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Il richiamo del sangue

Dannil Macrae y Lindir-Aillard

Dannil... è ora di alzarsi! Smetti di sognare,» esclamò mia sorella, scrollandomi.
Aprii gli occhi confuso, dove ero? La mia stanza nel Castello Aillard. «Sognavo qualcosa... il flauto...» balbettai con la bocca impastata.
«Zitto,» disse lei, «c'è Juliano, dall'altra parte del muro!»
A questo punto cominciavo a ricordare in modo migliore i sogni. I fatti, per meglio dire.
«E' tutto vero? E' accaduto?» chiesi. "E' accaduto a me?"
"Sì, bredillu. E' accaduto," rispose con il pensiero.
Sollevai le coperte e mi diressi al catino. Il giorno prima non avevo bevuto niente più che del sidro a tavola... cercavo spiegazioni che non avevo... e in vita mia non mi era stato permesso di toccare vino o firi se non una volta per scherzo, era inutile fingere di essere stato ubriaco dato che non conoscevo neppure la sensazione! Il giorno era spuntato da un po', le imposte lasciavano passare la luce, oltre al freddo.
«Nevica?» chiesi.
«Quando mai non lo fa? Il Solstizio è domani!» mi disse lei. Aveva le mani sui fianchi e la tipica espressione che assumono le ragazze che hanno a che fare con i fratelli minori, una sorta di 'mamma esasperata in miniatura che si chiede perché sempre e solo a lei'.
«Ah, già!» mi sciacquai il viso. Le domande che avevo mi morirono in gola alla vista di Juliano che era rientrato con la giubba, il giustacuore di cuoio e il giaccone. Lui sì che sembrava aver conosciuto la sensazione dell'ubriachezza! E proprio in questo momento ne mostrava gli spiacevoli effetti collaterali del giorno dopo. Percepivo parte del suo mal di testa. Mi voltai verso mia sorella e le indicai il nostro uomo giurato. Lei mantenne lo sguardo verso di me e notai la sua espressione da mamma esasperata intensificarsi.
«Puoi procurarti uno smorzatore? Il nostro bel cavaliere ha avuto da fare, ieri notte,» strano, non l'avevo sentito rientrare. Lei sembrò rendersi conto della mia preoccupazione e assentì. "Vado da Aliciana!"
«Che facciamo oggi?» chiese lentamente Juliano, misurando ogni parola.
«Tu niente. Hai fatto abbastanza. Torna a letto. Ti porterò una tazza di jaco e Arliss sta cercando uno smorzatore. Vedrai che ti rimetteremo in forma per domani.»
«Vai dom, mi dispiace. Ma posso accompagnarti, sto bene, davvero!» disse lui con un sorriso mesto. Mi sarei commosso se ogni sua parola non gli procurasse una fitta di dolore nel cranio e - di conseguenza - non inviasse sensazioni sgradevoli con il laran tutto intorno a sé! Sbuffai! Presi i vestiti e li indossai. Sentivo il riflesso di una leggera nausea e la testa mi girava. «Siediti, stallone. Oggi non c'è nulla da fare e tu resterai a letto, è un ordine!» Lanciai un richiamo e lui si sedette sul mio letto, restò li fermo fino a che Arliss non ritornò con quel piccolo meccanismo tanto comodo che risolveva questo e altri problemi della convivenza tra telepatici.
«Su, rimettiti a letto!» gli ordinò anche lei.
«Ma, damisela. Devo stare con voi!»
«Lo farai quando starai bene, Juliano. Oggi non ti muoverai di qui.»
Dai pensieri incoerenti del mio bredu si capiva che non avrebbe eseguito l'ordine, a costo di reggersi alle pareti per camminare, quindi Arliss fece quello che bisognava fare e che io avrei fatto senza indugi già prima. Lanciò il suo richiamo e Juliano cominciò a dirigersi verso l'altra stanza dell'appartamento che aveva un piccolo letto per lo scudiero dell'ospite. Lanciai anch'io un richiamo e lui si voltò verso il mio letto.
"Perché?" domandò con il pensiero mia sorella.
"Perché la stanza di là è troppo angusta, non potremmo stargli dietro," intanto lui prese a togliersi i vestiti che aveva indossato.
"Non gli staremo dietro affatto," negò lei. "Oggi hai da fare quella prova... o l'hai dimenticato? Non è il genere di cose che si possono rimandare!"
"Allora? Mi occuperà tutto il giorno?"
"No... credo di no." Terminò lei... stavamo discutendo per niente. Ci voltammo verso il malato in tempo per vederlo totalmente nudo cominciare a mettersi sotto le coperte. Lo fissammo entrambi.
«No, bredu. Mettiti questa...» dissi io. Gli porsi la camicia da notte che avevo indossato io la notte precedente.
«Uh! Grazie, dom,» fece lui.
«Uomo o donna?» sussurrò Arliss.
«Che?» chiese lui, non capendo. Ogni suo movimento era eccessivamente rallentato, segno che non stava bene affatto!
«Ho chiesto se ti sei conciato così per un uomo o per una donna,» chiarì sorridendo.
«Damisela!» esclamò lui.
«Arliss!» la rimproverai anch'io, bonariamente. Ero curiosissimo anche io. Ma non sembrava il momento di sottoporre lo sventurato ad un interrogatorio.
Lei mi fece l'occhiolino poi prese fiato. «Per me non se lo ricorda!»
Lui avvampò e deglutì. Ricevetti fuggevoli impressioni decisamente sessuali e la morbidezza di un corpo contro il suo. «Donna!» affermò asciutto.
«Se lo ricorda,» commentai io, «ma si ricorderà anche dopo?»
«E si ricorderà il nome della sfortunata?» rincarò Arliss, sapeva essere spietata.
«Valia,» borbottò lui, poi si stese definitivamente sul cuscino con la testa e chiuse gli occhi. Mia sorella gli rimboccò le coperte e gli carezzò la guancia, poi lo baciò sulla fronte. «Tira le tende, così la luce del giorno non lo infastidirà,» ordinò a me. Accendemmo lo smorzatore e uscimmo dalla stanza. La vibrazione calmante avrebbe isolato Juliano dai pensieri indesiderati. Ci incamminammo lungo il corridoio verso la sala per ricevere la colazione; la mia, in ogni caso. Mia sorella si era senza dubbio alzata in tempo per prendere la colazione con gli ospiti e le donne della famiglia. Io invece venivo trattato come un bambino.
D'un tratto mi fermai, appoggiandomi al muro con la mano. Turbata, anche mia sorella si fermò e mi prese la mano.
«Che c'è?»
«Non so, come un capogiro,» mormorai io.
«Sarà un riflesso dell'ubriacatura di Juliano.»
«Può darsi,» concessi io. Lo smorzatore era acceso, ma io avevo accumulato il suo disagio per parecchi minuti.
«Andiamo. Sto bene. Prenderò del jaco


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Salutai Marelie e Carlisia che nella sala grande guardavano i preparativi per la festa curiose. Bevevano latte caldo e chiacchieravano tra loro.
«Cugino Dannil, ben alzato,» si inchinò carinamente Marelie. «Hai poi cantato per la Madre, ieri sera?»
«Sì. Naturalmente,» assentii io. Carlisia sorrise, mi aveva accompagnato lei nella stanza di Jaida Aillard, ma non si era fermata. «E voi vi siete divertite, qui nella sala?»
«Certo. La Dama ha chiamato per il Solstizio i migliori suonatori da Dalereuth e nostra cugina Catria ha sollevato un putiferio fra gli Elhalyn ballando la 'danza della fanciulla' con una maestria eccezionale.»
«Cairia?» domandai...
«L'hai vista ieri,» precisò Arliss, al mio fianco. «Catria Aillard, ha la tua età. Vive ad Armida come figlia adottiva, ma non rimarrà a lungo laggiù poiché deve sposarsi.»
Doveva essere la giovane che non conoscevo alla tavola alta. «Ho capito. Perché non mi è stata presentata? Pensavo fosse una parente povera o una nedestro...» le due ragazze scoppiarono a ridere. Mia sorella mi diede una gomitata nello stomaco. «Vai a prendere la tua tazza di jaco, invece di dire sciocchezze.»
Restai di sasso. «Che ho detto di male, breda? Non volevo certo offendere la damisela. Oltretutto se deve andare sposa presto...» vidi il riso ritornare su tutte e tre le ragazze e preferii interrompere quello che stavo dicendo, poiché mi sembrava di saltare dalla trappola alla pentola come il proverbiale coniglio sciocco. Chiesi licenza e mi diressi a chiedere il jaco. Dietro di me sentii un altro scoppio di risa irrefrenabili, probabilmente merito di mia sorella che adorava mettermi in ridicolo!
Quando raggiunsi nuovamente Arliss e le mie cugine stavano fortunatamente parlando di qualcos'altro e mi inclusero volentieri nei loro pettegolezzi.
«... e poi mia madre ha detto che preferiva andare a letto per mantenere le energie per questa sera, mio padre l'ha subito seguita, lasciando quell'Elhalyn senza nessuno con cui giocare,» stava dicendo Marelie, sorridendo.
«E lui che ha fatto?» chiese mia sorella.
«Ha bevuto tutto d'un fiato il suo firi e ha abbandonato la scacchiera lì, brontolando che quando si comincia una partita a castelli non la si deve interrompere per colpa di una donna che ha sonno,» rispose Marelie, assumendo un atteggiamento spavaldo e borioso.
«Ma era sera tardi, che cosa pretendeva?»
«E' stato un bene per lui, il kiyu è molto bravo a castelli e il nobile Elhalyn rischiava di fare una brutta figura!» s'intromise Carlisia.
«Oh, beh! La serata è andata avanti lo stesso e quando tata Sarita è venuta per portarci a letto, ho visto che i servitori stavano ballando una giga e che i musici chiedevano altri boccali di birra.»
«Chi è Valia? La conoscete?» chiese Arliss, girandosi a guardarmi.
«Sì, certo. E' una cameriera. Carina, ma non molto simpatica,» disse Carlisia.
«E' di quelle che pensano che è meglio lo stufato subito e l'arrosto dopo!»
«Ambiziosa?» chiesi io.
«Una che si infilerebbe volentieri nel letto di mio fratello o di mio padre per poter dire di essere stata con un comyn alle amiche,» precisò Marelie, «ma non ha una goccia di laran e poco cervello. Perché? Ha adocchiato Dannil?»
«No, no, niente affatto!» tagliò corto mia sorella.
Dopo un poco salutammo le nostre cugine e ci dirigemmo verso l'ala della Madre. Alcune donne stavano lucidando le coppe di peltro, mentre Donna Sarita, circondata da servette e paggi, latrava ordini e dispensava consigli per la buona riuscita della festa. L'odore delle leccornie preparate dalle cucine per il banchetto di quella sera giungeva senza dubbio in ogni parte del castello! Avevo un poco di appetito!
«Perché hai chiesto di Valia?» chiesi.
«Così...» rispose Arliss. «Volevo vedere il tipo che piaceva a Juliano.»
«Ti piace?» insinuai sorridendo.
«Perché, a te no?» ritorse lei.
Io la guardai, scioccato. «Che cosa dici, breda
«Ho visto come lo guardi, ogni tanto.»
«Mi spii?»
«No, bredillu. Comunque non sono affari miei e tu sei ancora piccolo per pensare a queste cose!»
«Ecco. Meglio così,» brontolai. Non mi piaceva quello che stava dicendo.
Per fortuna kiyu Mical stava arrivando lungo il corridoio. Lo abbracciammo. Lui viveva a Three Widows Bay e lo incontravamo solo in occasioni speciali o quando il lavoro ci conduceva al villaggio.
«Stavo per venire a cercarvi, bambini,» ci disse subito.
«Non sono un bambino!» ripetei, quasi urlando. Tutti continuavano a pensare che ero piccolo, mia madre, il coridom, mio zio e anche mia sorella. Non c'era proprio giustizia nel mondo!
«Piano, chiyu,» mi rabbonì lui, mettendo le mani avanti, «non è con le urla che mi convincerai!»
Arliss lo guardò in modo strano, quasi con preoccupazione. «Sei qui per la prova?»
«Già,» fece lui, guardandosi intorno. «La Madre ci aspetta e mi ha detto di portarv...» inciampò nella parola «... portarvi dove sai!»
«Va bene, fai strada!»
«Dove andiamo?» domandai.
"Zitto!" sibilò Arliss con il laran. "Siamo in mezzo ai servitori e tu stai urlando come un banshee!"
"Come un pulcino di banshee!" fece kiyu Mical. Era una persecuzione! Scoppiammo tutti a ridere.
Prendemmo un corridoio in penombra e poi una scala giù per tre rampe. L'umidità dell'aria mi dava l'impressione di essere in una cantina. Raggiungemmo una porta e varcammo quella e altre due per poi scendere ancora una scalinata stretta e scavata nella vivida roccia. Giungemmo infine ad un'ultima porta di legno e borchie di metallo... anche la serratura era in metallo ossidato, ma non c'era toppa per infilare la chiave. Arliss sfiorò con la mano sinistra il sacchetto della sua matrice e la porta fece uno scatto che rimbombò sordo nel corridoio basso e freddo.
«Non mi dire... una serratura a matrice!» mi chinai ad esaminare la porta e rimasi a guardare un momento. Non si scorgeva nulla. Provai la tentazione di guardare la porta per mezzo del laran ma sentii l'impazienza degli altri e lasciai perdere.
«Va bene, va bene! Arrivo.»
Al di là dell'accesso c'era una stanza bassa e piccola con panche di pietra e un basso tavolino anch'esso di pietra su cui era appoggiato un vassoio di legno carico (per quel che potevo capire) di cose da mangiare coperte da un panno. Vedevo spuntare una barretta di noci e miele e la presi subito. Me la cacciai in bocca immediatamente e spensi così il languorino che avevo da prima.
«Dove siamo? Cos'è questa stanza?»
«Ci servirà dopo: è per riposare dopo la prova.»
Varcammo un archivolto piccolo di pietra e penetrammo in una bassa caverna, quasi un budello scavato nella roccia. Scalpellato, sembrava. Avvicinai la mano alla pietra e la trovai fredda e solida. Che attrezzi avevano usato per raschiare la roccia? Non capivo. Arrivammo ad una apertura poco illuminata che mostrava una grotta bassa e con il pavimento che si muoveva.
Apparve una luce, in mano alla Madre, no! La mano della donna era la luce! Baluginava di blu e viola. Risplendeva sulla superficie d'acqua che costituiva il terreno della maggior parte della caverna. La donna era affiancata da Aliciana e Sabrina, silenziose.
«Ho creato l'ultraluce per mostrarti questo luogo. Potrebbe essere l'ultima volta che vedi qualcosa. La prova a cui ti sottoporrai è pericolosa. Nessun maschio Aillard è sopravvissuto. Abbiamo tentato» disse la Madre.
«Stai dicendo che potrei morire?» le chiesi a voce un poco alta. Sentii una piccola eco.
«Potresti non avere abbastanza potere,» spiegò al suo posto la leronis Aliciana. «Ma crediamo che tu lo possieda. Vuoi sostenere la prova? Puoi decidere di rinunciare.»
«Devi sapere che da seicento anni nessun Macrae ha rifiutato la prova,» disse Mical, «e solo due di loro sono morti.»
Mi volsi verso mia sorella e cercai il conforto del contatto. La sua mente era chiusa da una barriera. «Devi decidere da solo, Dannil,» mi disse.
Non ci pensai troppo, che senso aveva? Avevo aspettato di conoscere il vero potenziale del mio laran fin da quando, bambino, potevo leggere i pensieri degli altri. Anche Arliss aveva avuto il potere quasi alla nascita ed esso si era sviluppato in noi lentamente, dandoci il tempo di apprenderne la natura.
Avevamo ringraziato gli Dei per il nostro donas. Li avevamo maledetti quando il mal della soglia aveva acuito il laran e ci aveva dato una ipersensibilità dolorosa... visioni del remoto passato e del lontano futuro, totalmente aliene e senza senso... episodi di empatia che ci straziavano dal dolore o ci paralizzavano dalla paura, allucinazioni devastanti che ci avevano trascinato fin sull'orlo della follia. Prima Arliss e poi, solo l'anno precedente, io. Non ricordavo che dolore e sofferenza, paura e terrore, dentro e fuori di me. Passai decine e decine di giorni senza sapere chi ero e di chi mi dovevo fidare, delirando. E dopo quell'ordalia ero stato dichiarato semplicemente fuori pericolo e a mia sorella era stato permesso di vedermi. Mi avevano dato una matrice. Il mio donas era la mia eredità. Quello che mi distingueva come individuo.
«Accetto la prova,» la voce non mi mancò. La Madre sollevò l'altra mano e soffiò all'interno del flauto una sola volta. Sentii il suono come un fischio che volava dentro l'acqua, acquistando corpo. La mia matrice cominciò a pizzicare. L'ultraluce svanì come era giunta. Restammo tutti al buio. Mical cercò un contatto con la mia mente, le altre semplicemente svanirono dalla mia percezione. A parte il fruscio delle vesti e l'acqua che ondeggiava non percepivo nessun suono, l'odore del mare riempì le mie narici. Poi fu il laran e solo il laran che mi dava le informazioni su quello che mi circondava.
"Ora siamo tu ed io, nipote. La prova dei Macrae inizia così... un maschio adulto deve prepararti a quello che succederà."
"Ho paura," non riuscii a impedirmi di rispondergli con il pensiero. Mi feci forza. "Che accadrà?"
"Tua sorella, che ora è vicino alla Madre e alle leroni Aillard, cercherà di colpirti con richiami a caso. Aliciana farà lo stesso con il suo potere. Nel frattempo io controllerò le tue reazioni e cercherò di capire se sei adatto al compito. Fai in fretta a superare questa parte perché la seconda arriverà tra poco e dovrai essere pronto."
"Pronto per cosa?"
"Per i chieren," mi sussurrò. Il flauto! Cosa aveva detto ieri sera?... se lo si suona arrivano i chieren, in qualunque stagione e con qualunque tempo.
Mi stavo muovendo in avanti. "Arliss!" Barricai la mia mente e mi fermai, tornai indietro di qualche passo, sollevai la mano al pugnale, che non c'era. Me l'hanno tolto!
"Adesso non ti serve. Ricordati che siamo sempre parenti," m'inviò Mical.
"Se fallisci te lo pianterò nelle costole," sentii la voce mentale di Sabrina, ma non capii la sua posizione. Le mie mani salirono al collo per prendere la matrice. L'ultraluce mi colpì gli occhi improvvisamente. "Nel paese dei ciechi, l'uomo in grado di vedere sarebbe considerato pazzo!" questa era Aliciana. Chiusi gli occhi. Percepii calore a destra e freddo a sinistra del corpo. Cercavano di confondermi i sensi. Mical era sempre in contatto con me ma non interveniva in aiuto.
"Bene," mi dissi. "Vuol dire che mi aiuterò da solo e gli Dei faranno il resto!" Non dovevo muovermi perché i loro attacchi sembravano solo illusioni... mi sedetti a terra e strinsi la matrice. Rafforzai le mura attorno alla mia mente e pensai a schiarire la mia mente.
Vidi Juliano, lo percepii legato vicino a me. Piangeva e cercava di liberarsi da un bavaglio. Voleva avvertirmi di qualcosa. Mi voltai e vidi strisciare Sabrina con un coltello sul muro dietro a me.
Vidi? Vedevo al buio? Un'altra illusione! Schiarii la mente tramite la matrice. Juliano dormiva nel mio letto, Sabrina non voleva uccidermi. Come potevano colpirmi se le barriere erano sollevate?
Perché non lo erano: Arliss mi aveva fatto credere di averle rafforzate, ma non lo erano. Strinsi la matrice ed essa svanì. Me l'avevano tolta come avevano fatto con il coltello.
"Non si può togliere una matrice al suo legittimo possessore!" quindi non l'avevano fatto. Mi concentrai e esclusi tutti dalla mia mente... dovevo chiudermi in me stesso, stare solo, proteggermi, chiudermi a riccio! No, le sensazioni mi giungevano da Arliss!
La mia mente cominciava a vacillare: troppi attacchi, troppo ravvicinati. Ero solo un bambino, dodici anni e nessuna esperienza di combattimento se non le lezioni di scherma con kiyu Dannil e Juliano come avversario... Mi apparve Juliano, nudo, che si toglieva dal collo il laccio che reggeva la sua matrice. No! Così morirai. Mi guardò e rise. Me la lanciò addosso, poi cadde a terra, preda delle convulsioni. Stavo per chinarmi a raccogliere la sua matrice quando sentii il dolore della morte del mio bredu. Basta! Stavo combattendo con spade vere contro Arliss e contro mia madre alla Festa del Solstizio estivo. "Non ci hai preparato i cestini della festa!" gridavano tra i fendenti. "Per questo morirai!"
Cominciavo a capire quali erano gli assalti di mia sorella e quali quelli di Aliciana, ormai avevo pensato ad una strategia. Era un metodo sporco... ma era di sicuro nella tradizione dei comyn.
"Nuda è la schiena di chi non ha fratelli!" gridai con la mente. Lanciai un forte richiamo alle menti che mi attaccavano e... tutto si calmò accanto a me. Pochi istanti dopo sentii il potere della Madre trattenerci tutti quanti.
«Ferme, figliole. Non è preparato al vostro attacco!» comparve l'ultraluce nelle sue mani, entrambe. Aliciana formò anche lei una piccola sfera di ultraluce davanti alla sua mano.
«Allora non è adatto?» domandò Sabrina, dietro alla vecchia.
Per tutta risposta la vecchia donna si mise a ridacchiare. «Il chiyu sì! Vi ha fatto credere che continuavate ad attaccarlo...»
«Cosa?» fece Aliciana.
«Il ragazzo vi ha giocate. Stavate attaccando Mical al suo posto. Guardatelo!»
Lo zio era a terra, nella poca luce si vedeva che stava sollevandosi piano in piedi. «Pietosa Avarra...» balbettò, «è più che adatto!»
«Oh, sì. Lo credo anch'io. Ci ha ingannato a sua volta,» assentì la Madre.
Arliss comparve con una torcia dietro alla leronis di Lindirsholme. Ne passò un'altra, spenta, a Sabrina; l'accese e le due si diressero verso di me.
«Piccolo demonio,» disse ad alta voce mia sorella.
«Io non ho ancora capito,» disse Sabrina, guardandosi indietro. «Come ha fatto?»
«Ha convinto tutte noi che era Mical quello sottoposto alla prova e lui il maschio Macrae adulto che lo aiutava.»
«Non sono un bambino,» dissi semplicemente.
«Questo lo vediamo,» borbottò Mical. «Io non lo crederò più. Fare questo all'unico fratello di tuo padre!»
«Bisogna dire che ha spirito, nessun maschio Macrae ha mai superato la prova come lui,» commentò la Madre. «Di solito spezzavano le linee di potere o chiudevano la mente ad ogni attacco mentale,» ridacchiò ancora.
«Era una prova dura... l'ho superata, vero?» chiesi io. Tutti avevamo iniziato a dirigerci verso la stanza con le panche di pietra e le razioni di cibo del vassoio.
«Kyorebni! Mio nipote è un kyorebni,» diceva intanto lo zio, ridendo. «Ha usato il più orrendo trucco dei comyn, più terribile della pece stregata e della polvere mangiaossa. Demonio!»
«Quale trucco?» chiese Sabrina.
«Semplice: nuda è la schiena di chi non ha fratelli,» sollevò le braccia come se questo spiegasse tutto. Le donne lo guardarono senza capire. Sorrisi e mi sedetti sulla panca più vicina e presi una barretta al miele e noci per ripristinare le energie spese nel combattimento laran.
Mical prese a sua volta un dolce, poi continuò a bocca piena. «In altre parole: 'mostra al coltello del tuo nemico la schiena nuda di un altro uomo!'... mi ha lasciato lì come bersaglio dei vostri attacchi e intanto si preparava a colpirvi. Avrebbe eliminato i suoi nemici divisi ad uno ad uno. Degno di un bandito, o di un uccello mangia carogne,» terminò lo zio.
«Mi spiace,» ammisi. «Ma la guerra è la guerra!»
«E tu ci sai fare dannatamente bene,» brontolò.


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«Adesso che ci siamo riposati,» disse dopo un poco la Madre, rivolta a Mical. «Spiega al ragazzo le ultime cose. Non mancherà poi molto all'arrivo dei chieren. La prova non è finita fino a che non ne incontra una.»
«Non avete ancora finito?» dissi io. Avevo affrontato una prova abbastanza impegnativa...
«No. Questa era la prima parte della prova. Sei coraggioso e abile. Ma il laran che hai affrontato finora era di origine umana,» rispose la vecchia.
«I chieren sono un'altra cosa,» assentì Aliciana.
«Per questo ci sono io e c'è kiyu Mical. Il nostro potere è simile al tuo e noi abbiamo affrontato i chieren con esso,» intervenne mia sorella, «purtroppo non so dirti se il tuo potere resisterà con loro.»
«Che vuoi dire?» domandai sconvolto. Accadeva tutto troppo in fretta.
«La Madre ha suonato il flauto,» Mical indicò la vecchia e il piccolo flauto d'osso al suo collo. La matrice scoperta brillava poco più in alto, nell'incavo sotto la sua gola. La pietra stellare pareva vibrare. «E i chieren che hanno sentito arriveranno in questa grotta per sapere cosa vogliamo. Bada bene: avranno un'idea ben precisa di quello che vogliamo, perché facciamo sempre questo genere di prove al Solstizio d'inverno. Lo facciamo da seicento anni e loro non dimenticano. Verranno qui un maschio e una femmina chieren, probabilmente saranno Alu ed Ela. Forse degli altri, se loro sono lontani.»
«Alu... quello della leggenda?» chiesi io.
«I chieren sono longevi, come anche i chieri. Questo lo sai, no?» ripose lui, sollevando le spalle.
«Ela è la primogenita di Ariada e figlia di Alu,» aggiunse Aliciana.
«Indipendentemente da chi verrà, saremo noi tre e la Madre a parlare per Aillard. Solo noi ne siamo in grado. Il nostro donas ci permette di comunicare con loro relativamente senza pericolo. Le donne Aillard possono senza dubbio parlare con un chieren maschio. Solo il richiamo dei Macrae è in grado di resistere al laran di una chieren femmina.»
«Perché? Che stranezza è questa?» interruppi io. Non c'erano leggende che parlavano di chieren femmina. L'unico riferimento nella leggenda di Ariada e Alu che avevo cantato la sera prima parlava delle poche chieren uccise da uomini crudeli. Non si parlava di poteri particolari...
Mia sorella seguì senza sforzo il filo dei miei pensieri. «Non se ne parla per buoni motivi. Le chieren sono affascinanti... la parola è descrittiva... usano una sorta di fascino attorno a loro.»
«Nessun maschio Aillard è sopravvissuto alla prova... poiché l'amore struggente provato per la chieren li porta a impazzire... a gettarsi in acqua per inseguire l'oggetto del desiderio, a non ascoltare la voce della ragione.»
Ci pensai su, «vi rendete conto che sembra un'altra favola, vero?»
Mical mi guardò, serio. «Anche i maschi Macrae subiscono questa sorta di fascino. Io ho il donas di famiglia ma non con forza sufficiente. Resto indebolito dopo ogni incontro.»
«Che cosa si prova?» domandai ingollando altre barrette dolci e dello shallan.
«E' difficile spiegarlo,» ammise Mical, «non ci sono parole. Non riesci a focalizzare i pensieri... vuoi ascoltare la sua voce, sederti a raccontare una storia per il suo piacere. Possederla. Amarla! Morire per lei.»
«I maschi chieren fanno questo effetto?» chiesi direttamente a mia sorella, aveva ammesso di averli affrontati altre volte.
«No. Loro non usano il laran in quel modo,» rispose, misteriosa.
"Mi hai tenuto nascosta la gran parte di questo gioco! Come ci sei riuscita?"
Lei volse gli occhi viola verso di me. «Non so come ci sono riuscita, se non dovevo partire per incontrare i chieren non ci pensavo, semplicemente. Ti giuro che non era mia intenzione ingannarti, bredu
«Io ho bloccato i suoi pensieri per evitare che il segreto fosse divulgato ad altri,» intervenne la Madre, «solo noi che siamo in questa stanza conosciamo tutto questo. Persino Liane conosce alcune cose e basta!»
«Neppure la Dama?» ero sbalordito!
«Solo la Madre del Dominio decide sui chieren, solo chi ha a che fare con loro conosce il segreto che è tenuto ben nascosto per buoni motivi: i chieren e gli umani si sono già fatti guerra, in passato, e il popolo del mare è quasi stato distrutto. I comyn non dovranno mai essere a conoscenza del segreto,» mi fulminò con lo sguardo, come se io volessi infrangere il silenzio. Guardando gli occhi dei miei parenti lì riuniti, mi resi conto che il peso di quel silenzio mi avrebbe accompagnato tutta la vita.
Tornai alle mie domande. «Che devo fare?»
«Devi soffocare le emozioni che percepirai; devi fare un tuo fronte unico con tutte le tue forze, alzare un muro... non ti concedere un secondo solo di riposo,» rispose calmo Mical.
«Sappiamo che le tue barriere sono forti,» intervenne Aliciana, rassicurante, «puoi resistere.»
«E non sei solo,» terminò Mical appoggiati a me o a tua sorella.
Non aveva ancora concluso l'ultima frase che un campanello argentino posto al di sopra delle nostre teste, su una parete, cominciò a suonare. L'oggetto era completamente in argento e mi era parso assolutamente fuori luogo in mezzo alla stanza di pietra, semplicemente arredata e pratica.
«Arrivano,» disse la Madre. Mi prese la mano destra tra le sue. «Adesso fatti forza, giovane Macrae.»
Sabrina si sollevò in piedi e si mise davanti a tutti, eccitata. Teneva alta la torcia che aveva recuperato dalla staffa. Anche Aliciana si munì di una lanterna con lente di vetro mentre tornammo nella stanza della prima prova.
«Il campanello è un sistema di comunicazione. Ci fanno sapere che sono vicini e che tutto va bene,» mi disse la figlia maggiore della Dama, «la corda và a finire in acqua, nel passaggio allagato che percorrono per venire qui.»
«E' molto lungo?» avevo perso il senso dell'orientamento scendendo le scale, non ero in grado di capire dove si trovava la stanza rispetto alla fortezza. Supponevo molto in basso, vicino alla scogliera.
«Penso di sì,» rispose lei, «ma è largo. Non corrono pericoli.»


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Sul pelo dell'acqua scura ci fu un rapido movimento.
«Eccoli,» accennò Arliss.
Un chieren si sollevò in piedi sul pavimento di pietra, seguito da una figura più esile e bassa. La profondità dell'acqua doveva essere superiore all'altezza di un uomo per poter nascondere entrambe le sagome fino ad un attimo prima. Chissà perché pensavo che sarebbero saliti dall'acqua come si fa per una scala, invece si arrampicarono con una goffa costanza usando le mani sopra gli scogli. Il primo chieren si guardò brevemente intorno e poi sollevò una mano verso il soffitto della grotta. Esso cominciò a illuminarsi debolmente. Doveva possedere un forte laran, ma di certo diverso da quello umano. Non conoscevo abbastanza le Torri, ma nemmeno la Madre aveva generato l'ultraluce lontano dal suo corpo.
«Io sono Jaida Aillard,» esordì proprio lei, «sono la Madre del Dominio della terraferma già da quarantadue lunghi inverni. Vi porgo il benvenuto dei figli della terra.»
«Io ti conosco, figlia della figlia di mia figlia. Sono Alu del popolo del mare,» rispose il chieren, aveva capelli scuri e occhi viola, il collo massiccio era solcato da quelle che sembravano ferite aperte: branchie. I denti erano aguzzi e il viso aveva un'indefinibile aria di anonimato... non si poteva isolare nessun tratto come caratteristico, a parte lo sguardo fiero e profondo. Era un bell'uomo. Non dimostrava più di trent'anni. Mi soffermai sul suo corpo nudo tranne che per una corta fascia di qualcosa che non sembrava un tessuto ma metallo leggero, fermato alla vita da una cintura di corda. Portava un pugnale lungo e sottile e una collana di perle al collo. Un bracciale di rame e argento brillava al suo polso sinistro. Con mio grande stupore realizzai che doveva essere quello della leggenda. Non notai nessuna matrice, era troppo sottile per contenerne una, sembrava... no, era una catenas, certo molto elaborata, come quella che un comyn di altri tempi donava alla sua dama, ma indubbiamente una catenas. Guardandomi intorno notai che nessuno si era mosso incontro alle due figure.
«Quella che porti è una catenas? Un bracciale matrimoniale della mia gente, o potente?» domandai. La mia voce risultava debole, densa di emozione e curiosità.
Lui sollevò la mano, che aveva sei dita con straordinarie membrane di pelle tra dito e dito e neri artigli sulle punte. Mi guardò con curiosità. «Così è, carrishèivo. Un rito del tuo popolo che ho apprezzato. Come apprezzai colei che me ne fece dono.»
«Siamo qui per la prova,» disse Mical, serio.
«Anche noi, vearrishèivo. Mia figlia Ela non era lontana con le altre poiché sentiva che il flauto avrebbe suonato. Abbiamo aspettato il giorno prima del giorno più buio, così come è sempre stato.»
«Così come sempre è stato. Grazie,» convenne la Madre, «ti abbiamo portato un giovane cantante, come promesso. E' il fratello di sangue di Arliss. Speriamo che abbia la stessa forza.»
«La carrishèiva Arliss è grandemente dotata ed Elo è molto compiaciuto,» assentì Alu. «Se questo suo fratello del sangue è suo fratello anche di acqua, presto i commerci tra i nostri popoli riprenderanno come un tempo.»
«E' stato messo alla prova,» assentì la Madre. «Aspetta di incontrare Ela. Siamo ansiosi di sapere.»
Alu ghignò all'indirizzo della Madre. «Quando mai voi della terra non siete ansiosi? E quanta parte del cuore degli uomini è dentro ansia. Ela è qui. Cosa offre la figlia della figlia di mia figlia?» Il chieren usava un linguaggio un poco arcaico e la sua conoscenza delle lingue umane non era perfetta, ma sicuramente più della conoscenza che gli uomini avevano della sua! Chissà come comunicavano tra loro? Non faticavo a capirlo.
«Le ultime figlie e figli di Alu e Nari sono in buona salute e crescono nel sole e nell'aria, cavalcano lontano e portano agli uomini i doni del mare. Il segreto è ben conservato. Non sappiamo di nessun nobile chieri che abbia abbandonato la foresta. I piccoli fratelli rimasti stanno al sicuro nelle loro valli, indisturbati. E cosa offrono i figli del sempresveglio?»
«Le figlie crescono forti con le onde, sono numerose come un tempo. La mia gente prospera. Il mare provvede a tutto.»
Quella che doveva essere Ela, avanzò superando il chieren che aveva parlato finora. Sentii il suo potere non appena posai lo sguardo su di lei. Era... era... era indescrivibile. Non era bella nel senso umano del termine, perché sembrava la versione femminile di Alu, i tratti anonimi, i capelli neri e gli occhi viola, il seno scoperto (come nessuna donna dei Dominii avrebbe potuto o voluto fare) era incredibile, ed io arrossii fino alla radice dei miei capelli! Spostai immediatamente lo sguardo da lei a Alu. Era bella e orgogliosa, senza riserve o paure. Avrei voluto farla mia, poiché la sua potenza laran era palpabile nella stanza e nessuna Custode poteva starle a pari. Neppure gli Hastur sarebbero stati... "Basta!" Capivo il potere che emanava... mi stava soggiogando e dovevo resistere; chiusi la mente e alzai un muro a difesa dei miei pensieri. Mi dicevo che era per proteggermi anche se era una pallida protezione contro le sensazioni che ricevevo. Voltai lo sguardo verso Mical e lui ricambiò.
"Resisti, lo sento anch'io! Non cedere," mi inviò lui con il pensiero. Ma, a dire la verità, sembrava stare peggio di me. Intanto la chieren aveva raggiunto la Madre; di fronte l'una all'altra, la giovane senza età e l'anziana, sembravano simili.
«Sorella, niente è celato alla mia gente. Chiedi pure.»
«Ti affidammo una ricerca, sorella del mare. Anni fa,» fece la Madre.
«Ditascaltre trova tutto ciò che c'è,» intervenne Alu, incrociando le braccia. Anche i piedi erano palmati. I muscoli guizzavano sul suo petto ampio. Il mio sguardo continuava a dirigersi verso Ela, cercavo di spostarlo verso Alu, ma non ci riuscivo granché.
«Trovammo ciò che le sorelle della terra volevano. Lo porterò al nostro prossimo incontro,» promise Ela.
«Allora ci resta solo la prova del cantante Dannil. Quando vuoi, sorella.»
Con un brusco cenno d'assenso di Ela, la conversazione ebbe termine... sentii strisciare il suo potere sopra le mie barriere. Non era laran... o meglio, era qualche cosa di forte e di simile al laran, indubbiamente. Coinvolgeva tutti i sensi e li confondeva, in maniera abbastanza efficace. Mi trovai ad indietreggiare e a tenermi la testa fra le mani, poi cominciai ad abituarmi alla sensazione ruvida che provocava nella mia testa. Mi sembrava di camminare su una superficie di ghiaccio estremamente sottile e che un gruppo di ragni zampettasse dietro di me con ticchettanti arti metallici. Il rumore di quelle zampe era fastidioso e destabilizzante; rimbombava nella mia testa insieme ad un ululato lontano, un grido che doveva essere roboante ma che, a causa della lontananza, non percepivo appieno. Mi venne in aiuto mia sorella. "Ricorda che quando il cervello sperimenta una sensazione nuova cerca di tradurla con sensazioni note che gli si avvicinano!" sussurrò alla mia mente.
"Chissà quante volte ho sentito zampettare i ragni..." sorrisi mestamente e cercai di chiudere le sensazioni fuori di me. Poi inviai alla chieren un saluto leggero tramite il richiamo. Era un approccio meramente istintivo e maldestro, ma funzionò. Ci fu il collegamento da mente a mente e perdetti per un attimo me stesso, sentirsi al sicuro, eterno, intrecciato a lei, nella sua magnificenza, era qualcosa di troppo forte, ma poi ricordai che era il suo modo di visualizzare il laran. La comunione di menti e il contatto si affievolirono ed esaurirono.
Passò un lungo momento, poi caddi seduto per terra, mentre lei riapriva gli occhi viola verso di me.
«Ben fatto, giovane carrishèivo,» assentì posando una mano palmata sulla mia spalla. Si volse verso le mie parenti. «L'ho sentito nella mia mente, chiaro come la superficie del sempresveglio illuminata dal sole.»
Tutte le donne gioirono all'annuncio e kiyu Mical, con un sorriso sollevato, mi porse la mano per aiutarmi a rialzarmi. Alu chinò il capo verso la Madre. «Adesso hai i cantanti che ti servivano. Verremo con Nari e Sila e Aro, nel giorno uguale alla notte.»
«All'equinozio, allora,» accettò la Madre, sollevò in alto il bastone.
«Vorremmo che potessi unirti a noi nell'acqua,» terminò Alu. Le due figure si tuffarono nell'acqua e svanirono alla vista.
Aliciana e Mical, uno per lato, mi guidarono di nuovo alla stanza di pietra. Io camminavo grazie al loro aiuto e mettevo un piede davanti all'altro solo per inerzia. Volevo farli contenti, ma stavo malissimo. Mi misero in mano una barretta di miele e noci. Arliss versò per me dell'altro shallan.
«Bevi. Mangia. Hai speso molte energie.»
«Mi sento svuotato,» ammisi, mesto.
«Sei stato accettato, invece,» disse la Madre. Mi guardava compiaciuta con un sorriso da falco e rimasi perplesso a guardarla.
«Io sono svenuto, la prima volta,» aggiunse Mical.
«E anche la seconda e la terza,» lo prese in giro Aliciana.
«Parente, non mi maltrattare di fronte ai miei nipoti,» rise mio zio, contento.
«Kiyu, sappiamo che non è colpa tua,» lo abbracciò Arliss. «Adesso potrai riposare un poco. Così come mio fratello, ti sei ampiamente meritato il riposo.»
«Come mi chiamavano?» domandai.
«Carrishèivo? Letteralmente vuol dire: colui che canta con voce profonda. Lo traduciamo 'cantante',» disse Aliciana. Aggrottò la fronte. «Non esiste nessun laran che può essere captato dalle chieren nello stesso modo. Le loro donne sono cacciatrici degli abissi, o raccoglitrici. Gli uomini vivono meno in profondità e cacciano i grandi pesci o i mammiferi marini, allevano ostriche e chissà cos'altro. I due sessi vivono separati per gran parte dell'anno e si accoppiano più raramente di un tempo.»
«Usano il suono del flauto per chiamare le loro compagne,» aggiunse la Madre.
«Sappiamo poco altro. I Macrae hanno un donas che invece può attirare i chieren. Maschi e femmine.»
«Io invece non ho il pieno potere, e infatti mi chiamano in modo diverso. Vuol dire: colui che sussurra le sue canzoni,» intervenne Mical.
«E noi abbiamo bisogno di un maschio e di una femmina Macrae per commerciare, dato che le femmine sono molto chiuse e riservate e parlerebbero solo con qualcuno della loro razza o con qualcuno che possieda il pieno dono. Il richiamo funziona come mezzo di comunicazione e, dato che con il linguaggio mentale non si può mentire, ognuno ottiene quello che vuole con reciproca soddisfazione.»
«E cosa commerciamo con il popolo del mare?» chiesi, dubbioso.
«Soprattutto informazioni... i chieren vivono nel mare, lontano dai loro cugini, i chieri. Sono diversi secoli che le due specie non si incontrano, hanno bisogno di notizie degli arboricoli, il piccolo popolo delle foreste, e di ricevere metalli lavorati. La metallurgia sott'acqua si fa tramite il laran, non è un procedimento facile,» Aliciana prese fiato e bevve dello shallan, «noi ricaviamo sale, olio di pesce, perle. Inoltre i chieren spingono nelle nostre reti i branchi di pesci, il nostro Dominio accresce la sua ricchezza.»
«Occasionalmente, se ce n'è bisogno e ne fanno richiesta, ci congiungiamo a loro per procreare figlie o figli ai clan del mare,» intervenne Arliss.
«Facciamo ancora bambini con loro?» chiesi. Pensavo che i problemi di riproduzione dei chieren non ci riguardassero più. Pensai alla bella Ela e rimasi fisso a guardare mia sorella.
«Si erano quasi estinti! Noi li abbiamo salvati, ma la loro longevità ha parecchi lati negativi: difficoltà a concepire, a portare avanti una gravidanza, anche se la gestazione di un chieren è una passeggiata.»
Il freddo iniziava a darmi fastidio e il mio disagio si stava estendendo agli altri, così - in silenzio e disciplinati - tutti noi cominciammo ad alzarci e a dirigerci di nuovo su verso il castello. Sabrina prese il vassoio in una mano e la caraffa con il restante succo nell'altra. Aliciana spense le torce e la lanterna e si dispose a seguirci, chiudendo la fila. Percorremmo tutte le scale e i corridoi di pietra finché non tornammo di nuovo all'altezza delle cantine. La Madre camminava lesta a fianco di Arliss, erano silenziose ma capivo che stavano avendo una conversazione mendiante il laran che io non potevo origliare. Ancora segreti? Forse si trattava di istruzioni per meglio insegnarmi il mio potere. Mical aveva cominciato ad appoggiarsi a me e quando mi accorsi che stava inciampando lo sostenni con il braccio.
«Kiyu, che ti succede?» gli chiesi preoccupato. Tutte le donne si fecero vicine, preoccupate.
«E' la chieren,» gracchiò lui con voce rauca. «Ha usato molta forza per colpirti. Non ero in grado di resisterle.»
«Ora sta ricevendo il contraccolpo,» disse Aliciana, venendo a sostenerlo con me. Per fortuna avevamo raggiunto la parte abitata e piena di gente, così Sabrina poté affidare lo zio a dei servitori.
«Anche voi due andate a stendervi un poco. La Festa del Solstizio sarà domani sera e dovete recuperare,» ordinò la Madre a mia sorella e me.


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Salutammo le nostre parenti e ci dirigemmo verso le nostre stanze. Fuori era quasi buio; tardo pomeriggio se non sera. Eravamo scesi a metà mattina. Mi sentivo stanco morto, ma non avevo sonno.
"Ma cosa è successo?" chiesi, turbato. "Siamo stati tutto il giorno nelle grotte?"
"Non sforzarti di usare il laran, potresti avere degli svenimenti. Parleremo nelle nostre stanze," inviò lei in risposta. Guardammo fuori da una finestra. Nevicava molto forte, probabilmente da diverse ore, una coltre bianca copriva già Dalereuth e la corte del castello. Gli ultimi ospiti della Dama erano già arrivati. Le porte erano state chiuse e nessuno girava all'esterno. Chiudemmo le imposte e gli scuri. Anche i servitori stavano bloccando tutte le finestre e le porte della fortezza.
Riprendemmo a salire. «Allora?» chiesi io a voce.
«Quando si usano i donas in modo massiccio come nella tua prova di oggi, è facile che non si percepisca il vero senso del tempo. Brevi momenti risultano ore intere, o giorni. Per esempio: sei rimasto a contatto con la...» s'interruppe per guardarsi intorno, ma nessuno prestava a noi attenzione o sembrava guardarci, «...la chieren per almeno una mezz'ora.»
«Cosa? A me è parso un semplice sguardo,» rabbrividii al pensiero.
«Appunto. E la battaglia contro me e Aliciana è durata gran parte della giornata.»
«Accidenti. E abbiamo passato tutto quel tempo?»
«Ti ci abituerai, lavorando con le matrici a un certo livello o nel supramondo il tempo si scinderà dall'esperienza personale. E comunicare con i non-umani ti darà la stessa sensazione.»
«Arliss... mi spiegherai meglio queste cose? E perché kiyu Mical è svenuto?»
«Adesso sì. Posso spiegarti tutto quanto; e così le leroni Aillard a parte del segreto. Mical non è mai stato forte a sufficienza per sostituire nostro nonno, ma dovevamo aspettare che tu fossi in grado di usare il richiamo. E anch'io sono troppo giovane per sapere tutto. Ma noi siamo Macrae con il donas pienamente sviluppato. Da noi si aspettano che facciamo il nostro dovere per il Clan e il Dominio.»
Eravamo finalmente arrivati alla stanza. Arliss smise di parlare e aprì la porta. Lo smorzatore era ancora in funzione, Juliano era ancora a letto e... non era solo! Arliss entrò decisa nella stanza e, a braccia conserte, si piantò ai piedi del letto. Io andai a spegnere l'aggeggio che emetteva una sgradevole sensazione di confusione.
Appena il campo dello smorzatore svanì io percepii una rabbia appena controllata da parte di mia sorella... era impossibile non percepirla, tanto era forte la sensazione. Juliano si fermò e - immagino fosse atterrito - si sollevò a sedere sul letto. «Damisela! Dom!» gridò confuso e imbarazzato.
«Non eri malato?» sputò Arliss, senza pietà. La giovane serva che era con lui s'infilò con un grido sotto le coperte, rossa in viso.
«Io... io... sto...» balbettò lui.
«Stai meglio, a quanto vedo,» terminai io. Il mio bredu stava arrossendo come un bambino della metà dei suoi anni, colto a rubare i biscotti dalla cucina. E la cosa mi piaceva un sacco. Mi ripagava della prova sostenuta e persino del viaggio. La stanchezza mi era passata!
«Non ci presenti Valia, bredu?» chiese mia sorella. La voce mascherava perfettamente la sua furia, che però si percepiva con il laran senza alcuna fatica.
«Uh... certo...» fece. «E'...» infilò la testa sotto le coperte e la scena era così comica che scoppiai a ridere. Juliano si schiarì la voce. «Appena riesco a farla uscire, damisela
Nel frattempo i pensieri della cameriera cominciavano ad affiorare intensi alla mia attenzione. Normalmente un telepate non origlia i pensieri altrui, ma a volte è difficile escludere quelli fuori controllo emanati da persone in preda a paura, rabbia o confusione. Anche Arliss percepì subito ciò che mi preoccupava e Juliano, una volta che le nostre menti gli segnalarono il problema, rimase in silenzio. Io scoppiai in una nuova risata.
"Adesso hai capito perché mi informavo, fratello?" mi inviò Arliss.
"La giovane Valia ci è stata descritta con precisione proprio questa mattina, bredu. Come vedi è nel tuo letto perché ti ritiene il nedestro di un comyn. E pensa che se avrà un figlio da te la porterai via da qui!"
"Ma perché pensa questo?" chiese lui. "Non sono certo ricco!"
"Chiediamolo a lei," propose mia sorella.
«Valia... chi credi che io sia?» le domandò Juliano.
«Vai dom,» rispose lei a voce. I suoi pensieri giravano vorticosi ma io afferrai diverse immagini che mi fecero capire meglio la situazione.
«Ragazza, esci di lì,» le dissi con autorità. «Dom Juliano non ti farà niente e neppure la domna o io,» una testa bruna spuntò timidamente da sotto le coperte. Due occhi imploranti mi guardarono. Mi voltai di spalle, vedevo che era vestita solo con i suoi capelli. Avevo visto durante quel pazzesco incontro con i chieren un seno piccolo e sodo e mi ero imbarazzato, ora, di fronte alle spalle nude della cameriera ebbi la stessa reazione. Arliss prese i vestiti della donna e glieli porse. «Rivestiti, cara.»
Juliano uscì dal letto e indossò veloce le brache, rosso in viso, poi le volse anche lui le spalle. Io gli lanciai uno sguardo malevolo poi pensai a qualcosa di cattivo da dire alla ragazza. In fondo era la mia stanza! Avevo il diritto di essere arrabbiato con Juliano!
«Non ti avvicinerai più al dom,» dissi subito. Mi voltai verso Arliss, che comprese il piano, precedendomi. «La sua fidanzata è una Dama particolarmente gelosa appartenente agli Hastur!»
«... e non possiamo permetterci di offenderla!» terminai io. Estrassi una moneta o due dalla scarsella e gliele misi in mano in fretta. Mia sorella lanciò un richiamo e la fanciulla, atterrita, aprì rapida la porta lasciandoci soli. Da quel che colsi pensava di essere in pericolo di vita per aver posato gli occhi sul promesso sposo di una Hastur. Se le donne Aillard erano potenti signore e leroni, chissà cosa poteva farle una Hastur!
Peccato che in quel Dominio le donne non contassero assolutamente nulla, pensai io!
Tornata la calma Arliss raggiunse la porta e la sbatté con forza, chiudendola.
«Ecco fatto!» commentò.
«Damisela, mi dispiace. Non so per quale ragione pensasse che io...» balbettò Juliano.
«Io sì,» l'interruppi. «Ti ho prestato la camicia, ieri sera.»
«Hai avuto il grande 'onore' di parlare con la Dama Aillard in persona,» aggiunse Arliss.
«Ma mi aveva confuso con mio fratello...» si difese lui.
«Dalla tavola bassa sarà sembrato che ti salutasse con tutti gli onori, come con noi,» feci io, alzando un dito, «per non parlare del fatto - io credo - che ti ha trovato nella camera degli ospiti della Madre, quindi che poteva pensare?»
«Ma... ma...»
«Un bel comyn, sofferente da curare e consolare...» continuai, «da scaldare con il calore del suo stesso corpo...»
«Per poi presentargli il conto sotto forma di un bel figlio!» Arliss scherzava ma era fuori di sé. «Ascoltami bene: tu sei nostro! Non provare a girare intorno a nessun altro, d'ora in poi, chiaro? Hai il laran e un tuo figlio lo erediterà... non puoi generarne così con tutte le contadinotte che incontri!»
Sia io che Juliano rimanemmo interdetti, non tanto per quello che diceva Arliss, ma per come lo diceva. La decisione che ci metteva.
«Ma, Arliss...» cominciai a dire. Poi riflettei egoisticamente (come i bambini fanno spesso!) che Juliano era il mio uomo giurato... il mio e di Arliss; che doveva dedicarsi a noi e non aveva tempo per una moglie e una famiglia. Mi resi conto che le parole di mia sorella erano vere. Senza Juliano io e lei saremmo stati soli, in balia di tutti i doveri della nostra casta, senza scampo. I più bei ricordi della mia vita erano legati in un modo o nell'altro alla presenza del figlio del guardiacaccia. Pescavamo con mio padre, imparavamo la scherma e l'equitazione... anche Arliss doveva provare la stessa cosa.
Non so se fui io a cominciare, sconvolto dai miei pensieri, o Arliss dal suo tormento, fatto sta che Juliano cadde a terra, colpito dalla forza del richiamo dei Macrae, come da un pugno nello stomaco. Smisi subito, poi mi chinai su di lui. Mia sorella al mio fianco.
«Stai bene?»
«Che ti è successo?» domandò lei, fingendo di non sapere.
«Non so, damisela. Sarà ancora il vino di ieri sera,» rispose lui, poco convinto. Da quella posizione, inginocchiata, lei si allungò e gli posò un bacio sulla fronte. «Amico fedele. Prometti che nulla ti separerà da noi.»
«Tu lo sai,» rispose Juliano, un po' stordito un po' confuso. «Sono il fratello di spada di Dannil, non lo abbandonerò mai.»
«No,» fece lei, «tu sei nostro. Nostro uomo, poiché io e Dannil siamo uguali.»
«Sì,» assentii io. «Tu sei uomo giurato anche di mia sorella.» Non avevo mai sentito di un giuramento di spade tra un uomo e una donna, ma mi sembrava stranamente corretto. Eravamo sempre stati io e Arliss, e Juliano era sempre stato con noi. Per noi gli usi dei comyn si dovevano cambiare! Juliano sembrò capire. Sorrise e assentì.
"Il mio dom, la mia damisela!"
"Sì, sei nostro. Tutto nostro"









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Disclaimers

Al cospetto della Madre delle Aillard, Dannil deve sostenere la prova che deciderà il suo futuro

Note

Ho preso numerosi spunti e la maggior parte dei nomi dai racconti "Aillard" e "L'erede di Aillard" di Diann Partridge apparsi rispettivamente sulle antologie "I Cento regni di Darkover" e "I signori di Darkover".
In ossequio alla "Darkover continuity", al "Canone Darkovano" e per la coerenza con le storie di Elvas ho supposto che: 1) La Dama Aillard in pE -2 (e eventualmente fino a dE +10) sia Liane, la madre di Sabrina, Marelie e Rohana come da "La dama di Ardais" di M.Z.B. apparso su "I signori di Darkover".
2) La Dama Aillard e la Madre del Dominio Aillard siano cariche che appartengono a persone differenti, in modo da non coinvolgere Liane direttamente nelle vicende dei miei personaggi, se non come personaggio minore.
3) Il Richiamo dei Macrae è certo un donas non comune, e tenuto segreto con tutte le arti che le Sapienti Aillard possono attuare: la Madre del Dominio Aillard possiede sempre un laran non comune e lo applica per difendere i suoi segreti. L'addestramento di un Macrae non è svolto in una Torre per buoni motivi... e i Macrae non pronunciano nessuno dei giuramenti delle Torri. Il Richiamo è quindi un'arma, usata indiscriminatamente e senza remore.


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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008