[Home] [La storia del Progetto Elvas] [Regole Utilizzate]
[Personaggi] [Luoghi] [Racconti] [Download]
[Cronologia] [Genealogia] [Dizionario] [Musiche] [Immagini e Disegni]
[Giocatori] [Incontri] [Aggiornamenti] [Credits] [Link] [Mail]
barra spaziatrice
[torna a Racconti][E.S.T. dE +1, agosto] [Credits & Disclaimers]



Due dozzine di dita su di lui

Dannil Macrae y Lindir-Aillard

Stavamo cavalcando con piacere lungo la costa del mare, non lontano dalla città di Dalereuth, ma verso nord, verso Temora. Come sempre io e Arliss eravamo accoppiati mentre Juliano era rimasto un po' indietro, colpa della cavalla che non collaborava molto con il cavaliere, mentre i nostri cavalcavano con ampie falcate sulla spiaggia pietrosa. La giornata era calda e senza nuvole, non cadeva la neve da almeno una decina e pioveva solo la sera, nulla a che fare con il freddo delle montagne del nostro mondo gelato. Thendara doveva essere sotto la neve, in questi giorni, per non parlare di Nevarsin!
"Non ti sembra troppo lento, il nostro Juliano, fratello?" Mi domandò Arliss, con la mente.
"No, considerando che non è capace di sentire il cavallo." Risposi io, tranquillo.
"Non avrai parlato ancora con Ondulara, vero bredillu?" Mi chiese lei, sospettosa. Non era la prima volta che io (e anche lei, se è per quello) giocavamo a Juliano qualche tiro tramite il laran, convincendo la sua cavalla a cambiare all'improvviso direzione o a ignorare i comandi delle briglie.
"Non nell'ultima decina, carya. E tu?" Risposi io, tranquillo.
"No," rispose lei, seria. «Non dalla volta che l'ha disarcionato su quella montagna di neve,» aggiunse poi a voce.
«Ti ricordi?» le chiesi io, ridendo. Quella volta Juliano aveva preso anche il raffreddore, era uscito da quel cumulo di neve bagnato fradicio, come un puledro appena nato, sputacchiando neve e protestando. Poi riflettei un poco e capii per quale ragione Arliss era passata dal dialogo mentale alla voce. «Stai mentendo! E' stato due anni fa... Da allora l'hai fatto altre volte, anche tre decine fa, quando volevi vincere quella gara!»
«Ho vinto lealmente,» puntualizzò mia sorella, sollevando il mento. «Ha perso perché sono più brava di lui a cavalcare.»
«Non è vero, Ondulara ha rallentato a mezza corsa,» protestai ancora. «L'ho visto benissimo!»
Arliss era la migliore sorella che si poteva avere, ma odiava perdere, anche da piccola. Ed i suoi cavalli, quelli che addestrava personalmente per le gare, erano i migliori che uscivano dalle nostre scuderie. Erano tutti stalloni, focosi e forti, ma fedeli verso i loro cavalieri come... come... beh, erano fedeli come cavalli addestrati dai MacAran, suppongo! Lei era orgogliosissima dei suoi tesori e del rapporto che instaurava con loro.
Il mio stallone dal manto rosso, invece, che avevo chiamato Alar, era un poco ombroso, quasi a dimostrare le differenze tra il mio tocco e quello di mia sorella.
«Che cosa state borbottando ai miei danni?» domandò in quel momento Juliano, molti passi dietro a noi.
«Nulla, bredu,» gridò in risposta Arliss, sorridendo e facendomi l'occhiolino. «Ci chiedevamo solo perché sei così lento!» In quella, Ondulara prese a scartare a destra e sinistra, sbuffando contenta, fuori dal controllo del suo cavaliere.
«E io mi chiedevo anche se l'acqua del mare è fredda, visto questi giorni di sole,» rincarai io, chiudendo gli occhi un momento. La cavalla prese a dirigersi verso la riva del mare, quasi volesse fare un bagno nell'acqua che, chiaramente, doveva essere gelata...
Juliano cominciò a tirare le briglie, a stringere le ginocchia e a urlare. «Non fate sciocchezze, demoni... non ho vestiti di ricambio!» Il suo terrore era comico. Probabilmente anche a lui era venuto in mente il cumulo di neve in cui era finito!
Sorrisi felice e guardai mia sorella con gli occhi della mente. "Meglio!"
«No, caryu,» disse lei, allarmata. «E' proprio gelata, questa volta non ci perdonerà!»
Ondulara si fermò a pochi passi dalla riva, voltando la testa nella nostra direzione, Arliss le stava lanciando un richiamo a sua volta.
«Bredilla, non era necessario, mi sarei fermato prima che finisse in acqua!» mi affrettai ad assicurarla io, indignato. «Voglio bene al nostro bredu
Interruppi immediatamente la mia esortazione, poiché la cavalla non doveva ricevere richiami contraddittori... avrebbe reagito in modo imprevedibile o si sarebbe imbizzarrita! Una volta che, quieta, la cavalcatura riprese a camminare verso di noi, Juliano smise di agitarsi e assunse quell'aria strana, tra l'offeso e l'irritato che aveva iniziato a usare quando voleva rimproverarci.
«"Non entrerai in una mente se non per aiutare o per guarire e non forzerai mai la coscienza di nessuno"...» citò infatti il giovane, sollevando un dito, saccente.
«E' un pezzo del giuramento del controllore,» assentì Arliss, divertita... lui non era stato in una Torre e quel poco che sapeva gliel'avevamo raccontato noi. «Ma non credo che valga per gli animali, Juliano,» la sua cavalla infatti scartò ancora una volta, rapida, facendolo traballare sulla sella.
«Vale di certo...» si difese lui, stringendo le ginocchia sul fianco del cavallo. «State usando il vostro laran in modo diabolico!»
«No, poiché non costringiamo Ondulara con la forza,» lo interruppi io. «Lei accetta le nostre proposte con entusiasmo.»
"Inoltre... né io né Dannil abbiamo prestato alcun giuramento delle Torri," terminò mia sorella, inviando il pensiero ad entrambi. «Quindi stai attento a non cadere, figlio del guardiacaccia!» terminò a voce alta e sicura.
«Maledizione a voi Macrae, stirpe di Zandru!» esclamò Juliano sorridendo. «Ve la cavate sempre. A parole non si riesce a tenervi testa.»
«E' perché ci vuoi troppo bene...» continuò Arliss, avvicinandosi a lui con il suo stallone, ora Juliano cavalcava in mezzo a noi, quasi certamente per tenere meglio bloccata la sua cavalla, che non aveva lo spazio per scartare o deviare dal percorso. Niente di più sbagliato, perché appena io realizzai quello che pensava inviai un richiamo alla mente della sua cavalcatura che si fermò all'improvviso mentre gli stalloni proseguivano verso la casa di pescatori abbandonata che era la nostra meta. Il sole era ancora alto sull'orizzonte, probabilmente c'erano ancora un paio di ore di luce.
Arliss spronò il suo stallone, senza voltarsi indietro verso il nostro compagno, così come feci io. Juliano cercò di farsi obbedire, ma Ondulara non si mosse di un passo.
«Forza, cavallina. Ti darò da mangiare,» continuava a ripetere Juliano, sempre più indietro. «Andiamo, parti!»
«Sei stato cattivo, Dannil,» mi rimproverò mia sorella, sorridendo.
«E' lui che è stupido,» mi difesi io, sogghignando.
«Lascia libera Ondulara.»
«Non ancora,» dissi io. «Diamogli il tempo di domandarsi se lo lasceremo lì tutta la notte!»
«Poverino, si pentirà di averci accompagnato.»
«Ma ci vuole bene...» continuai io. «Lo sai che non potrebbe vivere senza di noi.»
Era vero: noi tre eravamo inseparabili da quando anche Juliano aveva acquistato le sue basse capacità laran e parlava con noi tramite il pensiero. Eravamo gli unici telepati della tenuta, tolta nostra madre che non usava mai i suoi donas e non usava neppure una pietra matrice, mentre a noi l'aveva data la Madre del Dominio in persona, dopo che avevamo passato indenni il terribile periodo del malessere della soglia. Juliano aveva ricevuto la sua piccola matrice da una leronis dei Comyn che si era fermata durante una tormenta. Mia madre non l'aveva fatta avvicinare a noi, ma non aveva potuto impedire che controllasse la servitù, visto che Juliano aveva mostrato di possedere il laran. Questi pensieri mi colpirono in rapida successione, teneri e malinconici... era passato diverso tempo, ora Juliano aveva diciotto anni, uno in più di Arliss e ben tre più di me. Lui ci seguiva sempre fedele, a lui mia madre aveva affidato la nostra sicurezza quando ci allontanavamo cavalcando dalla nostra tenuta: Hollow Tree dei Macrae.
E Juliano faceva sempre tutto quello che poteva per accontentarci e per proteggerci... "Ma..."
Sollevai le mie barriere e questo flusso di pensieri si interruppe all'improvviso, confermando i miei sospetti!
«Stavi inviando un richiamo a me! Tu, sporca traditrice!» gridai verso mia sorella, indignato.
«Cercavo di farti liberare Ondulara,» rispose lei, con aria colpevole. «E' ancora laggiù!» indicò dietro di sé con il pollice destro. «Guarda com'è sconsolato!»
«Oh, va bene!» sbottai io, sollevando le mani. Arliss era più tenera di cuore di me. Inviai un tacito consenso alla cavalla che, con un basso nitrito felice, cominciò a trottare e poi a galoppare rapida verso di noi. Troppo improvvisamente, però. Infatti Juliano iniziò a tirare le redini frenetico. «Rallenta, cavallina. Ti prego fermati,» ma il quadrupede aveva fretta di ricongiungersi con i due stalloni e di mangiare una generosa razione di biada.


barra

I cavalli erano sistemati nel recinto, Juliano stava finendo di strigliare il mio stallone con la spazzola. Mi arrivavano confuse sensazioni di piacere dagli animali; anche se non avevo il dono dell'empatia percepivo che loro stavano bene ed erano contenti. Cibo, riposo e un posto dove scorrazzare ancora un poco. La casa dei pescatori non aveva una stalla ma era costruita a ridosso del fianco di una collina rocciosa a pochi passi dalla scogliera. Il recinto nel quale avevamo alloggiato gli animali era coperto sui tre lati, quindi due di roccia e uno di legno; una malconcia tettoia proteggeva anche dall'alto i cavalli. Dal lato scoperto non spirava il vento freddo che veniva dagli Hellers e dai Kilghard, bensì quello tiepido del mare, che rilasciava il calore del sole della giornata. Un posto ideale, ad un paio di giorni da Hollow Tree, nelle terre dei Lindir. Qui eravamo i benvenuti e non avevamo nulla da temere poiché da queste parti non c'erano né i briganti dei monti né i predoni delle città aride che si trovavano molto più a nord e comunque non giungevano mai qui nel dominio degli Aillard. L'unico pericolo era il mare, con le sue maree imprevedibili e capricciose e le sue burrasche improvvise.
Io e Arliss avevamo sistemato il nostro giaciglio e lei stava togliendo dalle sacche che conservavano le nostre razioni un paio di conigli che avevamo catturato quella stessa mattina grazie al nostro prezioso guardiacaccia pieno di risorse.
«Ce li prepari in umido con le patate?» domandai speranzoso.
«E' chiaro che preparerò il nostro piatto preferito,» disse lei, guardandomi come se avessi domandato se avrebbe nevicato, al Solstizio d'inverno. «Se peli qualche patata,» aggiunse poi, abbassando di nuovo lo sguardo sui conigli e cominciando a scuoiarli con un coltello ricurvo.
Io mi misi a pelare quattro o cinque tuberi di buona lena e abbassai le barriere, canticchiando... anche lei cominciò a canticchiare la mia stessa melodia, tanto che non capii chi aveva iniziato e chi aveva solo seguito il canto, come accadeva spesso tra noi. La porta si aprì e Juliano fece il suo ingresso, sorridendo. «Qui fuori è a posto, le bestiacce sono felici come volpi nel pollaio.»
«Smettila,» lo rimproverò mia sorella. «I cavalli vanno coccolati, non insultati!»
«Dai Liss, lo sai che amo quelle bestiacce... e ti assicuro che lo dico con il più grande affetto!» rise lui, sedendosi a tavola e frugando nelle sue borse da sella alla ricerca della bottiglia di rosso che ci aspettava quella notte. Il prodotto delle buone vigne del Valeron, che avevamo preso dalla cantina che mio padre - pace all'anima sua - aveva iniziato a riempire diversi anni fa e che mia madre, pur non amando il vino e preferendo il generoso liquore firi, aveva mantenuto come manteneva ogni cosa a cui mio padre teneva. Noi figli, la tenuta, le scuderie, i servitori, il fiol che nessuno a Hollow Tree era ora in grado di suonare.
«E' sbagliato lo stesso,» lo zittì Arliss con uno dei suoi sguardi che non ammetteva repliche.
Lui accettò il rimprovero, questa volta. In verità i cavalli percepivano l'affetto di Juliano e il guardiacaccia avrebbe dato la vita per proteggerli dai pericoli, quindi non c'era nessun problema. Mia sorella voleva solo una scusa per sgridare il nostro amico come a me piaceva stuzzicarlo o prenderlo in giro. Era nell'ordine delle cose... lui era nostro amico, la nostra guardia del corpo, il nostro fratello maggiore a cui però non si doveva obbedienza... poiché era il nostro uomo giurato. Lui sorrise guardandoci, quasi captando quel che pensavamo con le teste chine sul cibo in preparazione. Prese tre tazze di legno scavato, versò tre generose dosi di vino e ce le offrì.
«Bevete questo, vai do'myn, è il nettare del Valeron,» propose con sguardo fiero. «Ho visto questa vigna l'anno scorso, con Piedro e Robard, mentre accompagnavo il sovrintendente alla fiera di Dembe.»
«Ma quando?» chiese Arliss, sollevando il capo.
«Tu eri a Dalereuth, in visita alla Dama,» spiegai io. Avrei dovuto essere con il mio padrino anche io, ma all'ultimo momento si era deciso che lasciare mia madre sola a Hollow Tree con le giumente che dovevano partorire e senza nessuno a seguire la cosa, non era la soluzione ottimale. Così io ero restato e Dannil Lowain era partito per la fiera, facendosi accompagnare da tre uomini. «Hanno venduto molti vitelli da latte, ma nessun cavallo dei tuoi. Solo Spirito Grigio e Kierestelli.»
«E' vero... adesso ricordo che me l'avevate già raccontato,» rise Arliss, «che sciocca!»
«Ci hai messo più tu dagli Aillard che noi fino a Dembe e ritorno... quattro mesi interi,» commentò Juliano, sorseggiando il suo vino.
«Già, cosa hai fatto per passare il tempo?» domandai io, soprappensiero. Mi pentii subito di aver parlato perché mia sorella mi squadrò da sotto le sopracciglia. «Nulla, fratello caro. Cose di donne!» Ma il danno era fatto e persino Juliano capì che la risposta evasiva era solo un modo per non dire quello che era successo. Forse il vino gli aveva dato il coraggio o l'incoscienza di approfondire la questione.
«E' un altro dei vostri segreti da laranzu'in?» domandò, infatti, con noncuranza. Usò il termine antico che non significava operatori di matrici, ma sapienti, incantatori.
"Testone. Hai visto che hai fatto?" mi inviò Arliss, risentita.
"Mi spiace," le trasmisi, avvilito. A entrambi non piaceva nascondere al giovane qualcosa, ma in verità, semplicemente, neanche noi comprendevamo appieno il nostro potere e l'addestramento che avevamo ricevuto.
«No, Julo,» disse lei con gli occhi bassi. «E' proprio come ho detto... cose di donne. La Dama mi ha trattenuto un bel po' questa volta, ma solo perché il mio rryl la emoziona ancora e una delle sue nipoti lo stava imparando, così ho suonato spesso e ho aiutato la sua maestra di musica con le posizioni,» allargò davanti al volto le dita delle mani sporche di sangue del coniglio. Come tutti i clan degli Aillard, anche i Macrae avevano sei dita per mano, come i chieri con cui i nostri progenitori si erano incrociati. E come i chieren, gli abitanti dell'oceano, naturalmente! Anch'io sollevai la mano sinistra, allargando a mia volta le sei dita, poi le mossi insieme, come le zampe artigliate di un ragno, in un buffo cenno di saluto. Sorrisi al mio amico, che ci guardò ridendo. Riprendemmo a cucinare e mettemmo i nostri conigli in pentola, a cuocere sul fuoco del camino. Mentre Juliano sistemava il suo giaciglio vicino alla porta ed io controllavo la cena con un mestolo di legno, Arliss mise mano al rryl, canticchiando una melodia molto vecchia a mezze labbra. Gli sgabelli della capanna erano attorno al tavolo di legno su cui il mio bredu aveva messo la bottiglia di vino; ne raccattai uno e mi sedetti. Io e Juliano ascoltammo in silenzio gli arpeggi di mia sorella, poi lei cominciò a cantare, calma e tranquilla, un pezzo della lunga ballata di Hastur e Cassilda, poi un canto malinconico che parlava del mare, una canzone d'amore delle montagne. Juliano sorseggiò un'altra coppa di vino e guardò incantato mia sorella. Anch'io sorrisi: era bellissima! Persino così vestita, con il suo completo da amazzone per cavalcare. Ascoltammo rapiti ancora un po', fino a che, controllando la pentola, esclamai a voce alta. «E' quasi pronto, passatemi i piatti!»
Tutti avevamo fame, quindi Arliss posò il rryl e ci mettemmo a mangiare con gusto. Coniglio in umido con le patate, pane nero e formaggio, vino del Valeron e poi, come dolce, solo un assaggio di biscotti che Arliss intingeva in un barattolo di miele delle nostre api. Ci imboccava con quelle squisitezze sorridendo e giocando. Avevamo aperto un'altra bottiglia e per ogni tazza che ne bevevamo noi fratelli, Julo ne beveva due.
«Dai, Arliss. Canta per noi!» la pregò il mio bredu.
«No, caryu. Ho bevuto troppo. Non ho più la voce,» si difese lei, ridendo.
«Posso farlo io,» proposi, «se tu mi accompagni.»
«Sai cantare?» domandò lui, confuso.
«Certo,» assicurai io, sollevandomi in piedi, «cosa credi, anch'io canto un poco.»
«E' vero, bredu. Non l'hai sentito?» fece Arliss, stupita. «Canta con me da molti anni. Cantavamo sempre con mio padre, la sera. Lui suonava il fiol, ricordi?» mi guardò lieta, gli occhi grigio acciaio leggermente tristi. «Ed io e la mamma con i nostri rryl o l'arpa grande.»
«Ma nessun accompagnamento copriva il suono del fiol di mio padre, se egli non voleva!» aggiunsi io. Ricordavo così poco mio padre, che morì quando avevo solo sette anni, ma ricordavo che suonava il suo strumento con tanta abilità che anche i suoi cani da caccia venivano dentro casa per ascoltarlo. Raspando alla porta e uggiolando fino a che la cuoca o il coridom non apriva loro la porta. Tutti i segugi si infilavano allora nella sala grande, veloci e in silenzio, accucciandosi tra noi figli e i parenti. Anche i pochi servi della tenuta e i contadini si radunavano ad ascoltare, e si ballava.
«E' vero. Il dom amava suonare la sera,» ricordò anche Juliano, «e ascoltare le ballate di Temora e i canti dei pescatori, ma più di tutto amava suonare.»
«E noi si ballava una giga o una volta. O una pafan!» continuai io, movendo un paio di passi. Arliss cominciò a suonare il rryl e a cantare e ben presto la imitai con la mia voce un po' roca a causa del vino, ma bella.
Anche Juliano si alzò dallo sgabello e batté il tempo con il piede e le mani, mentre io giravo su me stesso in buffi passi di danza non troppo complicati, poiché avrei perso il fiato per cantare.
«Ed io con chi ballo? Arliss deve sedere, per suonare il rryl,» dissi felice. «Balla con me, bredu
«Certo, dom,» fece lui, inchinandosi come ad invitare una dama. Ma eravamo tutti e due impacciati, poiché entrambi facevamo la parte del cavaliere ed inoltre io, che ero destro e non mancino, mi confondevo ad ogni due passi per guardare lui e imitarlo. Cominciammo tutti e tre a ridere e anche Arliss smise di suonare e danzò con noi, prima uno e poi l'altro, ridendo ad alta voce.
Girammo su noi stessi più e più volte, sempre ridendo felici e un poco ubriachi, probabilmente. Ma sapevamo cosa stavamo facendo io e mia sorella, le nostre barriere erano abbassate ed eravamo collegati mente a mente, come sempre accadeva quando eravamo felici. Spingemmo Juliano in mezzo a noi e poi lo facemmo inciampare, lui cadde a terra, sul pavimento di legno e noi continuammo a girare per ritrovarci sui nostri giacigli, vicini al fuoco. Lui continuava a ridere guardandoci, cercò di sollevarsi e cadde, sempre ridendo. Allora ci alzammo noi, gli prendemmo le mani e lo sollevammo (o lo trascinammo) fin sul letto di paglia che ci eravamo preparati. Tutti e tre scoppiammo in una ultima, generosa risata, poi Arliss, che era più grande di me (e solo per questo) cominciò d'improvviso a baciarlo.
Lui rimase di sasso, spalancò gli occhi e, sono sicuro, almeno in quel momento pensò lucidamente.
"Damisela!" inviò con il suo laran, stupito.
«Va tutto bene, bredhyu,» sussurrai io.
«E' tutto a posto,» aggiunse lei, tranquillizzandolo.
«Ma... ma... dom... damisela!» balbettò lui. Però il vino (che aveva bevuto molto più di noi) lo aveva reso debole, non era in grado di opporre resistenza più di tanto!
A quattro mani cominciammo a spogliarlo, lei la casacca, io gli stivali, poi la camicia e le brache. Ci spogliammo anche noi e cominciammo a baciarlo e carezzarlo. Era in mezzo a noi e certo gli toccava la parte più faticosa, poiché non sapeva più dove girarsi! Le sue deboli proteste cedettero alla fine, infatti sia Arliss che io usammo il richiamo con lui. Il nostro donas combinato per il medesimo scopo lo colpì con una forza considerevole. Anche le sue barriere mentali si sciolsero, inutili.


barra

I cavalli nitrirono appena uscii dalla capanna, contenti del mio arrivo. Era mattina presto ma né io né mia sorella avevamo veramente fretta di alzarci. Juliano stava poltrendo e dormiva della grossa dopo la notte probabilmente più bella e faticosa della sua vita! Aprii il recinto e lasciai uscire i cavalli, lanciando il richiamo per impedirgli di allontanarsi troppo da soli. Guardando attentamente la cavalla capii che anche lei si era divertita un sacco, durante la notte.
"I due stalloni l'avranno fatta morire!" pensai scioccamente, sorridendo della similitudine delle situazioni... "Una cavalla e due stalloni fuori, un Hodge e due Macrae dentro," inviai allegramente a mia sorella.
"Stupido!" mi inviò lei da sotto le coperte che divideva ancora con il nostro bredhyu. Rientrai per guardarli ancora. Fuori il vento fresco stava terminando ed il sole era spuntato, scaldando subito le rocce e il mare che, dalla costa, sembrava senza fine. Mi voltai ed entrai di nuovo. Tolsi le brache, gli stivali e la camicia che avevo indossato e mi infilai a letto.
«Che combini?» chiese mia sorella.
«Niente, voglio stare ancora qui con voi,» risposi io. Entrambi guardammo il corpo abbronzato di Juliano, i capelli scuri e lunghi raccolti in una coda, la mascella forte, la pelle tesa sui muscoli sodi, il pomo d'adamo, le labbra piene. Le nostre barriere erano abbassate e ognuno, in una sorta di gioco di specchi, guardava il corpo assopito attraverso gli occhi dell'altro. Prendemmo ad accarezzarlo piano, per non svegliarlo, con entrambe le mani, da un lato e dall'altro, leggermente, in adorazione di quel corpo che entrambi avevamo sognato e che non avevamo mai condiviso fino alla notte scorsa.
"E' bello come un sogno," disse lei con la mente, o ero io? Non so. Ma mi trovai d'accordo con quel pensiero. Lui si voltò nel sonno verso di me, spostando il braccio contro il fianco di lei.
"Ed è nostro," pensai io, o era Arliss? "Tutto nostro."
Le carezze si facevano meno innocenti, l'eccitazione montava e balzava di mente in mente, senza fretta ma costantemente. All'improvviso lui aprì gli occhi, fissandomi, poi si voltò verso Arliss, poi di nuovo verso di me.
"Togliete subito quelle mani da lì!" inviò con il suo rozzo laran. "Tutte e ventiquattro le dita!"
Ridemmo tutti e due noi fratelli, per la buffa immagine che ci giunse dalla sua mente ancora semi-addormentata. Ma non togliemmo le mani. Lui sbuffò. Tirò le coperte fino al mento, strinse le braccia al petto e si rannicchiò.
«Stirpe dell'inferno, lasciatemi dormire!» disse ad alta voce, il tono esasperato di chi ha passato la notte a spegnere un incendio su un crinale.
Io e mia sorella ci guardammo l'un l'altra, furbi.
"Povero piccolo..." fece lei.
"E' stanco... e sono tutti cattivi con lui!" feci io.
... E insieme, gli lanciammo un richiamo. Dalla sua mente ricevemmo solo una blanda, rassegnata acquiescenza.









barra









Disclaimers

Una gita per i possedimenti Macrae di Dannil, Arliss e Juliano.

torna all'inizio







The Elvas Project © 1999 - 2008
© SDE Creations
Ultimo aggiornamento: 31/12/2008