[Home] [La storia del Progetto Elvas] [Regole Utilizzate]
[Personaggi] [Luoghi] [Racconti] [Download]
[Cronologia] [Genealogia] [Dizionario] [Musiche] [Immagini e Disegni]
[Giocatori] [Incontri] [Aggiornamenti] [Credits] [Link] [Mail]
barra spaziatrice
[torna a Racconti][E.S.T. pE -1, maggio] [Credits & Disclaimers]



Alla fiera di Dembe

Dannil Macrae y Lindir-Aillard

Stavo aspettando da parecchio, ormai. Il cavallo era calmo, ma il suo addestramento non progrediva... stavo usando il laran nel modo sbagliato, perché ero svogliato. Mio padre, a suo tempo, avrebbe notato il mio nervosismo. Mi avrebbe dato una pacca sulla spalla e mi avrebbe lasciato andare via dal recinto, visto che non ero in grado di concentrarmi sul lavoro, ma era ormai morto da molti anni. Anche il coridom, se fosse stato presente, avrebbe percepito qualcosa, non con il laran... ma con il suo occhio esperto. Lui mi avrebbe però sgridato con la sua voce profonda per la mia ingiustificata indolenza, naturalmente. Se fosse "già" qui - mi corressi - ma non era qui, purtroppo. E io mi annoiavo.
L'addestratore, invece, non mi degnava di uno sguardo. Non sarebbe stato in grado di vedere le correnti laran tra la mia mente e quella del baio. Non mi avrebbe lasciato in pace.
Stavo attendendo da parecchio, ormai. Quasi due ore... tirai un poco la cavezza per avvicinare il cavallo... aveva buone zampe, ma il colore non era bello, tutto chiazzato com'era. Sarebbe andato bene per un soldato o per un mercante, un mercante povero, che non poteva scegliere il meglio. Ma a suo modo, il cavallo era abbastanza onesto. Si trattava di addestrarlo bene.
Sbuffai spazientito. Il cavallo scartò.
«Che c'è, giovane dom?» chiese l'addestratore, incrociando le braccia sullo steccato. La mattinata era calda.
«Niente, Leon,» dissi, irritato. Forse era meglio smettere.
«Il cavallo ti da problemi? A me pare tranquillo,» insistette lui.
«Sì, è tranquillo... sono io che non ci sono con la testa,» dissi io, abbassando lo sguardo, «fa troppo caldo».
«Togli la camicia... "il sole abbronza nobili e plebei, il freddo ci uccide tutti allo stesso modo",» disse lui, con gli occhi aguzzi verso di me. Sorrisi al detto stupido, ma mi dedicai a spostare il cavallo di nuovo con la cavezza lunga. Il trotto era buono e anche il passo. Domani avrei provato ad insegnargli a non temere i rumori forti. «Sì. E' un cavallo tranquillo. Potrebbe anche essere addestrato per la battaglia.»
«Credi? A me sembra difficile... al limite, addestrandolo al galoppo serrato, per un corriere delle stazioni di posta.»
«Non essere sciocco,» mi fermai, «non sarebbe mai così veloce... al limite un soldato o un mercenario prezzolato.»
«Se gli insegni a star calmo nella battaglia e con il fuoco... » ammise lui.
«Lo farò,» conclusi, asciutto. "Che diavolo crede... ci stavo appunto pensando!" commentai, tra me e me.
«Per me è una perdita di tempo.»
«Grazie per il tuo sostegno,» borbottai. Avevo decisamente atteso abbastanza...
Sollevai lo sguardo e mi dedicai ai corvi. Sei uccelli presero a volare in direzione nord-ovest, lungo la strada per le Piane Alte e Arilinn. Ma non sembravano notare nulla di insolito... il cavallo diede uno strappo improvviso alla cavezza lunga e scartò a destra.
«Accidenti!» dissi frustrato. Sollevai gli occhi di nuovo in alto. Gli uccelli stavano tornando ai fatti loro.
«Ha scartato, giovane dom,» puntualizzò Leon.
«Ho sentito,» abbassai lo sguardo, i guanti trattenevano la corda di pelle, il cavallo continuava a girarmi attorno, come se io fossi un dannato palo.
«Continua tu...» sospirai, anche senza laran gli addestratori di Hollow Tree potevano dedicarsi ai cavalli e ottenere buoni risultati. E io avevo ammorbidito abbastanza questo. «Voglio vedere come gira, dall'esterno.»
Lui scavalcò il recinto di legno e si portò vicino. Era molto alto, con i capelli scuri e i baffi folti. Gli occhi neri colpivano per la loro punta di ironia. Ma non sorrideva mai con i denti bianchi. Squadrò il cavallo e poi me. Alzò le spalle e si tolse la camicia di tela grezza, rimanendo con il corpo massiccio e peloso di fronte a me.
«Tienimela tu, giovane dom. Sai, il sole... »
«Lo so, Leon. Lo so,» gliela strappai di mano e indietreggiai fino allo steccato. Ci saltai sopra e, senza farmi vedere dall'uomo, mi asciugai il sudore dalla fronte sulla sua camicia. Tornai a chiamare i corvi.
Mia madre uscì dalla tenuta, si portò la mano alla fronte per schermare gli occhi dal sole, restò un attimo sulla soglia e tornò all'interno.
Dentro di me sorrisi dell'ironia della cosa: io e mia madre sembravamo agitati allo stesso modo, e per lo stesso motivo. Il suo uomo stava tornando dopo diverse decine, e il mio bredin con lui. Sembravo uno sciocco anche a me stesso. Mi comportavo come una donna ansiosa.
"Ma ci stanno mettendo un'eternità!" sbottai, con il laran.
I corvi si misero di nuovo in viaggio, compatti. Ora che potevo concentrarmi sul richiamo e non sul cavallo, potevo spedirli verso nord-ovest, sondare le emozioni superficiali, fare in modo che mi avvertissero se scorgevano qualcosa... stavolta gli uccelli cominciarono a gracchiare. Doveva esserci qualcuno sulla strada!
«Finalmente!» mi gettai indietro, lanciai un richiamo ad Alar, fermo nel suo recinto a godersi il sole. Il cavallo nitrì forte e si mise a trottare sempre più velocemente nella mia direzione, lo raggiunsi e mi ci buttai sopra con un salto rapido, era senza briglie ma aveva la sella e potevo dirigerlo con le mani sulla criniera.
«Ehi, dom. Dove vai?» brontolò Leon.
«Arriva qualcuno... credo che sia il coridom, di ritorno da Dembe.»
E mi diressi verso la strada di terra battuta... il mio entusiasmo, in qualche modo, si trasmise alla mia cavalcatura, poiché Alar cominciò a galoppare come se alla fine del percorso ci fossero mele e dolci di farina e miele...


barra

La comitiva che aveva accompagnato il coridom si accorse subito del mio arrivo sfrenato... Alar caracollava per la collina come un indemoniato, per fortuna tra tutti e due - cavallo e cavaliere - conoscevamo tutte le buche e le cunette che il terreno poteva nascondere.
Lanciai un richiamo verso la mia destinazione e il cavallo di Juliano cominciò a staccarsi dal gruppo, strappando al mio scudiero un grido irritato. Il coridom gli sbraitò dietro qualcosa che io non capii molto. A questo punto solo poche decine di falcate dei rispettivi cavalli mi separavano da Juliano. Un mese intero solo con mia madre, più di un mese, con Arliss di nuovo a Dalereuth e Juliano a Dembe con il coridom! Non ne potevo più... stavo per chiudermi in camera e smettere di mangiare per morire di inedia!
«Julo!» gridai felice girando intorno con Alar al suo cavallo un poco sgraziato. Ricercai subito il contatto con la sua mente... «Finalmente!»
"Giovane dom... "
"Ero in pensiero..."
"E per quale ragione? Sapevi perfettamente che saremmo tornati oggi... il coridom mi ha letto la lettera che ha mandato qui da Arilinn... e ha mantenuto il programma delle tappe senza ritardare."
Fermai il cavallo, salii con i piedi sulla sella e spiccai un bel balzo contro di lui... Juliano rimase sorpreso solo per l'attimo necessario a capire le mie intenzioni, poi non ebbe tempo che per afferrarmi a mezz'aria e abbracciarmi, prima di perdere l'equilibrio e ruzzolare a terra con me sopra... il suo cavallo s'innervosì e scalpitò sul terreno duro, mentre io mozzavo il respiro del suo cavaliere con un abbraccio forte.
«Dom... mi soffochi!»
«Lo pensavo! Così impari ad abbandonare il tuo dom,» lo canzonai io, poi smisi guardandolo negli occhi: Juliano era un ottimo scudiero e prendeva il suo lavoro sul serio... non volevo affatto che fraintendesse il mio scherzo, scambiandolo per un rimprovero che, davvero, non meritava. «Mi sei mancato, bredu
"Anche tu, bredu, mi sei mancato..." disse la sua mente. «Dom, mi soffochi davvero! Smettila!» protestò a parole.
Gli altri cavalieri si stavano avvicinando, il coridom aveva sulle labbra - percepivo con il mio talento laran - uno dei suoi tanti rimproveri sulla mia mancanza di disciplina e serietà...
«Lo so, kiyu,» lo anticipai a voce alta ghignando intanto al mio bredu. «Non è decoroso per un comyn, davanti agli uomini...»
«Precisamente, Dannil,» rispose Dannil Lowain, l'uomo da cui avevo preso il nome, lo scudiero di mio padre, il coridom di Hollow Tree, «semmai hai un difetto, è proprio questo...»
Mi tirai in piedi, allargai le gambe e misi le braccia dietro la schiena, nella posizione di riposo dei cadetti di Thendara, poi andai sull'attenti, come a prenderlo in giro... ero stato sgridato? «Saluta il tuo dom, kiyu,» dissi spavaldamente.
Come mi aspettavo, lui sbuffò sornione. «Non sei ancora il dom, Dannil,» l'uomo scese da cavallo velocemente e mi abbracciò con calore... aveva presto preso il posto di mio padre, nel mio cuore, «ma lo sarai... oh, sì! Lo sarai.»
«Lo sarò, kiyu...» risposi, più a me che a lui. «Tutto bene a Dembe?»
«Certo, giovane dom,» assentì lui, «abbiamo venduto persino i cavalli di Piedro e Juliano, tante richieste c'erano per buone cavalcature; era dai tempi della presa della Valle di Navan che non piazzavamo così tanti cavalli, ancora prima del matrimonio dei tuoi genitori...»
Sorrisi. La battaglia, lassù al nord, era stata quasi epica... quindi era normale che si ricordasse come un evento in tutti i suoi aspetti... anche se, mi pareva, la cavalleria non aveva avuto minimamente una parte rilevante nella vittoria contro Gwynn lo sfregiato.
«Mi pareva che quell'orrore non fosse dei nostri...» dissi io, indicando il cavallo montato poco prima dal mio scudiero.
«Abbiamo bisogno di cavalli da tiro, giù a Three Widow... non preoccuparti... e i soldi sborsati dal cliente ci hanno permesso parecchie cose, oltre quel cavallo,» rispose il coridom, ridendo di gusto, «vedrai... ho anche un regalo per tua sorella.»
«Arliss è a Dalereuth, purtroppo, è partita tre giorni dopo di voi,» dissi io, abbassando lo sguardo, «sono solo da parecchio tempo; lunghi giorni che mi sono sembrati eterni!»
Strinsi le mani e le braccia degli uomini che ben conoscevo e che mi erano fedeli compagni da anni. Uomini duri, cacciatori o ex-soldati, che avevano servito mio padre ed ora servivano me. Io e il coridom rimontammo sulle cavalcature e cominciammo a dirigerci verso la tenuta, appaiati.
Dietro a noi, Juliano e Robard, le bestie da soma cariche di merci, quattro chervine stracarichi, forse più dell'andata, poi Piedro e Romal a cavallo e, naturalmente in fondo alla fila, Stephan, con il suo bastone ferrato di traverso alla sella e il liuto a tracolla. C'era una qualche spedizione che non includesse il giovane cantastorie? Era così divertente che difficilmente se ne poteva fare a meno. I suoi lazzi erano irresistibili, tanto che persino mia madre, sempre decorosa, aveva finito per tenerselo vicino, quando faceva visita alle sue sorelle a Lindirsholme. Lei diceva che il suo liuto era piacevole, in sella... però Arliss mi aveva raccontato che la domna nostra madre faticava a mantenere seria l'espressione, quando Stephan attaccava con i suoi scherzi e le sue imitazioni.
«La domna tua madre?» mi chiese all'improvviso Juliano, «tutto bene?» Aveva seguito i miei pensieri? Forse eravamo ancora in leggero rapporto.
«Alti e bassi,» scrollai le spalle, poi mi voltai a mezzo per punzecchiare il coridom, e aggiunsi a voce più alta, «da quando è arrivata quella lettera da Arilinn non ha lasciato respirare neppure la vecchia Carnia... pensa che è andata al villaggio a domandare almeno tre volte che tempo avrebbe fatto oggi e domani. Chissà perché? Tu lo sai, kiyu
«No, giovane dom...» disse lui, torvo. Dietro di noi Juliano e Robard si guardarono e sorrisero malignamente.
«Probabilmente la domna era preoccupata per i chervine,» propose Piedro, dal fondo, «almeno uno in particolare.»
«O forse per...» cominciai io... poi sorrisi alle mie spalle, verso Juliano che ridacchiava sulla sella, «forse è...» e tacqui.
Le orecchie che uscivano dal berretto di pelo di Dannil Lowain, che aveva affrontato banditi e banshee senza batter ciglio, divennero rosse, come il resto del viso, diede un colpo di redini ed il suo cavallo accelerò il passo, distaccandomi di una buona lunghezza. Il gesto non passò inosservato, poiché Robard puntualizzò beffardo: «Forza, uomini... stiamo ritardando troppo; non vorrete che la domna si preoccupi oltre di noi uomini e dei chervine...»
Scoppiammo tutti a ridere ed esortammo i cavalli ad adeguare il passo. Ormai eravamo in vista della porta della tenuta, occupata da qualcuno che indossava una veste colorata e uno scialle sulle spalle. Mia madre non sarebbe corsa incontro a perdifiato verso la comitiva, come avevo fatto io. La guardai un poco triste: pur essendo la domna e pur essendo vedova, non era libera di vivere. Era questo che mi sarebbe successo? Neppure tre mesi erano passati da che le Aillard avevano cercato di fidanzarmi. Legato, incatenato alla mia sposa e alla mia condizione di comyn e di Macrae.
Mi voltai di nuovo verso Juliano e cercai il conforto di un contatto, ma lui rideva ancora e non poteva percepire il mio muto appello.


barra

Ormai la tenuta intera - chi poteva interrompere il suo lavoro - aveva cominciato a raggiungerci per aiutare a scaricare i chervine, o per prendere per le redini i cavalli e portarli nella stalla, o per salutare i nostri amici, ormai a casa. Mia madre e la tata, sulla soglia, sorrisero con sguardi simili, per poi abbassare gli occhi, pudicamente. Il mio padrino chinò la testa e gonfiò il petto; sentivo riverberare i suoi pensieri, come rulli di tamburo o, per meglio dire, battiti di un cuore innamorato.
«Bentornati, uomini di Hollow Tree,» disse ad alta voce domna Alarice, accogliendoli, «spero che abbiate fatto un sereno e buon viaggio.»
Il coridom la guardò con ammirazione. «Z'par servu, domna. Al tuo servizio.» Lui e Juliano scesero da cavallo e la raggiunsero, per poi inchinarsi a ricevere la sua benedizione; il saluto che lei riservava ai suoi prediletti e che era ormai un loro privilegio come servitori fedeli dei Macrae.
«Venite... non è ancora sera, ma se avete fame, la cuoca preparerà la cena per voi,» proposi io, poi mi volsi verso il mio scudiero, aiutandolo con le sacche, «e devi raccontarmi di tutto quello che hai visto.»
«Certo, certo, giovane dom, non dubitare!» fece lui.
Alle sue spalle, Stephan scoppiò a ridere furbo. «Fatti raccontare della locanda, giovane dom, il nostro Juliano ha fatto conquiste.»
«Ma va all'inferno Stef, e ghiacciaci pure,» rispose il mio scudiero, di rimando, fingendo di colpire l'altro con un gancio.
Entrambi risero forte, continuando a menarsi finti colpi con i pugni, fino a giungere ai piedi delle scale di legno, dove si separarono per andare uno alla sua stanzetta di fianco alla mia, e l'altro verso gli alloggi dei servi. Il mio umore, mi rendevo conto a malapena, era mutato da felice a turbato... quanta parte della vita di Juliano aveva diviso il giovane cantastorie? E avrei recuperato? O il mio scudiero, di tre anni più vecchio, era cresciuto mentre io ero bloccato qui? La paura mi fermò un secondo tra uno scalino e l'altro; mentre seguivo il giovane Hodge, il mio bredin, qualcosa mi gridava che stavo per sentire cose che non avrei voluto sentire affatto. Ma Juliano si voltò sorridendo solare, con gli occhi grigio scuro ridenti verso di me e con un cenno complice che tante volte gli avevo visto fare per chiamarmi. «Andiamo Dannil, che c'è?»
«Nulla, nulla,» mentii io riprendendo a salire, «ti stavo guardando: sei cresciuto.»
«In un mese e mezzo? Scherzi?» mi chiese di rimando, incredulo.
«A me sono sembrati sei,» assentii io, raggiungendolo, «e sembri diverso, davvero.»
«Sono diverso: ho fame!» rispose lui, prendendomi la spalla. «Tanta fame!»
Scoppiammo a ridere come stupidi e raggiungemmo il suo letto, nella stanza senza finestre di fianco alla mia, una cassapanca e due scaffali di legno, per riporre alcuni oggetti. Lui mollò sul pavimento la sacca e si sedette sul letto. «Ouch! Mi mancava un vero letto,» si lamentò con me.
«Perché, dove avete dormito?» domandai, scrutandolo.
«Dovunque... rifugi, capanni da caccia, locande, nuda terra, stalle,» elencò lui, contando sulle dita, «quando riuscivamo a prendere sonno, dato che il coridom ci ha fatto anche fare la guardia, quando eravamo all'aperto!»
«Ma davvero?» chiesi, stupito. La piana di Arilinn era al centro dei sette dominii, difficilmente dei banditi potevano aggirarsi là senza attirare subito delle guardie.
«Sì,» accennò affermativamente lui anche con il capo, «voleva essere sicuro... lui.»
Sorrisi. «"Fidarsi è bene, ma il fuoco di Hali è meglio",» citai io. «E ha ragione!»
«Cosa credi? Sarebbe toccato anche a te, se venivi, sai?» protestò lui. «O pensi che essere comyn ti avrebbe salvato?»
«No, probabilmente avrebbe fatto fare a me il primo turno con Piedro,» dissi ad alta voce, «e l'ultimo con te!» terminai scherzando. Mi sedetti sul letto. Il mio fianco contro il suo braccio.
«E cosa è successo alla locanda di cui parlava Stephan?» domandai curioso. Se sperava che me lo fossi dimenticato, si sbagliava.
«Oh, sì!» sorrise lui, tirandosi su e sedendosi proprio vicino a me, gomiti e ginocchia a contatto con le mie. Malgrado la differenza di età eravamo alti uguali, lui era solo un poco più grosso di me, che ero magro e longilineo.
«Alla locanda di Arilinn, quella sulla piazza, non quella vicino alla fontana,» mi disse lui, come se io sapessi quel che diceva, «quella con l'insegna dei boccali dai manici incrociati.»
«Sì,» intercalai io, tanto per farlo continuare.
«Beh, sono entrato,» disse, poi ci ripensò, «siamo entrati per bere una birra o due, io, Stef e Romal, intanto che gli altri erano alla fiera per le ultime vendite, accompagnando il coridom
«...e?» chiesi io.
«E... io inciampo nella cameriera,» continuò, «ero voltato dall'altra parte perché parlavo con Romal e non l'avevo vista,» m'inviò un'immagine buffissima, dove la cameriera, a terra, bagnata di birra da capo a piedi, scoppiava in lacrime e fuggiva verso la cucina.
«Il padrone era furioso, con lei più che con me: sei boccali di legno e tutta la birra sprecata.»
Scoppiai a ridere, forse mi ero preoccupato per nulla.
«Ma la più bella è...» continuò lui, «che circa mezz'ora dopo, il tempo di due giri di birra, la cameriera torna, ad occhi bassi, mi domanda perdono... io mi alzo dal tavolo per cercare di minimizzare la cosa e...»
Un'altra immagine... lui che si sbraccia troppo e scivola all'indietro, colpendo con la mano il padrone, che versa un piatto di minestra sul mantello di un cliente.
«Quasi ci scoppiava la rissa!» ride Juliano, battendosi la mano sul ginocchio.
«Ma... eri ubriaco?»
«No... solo sfortunato.»
«E come è finita?»
«Beh! Il padrone ha brontolato sul fatto che avrei almeno potuto lasciare la mancia, quando ce ne siamo andati, ma la cameriera ha continuato a guardarmi per gran parte del tempo.»
«Ah, ecco perché Stephan ha detto che hai fatto conquiste,» dissi, mantenendo la calma, «che hai fatto, poi?»
«E che dovevo fare? Sono tornato il giorno dopo, e ho portato una piccola mancia, a lei... non al padrone.»
Mi disposi a fare un'altra domanda... ma mi fermai: che bisogno c'era? Juliano non vedeva l'ora di dirmi tutto! Infatti proseguì subito. «La ragazza non c'era, era il suo giorno libero, ma viveva sopra la locanda, come altre giovani... così io sono andato a conoscerla.»
«Non proprio una signora, se ti ha lasciato avvicinare.»
«Immagino di no,» ammise Julo
«E... che hai fatto?»
«Uh? L'ho invitata a mangiare frittelle di mela e sidro.»
«Frittelle di mela? Romantico...» alzai gli occhi al cielo.
«Dom, non capisci... non sapevo cosa dire... quella ragazza mi guardava... cioè, mi guardava fisso con due occhi scuri.»
«Ti guardava in faccia?» di solito le donne dabbene abbassavano lo sguardo. «Sfacciata.»
«Beh, Becca ha detto che era figlia di un'amazzone, e che le avevano insegnato a non abbassare lo sguardo di fronte a nessuno.»
«Le amazzoni sono fortissime,» convenni io, «ma mai come Robard.» Il grosso guerriero a cui mancava un dito, mozzato in una battaglia di anni prima, era molto muscoloso, ma era anche un vero combattente, era stato soldato a Thendara e poi sotto gli Aillard per cinque anni, prima di finire ad Hollow Tree a servire la mia famiglia.
«Invece sono... interessanti, donne che combattono,» ghignò Juliano, «fuori dal letto!»
«Ah, ah, ah! Sei fuori strada, bredu,» negai io, ridendo sguaiatamente, «donne come quelle ti rovinano la vita. Sarebbero come Arliss, con in più un coltello affilato, oltre la lingua.»
«Non so... ho visto poche Rinunciatarie; ad Arilinn ci sono donne che fanno le levatrici e le guerriere, sai?»
«Aspetta... cosa? Come possono far nascere un bambino nella battaglia? Che ci farebbe una donna incinta...»
«Ma no, intendevo dire che fanno le levatrici, ma all'occorrenza sanno combattere, con quei loro spadini.»
«Sono coltelli lunghi...» dissi io, questo lo sapevo... poche dita più piccoli di una spada, secondo la legge e il Patto, ma che potevano essere letali. «Ti ho detto che ho una zia Aillard che è una Rinunciataria? Si chiama Shandra n'ha Jaida...» abbassai la voce, come se qualcuno potesse riferire, «è figlia della Madre.»
«Sì... sì...» assentì Juliano. «E' a Delleray, non lontano da Serrais. Ma lontano abbastanza da qui, come mio padre e mio fratello...» minimizzò Julo, con la mano. Riflettei sulla solitudine di Juliano... aveva solo me e Arliss, e quando era diventato mio scudiero, quando cioè mia madre l'aveva preso anche come mio scudiero, oltre che guardiacaccia, suo padre e suo fratello avevano venduto la casa e si erano trasferiti presso Serrais, per cercare fortuna. Non tanto infrequente, visto che i Ridenow pagavano bene.
Lo abbracciai di slancio, aprendo la mente al contatto. «Io sono qui, bredu
Lui rimase rigido, per un attimo, aprì la mente con lentezza, quasi a voler nascondere - nascondere a me! - qualcosa. Non indagai, seppellii i miei dubbi e mi beai nel contatto. Rimanemmo così per un poco, poi gli baciai la guancia, inviando nel contempo un pensiero rassicurante alla sua mente. "Io sono qui, bredhyu. Sono sempre stato qui." Mi alzai e lo lasciai solo, a riposarsi, o a disfare la sacca... o a fare quel che gli pareva... tornai nella mia stanza, proprio nel momento stesso che in cui il flebile contatto stabilito tra noi si scioglieva piano, lasciandomi un gusto amaro in bocca. Non aveva risposto né con le parole né con la mente, quando lo avevo chiamato bredhyu. Ma se è per quello, anche le sue domande - numerose - sul fatto che c'erano cose che io e Arliss non gli dicevamo più... erano restate senza risposta.


barra

La giornata era passata, il sole aveva lasciato il posto alla pioggia e questa alla neve... così presto dopo il tramonto che non c'era stato il tempo di finire quello che si doveva fare.
"E accidenti a me se ho ancora l'energia per muovere un solo passo!"
Posai la sella di Alar al suo posto e scelsi una balla di fieno dove sedermi... tutto sommato le aspettative della mattinata erano presto naufragate nei dubbi del pomeriggio e nella tristezza della sera... qualcosa era cambiato in Juliano, qualcosa di impercettibile, poiché era sempre lui, ma qualcosa era cambiato. Stava crescendo: era un uomo. Ed io ero un bambino. Avrei voluto raggiungerlo, fare un passo ed avere la sua età. Com'era quella leggenda? La principessa nella Bara di Cristallo? In attesa di riprendere il suo regno dei monti, o in attesa del suo promesso sposo di ritorno dal regno dei morti... aaah! Non mi ricordavo più. Arliss le sapeva raccontare bene, le favole e le storie; io invece...
All'improvviso la porta laterale della stalla si aprì piano con un cigolio sinistro sui cardini di legno.
«Sei qui, dom?» mi disse Juliano.
"Che domanda cretina," pensai io, "mi vedi, no?"
«Che cos'hai? Stai male?»
"Eccoci, siamo alla chioccia con il pulcino..."
Intanto lui si era avvicinato, dannate le sue gambe lunghe...
«Non capisco, a cena non hai toccato quasi niente, eri distratto... e ora ti trovo qui...» mi disse, guardandomi negli occhi. Sentii l'esplorazione incerta dei suoi pensieri, un frullo di note di flauto, fluttuanti ai confini della mia barriera mentale: cercava il contatto, come un tempo. «Bredu, che succede?»
"Sono qui," inviò alla mia testa.
Serrai la mia mente, malgrado il mio bisogno della sua vicinanza... cosa non andava? Era solo il mio umore? Era meglio allontanarlo, tenerlo a distanza. Juliano rimase in piedi davanti a me, atterrito... mai l'avevo escluso dalla mia mente.
«Ho... ho fatto qualcosa che...» cominciò, turbato.
«No. Nulla, Julo. Ma voglio stare solo,» mi affrettai io a dire, deciso, «sono solo un po'...» espirai a fondo l'aria che avevo in corpo, «triste.»
«Cosa c'è, dom? E' dal Solstizio che non parli più con me... »
La mia mente si chiuse con forza... questa volta non per colpa mia... era il potere della Madre... la sua voce nella mia mente... "mai, mai, mai!"
"Mai parlare con nessuno dei riti, dei Solstizi, del donas, dei chieren, di Cassilda, degli equinozi..."
Ma il segreto non era in pericolo... Juliano era mio fratello di spada... "Mai, mai! Solo con chi già conosce il Segreto..."
La Madre e le leroni avevano pasticciato con la mia mente? Come con Arliss? Cosa aveva detto, durante la prova? ... ricordai subito:
«Non so come ci sono riuscita, se non dovevo partire per incontrare i chieren non ci pensavo, semplicemente...»
E la Madre aveva aggiunto: «Io ho bloccato i suoi pensieri per evitare che il segreto fosse divulgato ad altri...»
Restai lì, gli occhi sbarrati per un attimo, poi ripetei a mia volta un'altra frase di Arliss. «Ti giuro che non è mia intenzione ingannarti, bredu
«Ingannarmi? Perché dovresti, Dannil?» domandò il mio scudiero, osservandomi. Mi ripresi subito... avevo la mente serrata e ripiegata all'interno, come un guanto a cui riparare una cucitura... mi morsi il labbro, per parlare, sbiancai... anch'io ero diventato diverso, e davo la colpa tutta a Juliano, da quel bambino che ero. Cominciai a piangere amaramente.
«Bredu! Che cosa ho fatto?» chiese preoccupato lui, ancora in piedi di fronte a me... si chinò sollevandomi il mento con la mano...
Scostai le sue dita calde e nascosi il viso... avevo più segreti io per lui che lui per me... Juliano mi aveva raccontato le sue avventure, io non potevo farlo.
«Tu? Nulla, caryu,» ammisi, cosa potevo rimproverargli, veramente? «Sono solo triste...»
Lui s'inginocchiò di slancio di fronte a me. «Perché? E' successo qualcosa ad Arliss?»
«No, no... nulla. Sono io...» negai io, «vorrei...»
«Vorresti?» mi chiese, disarmante.
«Vorrei...» m'interruppi nuovamente. I suoi occhi grigio scuro erano ingenuamente limpidi, puntati nei miei, non si rendeva conto che mi mancava sempre, quando eravamo separati? Cercò di nuovo il contatto, e stavolta lo lasciai fare. Mi vergognavo dei miei sentimenti un poco sciocchi, e di avere bisogno di lui, come avevo bisogno di mia sorella... perché era il mio caro bredu. Lui percepì la gran parte del subbuglio che erano i miei pensieri, e rimase fermo per un attimo, incerto. Io però mi feci forza, e presi la sua mano forte, poggiata sulla mia gamba.
«Siamo bredini, lo sai... » dissi, a mo' di spiegazione.
Lui sembrò capire. «Lo siamo, Dannil,» mi strinse la mano, «non dubitarne mai, per sempre.»
Mi feci forza un'altra volta, volevo che fosse chiaro anche a lui quello che mi stava torturando, non gelosia o senso di possesso, quello mai, ma il bisogno, anche fisico, di lui. La sua vicinanza mi faceva respirare meglio, poiché quando ero schiacciato, abbattuto, potevo sempre appoggiarmi a lui. Non avevo paura perché lui ed Arliss erano con me. Mi guardai intorno, a quest'ora nella stalla non c'erano che i cavalli, e gli stallieri erano nella camera comune a dormire.
«Per sempre,» ripetei, «tu ed io e Arliss. Non dimenticarlo.»
«Come potrei?» domandò lui. "Non vivrei senza di voi... morirei per voi!" Sentii dalla sua mente. Mi tranquillizzai molto, poiché la telepatia è un linguaggio senza compromessi, e non si può mentire coscientemente. Un cauto sorriso spuntò sulle mie labbra, mi sporsi ad abbracciarlo, visto che i nostri corpi erano alla stessa altezza. Lui contraccambiò impacciato, ed io lo strinsi a me... il mio laran sensibilissimo cominciò senza volere a scandagliare i suoi pensieri, che mi giunsero in rapida successione, confusi, uno sopra (o dentro, o attraverso) l'altro. Percepii che era confuso e preoccupato... che cosa volevo dirgli? E cosa nascondevo? La mia pelle bruciava dal calore... forse ero malato? I miei capelli profumavano di fieno, ero triste, lo stringevo con forza. Sotto quei pensieri superficiali percepivo un senso di cameratismo, di possesso, che mi scaldava il cuore: "Il mio dom, il mio bredu. Lo difenderò con la vita: sono il suo uomo giurato. Bredin."
Cercai con la bocca la sua guancia, poi la bocca... lui rimase perplesso... sì... eravamo bredini, era logico che ci sarebbe stato anche questo. Scambiarsi i coltelli, la fratellanza di spade, era di per sé la dimostrazione che appartenevamo l'uno all'altro. Lo riaffermavamo sempre... no? Ogni volta che ci chiamavamo bredu o bredhyu... avevamo solo atteso che entrambi fossimo pronti a condividere anche l'aspetto intimo della relazione. La partecipazione fisica al rapporto di reciproca appartenenza che avevamo giurato di rispettare... partecipai della sua accettazione, come se fosse nella mia mente, nel mio animo. Bene... era giusto, naturale.









barra









Disclaimers

Juliano racconta a Dannil delle sue conquiste femminili, provocando un moto di gelosia che sfocerà nella riconferma solenne giuramento dei bredin.

torna all'inizio







The Elvas Project © 1999 - 2008
© SDE Creations
Ultimo aggiornamento: 31/12/2008