quale dapprima dovette combattere per riuscire ad ottenere la possibilità di accedere ai volumi. In seguito i due trovarono un punto d'incontro, ed anzi, alla fine erano diventati amici. La sera precedente era scoppiata in lacrime alla notizia che il giovane non sarebbe più tornato.
I volumi che Damon aveva trovato erano stati interessanti. Racconti, alcune volte leggendari, su avvenimenti di Darkover, lunghi elenchi di incroci tra famiglie, risalenti alle Ere del Caos e poi libri sui medicamenti, sugli animali e le piante. Aveva trovato anche un libro sulla sessualità: "certe cose non cambiano mai" si era detto scovando quel tomo impolverato in un angolo nascosto della libreria.
Finiti i suoi studi, però, aveva sentito il bisogno di cambiare. Non sapeva ancora bene dove dirigersi; pensava prima di tutto di andare a Neskaya a trovare la Custode che ben conosceva per parlarle di quello che aveva trovato in questi anni di ricerche e poi si sarebbe diretto a Castel Aldaran: in fondo erano passati due anni dalla sua ultima visita.
Dentro di sé sapeva che sarebbe successo qualche cosa, perché il suo donas gli aveva rivelato un cambiamento molto vicino.


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Guardò indietro e vide che tutta la famiglia era rientrata. Il chervine con tutto il suo carico di libri e appunti seguiva al traino il cavallo.
Era partito dalla sua casa ad Aldaran con poche cose ed ora aveva bisogno addirittura di un animale da soma per portarsi dietro tutta la sua raccolta di cultura.
Guardò in alto il cielo: l'estate Darkovana stava per finire. Estate era la stagione in cui faceva meno freddo, tutto qui, ma sarebbe stato bello cavalcare ancora senza doversi preoccupare della neve o delle tempeste.
Pensò ai quattro dèi che lo avevano accompagnato nel suo peregrinare in questi cinque anni e si sentì di dover recitare una preghiera di ringraziamento per averlo più o meno aiutato. A volte l'aiuto non era giunto nel modo che lui desiderava, ma lo avevano comunque aiutato, non c'era alcun dubbio.
Guardò avanti e vide il sentiero da percorrere. Ormai era fuori città. Un carro con un uomo lo incrociò: trasportava qualche genere alimentare da vendere in città. Lanciò un saluto di convenienza, secondo il codice non scritto dei rari viaggiatori della regione.
Davanti a lui, una nuova meta: ormai ne era convinto.
In una delle notti precedenti aveva fatto uno strano sogno.
Aveva visto se stesso correre al galoppo sul suo destriero inseguito da tutti i Comyn dei sette domini. E correva e correva fino a raggiungere un posto sperduto dove sorgeva una costruzione diroccata. Con il cavallo era entrato in questa costruzione da una apertura che probabilmente un tempo era stata una porta.
Quando si era voltato, tutti i suoi inseguitori non esistevano più. La stanza si era improvvisamente illuminata e lui aveva visto un tavolo rotondo con dieci sedie disposte intorno. Era sceso da cavallo e si era seduto su una delle sedie provando un'autentica sensazione di felicità, di gioia, di serenità come non aveva mai provato prima.
E poi aveva visto questa costruzione verde crescere e lui, che ora si trovava sulla cima, venire proiettato in alto. Vedeva tutto il paesaggio diventare piccolo e sentiva l'aria che gli accarezzava il volto mentre continuava a salire fino a raggiungere le stelle.
Poi il sogno era finito e lui si era svegliato di soprassalto, vedendo Danvan con una torcia in mano che lo stava guardando perplesso: «Ti stavi agitando nel sonno: mi hai spaventato!» gli aveva detto.
«Scusami, è stato solo un incubo.»
Aveva impiegato qualche giorno a cercare di capire cosa volesse dire quel sogno e a riconoscere di quale luogo si trattasse.
Poi, finalmente, si era ricordato dove era quel luogo, perché ci era stato da bambino.
Un territorio ai confini fra il suo Dominio e quello degli Ardais, un territorio che aveva sofferto per le mille battaglie che si erano susseguite e che ora, risanate le ferite, desiderava essere nuovamente abitato da degli uomini di buona volontà per poter porre termine alla sua solitudine.
E la costruzione che aveva visto era la Torre che un tempo doveva essere stata eretta da uno o dall'altro clan per difendere ed attaccare il nemico durante le Ere del Caos.


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La giornata trascorse tranquillamente. Per un certo tratto si unì a lui un allevatore che stava raggiungendo i suoi pascoli e che fu ben felice di intrattenere una semplice conversazione.
Giunse la notte e, dal momento che non c'erano nelle vicinanze villaggi o altri rifugi, Damon si preparò a passarla all'addiaccio nel bosco che fiancheggiava la strada.
Al mattino successivo proseguì, senza incontrare più nessuno per tutta la giornata.
Era contento che il tempo rimanesse bello, ovvero che ci fossero poche nubi in cielo e che non piovesse.
Il terzo giorno, invece, quando si svegliò c'era foschia.
Si preparò la colazione e poi riprese il cammino.
Aveva percorso un tratto di strada quando sentì delle voci concitate provenire nella direzione verso cui si stava dirigendo.
Proseguendo, ad un certo punto incrociò dei soldati che gli intimarono di fermarsi.
Damon non riuscì a riconoscere subito di quale esercito si trattasse.
«Chi sei e perché sei qui?» gli chiese perentoriamente un soldato.
Altri tre armati gli si erano fatti intorno, le mani appoggiate tutte all'elsa delle rispettive spade.
Damon se la cavava discretamente con la spada, ma preferì lasciare le sue mani in vista e strette alle redini della cavalcatura.
«Sono Damon Kadarin. Mi sto dirigendo verso Neskaya,» gli rispose con voce calma e decisa, che non dava motivo al suo interlocutore di replicare.
«Da qui, per ora, non potete passare Kadarin,» gli disse il soldato, continuando a mantenere il suo sguardo su di lui. Poi proseguì: «Che cosa state trasportando?»
«Libri, pergamene.»
«Libri?» replicò l'armigero.
«Sì: non ne avete mai visti?» rispose Damon cercando di trattenere il sorrisetto che gli si stava formando agli angoli della bocca.
«Certo che ne ho visti!» rispose il soldato.
Ma non li hai mai letti, si disse dispiaciuto Damon.
Una cosa che odiava del suo mondo era che si dava poco spazio alla cultura di una persona. Le tradizioni, le storie, le leggende ed il sapere venivano trasmessi nella maggior parte dei casi per via orale.
Ma questo, pur essendo un buon sistema per preservare le nozioni, non era molto valido, perché col tempo l'informazione si deteriorava e si arricchiva di inutili particolari che spesso la soffocavano.
In un libro, invece, una volta scritta l'informazione rimaneva immutata.
Un rumore cupo attirò l'attenzione di Damon e dei quattro soldati di guardia.
Ancora rumori, poi voci sempre più concitate.
«Posso chiedere cosa sta succedendo?» domandò Damon.
Il soldato, che ormai era chiaro che fosse l'ufficiale responsabile della guardia, lo guardò e gli disse: «Nulla che vi riguardi!» ma dalla sua voce traspariva chiaramente la preoccupazione.
La foschia continuava a celare ciò che stava accadendo più avanti.
«Che succede Darrien?» urlò il soldato rivolgendosi a qualcuno davanti a loro, immaginò Damon.
Parole incomprensibili furono la risposta.
«Muoviti, vieni qui di volata!» gli ordinò.
Un altro soldato sbucò dalla foschia e si avvicinò.
«Allora?» gli chiese l'ufficiale.
«Sono riusciti a sistemare il carro e il suo contenuto, ma il Dom è rimasto ferito gravemente.»
L'ufficiale guardò Damon e poi il soldato e maledisse la stupidità del suo sottoposto: usare la parola Dom davanti ad uno straniero...
«Torna al tuo posto di guardia,» gli ordinò.
Damon continuava a stare fermo, mentre gli altri tre soldati non cessavano di tenerlo d'occhio.
Il soldato aveva usato il termine Dom ma senza aggiungere il nome...
Dom di quale Dominio? E poi era ferito...
Perché gli era capitato questo?
«Posso scendere da cavallo?» chiese Damon.
L'ufficiale lo squadrò e poi disse ai suoi uomini: «Se fa una qualsiasi mossa strana, uccidetelo!»
Damon smontò con lentezza, cercando di evitare ogni movimento brusco.
Quando fu di fronte all'ufficiale, gli disse: «Uccidermi potrebbe essere il vostro più grande errore.»
«Che cosa state dicendo!?»
«Magari potrei esservi utile.»
«Utile?» lo canzonò.
«Ho sentito che il vostro Dom è ferito,» vide l'ufficiale alzare gli occhi al cielo in una imprecazione muta. «Potrei aiutarvi a medicarlo: ho studiato in una Torre e posso dire di cavarmela come monitore. Inoltre ho con me qualche erba che può evitare danni peggiori, se la ferita dovesse essere grave.»
L'ufficiale rimase un attimo perplesso.
Quest'uomo era uno straniero: poteva fidarsi di lui? eppure sentiva che gli aveva parlato con sincerità e che non rappresentava una minaccia.
«Può essere,» disse. «Datemi la vostra spada e seguitemi: se il vostro aiuto può salvare il nostro Dom, non sarò certo io l'ostacolo, ma se solo mi dovessi accorgere che state per fare qualche cosa di sbagliato, in men che non si dica vi ritroverete nel più profondo inferno di Zandru!»
Prese la spada e la consegnò all'ufficiale il quale non la degnò di uno sguardo.
«Seguitemi!» ordinò, e poi guardando i suoi uomini «Tu stai dietro e sai cosa devi fare! Voi due continuate il vostro lavoro: vi manderò due uomini in aiuto,» quindi si incamminò.
Damon lo seguì tirandosi dietro i sui animali.
Qualche metro più avanti c'erano dei cavalli. L'ufficiale ordinò a due uomini di raggiungere il primo posto di guardia, poi. presi due animali, uno per lui e uno per il soldato che li seguiva, tutti e tre raggiunsero al galoppo il centro dell'accampamento.
Damon continuava a cercare di capire di quale Dominio fosse quell'esercito, ma la foschia continuava a limitare la vista e non riusciva a vedere stemmi o altro che potesse dargli la risposta. Certo, poteva fare la domanda, ma avrebbe insospettito l'ufficiale: la gente comune non domanda "Ma voi di quale Dominio siete?"!
Raggiunsero una tenda e Damon fu portato al suo interno.
"Ardais! Sono degli Ardais!"
La sua domanda finalmente aveva avuto la risposta che cercava: appena entrato nella tenda aveva visto lo stemma della famiglia che, più di tutte, era nemica della sua!
Si guardò intorno e vide un uomo sdraiato su un letto: aveva le gambe coperte di sangue.
Le ferite erano gravi e se qualcuno non fosse intervenuto al più presto, sarebbe morto dissanguato.
«Chi è costui?» domandò il comandante dell'esercito all'ufficiale.
Era già la terza volta che Damon sentiva questo ritornello.
«Era su questa strada; dice che ci può aiutare a medicare il Dom. Ha con sé libri ed erbe medicinali e afferma di aver studiato in una Torre.»
Il capitano squadrò Damon dall'alto al basso e poi si decise: «Potete salvarlo?»
«Posso provare, ma devo dire che le ferite sembrano gravi,» rispose.
Il Dom, intanto, era scosso da brividi e mugugnava qualche cosa di incomprensibile.
«Allora datevi da fare, altrimenti la vostra vita seguirà quella del nostro Dom
Damon si sentì come una fiamma dentro. Sfoderò di nuovo tutta la sua calma ma anche la sua determinazione: «Allora, uccidetemi subito, così che sia la vita del vostro Dom a seguire la mia!»
«Come osate?» urlò il capitano.
«Siete voi che avete posto una condizione che non posso accettare per lavorare!» Fece una pausa e poi proseguì: «Se volete che vi aiuti, ora, qui, davanti ai vostri uomini, mi darete la vostra parola che comunque vadano le cose, io avrò salva la vita. Altrimenti uccidetemi subito e poi attenderò dall'altra parte di essere raggiunto dal vostro Dom
Damon non credeva a quello che aveva detto! "Stupido! Ma come ho fatto a dire una cosa del genere? Non ci vuole coraggio, ci vuole stupidità!"
Il comandante non cessava di fissarlo: il suo sguardo sembrava volesse entrare dentro di lui. Damon aveva paura: aveva messo a repentaglio tutta la sua vita per una sciocchezza...
Poi il comandante sospirò e disse: «D'accordo, comunque vadano le cose, la vostra vita sarà salva: ma cercate di salvare il Dom
«È quello che ho intenzione di fare!» rispose sollevato Damon, poi prosegui «Posso sapere chi è e cosa gli è successo?»
«È Aidan Ardais, fratello di Dom Cyril Ardais. Questa mattina, la foschia deve aver messo un po' di agitazione ad alcuni cavalli: uno è scappato e ha provocato la caduta di alcune casse da un carro mentre il nostro Dom era vicino. Queste, cadendo, gli hanno intrappolato e schiacciato le gambe.»
«Ho capito. Ora voglio rimanere da solo con il Dom. Al massimo può rimanere una sola persona che mi aiuti fidandosi di me: tutti gli altri devono uscire.»
Il comandante rifletté brevemente, poi disse all'ufficiale: «Sarai tu ad aiutare... come vi chiamate?»
«Damon Kadarin,» disse.
«Rafael, sarai tu ad aiutare Kadarin!» concluse.
«Io?» domandò un po' imbarazzato l'ufficiale.
«Certo: sei tu che per primo ti sei fidato di quest'uomo, quindi sarai tu ad aiutarlo... e a controllare che non lo faccia morire.»
Damon si sentì in dovere di aggiungere: «Vi ripeto che sono qui per salvare quest'uomo, non per ucciderlo!»
Dopo un po' il comandate riprese: «E sia. Tutti gli altri fuori! Voglio due guardie all'ingresso e degli uomini fuori pronti ad eseguire gli ordini che vi darà Rafael! E il primo che sbaglia o che non sarà veloce quanto deve, ne risponderà direttamente a me! Sono stato chiaro?»


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Gli ordini del comandante dell'esercito furono eseguiti alla perfezione.
Oltre alle due guardie, Damon disponeva di dieci soldati pronti a fare quello di cui avesse avuto bisogno.
L'ufficiale Rafael lo aiutava, invece, direttamente dall'interno.
Il lavoro di Damon durò parecchie ore. Oltre ad agire fisicamente sulla ferita, Damon sfruttò tutte le capacità maturate durante il suo breve apprendistato come monitore e con l'aiuto della sua matrice penetrò nella carne squarciata delle gambe di Dom Aidan e ricostruì i tessuti, riattaccò le vene e le arterie. Infine rinsaldò i muscoli.
Verso sera finì il lavoro: ora le gambe del Dom erano fasciate e medicate con erbe che avrebbero evitato un'infezione o, almeno, così sperava Damon.
Rafael era sfinito, Damon ancora di più.
Quando si sollevò in piedi per uscire, gli venne un capogiro e dovette appoggiarsi all'ufficiale che lo sorresse.
Quando uscì, trovò il comandante ad attenderlo.
«Allora?» gli domandò.
«Le due ferite alle gambe sono state ricucite anche dall'interno. Erano piuttosto profonde. Ora c'è da attendere: ho lasciato un infuso da fargli bere ogni ora per calmare la febbre e per alleviare il dolore. Non ci rimane che attendere.»
«Va bene, faremo così.» «Kadarin avete bisogno di qualche cosa?»
«Sì, vorrei mangiare perché non ho più forze. Anche Rafael ha bisogno di rifocillarsi e riposarsi, si è impegnato fino in fondo.»
Sentì un tremito nel corpo del buon ufficiale che ancora lo sorreggeva.
«D'accordo.» Poi proseguì rivolto ai suoi uomini: «Accompagnate Kadarin e Rafael a ristorarsi, poi preparategli una tenda e accompagnatelo.»
Dopo aver mangiato, Damon fu portato nella sua tenda e appena toccò il giaciglio si addormentò.


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Si svegliò l'indomani che il sole rosso era già alto. Si preparò e uscì dalla tenda.
Trovò ad attenderlo due guardie che lo accompagnarono dal comandante.
Si fece raccontare come aveva passato la notte il Dom e poi andò a visitarlo.
Anche se all'inizio l'uomo aveva urlato e sofferto molto, man mano che le ore passavano sembrava essersi sempre più tranquillizzato. La temperatura non era aumentata più, anzi, sembrava finalmente che incominciasse a scendere.
Damon passò la giornata confinato nel suo alloggio oppure nella tenda del Dom dove cercava di fare dei controlli mediante l'uso del laran.
Le cose sembravano andare per il meglio, solo che, rispetto alle cure ricevute, il ferito stava impiegando troppo tempo a riprendersi.
La notte e il secondo giorno la situazione rimase immutata.
Damon incrociò nuovamente l'ufficiale Rafael il quale, finalmente, gli parlava serenamente e non con l'arroganza del primo incontro.
Si era dimostrato un aiuto valido e Damon aveva intuito che quell'uomo, se avesse potuto, avrebbe dato la sua vita per quella del Dom: era un ottimo soldato.
Quando Damon si muoveva nell'accampamento, sentiva gli occhi di tutti puntati su di lui. Il morale degli uomini era basso e quella foschia, che continuava a rimanere giorno e notte, non aiutava certo a far crescere la speranza.
"Ma perché non si riprende?"
Questa domanda continuava a ronzargli nella testa...
Verso sera, mentre era nella tenda che gli avevano assegnato, sentì un vociare sempre più forte provenire dal campo, poi dei passi affrettati avvicinarsi.
Infine si aprì la tenda e Rafael comparve davanti a lui.
Ciò che gli disse, lo colpì come un fulmine a ciel sereno: «Dom Aidan Ardais è morto!»
Il volto di Damon sbiancò. Per un attimo sentì il mondo crollargli addosso. Poi, però, notò che l'ufficiale stava trattenendo un sorriso ed infine esplose in una fragorosa risata!
Damon rimase allibito.
«Non ho mai visto uno diventare bianco come te!» disse Rafael e poi, tra una risata e l'altra proseguì: «Dom Aidan Ardais ha ripreso conoscenza e siamo tutti felici della cosa!»
Ci volle qualche secondo prima che Damon potesse rendersi conto del tragico, per lui, e divertente, per l'altro, tranello in cui era cascato.
«È vivo? Sta bene?» fu la domanda mentre si alzava in piedi.
«Certo: vieni alla sua tenda!» rispose l'ufficiale continuando a ridere.
Andarono di corsa verso la tenda del convalescente dove trovarono un comandante dell'esercito sollevato e felice.
«Damon Kadarin, avete mantenuto la promessa di salvare il nostro signore. Non dimenticheremo questo. Ma prego, entrate: il nostro Dom vi sta aspettando.»


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Entrò nella tenda e vide Aidan Ardais ancora sdraiato sul suo giaciglio, anche se finalmente con gli occhi aperti. Fece un piccolo inchino con la testa e attese che fosse il Dom a parlare per primo.
«Damon Kadarin, giusto?» disse Dom Aidan con fatica.
«Sì,» rispose Damon.
«Il mio comandante mi ha detto che siete stato voi a medicarmi le ferite.»
«Sì, sono stato io.»
«Allora, vi devo la vita, giusto?»
«Beh... non credo.»
«Che intendete dire?»
«Che vi ho medicato e che questo vi ha salvato la vita, non c'è alcun dubbio. Ma questo non significa che io desideri avanzare qualche pretesa nei vostri confronti: ho solo fatto quello che gli déi hanno voluto che facessi.»
«Parlate in modo strano, Damon Kadarin. Ma parlate bene,» disse Dom Aidan, poi proseguì: «Sono ancora molto stanco e mi fa male tutto il corpo.»
«Questo è normale: posso controllare la ferita?» chiese Damon.
«Ma certamente.»
Damon si avvicinò al Dom e controllò tramite il laran lo stato della ferita, poi controllò la medicazione. «Tutto sta andando per il meglio. Non perderete l'uso delle gambe,» concluse Damon dopo la sua analisi.
«Lo so. Ma so anche come erano conciate quando mi hanno trasportato qui, perché ero cosciente,» disse il Dom. Poi, dopo una pausa, proseguì: «Grazie Damon Kadarin.»
Damon stava per parlare ma il Dom lo precedette: «Ora potete andare, vorrei rimanere solo con il mio comandante.»
«Come desiderate,» rispose Damon, quindi si voltò e vide che il comandante era dietro di lui. Probabilmente era entrato insieme ed era rimasto sempre presente. Uscì dalla tenda e fuori ritrovò Rafael.
Damon guardò l'ufficiale di traverso.
«Scusami, ma ero troppo felice per quello che era successo e non ho resistito alla tentazione! Mi perdoni Damon Kadarin?»
«Perdonarti? Se ne avessi la possibilità ti caccerei in uno dei freddi inferni di Zandru per il resto dei tuoi giorni!» fece una pausa, poi aggiunse: «Ma sono felice anch'io e quindi ti perdono, mascalzone!»
«Vieni Damon, amico mio! Vieni che ti offro da bere: questa sera abbiamo di che festeggiare!»
Rafael abbracciò Damon e lo portò, come aveva detto, a festeggiare.
La serata passò in allegria: finalmente nell'esercito era tornato il buon umore.
Diversi soldati andarono a ringraziarlo per aver salvato Aidan Ardais.
Durante la festa, Damon aveva capito che il primo figlio di Dom Aidan sarebbe arrivato l'indomani per sincerarsi della salute del padre.
Quando tornò nella sua tenda vide che non c'erano più le due guardie. Entrò e vide che gli era stata riconsegnata la sua spada; si coricò e dormì profondamente come non gli capitava da parecchio tempo.





... continua ...









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Disclaimers

Damon, dopo lunghi anni di viaggio e di ricerche, ha le prime visioni del suo futuro e decide di recarsi a Neskaya per parlare con la sua vecchia amica Fiona.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008