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! Questo racconto tratta anche di tematiche omossesuali,
se siete contrari all'argomento o se vi offende non procedete nella lettura !



Incontrarsi per la prima volta

Dana n'ha Angela

Dopo sei mesi trascorsi chiusa all'interno della Gilda di Carthon, con la sola compagnia delle altre giovani intenzionate a diventare Rinunciatarie, a Dana non pareva vero di potersi nuovamente muovere all'esterno senza aver dietro qualcuno che continuamente le ricordasse perché stava facendo quello che aveva deciso di fare.
La decisione era stata semplice, era come se il pensiero fosse sempre stato presente nella sua mente, aspettando solo il momento propizio per venire allo scoperto. La notizia della morte di Asya, l'ultima moglie di suo padre di solo un anno più vecchia di lei, aveva come squarciato il velo che lo nascondeva alla sua vista, lasciandola con la consapevolezza che, da sempre, quello sarebbe stato il suo destino.
Un angolo della sua mente le aveva ricordato che anche Nyal Elhalyn, il giovane con cui la famiglia aveva deciso di legarla di catenas, le aveva sempre detto che nel suo futuro c'erano solo vestiti da uomo e non costosi abiti da comynara ma, come molte delle cose che Nyal diceva in preda ai deliri del suo donas, non pensava fosse destinata a realizzarsi.
Invece, mentre cavalcava al fianco della Sorella che le si era attaccata come una sanguisuga, doveva ammettere a se stessa che quella volta, tra tutti i futuri che il donas degli Elhalyn gli concedeva di vedere, Nyal aveva scelto quello giusto da raccontare.
Renata n'ha Jaelle, sorella di sangue di Asya e sua Madre di Giuramento, aveva sempre sostenuto che lei non era stata cresciuta come una normale comynara e che, dopo aver passato una vita in mezzo a individui dalla professione poco chiara, facendo le veci delle varie matrigne, impegnate in una gravidanza dopo l'altra, avrebbe trovato quasi rilassante la sua nuova vita da Rinunciataria.
Dana n'ha Angela aveva trovato difficoltoso imparare a maneggiare il lungo coltello delle Rinunciatarie, mentre non aveva avuto problemi nel mettere a frutto quello che aveva appreso negli anni trascorsi a gestire la tenuta di famiglia. Il suo innato dono con le piante e il loro utilizzo aveva deliziato molte delle Sorelle e non era stato facile spiegare perché amava in maniera così viscerale trascorrere tutto il suo tempo libero all'interno della piccola serra della Gilda.
In fin dei conti le erano bastate poche lezioni pratiche, che le insegnassero il giusto comportamento durante un combattimento con la spada o corpo a corpo, per riuscire a diventare una passabile combattente, grazie anche ai trucchi imparati guardando i suoi innumerevoli fratelli duellare con i mercenari che bivaccavano nei cortili del loro castello. Grazie all'empatia riusciva sempre a percepire quello che il suo avversario aveva in mente di fare e, alcune volte, aveva anche giocato sporco, disorientando gli avversari più forti con la parte attiva del suo donas, trasmettendo sensazioni che li mandavano completamente in crisi.
Non era una cosa che amava fare ma, se era necessario, vi ricorreva senza troppi scrupoli. Dopotutto era figlia di suo padre.
«A cosa stai pensando?» la voce di Shonnach la riscosse dai suoi pensieri.
«Nulla in particolare,» rispose. «Ascoltavo il passato.»
Shonnach la fissò con aria preoccupata. Da quando aveva assistito al suo Giuramento non si era più allontanata da lei. Dana sospettava che fossa a causa del suo donas, ma non ne aveva ancora la certezza.
Il suo sangue Ridenow le aveva concesso il privilegio di poter vivere con il dono del suo clan allo stato puro. L'empatia non solo passiva, come la maggior parte dei telepati con il donas dei Ridenow aveva, ma anche attiva e lei, abituata a farlo fin da piccola, inconsciamente modificava la sua percezione dell'ambiente esterno, cercando sempre di portare calma e tranquillità attorno a sé.
Shonnach n'ha Pedra era abituata a vivere in un perenne stato di angoscia, dovuto alla sua certezza che il mondo intero stesse complottando alle sue spalle. Dana mitigava questa sensazione, donandole quella calma e quella pace che forse non aveva mai sperimentato prima e, a causa di ciò, ora non riusciva più a scrollarsela di dosso.
Le due Sorelle a capo della carovana avevano nel frattempo fermato la squadra. Da una sentiero parallelo un gruppo di cinque persone stava per congiungersi a loro e, prima di proseguire, volevano controllare le loro intenzioni.
«Mercenari,» brontolò Shonnach.
Dana si allungò sul collo del cavallo, cercando di vedere oltre le schiene delle due donne che erano ferme davanti a loro ma, per riconoscere chi avevano incontrato, non aveva bisogno di troppi sforzi.
«Quattro mercenari e una comynara,» una delle Sorelle davanti a loro passò l'informazione. «Quello con i capelli rossi sembra stia contrattando con Danila. Pare che siamo diretti verso la stessa meta.»
Alle sue spalle, Devra n'ha Shavanne si era portata avanti. La donna si era unita a loro dopo aver passato gli ultimi giorni lottando contro un grosso incendio nei pressi di Neskaya e sembrava incuriosita dalla strana formazione.
Spronò il cavallo verso il gruppetto di mercenari e dall'espressione che assunse la comynara nel vederla sembrò quasi aver ritrovato una parente da tempo dispersa.
Danila e Devra confabularono per qualche minuto poi, comunicando la notizia a voce alta, in modo che tutta la carovana potesse sentirla, la prima avvisò le sue Sorelle che il quintetto avrebbe proceduto con loro.
La nobile si fermò accanto alle due, a capo della colonna, parlando incessantemente con Devra, mentre gli altri quattro si portarono verso il fondo del gruppo, passando accanto alle donne senza degnarle di una seconda occhiata, almeno all'apparenza.
Il primo istinto di Dana fu quello di cercare di nascondersi, ma sapeva benissimo che era inutile e anche stupido. Quindi cercò di fare buon viso a cattiva sorte quando i quattro le passarono accanto.
Trattenne per un attimo il respiro, forse non l'avevano riconosciuta, poi...
«Fearbán!» la voce tonante del più alto del gruppo fece girare anche le due davanti a loro, mentre Shonnach gli lanciava un'occhiata che lo avrebbe facilmente incenerito. «Non posso crederci. Ecco perché non ti vedevamo più da Diego!»
Dana abbassò per un istante la testa, scuotendola come per schiarirsi le idee poi, sospirando, affrontò il gigante dall'aria minacciosa.
«Sì, Clive,» disse, con un tono di voce più basso. «Ho da poco prestato il Giuramento e, sinceramente, pensavo che avrei incontrato tutti, tranne che voi.»
Bertrand e Renaldo si erano portati accanto al loro compagno mentre Illa, in silenzio come sempre, stava discosta alle loro spalle, quasi non volesse essere coinvolta da quella sorta di riunione di famiglia. Clive aveva cominciato a tempestare Dana di domande. Non era tanto interessato sul perché avesse preso questa decisione, quanto se avesse incontrato altri del castello dopo che aveva abbandonato la famiglia e se a Carthon aveva trovato il tempo di fare visita a Fran e ai piccoli.
Dalle prime file della carovana Dana sentiva le occhiate di disapprovazione che Danila le lanciava di tanto in tanto ma alla fine si rese conto di non sentirsi preoccupata. Accanto a lei, Shonnach continuava a guardare con evidente disprezzo i quattro uomini e, solo in quel momento, la consapevolezza che lei e le altre Sorelle non avevano riconosciuto Illa come una donna la divertì, facendole scordare completamente il timore che l'incontro aveva acceso in lei.
Dana rispose diligentemente a tutte le domande. Aveva incontrato Fran pochi giorni prima di partire per quella missione e la sua vecchia balia l'aveva subissata di domande come lui stava facendo adesso. I piccoli, i due figli che Fran e Clive avevano avuto e che erano stati cresciuti dalla sorella della donna perché Dom Diego non voleva rinunciare ai servizi di Fran, avevano ormai diciotto anni e la femmina era da due una Rinunciataria.
«Rua sta bene, lavora con suo zio e sembra si sia fatto una certa esperienza,» concluse Dana. «Mentre Tessa mi ha insegnato come interpretare le mappe, durante i sei mesi di noviziato.»
«Ci eravamo chiesti come mai non ti vedessimo più al castello,» Renaldo aveva lanciato un'occhiata oltre la spalla, controllando le reazioni di Illa.
«Era sparito anche il paz... Nyal. Pensavo che alla fine vi avessero sposati e mandati chissà dove!» aggiunse Bertrand, ricevendo un'occhiataccia sia da parte di Clive che di Illa.
«Mi hanno detto che era sparito, ma nessuno mi ha saputo dire dove,» commentò Dana, apparentemente intoccata dal commento. «Dovrò trovare il modo di passare dal castello, per chiarire un paio di cose.»
«Questa è follia!» Shonnach si era intromessa nel discorso. «Sai benissimo che è una mossa stupida e pericolosa.»
«Potrebbe essere una buona mossa per non avere ripercussioni in futuro,» borbottò Illa, richiamando gli altri tre e indicando i posti da raggiungere lungo la colonna con un lieve cenno del capo.
Shonnach attese che i quattro mercenari si allontanassero da loro poi, avvicinandosi a Dana, assunse un tono paternalistico. «Non è un buon comportamento questo,» cominciò. «Danila di sicuro ti farà una bella ramanzina. Non giova alla nostra reputazione attaccare discorso con gente del genere.»
Dana non rispose. Non aveva nessuna intenzione di giustificarsi con Shonnach riguardo il suo comportamento scorretto. Se Danila le avesse chiesto spiegazioni allora avrebbe risposto alle sue domande, ma senza giustificarsi.
Fortunatamente Shonnach non insistette nel suo terzo grado e continuò a cavalcare accanto a lei in silenzio. Aveva deciso che la cosa migliore era dimostrare il suo profondo rammarico per la mancanza di fiducia di Dana quindi, essendo anche lei una telepate, aveva alzato le proprie barriere tagliandola fuori e Dana non poteva fare altro che ringraziarla.
Il silenzio telepatico creatosi attorno a lei le permise di cogliere le altre sfumature che la circondavano come il fatto che, alle sue spalle, Illa continuava a fissarla con un'intensità tale da farle rizzare i capelli sulla nuca, se ci fossero stati ancora. Ma, tranne questa sensazione a cui presto si abituò, il viaggio proseguì in silenzio e senza ulteriori intoppi.
Di tanto in tanto qualche Amazzone scambiava una battuta o due con una compagna ma, dalle prime file della carovana, arrivavano le occhiatacce di Danila che erano in grado di zittire immediatamente chiunque.
Alle sue spalle, Dana poteva sentire i commenti poco gradevoli che Bertrand e Illa si scambiavano sul loro gruppo. Per meglio dire, l'uomo stava tagliando i panni addosso ad ognuna delle sue Sorelle, come una lavandaia pettegola, sbagliando di poco nei suoi commenti, mentre Illa rispondeva a monosillabi quando era direttamente interpellata.
Nel frattempo la mercenaria continuava a fissarla e Dana percepiva fin troppo chiaramente le sue sensazioni e, doveva ammetterlo con se stessa, quello che sentiva la stupiva più che imbarazzarla.
Quando, dopo una breve sosta per il pranzo, la comitiva riprese il viaggio, Illa si scambiò di posto con Renaldo e Dana fu così liberata dal costante peso dei suoi occhi su di lei.
Per qualche istante la telepate lasciò libera la sua mente, assorbendo i frammenti di sensazioni e di pensieri che la circondavano.
In cima alla carovana, la calma fiduciosa di Devra era contrastata dal nervosismo di Danila, sentimento causato dalla presenza dei mercenari accanto al suo gruppo di Rinunciatarie. La comynara accanto a loro stava silenziosamente controllando i dintorni e per un istante le loro menti si sfiorarono. Dana la vide sollevarsi sul cavallo e girarsi, cercando con gli occhi la proprietaria della mente, individuandola subito. Shonnach, la sola altra telepate del gruppo, guardò entrambe le donne con disapprovazione, riprendendo poi il suo silenzio verbale e mentale, nelle sue intenzioni punitivo nei confronti della Sorella. Le altre Rinunciatarie sembravano tranquille. La sola cosa che poteva disturbare quel viaggio era il tempo, ma al momento tutto procedeva nel migliore dei modi.
Dana concluse il suo controllo soffermandosi su Illa. La mercenaria non era cambiata dall'ultima volta che l'aveva vista. Era trascorso quasi un anno ma per Illa sembrava essere passato appena un pomeriggio.
Osservandola attentamente Dana poteva capire benissimo perché le altre l'avessero presa per un maschio. Nulla nella sua figura poteva rivelare il suo vero sesso e, come lei stessa in passato, potevano al massimo liquidare la sua natura come quella di un emmasca.
Molti di coloro che la conoscevano avrebbero fatto carte false per poterla vedere senza gli abiti scuri che solitamente indossava, per riuscirne così a scoprire la vera essenza e, con ogni probabilità, morire subito dopo.
Dana ricordava di averla vista una volta con indosso solo una lunga camicia, durante uno dei soggiorni al castello, mentre stava utilizzando i bagni dell'ala della servitù, dove erano solitamente alloggiati. Anche in quella occasione, se non fosse stato per il fatto che lei già sapeva della sua reale identità, nulla di quanto aveva scorto sarebbe stato in grado di offrirle maggiori spunti a riguardo.
Dana sentiva una imprevedibile sensazione di calore spandersi lungo le sue terminazioni nervose, una sensazione acuita dal pensiero di come poteva essere adesso Illa, molti anni dopo quella fugace visione, senza tutta quella roba che indossava abitualmente.
Lo sguardo della mercenaria, dall'espressione indecifrabile, puntato direttamente nei suoi occhi fece arrossire Dana fino alla radice dei capelli. Fortunatamente il fatto che la sua posizione fosse di poco arretrata rispetto alle altre Sorelle e che le sue barriere fossero alzate al massimo avevano impedito a chiunque di percepire quello che era accaduto.



La sera arrivò rapidamente, cogliendo la comitiva a poche centinaia di metri di distanza da uno dei tanti rifugi costruiti in quella zona.
I soli che sembravano essersi divertiti in quell'ultima tratta erano Clive e Renaldo che, a voce non troppo bassa ma in un dialetto che riuscivano a comprendere solo loro e, con molta difficoltà, i restanti membri del gruppo di mercenari, avevano passato il loro tempo facendo commenti su quello che il loro capo avrebbe fatto nel prossimo futuro.
Dana aveva capito solo qualche parola ma aveva la certezza che stessero parlando anche di lei visto che, di tanto in tanto, Clive pronunciava il soprannome che le aveva dato quasi vent'anni prima.
All'interno del rifugio i due gruppi si divisero immediatamente. Le Rinunciatarie si sistemarono nel locale principale, uno stanzone senza divisori e con un gigantesco camino costruito su una delle pareti. I mercenari nelle stalle, addossate allo stabile, con il quale avevano in comune la parete su cui era stato realizzato il camino... una parvenza di calore nel freddo gelido dove venivano ospitati generalmente solo gli animali.
Nessuno dei sue gruppi pensò di chiedere o offrire ospitalità per la notte nella parte riscaldata direttamente dalle fiamme e, dopo cena, i quattro mercenari salutarono la compagnia e si ritirarono.
Accanto al fuoco, subendo gli sguardi di disapprovazione di Danila e di Shonnach, Dana aveva risposto ai vari saluti degli uomini, scambiando con Illa solo uno sguardo, forse più lungo di quanto entrambe avessero previsto.
Quando tra le Amazzoni tornò un po' di quiete, Dana fu raggiunta da Devra e dalla comynara mentre Danila e Shonnach, poco distanti, continuavano a guardarla con ostentata disapprovazione. Devra le presentò la sua protetta, spiegandole che era riuscita a convincere Danila ad accettare la vicinanza dei mercenari solo perché lei stessa era stata a scorta della donna prima che l'incendio che aveva devastato i boschi vicino a Neskaya le dividesse.
«So che una volta diventate Rinunciatarie non fate più riferimento alla vostra famiglia di origine,» disse ad un certo punto Elayna, la donna scortata da Illa e dai suoi uomini, «ma posso chiedervi chi eravate... prima?»
Dana non riuscì a reprimere un sorriso. «Mio padre è un Ridenow, mia madre era una Leynier,» rispose senza troppi problemi.
Elayna assunse un'espressione stupita. «Un Ridenow?» chiese con forse troppa enfasi. «Non Rakhal, vero?» aggiunse, ben sapendo che la sola figlia dell'uomo che l'aveva voluta come leronis era troppo piccola per aver deciso di diventare una Rinunciataria. «È al suo castello che sono attesa,» cercò di spiegare.
Dana la guardò perplessa. «No, ringraziando gli Dei,» si lasciò scappare, mordendosi la lingua subito dopo. «Scusatemi,» disse poi. «Le cattive abitudini guadagnate durante gli anni sono troppe e difficili da scordare. Rakhal è mio zio, il fratello minore di mio padre, e spero che il mio commento non vi abbia creato dei problemi.»
«Da quel che ricordo dai tuoi racconti, neppure tuo padre si può definire un dono del cielo,» commentò acidamente Danila, avvicinandosi.
Dana la guardò con espressione divertita. «La figura di mio padre non ha bisogno di ulteriori osservazioni,» ribatté seccamente. «Ma la fama di Rakhal è ben diversa dalla sua.»
Elayna annuì. «Anche gli uomini che mi fanno da scorta dicono la stessa cosa e, nei Domini, chi lo conosce non ne parla in termini migliori. Sono consapevole di ciò a cui sto andando incontro,» concluse poi, rivolta direttamente a Dana.
«Nessun Ridenow gode di buona fama,» commentò Dana, troncando la conversazione.
Il silenzio che ne seguì risuonò forzato alle orecchie di tutte le occupanti del rifugio. Non vi erano altre donne dal passato di comynara tra di loro, oltre a Dana e Shonnach, ed era difficile che rappresentanti della nobiltà decidessero di abbandonare tutto per prestare il Giuramento.
La maggior parte delle Rinunciatarie erano rappresentate degli strati più bassi della società e tutti questi discorsi sull'importanza o la rispettabilità di una famiglia o di un'altra erano per loro incomprensibili.
«Posso farti un'altra domanda?» riprese dopo un po' Devra, ricevendo da Dana un cenno affermativo. «Come ti ha chiamato quel gigante quando ti ha vista?»
Questa volta Dana ridacchiò divertita. «Fearbán,» rispose. «Significa Ranuncolo.»
«Ranuncolo?» chiese perplessa Shonnach.
«Un po' eccessivo per un primo incontro,» rincarò la dose Danila.
Dana sospirò, cercando di non far trapelare il nervosismo che l'insistenza delle due nel criticare il suo comportamento con Clive e gli altri faceva crescere in lei.
«Veramente avevo poco più di un anno quando ha cominciato a chiamarmi così,» rispose con voluta indifferenza. «Anche se a quei tempi non era ancora nella banda. Bertrand è sicuramente più bravo di me nel raccontare l'intera vicenda.» Le quattro donne che le stavano accanto assunsero un'espressione incredula.
«Da prima che io nascessi,» continuò alla fine Dana, arrendendosi, «mio padre ha sempre utilizzato il loro gruppo per portare a termine buona parte dei suoi affari. Credo di aver visto più di frequente Clive che il mio stesso genitore, almeno durante i primi anni della mia vita.»
Considerando conclusa la faccenda, Dana si alzò e cominciò a sistemare il necessario per la notte. Dopo aver allestito il suo giaciglio, decise che era giunto il momento di fare una rapida visita al bagno, posto appena fuori dal locale riscaldato e sprovvisto della suddivisione che in molti rifugi era predisposta per tenere separati i due sessi.
Si scontrò sulla porta con Renaldo e Bertrand. I due uomini le fecero cenno di passare, ma Dana declinò l'offerta, concedendo loro la precedenza e pochi secondi dopo, ormai intirizzita dal freddo, fu raggiunta da Illa.
La mercenaria sembrò indecisa sul da farsi. Si vedeva chiaramente che non sapeva se restare in attesa o tornarsene al sicuro nella stalla poi, cercando di scomparire, si mise in attesa del suo turno.
«Qual è il problema, Illa?» la voce di Dana la fece sobbalzare, cogliendola di sorpresa.
La mercenaria si voltò a guardarla, squadrandola dalla testa ai piedi. «Non ci sono problemi,» rispose, con il suo solito tono incolore.
«Allora perché continui a fissarmi come fossi un fantasma?»
«Nh,» Illa non era preparata ad una discussione del genere. «Ero abituata a vederti con altri vestiti indosso,» disse alla fine. «Mi permetti un po' di sorpresa?»
L'uscita degli altri due mercenari interruppe la conversazione e Illa entrò nel piccolo locale adibito a bagno, chiudendosi dietro la porta con fermezza.
«Qualcosa che non va?» Renaldo sembrava, come sempre, il più preoccupato della piega che poteva prendere la situazione.
Dana scosse negativamente la testa. «Per ora no,» rispose, stringendosi nel mantello per reprimere un brivido di freddo.
Renaldo le augurò nuovamente la buonanotte e rientrò in fretta nella stalla, tirandosi dietro quasi di peso il compagno.
Dana restò sola per pochi istanti. Danila la raggiunse e si unì a lei nell'attesa che il bagno si liberasse.
«Non credevo che tu li conoscessi,» disse dopo un po', assumendo un tono quasi materno.
«Forse meglio dei miei stessi fratelli,» commentò seccamente Dana. «Ma la cosa non è certamente di interesse pubblico.»
La capocarovana annuì in silenzio. «Comprendo,» disse poi, bussando sulla porta per sollecitare l'occupante ad uscire. «Sono conoscenze che possono imbarazzare.»
L'uscita di Illa, che la fissò con un'espressione gelida e tagliente, distrasse Danila che, senza voltarsi, entrò rapidamente nel locale. Dietro di lei lo sguardo di Dana aveva assunto la medesima espressione che aveva indurito i lineamenti della mercenaria.
Seguendo la donna dentro il locale, Dana restò sorpresa nel percepire lo strascico delle emozioni di Illa e quello che sentì la lasciò con uno strano senso di insoddisfazione e tristezza.



La giornata successiva cominciò subito nel peggiore dei modi.
La neve aveva cominciato a cadere fin dalle prime ore dell'alba, coprendo la strada principale e tutte le piste secondarie di un manto bianco e leggermente ghiacciato. Pur con tutti gli accorgimenti necessari, la marcia era notevolmente rallentata e, a causa di uno stupido incidente, alcuni degli animali erano sfuggiti al controllo, scomparendo rapidamente alla loro vista.
Come se questo non fosse stato abbastanza, le due Rinunciatarie che erano andate alla ricerca degli animali non avevano fatto ritorno e con l'aumentare dell'intensità della nevicata, il rischio che non riuscissero a ritrovare la strada si faceva sempre più elevato.
Controvoglia, il gruppo decise di tornare al punto di partenza, dal quale si erano allontanate di ben poco, e proseguire nella ricerca delle disperse.
Suddivisi in gruppi misti, disposti a raggiera, cominciarono la perlustrazione della zona prima che la neve impedisse loro di fare qualunque altra cosa.
Con Illa da un lato e Devra dall'altro, Dana cercava di utilizzare anche il suo laran per individuare la presenza delle due donne o, per lo meno, di qualcosa che fosse più grande di un cinghiale di montagna.
Dopo qualche tempo, con la neve che era diventata una cortina impenetrabile, venne dato l'ordine di rientrare ma, imprevedibilmente, Dana non riuscì a percepire la presenza di Illa alla sua sinistra. Devra si era già avviata verso il rifugio e Dana non riuscì a comunicarle la cosa.
Stava per tornare anche lei quando, ad un centinaio di metri, il corrispettivo mentale di una sfilza di improperi la investì con violenza. Con cautela si avvicinò al punto di origine e, con sua somma sorpresa, si trovò a fissare dall'alto di un buco nel terreno Illa lunga distesa su quello che sembrava un pavimento in terra battuta.
«Non stare lì a fissarmi come un'idiota!» Illa si sollevò faticosamente in piedi. «Aiutami a venir fuori di qui!»
Dana si guardò intorno. Dai monconi in muratura che spuntavano da sotto la neve dedusse che quello, un tempo, doveva essere stato un rifugio o una piccola fattoria.
Illa era precipitata attraverso le assi marcescenti del vecchio pavimento, che avevano ceduto sotto il suo peso facendola precipitare a livello delle cantine. Le pareti ben compatte non offrivano alcun appiglio e, da sola, Dana poteva fare ben poco per tirare la mercenaria fuori di li.
Distratta nel cercare qualcosa che potesse esserle d'aiuto e con le barriere alzate come d'abitudine, Dana non si accorse della smorfia di dolore che aveva attraversato il volto di Illa quando aveva posato a terra il piede sinistro.
Cercando di reprimere il dolore, Illa alzò lo sguardo verso l'alto, asciugandosi con il dorso di una mano il rivoletto di sangue che fuoriusciva da un lungo taglio slabbrato che la caduta le aveva procurato sulla fronte.
«Cerca di allungarti!» urlò a Dana. «Io mi arrampico fino a metà, poi mi aiuti tirandomi su.»
«Pesi troppo,» rispose l'Amazzone, sbilanciandosi oltre il bordo, facendo notare all'altra la precarietà della sua posizione.
«Sta zitta, e aiutami!»
Stringendo i denti, Illa riuscì ad arrampicarsi per oltre un terzo della parete, trovando appigli che sarebbero stati invisibili a chiunque altro ma, non appena riuscì a sfiorare la mano di Dana, il lieve contatto delle sue dita con la pelle della telepate creò un canale diretto tra di loro e il dolore della mercenaria si riversò in Dana che, impreparata, perse quasi i sensi davanti all'esplosione che questo provocò dentro di lei.
Perdendo quel poco di equilibrio che aveva, Dana finì a sua volta dentro al buco, cadendo sopra Illa che, questa volta, non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
Scuotendo la testa per liberarla dall'intontimento provocato dal contatto, Dana si tolse da sopra la mercenaria di scatto, quasi il corpo della donna bruciasse.
«Potevi dirmelo!» esclamò, non appena fu in grado di parlare. «Che razza di...»
Illa si era rannicchiata nell'angolo più distante di quella che un tempo era stata una cantina, nella parte ancora coperta dai resti del soffitto che il suo peso aveva fatto crollare. La rabbia di Dana l'aveva travolta in pieno e aggiunta al dolore che sentiva al piede, l'aveva fatta piegare su se stessa, immobile come un animale ferito.
Vedendola in quelle condizioni, la collera di Dana svanì come neve al sole. Non aveva mai visto Illa lamentarsi dal dolore, neppure dopo i combattimenti più massacranti.
«Fammi vedere,» disse con tono più calmo, avvicinandosi a lei.
«No!» la mercenaria si appiattì contro la parete, stringendosi al petto la gamba ferita.
Dana la fissò con espressione decisa, sovrastandola con tutta la sua altezza. «Mi hai fatto cadere qui dentro, rischiando di farci rompere l'osso del collo,» iniziò con voce bassa e fredda, «passeremo qui tutta la notte, perché nessuno verrà a cercarci con il buio. Tu sei ferita e non vuoi che ti controlli?»
Illa ringhiò sommessamente in risposta, ma distese la gamba permettendo alla telepate di avvicinarsi al punto dolorante.
Il robusto stivale di cuoio conteneva il gonfiore della caviglia che, ad un primo controllo superficiale, non sembrava rotta. Dana poteva vedere il gonfiore dei tessuti e l'infiammazione dei tendini e dell'articolazione causata dalla storta che l'arto doveva aver subito quando Illa era precipitata di sotto, ma non c'era traccia di fratture e, se vi era qualche osso incrinato, non era in quel momento in grado di osservarlo.
«Niente di rotto,» sentenziò alla fine, sedendosi accanto alla mercenaria e appoggiandosi contro la parete mentre, automaticamente, frugava dentro la sacca che portava a tracolla sotto il mantello per controllare quanto cibo di emergenza aveva con sé.
«Allora possiamo tentare di risalire,» Illa cercò di alzarsi in piedi, evitando di caricare il piede dolorante, ma la mano di Dana la trattenne, costringendola a ricadere al suolo.
«Tu non ti muovi di qui,» disse pacatamente. «Ho detto solo che non ci sono fratture evidenti, ma potrebbe esserci qualche piccolo osso incrinato e tentare di arrampicarsi lungo quella parete potrebbe romperlo definitivamente.»
Illa incrociò le braccia sul petto, leccandosi con la lingua le labbra sporche del sangue che ancora scendeva dalla fronte. «Allora passeremo la notte qui, fino a quando qualcuno non verrà a cercarci...» il contatto delle dita di Dana sulla sua pelle la zittì immediatamente.
Dana le aveva sollevato il mento con una mano, scostandole i capelli dalla fronte. Illa la fissava con le pupille dilatate, senza osare muoversi. Non le piaceva essere toccata e non avrebbe mai immaginato che lei potesse mai decidere di farlo.
«Voglio solo controllare quel taglio,» la tranquillizzò l'Amazzone, incuriosita dalla reazione. «Contro cosa hai sbattuto?»
«Non lo so, forse una delle travi che sostenevano il pavimento. Non ci sono schegge,» Illa aveva assunto nuovamente una posizione rannicchiata e osservava con preoccupazione le manovre dell'altra.
Dana aveva sollevato la corta casacca che copriva camicia e pantaloni e dal tessuto della prima aveva strappato alcune strisce di stoffa. Uscendo da sotto la copertura che offriva loro uno scarso riparo, aveva imbevuto di neve pulita una delle bende improvvisate, tornando poi a sedersi accanto a lei.
Sollevandole il viso, Dana ripulì con decisione la ferita slabbrata che la mercenaria aveva sulla fronte. Il taglio non era netto ma, senza il sangue che lo ricopriva, risultava meno grave di quanto aveva temuto. Dalla sacca estrasse un piccolo sacchetto, dal quale uscirono alcune foglie finemente sminuzzate. Dana le posò su una delle strisce pulite che aveva ripiegato fino a che non aveva raggiunto la grandezza giusta per coprire il taglio. Posò il medicamento sulla fronte di Illa, prendendole poi una mano e facendo in modo che tenesse fermo il tutto fino a quando con la terza striscia non bendò accuratamente la fronte, controllando che il sangue non affiorasse sul tessuto color crema.
«Finisci di pulirti,» disse poi, allungandole il brandello di camicia ancora bagnato dalla neve. «Alla prima sosta posso cercare di sistemare meglio il taglio, in modo che non resti il segno.»
Illa borbottò qualcosa sottovoce, pulendosi accuratamente il volto dal sangue che era colato.
«Sono convinta che un mercenario debba portare con onore le proprie cicatrici, ma non fa male neppure eliminarle quando possibile.»
«Bak'ha!» e con questo Illa voleva concludere definitivamente il discorso.
Dana non aggiunse altro. Aveva chiuso gli occhi e aveva tentato di contattare telepaticamente Shonnach e Elayna ma, forse a causa dell'istintivo tentativo di difendersi dalle tante menti di atelepati che le circondavano, le loro barriere erano troppo alte perché il suo richiamo potesse raggiungerle. Forse poteva salire nel sopramondo ma, con le poche scorte di cibo che aveva, la cosa poteva risultare pericolosa. Illa non aveva una potenziale laran abbastanza elevato e le sarebbe stata solo di impiccio.
La tempesta sembrava essere aumentata di intensità ma, fortunatamente, la parte di soffitto ancora integra forniva un buon riparo e il vento non riusciva a spazzare il fondo della buca, lasciando che la neve si accumulasse solo sulla parte scoperta.
Sospirando, Dana si mise in ginocchio accanto ai piedi di Illa, ma la mercenaria si strinse ancora di più le ginocchia al petto.
«Stai sentendo male,» disse semplicemente Dana. «Basta che riduca di poco il gonfiore e almeno quello sparisce. Non ho bisogno di molta energia.»
Illa allungò controvoglia la gamba dolorante e la telepate si concentrò immediatamente sul punto ferito, passando le mani a pochi centimetri dallo stivale. Poteva essere solo immaginazione, ma Illa sentì immediatamente calare il senso di gonfiore e il dolore si fece meno forte. La mercenaria, non più distratta dalla pulsazione che fino a pochi secondi prima sentiva provenire dalla caviglia, concentrò la sua attenzione sulla donna china su di lei.
Dana era cambiata molto da quando viveva al castello, come capitava a tutte le donne che decidevano di prestare il Giuramento da Rinunciatarie. Illa sapeva che veniva fatto loro una sorta di lavaggio del cervello, per liberarle dalle costrizioni che avevano imparato ad accettare nella loro vita normale, e sapeva che per una comynara l'operazione era ancora più decisa e approfondita.
Ricordava che anche prima Dana non aveva mai provato paura nei loro confronti, tutta colpa della vicinanza di Clive, da sempre legato affettivamente con la sua balia, ma solo un timore facilmente superabile. Come a tutti i suoi fratelli maschi, anche a lei era richiesta una certa durezza di carattere e la fermezza necessaria per controllare parenti e servitù del castello aveva fatto il resto ma, per quanto anomala fosse stata la sua educazione, era pur sempre stata cresciuta come una comynara e Illa era sempre stata certa che nulla avrebbe potuto cambiare la cosa.
Suo padre non aveva mai fatto mistero che, come figlia maggiore, era stata allevata per gestire l'economia famigliare al posto delle mogli, sempre impossibilitate per le varie gravidanze, e il suo donas la rendeva indispensabile per mantenere la pace e la tranquillità tra i vari figli, legittimi e no, che scorrazzavano per le sale del castello. Il matrimonio era una necessità per mantenere la rispettabilità davanti agli altri componenti del clan, ma non era necessario forzare i tempi. Dana, come tutte le comynare, non aveva motivo di andare contro il volere del padre ed aveva accettato la cosa con la stessa sottomissione con cui tutte le donne della nobiltà affrontavano le imposizioni più inaccettabili.
Illa sapeva che la scintilla che aveva scatenato il cambiamento era stata la morte dell'ultima moglie del padre, sua coetanea e ancora più inquadrata nel suo ruolo di madre e moglie di quanto non lo fosse lei stessa, e adesso la donna che si trovava davanti non era più la stessa fanciulla irraggiungibile e intoccabile di allora.
«Smettila,» la voce di Dana la fece sobbalzare. «Mi distrai.»
Illa si raddrizzò, distogliendo lo sguardo dalla nuca scoperta dell'Amazzone che, inconsapevolmente, aveva continuato a fissare fino a quel momento.
«Non sto facendo nulla.»
«Mi stai fissando e sentire quello che pensi non aiuta la mia concentrazione.»
Illa si sentì arrossire. «Non vi insegnano a non origliare i pensieri degli altri?» ribatté seccamente.
Dana si sollevò, stirando i muscoli della schiena e del collo. «Non quando ti vengono trasmessi direttamente in testa,» commentò. «In questo momento sei peggio di un'intera rete di relè attivata alla massima potenza!»
«Io non ho il laran!» il tono della mercenaria non ammetteva repliche.
Dana si trovò a ridacchiare, appoggiandosi nuovamente alla parete, accanto alla donna ma bene attenta a non toccarla. «Non ne hai molto,» la rassicurò. «Ma non ne sei totalmente priva.»
Illa si strinse nel mantello, allontanandosi ulteriormente dalla telepate. «Io non ho laran,» ma il tono era meno deciso.
«Puoi convincere chiunque ma non puoi prendere in giro me,» Dana si avvolse nel mantello, sollevando il cappuccio e cercando di offrire meno superficie possibile all'aria fredda che le circondava. «E non solo perché hai continuato a tempestarmi telepaticamente da quando ci siamo incontrate.»
«Se la cosa ti da fastidio, non ascoltarmi!» ribatté seccamente Illa, girandosi di lato e addormentandosi immediatamente.
Dana restò a guardarla, socchiudendo la mente in modo da poter ricevere messaggi inviati direttamente a lei ma impedendo ai rumori di sottofondo di disturbarla. Percepiva la sensazione di irritazione che Illa sentiva nei confronti di se stessa, per essersi sbilanciata troppo, per aver lasciato trapelare cose che lei stessa faticava ad accettare completamente e che, con gli ultimi sviluppi, la mettevano in evidente difficoltà.
Il suo problema era un altro. Non riusciva a capire se quello che provava era solo l'eco delle sensazioni che sentiva provenire da Illa o se corrispondevano a tal punto alle proprie da risultare quasi sovrapponibili.



Tre voci che discutevano animatamente sopra le loro teste svegliarono le due donne.
La prima a riprendere perfettamente il controllo della situazione fu Illa e, scattando in piedi come una molla, si staccò dall'abbraccio che aveva condiviso con Dana per tutta la notte.
Come prevedibile, il piede ferito non resse il suo peso e cedendo la fece cadere nuovamente a terra.
Il risveglio di Dana fu più calmo e, lentamente, quello che era accaduto durante la notte le tornò alla mente. Si era appena appisolata quando Illa, rigirandosi su se stessa, le era finita addosso. Forse era stata solo attratta dal calore del suo corpo o, ma non lo avrebbe mai ammesso, il sonno aveva fatto calare il suo ferreo autocontrollo ed aveva ceduto alla tentazione di stringersi a lei. Il contatto improvviso l'aveva risvegliata di soprassalto ma la vicinanza della mercenaria non era del tutto sgradevole e, seppure abituata a sfuggire qualsiasi tipo di contatto fisico, aveva scoperto di non avere nessuna voglia di allontanarla.
A quelle voci maschili si aggiunse una quarta voce femminile, più calma ma altrettanto familiare.
«Siete lì sotto?» chiese Devra, sporgendosi oltre il bordo crollato del pavimento.
Dana si stiracchiò leggermente. Aveva la schiena a pezzi ma, tutto sommato, sembrava più in forma di Illa.
«Sì,» rispose, uscendo dalla parte coperta. «Ma temo che avremo bisogno di aiuto per uscire.»
Illa cercò per l'ennesima volta di rimettersi in piedi, ma senza successo. «È peggio di ieri sera,» commentò, arrendendosi e sedendosi spalle al muro, con la caviglia dolente stretta tra le mani.
Bertrand si affacciò accanto a Devra. «Sei ancora viva?» le chiese sorpreso.
Dana schermò gli occhi con una mano, il sole che filtrava dalle cime degli alberi le offuscava la vista. «Se ti stai riferendo a me, sì. Il tuo capo ha solo una caviglia fuori uso. Dovrete tirarla su,» concluse, schivando un calcio diretto alla sua gamba. «Per il resto sembra in forma.»
La mercenaria irruppe con una sfilza di improperi rivolti al suo sottoposto, facendogli tirare un sospiro di sollievo. Dana si chinò su di lei, per aiutare ad alzarsi, ma la sua offerta fu rifiutata e Illa riuscì a mettersi in piedi e raggiungere la parte scoperta zoppicando vistosamente.
«Muovetevi,» ordinò ai suoi uomini. «Non ne posso più di stare qui sotto.»
Dana la raggiunse, silenziosamente. «Come ci avete trovate?» chiese poi a Devra, ancora affacciata al bordo.
«Elayna ti ha localizzato non appena finita la tempesta, ma ormai era tardi ed abbiamo deciso di aspettare. Clive,» indicò con un cenno del capo il gigante che, aiutato dagli altri due, stava srotolando una corda e creando una sorta di sedile per tirare il suo capo, «ricordava la presenza di una fattoria, abbandonata da tempo.»
«Sapevo che aveva vari depositi sotterranei e temevo che una di voi ci fosse finita dentro e si fosse ferita seriamente,» concluse per lei il mercenario, calando la fune verso di loro. «Ma la domna ci ha rassicurato sul vostro stato di salute e abbiamo deciso di aspettare.»
«Il nostro stato di salute?» Illa afferrò saldamente il sedile in corda e si sedette, uscendo all'aperto in pochi istanti.
Clive attese che anche Dana fosse fuori dalla buca prima di rispondere. «Se ti fosse capitato qualcosa, Fearbán non sarebbe stata così tranquilla... non credi?» aggiunse, sussurrando la domanda direttamente all'orecchio di Illa.
La mercenaria si voltò a guardare l'Amazzone, che si stava allontanando in compagnia della Sorella. Una fitta di gelosia la colse di sorpresa nel vedere l'intimità che c'era tra Dana e le altre componenti della Sorellanza. Quando si era svegliata e aveva realizzato di essere abbracciata a lei aveva temuto la reazione della telepate ma, ripensandoci, se Dana avesse voluto rifiutare il contatto l'avrebbe allontanata immediatamente e non sarebbe restata in quella posizione fino a mattina.
"L'ha fatto solo per tenersi al caldo," si disse, lasciando che Clive la issasse sul cavallo e trattenendo una smorfia di dolore quando tentò di infilare il piede nella staffa.
«Stasera ti farai controllare,» la avvisò Renaldo. «Ci fermeremo in una locanda, arriveremo al villaggio più vicino prima che faccia notte, e lascerai che Dana ti controlli la caviglia.»
«Se sarà disposta a farlo,» brontolò tra i denti, ma nessuno dei suoi vi fece molto caso.
Nel frattempo Devra aveva raccontato a Dana di come avevano ritrovato anche le altre due disperse e di come era irritata Danila al pensiero che lei aveva passato la notte da sola con il mercenario.
«Stiamo puntando verso il villaggio di Cralea,» concluse. «Abbiamo tutti bisogno di una notte di sonno al caldo. Non credo che ci sia una delle nostre case ma, questa volta, nessuna farà storie se ci fermeremo in una locanda.»
«Dana,» l'avvicinarsi di Renaldo zittì l'Amazzone. «Credi di riuscire a sistemare il piede di Illa?»
La telepate si strinse nelle spalle. «Se avessi avuto con me abbastanza cibo sarei riuscita a fare qualcosa anche stanotte,» rispose. «Non credo che adesso sia disposta a farsi avvicinare di nuovo.»
Renaldo tornò assieme agli altri, sventolando una mano come per tranquillizzarla sulla disponibilità di Illa.
«Certo che è uno strano nome per un uomo,» commentò Devra, guardando di sottecchi la figura ammantata di scuro che con aria cupa cavalcava dietro a loro.
«Indubbiamente,» ribattè Dana, soprapensiero. «Ma non credo che la cosa l'abbia mai preoccupata.» Il silenzio stupito di Devra la riscosse dai suoi pensieri. «Illa è una donna,» spiegò alla compagna.
Devra assunse un'espressione incredula. «Una donna? Non ci credo!»
Dana si stinse nelle spalle. «La cosa non preoccupa lei, così come non preoccupa nessuno di quelli che la conoscono. Ma se chiedi alla Madre della Gilda di Carthon ti può raccontare molti aneddoti su di lei.»
Il gruppo raggiunse la carovana in silenzio. I mercenari restarono in coda al gruppo di Rinunciatarie e Dana si portò a capo della carovana, pronta subire la ramanzina da parte di Danila che Devra le aveva preannunciato.
La donna la prese in disparte e cominciò ad elencare i motivi delle sue preoccupazioni. Non recriminava il fatto che fosse restata indietro per cercare una persona che, a ragione, credeva in difficoltà, ma la leggerezza con cui aveva trascorso una notte con un uomo, ben sapendo a che rischi andava incontro.
«Adesso non mi dire che li conosci fin da quando eri bambina,» la zittì prima ancora che potesse ribattere. «Prima potevano avere una sorta di rispetto per te, ma adesso che vesti i pantaloni molti uomini si ritengono autorizzati a prendersi libertà di ogni genere.» Dana sospirò, aspettando che Danila terminasse. «Devra mi ha detto che vogliono che controlli la ferita di quell'uomo. Non te lo posso impedire, dopo tutto era il tuo lavoro quando lavoravi nelle Torri,» il tono della donna si era fatto per un attimo più rispettoso. «Ma Shonnach verrà con te, non posso permetterti di correre altri rischi.»
«Hai finito?» il tono di Dana era freddo e duro. «Se qualcuno verrà con me, quando dovrò costringere Illa a farsi controllare la gamba, non sarà di certo Shonnach,» alzò una mano per bloccare Danila, prima che dicesse qualcosa. «Al massimo posso chiedere a Domna Elayna di darmi una mano, nel caso la ferita si riveli più grave del previsto.»
L'interpellata, poco distante, aveva seguito la discussione grazie al collegamento telepatico che Dana aveva instaurato con lei e, vedendo che la capo gruppo la stava guardando, si avvicinò alle due.
«Avete sentito quello che ha detto la nostra Sorella?» chiese Danila, indispettita dal comportamento di Dana.
«Solo la parte che mi riguardava,» rispose Elayna. «Ai vostri problemi non sono interessata, anche se non capisco perché quello che è capitato a Dana questa notte vi metta così in agitazione.»
Danila la guardò con stupore. «Passare una notte con uno sconosciuto che non solo potrebbe mettere in pericolo voi ma anche il buon nome della vostra Sorellanza non mi sembra un problema da poco.»
Elayna si voltò indietro, guadando con aria altrettanto stupita il gruppo dei mercenari accodati alla carovana. «Mi era sembrato di capire che Dana fosse restata bloccata con Illa, o mi sono sbagliata?» Danila rispose con un cenno affermativo del capo. «Allora non vedo il problema.»
Dana scosse la testa, irritata dall'attenzione che veniva posta sulla figura della mercenaria. «Suppongo che voi sappiate che Illa è una donna,» disse, rivolta ad Elayna. «Ma tutte loro, come capita spesso, la credono un uomo. Illa non si preoccupa della cosa, non è interessata a scoprire se chi la circonda sia a conoscenza della sua vera natura o meno. Sono gli altri che si pongono i problemi più grossi, di solito.»
Danila era restata a bocca aperta, come Devra prima di lei. «Una donna? Come fai ad esserne certa? Potrebbe essere un trucco.»
Dana la guardò divertita. «Tu hai passato troppo tempo con Shonnach,» commentò ironica. «Riesci anche a spiegarmi per quale motivo farebbe una cosa del genere?»
L'irritazione di Dana era ormai ai massimi livelli e la tentazione di lasciar trapelare le proprie emozioni diventava via via più insostenibile. Ma anni di autodisciplina ottennero il solito risultato: le barriere si alzarono al massimo e la sua espressione, così come il tono della voce, divenne fredda e distante.
Fortunatamente il cambiamento del suo umore fu colto dalla donna che aveva davanti e, saggiamente, Danila lasciò cadere l'argomento.
Dana riprese la sua posizione al centro della carovana, lanciando un potente alt telepatico a Shonnach che, immediatamente, aveva fatto la mossa di avvicinarsi.
In coda al gruppo, Illa e gli altri avevano seguito con attenzione l'evolversi della situazione e, soprattutto Clive e Illa, tirarono un sospiro di sollievo quando Dana tornò al suo posto senza esplodere. Entrambi avevano assistito ad alcune sfuriate della telepate con i fratelli e l'energia liberata in quelle occasioni era stata percepita anche da tutti gli atelepati nelle vicinanze.
Quando, durante la sosta per il pranzo, Dana si era diretta con passo deciso verso di loro, con il viso ancora freddo e inespressivo, Illa si era ritratta istintivamente. Era evidente che era lei il suo bersaglio e la cosa non la rendeva felice.
Clive l'aveva bloccata, costringendola a comportarsi civilmente. «Non farla irritare ancora di più,» le aveva intimato. «Bastano le sue adorate Sorelle per quello.»
Illa si era così limitata ad assumere un'aria di estrema sopportazione, mentre Dana si sedeva accanto a lei e cominciava a preparare una poltiglia con le stesse erbe utilizzate la sera prima.
«Togliti le bende,» le disse freddamente, «e fai attenzione!»
Illa eseguì l'ordine, provando una fitta di dolore alla gamba quando cercò di mettersi in posizione favorevole per la medicazione.
«Non muoverti,» il tono di Dana si era fatto meno impersonale.
Illa restò immobile, il volto sollevato per permettere alla donna di controllare meglio la ferita. Il sole che filtrava dalle nubi cariche di pioggia fece risplendere i capelli rossi della telepate e, ora che era più rilassata, anche gli occhi avevano assunto una tonalità più calda.
Mentre Dana le stava coprendo il taglio con la poltiglia verde, tenendole una mano sotto il mento in modo che non abbassasse la testa, Illa si ritrovò a chiedersi quale poteva essere la sensazione di essere toccata da quella mano non solo sul viso.
Il pensiero, molto dettagliato riguardo quello che la mercenaria avrebbe desiderato, arrivò nella mente di Dana come una serie di flash. L'Amazzone si sentì avvampare e, dopo aver interrotto ogni contatto fisico con la donna, istintivamente si voltò a controllare se la sequenza di immagini era giunta solo a lei o se anche le altre due telepati avevano ricevuto qualche frammento di pensiero.
La reazione di Illa passò da quella di colpa per aver lasciato trapelare i suoi pensieri a quella di irritazione mista a gelosia per l'azione istintiva di Dana.
L'Amazzone, sorpresa forse più dalla reazione della mercenaria che dai pensieri che aveva colto, terminò in fretta la medicazione e, senza dire nulla, tornò al suo posto accanto a Shonnach.
«Cosa è successo?» l'Amazzone aveva notato il cambiamento nella compagna ma non aveva percepito nulla di strano provenire dal settore riservato ai mercenari.
Dana scosse la testa negativamente. «Nulla che ti riguardi,» rispose sgarbatamente. «Non ti immischiare, almeno questa volta.»
Il clima di tensione che si era creato tra i vari componenti dei due gruppi non fece altro che rendere insopportabile l'ultima parte del viaggio di quella giornata e, una volta arrivati al villaggio, il potersi chiudere in stanze separate fu gradito a molti. Anche la cena fu consumata in silenzio nello stanzone comune della taverna. Nessuna delle Rinunciatarie aveva voglia di chiacchierare, mentre i mercenari non si fecero neppure vedere.
Solo poco prima di ritirarsi per la notte, Dana decise di andare comunque a controllare Illa. Sapeva che il piede doveva farle molto male e, dopo il lauto pasto, aveva abbastanza energia per sistemarlo nel migliore dei modi.
Stava per bussare alla porta quando Shonnach si materializzò al suo fianco. «Danila mi ha detto di restare con te,» sembrò giustificarsi. «Teme per la tua incolumità.»
Dana non fece in tempo a ribattere che la porta venne aperta da Renaldo. Illa, seduta su una bassa poltrona accanto al camino, si stava sistemando la benda che le aveva tenuta bloccata la caviglia durante la giornata e, sotto le fasce, la carne gonfia e tumefatta faceva capire quanto fosse peggiorata la situazione.
Lo sguardo che Shonnach lanciò a Dana non lasciava adito a dubbi. "Vedo che la tua amica ha buona compagnia," si premurò comunque di aggiungere.
Dana non si preoccupò di informarla che la presenza di Renaldo nella camera di qualunque donna non l'avrebbe per nulla preoccupata, essendo a conoscenza delle preferenze dell'uomo in fatto di compagnia.
Nel vederle, Illa aveva sospirato penosamente e si era sistemata sulla poltrona il più comodamente possibile. In cuor suo sperava che Dana mantenesse la promessa e passasse da lei per un controllo ma, ancora più tenacemente, aveva desiderato che la donna venisse da sola e non con il solito angelo custode al fianco.
Shonnach si era sistemata accanto al camino, rifiutando di sedersi sulla sedia offertale da Renaldo e continuando a fissare i due mercenari come se le loro intenzioni fossero pericolose oltre ogni dire.
Dana si era invece seduta ai piedi di Illa, dopo averle fatto posare il piede ferito sopra un basso sgabello imbottito. La caviglia era molto più infiammata della sera precedente e, dove prima non si scorgevano segni di fratture, ora era ben evidente la separazione netta di alcune delle piccole ossa del dorso del piede.
«Ti avevo detto di non forzarlo,» la rimproverò aspramente, dopo averle comunicato la notizia. «Shonnach andresti a prendermi qualcosa di molto calorico, per favore?»
L'Amazzone si irrigidì. «Perché?»
Dana sospirò profondamente, contando fino a dieci prima di rispondere. «Perché devo sistemare la frattura e mi servirà del cibo, subito dopo. Dovresti saperlo,» aggiunse, con tono di rimprovero.
"Non ho nessuna intenzione di lasciarti qui da sola con loro due!" Dana colse il sorriso impertinente che stava facendosi strada sulle labbra di Illa. Senza rendersene conto aveva lasciato una mano sulla caviglia della mercenaria e tutte le sue sensazioni e parte del dialogo telepatico tra lei e Shonnach erano state chiaramente percepite dalla donna.
«Renaldo non avrà nessuna difficoltà ad accompagnarti nelle cucine,» commentò ad alta voce Dana.
Shonnach assunse la solita espressione offesa e si diresse a grandi passi verso la porta. "Danila non gradirà questa novità..."
"Danila sapeva benissimo che non avrei gradito la tua presenza, Shonnach," il tono mentale di Dana era freddo e tagliente. "Sono stanca di veder messa in dubbio la mia buona fede e, se Danila ha qualche altro problema, può benissimo venire lei stessa a dirmelo e non mandare te come controllore."
Il rumore della porta sbattuta fece sorridere Illa. «Non volevo essere la causa di questo litigio con la tua breda,» aggiunse, non appena anche Renaldo fu uscito dalla stanza.
Dana la fissò sorpresa. L'intonazione usata da Illa per il termine breda era quella che implicava l'esistenza di una relazione affettiva e sessuale tra di loro. «Shonnach non è la mia amante!» Il solo pensiero la faceva stare male.
Illa tirò un sospiro di sollievo nel vederla così infuriata. «Non mi riferivo a lei,» aggiunse.
Dana restò per un attimo senza parole poi, come un fulmine a ciel sereno, la consapevolezza della verità contenuta nelle parole della mercenaria si fece strada in lei.
«Danila?» chiese incredula. «Tu hai creduto che io e lei...»
L'espressione sul volto dell'Amazzone riempì Illa di un calore incredibile. Già si era data della stupida per essersi lasciata andare a fantasie riguardo un possibile interesse per lei nei suoi confronti e, l'idea che Dana potesse avere già una relazione con qualcun altro, donna o uomo che fosse, le aveva dato un immenso senso di frustrazione.
Aveva passato anni a guardarla da lontano, ben sapendo che non sarebbe mai riuscita neppure ad avvicinarsi a lei, e adesso che la situazione si era imprevedibilmente mutata a suo vantaggio rischiava di essere arrivata troppo tardi. Ora restava però il problema più grosso, come le aveva fatto notare Renaldo pochi istanti prima che le due Amazzoni bussassero alla porta, Illa doveva trovare il modo di comunicare le sue vere intenzioni a Dana e, conoscendola, il mercenario riteneva la cosa praticamente impossibile.
Nessuno dei pensieri che affollavano la mente di Illa arrivò a Dana, impegnata com'era a sistemare i danni che in una sola giornata la mercenaria era riuscita a procurarsi. Era restata sorpresa nel rendersi conto del vero motivo celato dietro il comportamento iperprotettivo e indisponente nei confronti del gruppo di mercenari che Danila aveva mostrato fin dal primo giorno ma, purtroppo per lei, non avrebbe mai avuto nessuna possibilità nei suoi confronti.
Era ormai trascorsa un'ora quando Renaldo, seguito da Clive, fece ritorno nella stanza di Illa. Dana, sfinita dall'operazione eseguita sul piede ferito della donna, si era abbandonata contro la poltrona e si avventò sul vassoio di cibo che il più giovane dei due mercenari aveva portato dalle cucine.
«Domani impediscile di posare il piede per terra,» disse a Clive non appena le fu tornata un po' di energia. «Se lo riduce di nuovo come l'ho trovato stasera non potrò fare più nulla.» Clive annuì senza dire nulla, ma l'espressione decisa del suo sguardo era più che sufficiente. «Evita di fare sforzi, almeno per domani,» disse poi a Illa. «Il bendaggio che ti ho fatto sarà da rifare completamente domani mattina. Prima di uscire aspetta che venga a sistemarlo.»
«Sarebbe meglio che ti fermassi qui,» il tono di Renaldo era il più indifferente possibile ma, nonostante tutto, lo sguardo di Illa lo fulminò.
Dana si alzò in piedi, aggiustandosi la casacca. «Non posso,» disse a bassa voce. «Non questa sera, almeno.»
Senza aggiungere altro uscì dalla stanza, diretta alla sua camera. La tentazione di fermarsi era stata forte, ma non era ancora certa di quello che provava. Temeva che fosse solo l'eco di quello che percepiva da Illa o, ancora peggio, temeva che quello che sentiva provenire dalla mercenaria fosse l'eco dei suoi stessi sentimenti.
Entrò silenziosamente nella stanza che divideva con altre due Sorelle e, senza svegliarle, si preparò per la notte. Il pensiero di quello che aveva scoperto la infastidiva. Un conto era sopportare l'ingombrante presenza di Shonnach, che si era attaccata a lei solo per colpa del suo donas, ma affrontare Danila sarebbe stato tutto un altro paio di maniche.
Pensando alle parole che avrebbe potuto usare per spiegare alla donna le ragioni del suo rifiuto, si coricò sul pagliericcio che il locandiere spacciava per un comodissimo letto e, nonostante le più nere previsioni, si addormentò istantaneamente.



Dana era scesa nella sala comune della locanda ancora assonnata. Il rumore proveniente dalle camere vicine l'aveva svegliata molto prima dell'alba e, prima ancora di svegliarsi del tutto, il buongiorno mentale di Shonnach l'aveva subito messa di cattivo umore.
Per completare la cosa, al tavolo riservato al loro gruppo, Danila e Devra stavano accordandosi con Elayna per definire la strada da percorrere per l'ultima parte del viaggio. Quello sarebbe stato l'ultimo giorno di viaggio in comune e, la mattina dopo, lei e i mercenari si sarebbero diretti verso il castello di Rakhal Ridenow mentre loro avrebbero terminato il loro viaggio a Carthon. L'espressione di Danila era chiaramente soddisfatta e, senza dubbi, era l'idea che presto si sarebbe liberata dall'ingombro costituito dalla banda di mercenari e dal loro capo che aveva provocato quella reazione.
Dana sbuffò, sedendosi al tavolo e cominciando a mangiare silenziosamente la sua abbondante colazione. Aveva rimuginato a lungo su quello che Illa aveva insinuato nella sua mente la sera prima e, alla luce del giorno, non vedeva più le cose con la stessa chiarezza.
La telepate si era abituata a mantenere le barriere perennemente alzate da quando aveva cominciato a vivere alla Gilda. Essere circondata da tanti atelepati non era una sensazione piacevole. Anche se loro non erano in grado di percepire i pensieri erano comunque in grado di produrli e, senza la preoccupazione di essere ascoltati da chi stava loro vicino, non provavano la necessità di trattenersi o di moderare le loro elucubrazioni mentali.
I telepati abituati a vivere solo in mezzo ai loro simili non si rendevano conto di quanto fosse complicata la convivenza con un popolo composto quasi unicamente di atelepati e, dopo i mesi trascorsi nella Gilda, Dana comprendeva perfettamente il rifiuto nei confronti del laran che un non comyn poteva avere quando questo si risvegliava inaspettatamente in lui.
In aggiunta a questo c'era il problema del donas di Dana, quell'empatia che era il simbolo distintivo dei Ridenow ma che la costringeva a vivere perennemente immersa nelle emozioni altrui, riuscendo spesso a fatica a reprimere la tentazione di appianare definitivamente la tempesta emotiva che la circondava grazie alla parte attiva del suo donas.
La vicinanza di Shonnach, pur considerandone l'invadenza, era spesso una sorta di ancora di salvezza, che permetteva a Dana di sfogare la tensione e di lasciar sgranchire le sue doti di telepate altrimenti annichilite dall'inutilizzo.
Quella mattina contravvenendo all'abitudine, vista la presenza sia della Sorella che di Elayna, Dana lasciò la mente libera di assorbire l'immensa varietà di emozioni e di sensazioni che provenivano dalla persone attorno a lei.
Shonnach ed Elayna erano moderatamente schermate, una sorta di cortesia nei confronti l'una dell'altra, ma ben attente a non lasciarsi travolgere dalla massa di pensieri fuori controllo delle altre presenti nella stanza. Dana aveva mantenuto il blocco sulla percezione dei pensieri, lasciando libera solo la parte più selettiva del suo donas, quella in grado di percepire le emozioni anche più recondite.
Accanto a lei, Shonnach era come sempre con tutti i sensi all'erta, pronta a chissà quale attacco da parte di nemici fino a quel momento inesistenti. Dana percepiva anche una nota di preoccupazione per lei, provocata dallo strano rapporto di reciproca fiducia che aveva visto consolidarsi tra lei e i mercenari, fantasmi provenienti da una parte della vita della compagna che non sarebbe mai stata in grado di comprendere o controllare.
Elayna era invece in ansia al pensiero di essere quasi giunta alla meta. Sapeva che razza di individuo era Rakhal e i discorsi ascoltati in quegli ultimi giorni non l'avevano di certo reso più ottimista. Però aveva dato la sua parola e il solo pensiero che la sua presenza sarebbe stata di aiuto alla giovane figlia del nobile era già sufficiente a farla proseguire sulla sua strada senza esitazioni.
Devra era un groviglio ingarbugliato di emozioni. La preoccupazione per i pericoli corsi nell'incendio affrontato pochi giorni prima si era da poco sopita e già spuntava l'ansia per il prossimo ingaggio, che l'aspettava a Carthon e che l'avrebbe portata oltre le montagne, all'interno del territorio sotto il controllo delle popolazioni delle Terre Aride.
Danila era invece in uno stato di ferrea sicurezza. L'indomani i mercenari se ne sarebbero andati e, con loro, anche quella strana creatura che sembrava aver così catalizzato l'attenzione della sua protetta. Dana sentì la pelle accapponarsi al contatto con quelle emozioni e, con cautela, aprì la propria mente qual tanto che bastava per permettere ai pensieri di Danila di giungere a lei. La donna era certa che i sentimenti di Dana sarebbero mutati nei suoi confronti e che, come era inevitabile, si sarebbe resa conto che la sua sola strada era quella di legarsi a lei sentimentalmente. La presenza di Illa era stato solo un incidente di percorso e, dopo la sua partenza, Dana avrebbe scordato persino la sua esistenza e non ci sarebbero stati altri ostacoli alla realizzazione del suo desiderio.
Il pensiero della mercenaria riscosse Dana e le diede la forza di alzarsi dal tavolo e abbandonare la compagnia. Nessuna delle altre sembrò interessarsi ai suoi movimenti e l'Amazzone poté risalire le scale e dirigersi verso la stanza di Illa senza essere bloccata o raggiunta da nessuno.
L'interno della stanza era ancora avvolta nella penombra e la Rinunciataria dovette attendere qualche istante prima che i suoi occhi si adattassero alla poca luce. Illa, ancora distesa sul letto, aveva ancora un'aria sofferente e per un istante Dana temette che la donna avesse contraddetto i suoi ordini e che la caviglia avesse ceduto definitivamente.
Senza scambiare neppure un saluto, la telepate si preoccupò immediatamente di controllare l'arto ferito della donna e, con un misto di sollievo e di preoccupazione, trovò l'articolazione in perfetta forma e le fratture che aveva rinsaldato a fatica la sera prima ancora perfettamente unite. Non c'era più traccia delle bende in cui aveva avvolto il piede per la notte ma, nonostante tutto, la guarigione sembrava ormai avviata e difficilmente arrestabile.
Si sedette sul letto e fissò la donna con aria interrogativa. «Posso chiederti cos'hai?» Illa girò il volto verso la finestra, cercando di non incrociare il suo sguardo, senza risponderle. «Illa?»
La mercenaria continuava a fissare la finestra, respirando lentamente ed in profondità, come nel tentativo di mantenere una calma che non doveva realmente esistere.
Dana allungò una mano, sfiorando leggermente la spalla della donna, nel tentativo di indurla a girare lo sguardo. L'intricato complesso di emozioni che sembrava devastarla appariva come sfuocato. Anche se continuava a ripetere di essere sprovvista di qualsiasi potere telepatico, Illa riusciva con discreto successo a mantenere lontane da lei le sue emozioni, erigendo una rudimentale barriera difensiva.
L'Amazzone sospirò, sapendo che nessun discorso sarebbe servito ad abbattere le difese della mercenaria. Si avvicinò a lei, facendo risalire la mano dalla spalla al collo della donna e, prendendole il mento tra le dita, la costrinse a girarsi verso di lei. «Illa,» ripeté con voce più dolce, avvicinando le labbra al suo volto, sfiorandone delicatamente le guance e l'orecchio. «Se vuoi che me ne vada non devi fare altro che dirmelo,» aggiunse rapidamente, senza allontanarsi.
Le mani della mercenaria si strinsero alle coperte, mentre deglutiva a vuoto senza rispondere. Dana posò per un istante la fronte sulla sua spalla e, sospirando, fece per allontanarsi ma Illa afferrò un lembo della sua casacca con forza, impedendole di farlo.
Dana abbassò nuovamente lo sguardo sul volto della mercenaria. La poca luce che filtrava dai pesanti tendaggi che impedivano al freddo esterno di penetrare nella stanza colorava di riflessi rossastri gli occhi della donna. L'Amazzone ricordava la prima volta che aveva notato la strana tonalità di quegli occhi, solitamente freddi e impenetrabili, e le era stato detto che erano così a causa del sangue che scorreva nelle vene della mercenaria, quello del Popolo Gatto.
La mano di Illa aveva lasciato il bordo della sua casacca e ne aveva afferrato invece le pieghe sul davanti. Con lo sguardo fisso nei suoi occhi aveva tirato leggermente verso di sé e, rompendo l'immobilità di quel momento, Dana si era chinata, posando le proprie labbra su quelle della mercenaria.
Non fu nulla di più che un semplice contatto di breve durata, in quel momento nessuna delle due cercava qualcosa di più profondo. Allontanandosi di poco, restarono a fissarsi per un tempo che sembrò invece lunghissimo. Le barriere di Illa erano ancora alte ma, sul suo viso, non comparivano più le tracce della tempesta emotiva in cui l'aveva sorpresa Dana.
La mano dell'Amazzone accarezzò il volto della mercenaria, risalendo lungo il disegno degli zigomi, sfiorando leggermente la fronte libera dalla medicazione.
«Sembra che dovrò rifare tutto il lavoro,» disse piano, per nulla intenzionata a rompere il contatto. «Dove hai nascosto le bende?»
Illa sorrise maliziosa, ma non fece in tempo a rispondere perché l'avvicinarsi di voci nel corridoio le riportò bruscamente alla realtà. Con un cenno del capo indicò la cassapanca che era posata ai piedi del letto.
«Mi davano fastidio,» rispose invece. «È necessario?»
Dana non rispose, fasciando con accuratezza il piede della donna e, dopo un controllo più professionale, coprendo la fronte solo con una striscia pulita di tessuto, senza spalmarci prima sopra poltiglie maleodoranti.
«Ancora un paio di giorni e la caviglia tornerà a posto,» rispose, allontanandosi per contemplare il suo lavoro. «Non è più infiammata e le ossa sono in ordine, ma l'articolazione è debole e non devi sforzarla troppo.»
Un lieve bussare anticipò l'entrata di Renaldo nella camera. «È ora di andare,» disse semplicemente, passando lo sguardo da una donna all'altra. «Tutto bene?»
«Ancora un controllo questa sera, poi sarà di nuovo quella di prima,» Dana lanciò solo una rapida occhiata alla mercenaria, sfiorandola mentalmente con l'immagine del controllo che aveva in mente.
Renaldo vide Illa arrossire senza motivo e, voltandosi verso l'Amazzone, assunse un'espressione interrogativa.
«Sparisci,» sibilò Illa, rivolta alla donna, lasciando Renaldo senza risposte ai suoi interrogativi.



Shonnach aveva trascorso la prima parte della mattinata cercando di capire cosa fosse cambiato in Dana, senza trovare risposte. Non voleva ammettere a se stessa che la riposta era davanti a lei, avendo notato anche uno strano cambiamento nella mercenaria, ma non poteva accettare la cosa. Per liberarsi la mente dal dubbio che continuava a tormentarla, la donna raggiunse le prime file della carovana, affiancandosi a Danila a capo della squadra.
La vicinanza degli atelepati non era così fastidioso per lei come lo era per Dana. La sua continua ricerca di un nemico nascosto era mitigata dalla certezza che nessun atelepate sarebbe stato in grado di celarle volutamente un piano ideato a suo danno.
Danila sembrava incredibilmente di buon umore. Accettò la vicinanza di Shonnach con un sorriso e, dopo qualche minuto, iniziò persino a chiacchierare con lei. Fino a qualche giorno prima si sarebbe comportata diversamente ma i fatti intercorsi in quell'ultima parte di viaggio avevano cambiato l'idea che si era fatta dell'amicizia che legava le due Amazzoni.
«Dicevi?» chiese ad un certo punto Shonnach, che non stava veramente ascoltando quello che l'altra diceva.
«Alla prossima sosta sarebbe un problema dividere la camera con Tasha invece che con Dana?» ripeté Danila.
«Ci fermiamo un'altra volta in una locanda?» chiese preoccupata Shonnach. «Non ne vedo la necessità.»
Danila si strinse nelle spalle. «È un favore nei confronti di Elayna, per lei è certamente più comodo sostare in una locanda che in un rifugio o all'addiaccio.»
Per la prima volta Shonnach si fermò ad ascoltare il chiacchiericcio mentale che proveniva dalla donna che aveva davanti e quello che percepì non le piacque per niente. «Cosa ti fa pensare che Dana vorrebbe dividere la stanza con te?» chiese diplomaticamente, per verificare la veridicità delle sue impressioni.
«Ultimamente non andate molto d'accordo,» rispose placidamente Danila. «Non sei neppure stata in grado di dissuaderla dall'incontrarsi con quei mercenari.»
Shonnach lanciò uno sguardo alle sue spalle. Dana stava cavalcando tranquillamente, con l'espressione fissa davanti a sé ma non distratta come quando vagava nei ricordi o era in contatto telepatico con qualcuno. Dietro a lei, Illa stava discutendo con il più alto dei suoi uomini, non le interessava sapere di cosa.
«Se dovessi scegliere,» un brivido le percorse la schiena al solo pensiero ma non poteva negare l'evidenza, anche se ci aveva provato per tutta la mattina, «preferirei saperla con quella piuttosto che con altri.»
L'espressione di Danila mutò repentinamente. «Cosa vorresti intendere?»
«Parliamoci chiaro,» rispose Shonnach, per nulla preoccupata dal rischio di ferire l'orgoglio di chi le stava davanti. «Un conto è una notte di sesso con un atelepate. Ma legarsi affettivamente... almeno in quella qualche traccia di laran la si riesce a trovare.»
«Dici questo solo perché la stai perdendo!»
Shonnach si voltò a fissare Danila direttamente negli occhi. «Il solo pensiero di fare sesso con una donna, fosse anche solo per una notte, mi disgusta. Posso accettare che altre abbiano gusti differenti, basta che mi lascino fuori. Dana può decidere di legarsi con chi vuole, almeno finché non troverà l'uomo della sua vita, ma ti posso assicurare che in ogni caso sarà un telepate.»
La fermezza delle parole dell'Amazzone colpirono Danila profondamente. Aveva sempre cercato di non farsi coinvolgere dalle divisioni che esistevano tra la nobiltà comyn e il resto del popolo, ma le parole di Shonnach avevano riportato questa divisione di classe in evidenza davanti ai suoi occhi.
«La posizione sociale non centra, Mestra Danila,» la voce di Elayna, stranamente triste, la fece sobbalzare. «Non crediate che sia nostra abitudine origliare i pensieri degli altri, soprattutto dei non telepati, ma le parole di Shonnach sono veritiere. Nessun telepate riuscirebbe mai a legarsi completamente ad un non telepate. Non importa che sia, o sia stato un nobile... le sensazioni che si possono dividere con la mente, oltre che con i normali sensi, sono difficilmente comprensibili da chi non è in grado di avvertirle.»
Danila si drizzò sulla sella, dando di sprone al cavallo per allontanarsi da loro. «Vi sbagliate,» disse prima di lasciarle indietro. «Da domani non avrà altri a cui poter chiedere consolazione.»
Elayna e Shonnach si scambiarono uno sguardo perplesso, ben sapendo che se Dana avesse deciso di chiedere consolazione non sarebbe andata da chi non avrebbe compreso tutti i suoi problemi.



Quasi in accordo con il cambio di umore di Danila, cominciò ben presto a piovere. Con il passare delle ore la temperatura calò e la pioggia divenne pesante neve bagnata.
La carovana continuò il suo viaggio nel silenzio quasi assoluto. Ogni componente delle due squadre era coperto dai mantelli impermeabili e nessuno aveva molta voglia di parlare con il vicino, rischiando di bagnarsi più del necessario.
L'arrivo al villaggio meta della sosta serale fu accolto da sospiri di sollievo e i turni per i bagni e la riserva limitata di acqua calda non riuscirono a rompere il buonumore che i camini e il cibo caldo avevano portato nel gruppo.
Ritemprata dal rapido bagno caldo, Dana aveva deciso di fermarsi a magiare qualcosa prima di passare da Illa per il controllo promesso. Per tutta la giornata aveva percepito la mente della mercenaria sempre vicina alla sua, in un bizzarro tentativo di mettere alla prova le sue inesistenti doti di telepate ma, come prevedibile, non era riuscita a fare molto. Dana sapeva che presto o tardi l'avrebbe costretta a farsi vedere in una Torre per farsi un'idea del tipo di laran che possedeva e per scoprire se era necessario o meno un po' di addestramento.
Sapeva che qualsiasi altro telepate l'avrebbe accusata di scarsa professionalità se non l'avesse costretta ad un periodo di addestramento, per il rischio che un telepate non addestrato rappresentava per gli altri prima che per se stesso, ma Dana era pronta a giurare che la donna possedeva quelle doti fin da quando l'aveva conosciuta, molto prima dell'età del normale risveglio del laran, e non era convinta che il suo potere fosse del tutto normale.
Ma non era quello il momento giusto per preoccuparsi. Non sapeva neppure cosa sarebbe accaduto quella sera e se, dopo la separazione che sarebbe inevitabilmente arrivata il giorno dopo, sarebbe mai ricomparsa un'altra opportunità per incontrarsi.
Terminò rapidamente il pasto, non aveva nessuna voglia di farsi incastrare dalle altre Sorelle. Risalì le scale che portavano alle camere e, immersa nei suoi pensieri registrò l'avvicinarsi di Danila solo con una parte della mente. Si incrociarono a metà del corridoio, a poca distanza dalla porta di Illa. Dana non aveva nessuna necessità di nascondere le sue intenzioni di entrare dalla mercenaria e, ignorando la compagna, posò la mano sulla maniglia.
«Dana,» la donna afferrò con delicatezza il polso della telepate che, istintivamente, ritrasse la mano, allontanandola dalla porta. «Shonnach ti ha detto che questa notte dividerai la stanza con me?» se il gesto di Dana l'aveva turbata non lo diede a vedere.
«Mi spiace,» ripose Dana, appoggiandosi con le spalle alla porta, rischiando di cadere all'indietro quando Bertrand l'aprì per uscire.
Danila la guardò interrogativamente, ma sorridendo all'apparizione dell'uomo. «E perché mai? Ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare.»
Bertrand si era fermato a cavallo dell'uscio, tenendo aperta l'anta in attesa di un cenno da parte di Dana. Vedendo che la donna non si muoveva, lasciò che la porta si richiudesse dietro di sé, allontanandosi fischiettando.
«Non dobbiamo parlare di nulla,» commentò Dana, una volta che il mercenario si fu allontanato. «Non c'è nulla di quello che mi puoi dire che può interessarmi.» Danila fece per ribattere, ma Dana la bloccò con un cenno della mano. «Mi spiace che tu mi ritenga così prevedibile, ma non appartieni alla categoria di persone che potrebbero interessarmi e, se hai pensato di potermi convincere del contrario, hai già perso qualsiasi possibilità potesse esistere.»
Danila la fissò senza parlare.
«Ho passato anni a fare quello che gli altri volevano, perché era evidente che mi dovessi comportare in un certo modo. Al castello e alla Torre, chiunque mi vedeva sapeva cosa avrei dovuto fare e io lo facevo, inevitabilmente.»
«Adesso ti stai comportando nello stesso modo,» le fece notare la donna. «O sei convinta che lei non la pensi come me?»
Un'ombra di un sorriso aleggiò sulle labbra di Dana. Illa aveva passato anni a desiderarla in silenzio, ben sapendo che non sarebbe mai neppure risuscita a sfiorarla e adesso alla sola idea di poterla avere vicino nella stessa stanza senza nessuno a frapporsi tra di loro temeva che lei potesse decidere di scappare lontano, non trovando gradevole quello che vedeva.
«Può essere,» rispose, sfiorando il legno della porta come avrebbe potuto accarezzare il volto della donna nascosto dietro di essa. «Ma sono convinta che abbia smesso di darmi per scontata da quando ci siamo rincontrate pochi giorni fa.»
Detto questo, Dana salutò con un cenno del capo la donna che la fissava senza capire e varcò la porta che la separava dal suo futuro.









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Disclaimers

Durante uno dei primi incarichi dopo il Giuramento, Dana incontra Illa e la sua banda.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008