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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, maggio (6)] [Credits & Disclaimers]
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! Questo racconto tratta anche di tematiche omossesuali,
se siete contrari all'argomento o se vi offende non procedete nella lettura !



Una spina nel fianco

Duane McKee

Primavera... gran bella cosa, dicono.
Il clima migliora, finalmente cresce qualcosa di più che non i frutti legnosi e facilmente deperibili della stagione invernale. Quest'anno, oltretutto, il bel tempo è cominciato molto prima. Capita raramente ma, quando questo avviene, i vari agricoltori e allevatori cominciano in anticipo il loro lavoro e si trovano ben presto carichi di impegni.
Compresi i miei zii, ovviamente.
Shann, per fortuna, si preoccupa solo di tenere in ordine le stalle e di rifornire gli alloggiamenti di fieno fresco e di tutto quello che potrebbe tornare utile agli animali che ospitano. Di tanto in tanto chiede un aiuto, ma di rado. Più che altro sfrutta i due gemelli MacAran che, come vecchi sottoposti, gli ronzano sempre intorno nella speranza di convincerlo a mettere in piedi una guarnigione, anzi LA guarnigione.
Invece Benton è diventato un vero schiavista.
Prima ha cominciato con mio fratello Keith e Alban, nostro cugino.
Sistemare gli stalli per i chervine, raccogliere il fieno, riparare quella parte di recinto che la neve aveva fatto crollare... Poi è iniziata la raccolta del cibo fresco per i suoi prediletti, come li definisce lui, ed è venuto a chiedere aiuto anche a me.
Le prime volte, con la scusa che avevo impegni presi in precedenza con Brydar, sono sempre riuscito a declinare gli inviti. Poi Brydar si è accorto del trucco e mi ha gentilmente consentito di passare dallo zio qualche ora ogni pomeriggio, un appuntamento che dopo poco si è trasformato in una massacrante seduta di lavoro che si ripete quasi tutti i giorni, da metà mattina fino a sera.
Sono certo che lo fa solo perché, quando torno a casa, sono troppo stanco per resistere. Anche se ultimamente il gioco gli si sta rivoltando contro.
Sinceramente non so se mi stanca di più il lavoro fisico o il costante chiacchiericcio di mio fratello ma, una volta che riesco a stendermi sul divano o uno dei letti... la sola cosa che ricordo è l'odore della colazione fresca che Miranda ci prepara tutte le mattine!
Certo, dalla faccia di Brydar posso capire come si sia conclusa la serata e, se non è troppo scura, riesco anche a ricordare qualcosa di più ma, dopo una settimana di lavoro alla fattoria di Benton, sono sempre di più le colazioni rallegrate dai racconti di Miranda sui pettegolezzi ascoltati allo Scoundrel che dalla brillante conversazione del nostro padrone.
Questa mattina Brydar sembrava ancora più irritato del solito. Non una parola, almeno fino a quando Miranda non ha deciso che era il caso di cominciare le faccende in giro per casa, poi il gentile invito a seguirlo nella stalla sul retro.
Non sapevo cosa aspettarmi, non so mai cosa aspettarmi da lui.
Fin dal primo giorno non ha mai fatto quello che temevo, almeno non nei tempi che avevo pensato. Non fraintendetemi. Il nostro non è di certo solo un contratto professionale, ma le azioni di Brydar non sono mai state prevedibili.
Come questa mattina. Se ne stava seduto su una balla di fieno, con lo sguardo fisso davanti a sé. Mi aspettavo una sfuriata o un attacco più fisico, cosa che forse avrei preferito.
Invece nulla.
Sentire quel tono freddo e neutrale, che utilizza con i perfetti estranei, mi ferisce molto di più che qualsiasi altra cosa.
«Mi chiedevo per quanto tuo zio avrà ancora bisogno del tuo aiuto,» lo stesso tono con cui avrebbe chiesto a Shann il prezzo di nuovi finimenti per il suo cavallo. «La cosa comincia ad annoiarmi.»
Perché doveva innervosirmi questa situazione?
Non ero io quello che all'inizio si preoccupava del troppo interesse che mostrava nei miei confronti, tanto che mi sentivo in colpa tutte le volte che mi capitava di incontrare casualmente Pat o qualcuno della mia stessa famiglia? Perché doveva darmi fastidio il tono di completo disinteresse che stava utilizzando?
«Sei tu che mi hai dato il permesso,» sapevo che era inutile ricordargli la cosa, ma speravo almeno di scatenare una qualche reazione. «Io lo avrei evitato più che volentieri.»
Brydar si strinse nelle spalle. «Digli che ti lascio libero fino alla fine della settimana,» con l'espressione immutata si era alzato, diretto verso l'uscita.
Quando ero ormai certo che se ne sarebbe andato, irritato solo dall'invadenza di Benton nell'organizzazione della nostra vita, mi sono sentito afferrare e spingere contro il muro.
Riesce sempre a prendermi di sorpresa.
«Non sono intenzionato a cedere oltre...» ha sussurrato direttamente nel mio orecchio, soffermandosi abbastanza da farmi scendere un brivido lungo la schiena, «ma non importa che gli spieghi perché.»
Quando si è allontanato sono rimasto, come sempre, incapace di muovermi per qualche istante.
È sicuro che non racconterò a mio zio perché dopo oggi non salirò più alla sua fattoria per aiutarlo. Ormai il grosso del lavoro è finito e l'aiuto di Keith e Alban sarà più che sufficiente.
Mentre esco di casa, diretto alle fattorie dei McKee, inizio come tutti i giorni a pensare alla mia situazione. Non ho ancora capito quale sia l'idea che più mi spaventa: essere additato come il servo di Brydar, nella sua definizione più dispregiativa, o come il suo grezu.
La prima volta che io e Miranda abbiamo ricevuto la paga, dopo dieci giorni di lavoro e poco dopo l'intensificarsi delle attenzioni di Brydar, mi sono sentito come un cane. Fin dal principio avevo capito cosa voleva da me, al di fuori delle mansioni che competevano alla figura di attendente, ed avevo accettato l'incarico anche con questa consapevolezza. Però, stringere tra le mani quel denaro, mi ha dato fastidio.
Stranamente è stato mio fratello a risolvere il dilemma per me.
Prima ha cercato di convincermi a dargli tutto, così mi sarei liberato completamente del peso. Poi, visto che la tattica non funzionava, è riuscito a diventare serio - per Keith è una cosa complicata, ma a volte ci riesce - e mi ha chiesto quali erano stati gli estremi del contratto.
Mi sembrava di sentir parlare lo zio Shann.
«Se l'accordo prevedeva solo il pagamento di un certo numero di attività, allora tutto il resto è escluso.» Come ragionamento non faceva una piega. «Il tuo padroncino non è il tipo da tirare fuori clausole impreviste, non è come quel gran simpaticone di Alar.»
Era da un po' che Keith cercava di convincere il locandiere a fargli sconti sulle consumazioni, in virtù della sua profonda amicizia con Miranda, sempre senza riuscirci o restando fregato tutte le volte che l'uomo sembrava invece cedere su qualcosa.
«Perché non ne parli con lui?» aveva concluso candidamente.
Come se fosse facile.
Io chiedere a Brydar se quello che avevamo fatto in quelle ultime notti era compreso nel salario o se si trattava solo di un passatempo temporaneo?
Non sarei mai stato in grado di farlo. Avevo paura della risposta... qualunque risposta.
Ma ormai eravamo arrivati a casa e non riuscii a tornare sul discorso con Keith, tanto non avrebbe capito.
Il secondo pagamento, pochi giorni fa, mi ha confuso ancora di più le idee.
Brydar aveva scalato dal compenso il corrispettivo delle giornate passate da Benton, specificando che quando non ero completamente a sua disposizione non era tenuto a pagarmi il compenso intero, sussurrandomi poi all'orecchio che aveva fatto i conti senza prendere in considerazione anche il resto del tempo sprecato.
Vedere lo zio Shann infuriato davanti a quella novità non mi aveva dato il tempo di riflettere immediatamente.
La solita storia: non potevo farmi trattare in quel modo. Se io dovevo rispettare le regole anche lui era tenuto a farlo. Non contava il fatto che i McKee fossero sempre state persone responsabili e di polso? Dovevo cedere ai voleri di quel nobile degenerato come un burattino?
Non avevo avuto bisogno di replicare, era bastata zia Maeve a calmarlo.
Secondo lei Brydar non aveva tutti i torti: dopotutto lui mi aveva permesso di passare un po' del mio tempo aiutando la famiglia, ma loro fratello si era allargato troppo ed era naturale che il nobile si sentisse derubato.
Mi sono chiesto se la reazione di Shann sarebbe stata la stessa se il nobile in questione fosse stato un altro.
Forse no, ma cosa importava?
Dopo questa giornata tutto sarebbe tornato come prima e gli animi si sarebbero calmati. Anche se lo zio avrebbe continuato a non vedere di buon'occhio la mia decisione di svendere la mia dignità per i soldi di quel comyn.


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«Allora, glielo hai chiesto?» dopo un intera mattinata passata ad accatastare balle di erba fresca sullo speciale tavolato inventato da zio Benton per farle essiccare nel modo più appropriato per le sue bestiole, Keith aveva ancora il fiato per parlare.
Distesi sotto un albero, godendoci gli ultimi raggi di sole prima di scendere verso la fattoria, assaporare un po' di silenzio sarebbe stato chiedere troppo. Fortunatamente il mio caro fratello non aveva laran e non aveva seguito le mie elucubrazioni. Perdendosi molti spunti interessanti da sfruttare nel futuro per favorire i suoi interessi.
«Chiesto cosa?»
«Se ti paga anche per quello che fate di notte.»
Per un attimo non seppi cosa rispondere. «Chi ti dice che lo facciamo solo di notte?»
L'unica soluzione possibile era l'attacco. Ma non sarebbe stato facile distrarre Keith una volta che aveva scelto un argomento di conversazione.
«Perché di giorno avete in giro per casa Miranda,» un sospiro, una breve pausa accompagnata da un lungo sguardo sognante alla collina che digradava verso il villaggio. «Certo, mi piacerebbe essere dalle vostre parti, distrarre un po' Miranda per voi...»
Anche se il primo istinto era stato quello di picchiarlo, dopo l'ultima affermazione non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
«Cosa ti fa credere che Miranda potrebbe essere interessata ad un lattante come te?»
Il volto di Keith aveva assunto un'aria di sufficienza, si era seduto e mi aveva fissato con espressione cupa, studiandomi con attenzione dalla punta dei capelli fino a quella degli stivali, per più di una volta.
«Se al comyn interessi tu, allora io posso anche sperare di conquistare Miranda!»
Non so quale espressione potessi avere assunto ma fu più che sufficiente per far preoccupare mio fratello.
«Scherzavo, Duane,» si era tornato a sdraiare accanto a me, girato di fianco in modo da non perdere di vista la mia faccia. «Ma non ho ancora capito cosa ci sia tra di voi...»
Era passato parecchio tempo dall'ultima occasione che avevamo avuto per parlare da soli, senza madri o parenti intorno, pronti a rimbeccarci su qualunque cosa. Tanto valeva essere chiari.
«Lavoro per lui,» era una risposta stupida, l'espressione di Keith me lo confermava, ma era la sola cosa certa che potessi dire sul nostro rapporto. «Siamo amanti, ma non ti so dire altro...»
Keith si era lasciato andare lungo sdraiato, dall'espressione era chiaro che la notizia non lo aveva sconvolto troppo.
«Questo lo avevo intuito,» il tono della sua voce era basso e serio. Non era più il momento di scherzare. «Sai, vero, che se zio Shann venisse a sapere che si approfitta di te lo farebbe a pezzi?»
«Non si approfitta di me,» non dovevo essere sembrato molto convinto. «Non mi ha costretto con la forza, Keith.»
La voce di Liriel che ci chiamava per il pranzo sembrò essere la naturale interruzione di quella confessione. Ma Keith non aveva intenzione di smettere, me ne sarei accorto presto.
Durante il pasto, invece, approfittando dell'atmosfera rilassata che si respirava nella piccola abitazione dello zio, comunicai a Benton la mia decisione di concludere con quel pomeriggio il mio turno di lavoro a favore del Clan McKee.
In fondo avevo un lavoro da portare avanti, se volevo vedere ancora un salario decente almeno.
Benton sapeva già del taglio fatto da Brydar all'ultima paga, Shann non aveva perso tempo a comunicare la notizia a tutti i componenti della famiglia, ma la cosa lo aveva del tutto lasciato indifferente. Sua sorella e le due cugine, più abituate di lui a trattare con la nobiltà, non si erano mostrate troppo sconvolte dalla cosa e, se Shann aveva da ridire, era di sicuro per la poca simpatia che il comyn emanava attorno a sé.
«Io credo che, al villaggio, le sole due persone che veramente non lo sopportano siano lo zio Shann e sua sorella Dana,» aveva commentato alla fine Alban, tanto per non essere tagliato completamente fuori dal discorso.
Liriel gli aveva immediatamente dato una tirata di capelli. «Non puoi dire che Dana non lo sopporti,» si era lanciata in difesa dell'amica Amazzone. «Hanno dei problemi che devono risolvere, ma lei non lo odia.»
Non ero riuscito a trattenermi dal sorridere ma, sotto lo sguardo interrogativo di tutti, non avevo trovato di meglio da fare che scuotere la testa ed uscire senza spiegare.
Se Dana non odiava il fratello era solo perché si limitava a disprezzarlo.
Ai suoi occhi, come a quelli della maggior parte dei valligiani, Brydar rappresentava il classico comyn sfruttatore. Anch'io mi trovavo d'accordo, anche se vivendoci a stretto contatto ero riuscito a cogliere particolari della sua personalità e frammenti di ricordi del suo passato che ne mostravano un aspetto del tutto diverso. Ma, se avesse continuato a tenermi fuori nonostante tutto, non sarei mai stato altro che uno dei tanti semplici conoscenti che lo circondavano e di cui si approfittava senza troppi scrupoli.


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Keith mi aveva seguito silenziosamente fuori casa, verso la collina e la distesa di covoni di erba ancora da raccogliere e portare al riparo.
Fischiettava una canzone che non mi sembrava di conoscere e aspettava solo il momento più opportuno per tornare all'attacco.
Capisco sempre più spesso il perché i comyn, o chiunque altro dotato di laran, gradiscano poco il contatto con le persone normali. L'educazione impartita ad un telepate ti costringe a tenere sempre le barriere alzate, in modo da non disturbare chi ti circonda. Un non telepate non ha questi problemi e chi è in grado di percepire i suoi pensieri deve anche preoccuparsi di difendersi da essi.
Non mi piaceva pensare a Keith come ad un peso ma, dopo gli ultimi tempi, dovevo convenire che non mi trovavo più completamente a mio agio assieme a lui.
Questo mi riportava al solito dilemma. In questi ultimi giorni sembrava che non potessi fare o dire nulla senza ritrovarmi a pensare a Brydar.
I primi giorni dopo il nostro arrivo, dopo il brusco risveglio del mio laran, mi trovavo nella stessa situazione, ma nei miei pensieri c'era Patrick. Come sempre cerco di dire a me stesso che erano pensieri diversi, che quello che provo per Pat è completamente differente da quello che mi fa provare Brydar ma, quando ci penso troppo, non vedo più molta differenza... solo che, alla fine, la vicinanza del comyn esclude completamente qualunque altro pensiero dalla mia mente.
«Sai,» era inevitabile, «forse ho capito quel'è il tuo problema, deartháir
Era impensabile che un mio prolungato silenzio lo distogliesse dall'intenzione di rivelarmi questa grande verità. Ma non avevo voglia di rispondere e speravo che, almeno per una volta, percepisse questa mia insofferenza.
«Continui a dire che ti senti legato a quel Pat, che se solo comprendesse quello che tu provi per lui saresti la persona più felice al mondo,» continuò imperterrito, «ma in realtà ti sei innamorato di quel comyn come una femminuccia.»
«Keith, lascia perdere...»
«Andiamo, fratello, quando eravamo a casa, prima di arrivare qui, tutte le volte che vedevi una ragazza che solo ti guardava interessata partivi come uno stallone nel periodo degli amori. Anche dopo il tuo ritorno dalle Pianure, dovevamo sempre litigare per stabilire chi di noi due poteva corteggiare chi. Qui, appena hai visto quel tizio, ti sei gonfiato come un pavone.»
Fece una breve pausa, per essere certo di avere tutta la mia attenzione. Ci eravamo fermati davanti ad uno dei covoni di erba appena tagliata e a stento sentivo di riuscire a trattenermi dal saltagli addosso e prenderlo a pugni, come facevamo da piccoli quando uno dei due diceva qualcosa di poco gradito all'altro. Ma questa volta gli avrei fatto male, era sicuro.
«Poi quel bellimbusto ti ha messo gli occhi addosso e ti sei sgonfiato come un otre. Non mi interessa sapere chi o da chi ti fai portare a letto, ma non mi piace quello che dicono gli zii del tuo comportamento. Che ti lasci mettere i piedi in testa da quel comyn senza reagire.»
Afferrandolo per una spalla lo costrinsi a guardarmi in faccia. Fino a quel momento non aveva mai alzato gli occhi fino ai miei, volevo che mi affrontasse a viso aperto, non parlando alle mie scarpe.
«Così, se ti dicessi che sono innamorato di Brydar, la cosa ti metterebbe il cuore in pace?»
«No,» era già qualcosa.
«Non siamo più gli stessi, Keith,» cercavo di tenere un tono di voce basso, per non fare arrivare le nostre parole fino ad Alban e Benton, non troppo distanti da noi. «Da quando mi hanno spedito nei cadetti, non siamo più gli stessi. Anche se continuassi a correre dietro alle donne, come fai tu, non potremmo più condividere tutto come prima,» gli feci cenno di tacere, prima che concludesse a voce quello a cui stava pensando. «Neppure se tu cominciassi a correre dietro a tutti i maschi di Elvas potresti dire di capire come mi sento!»
Ormai eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altro, ma le nostre voci si erano fatte sempre più forti, tanto da attirare l'attenzione di Alban.
«Allora spiegamelo, come ti senti!»
La voce di Keith si era abbassata a poco più di un sussurro, ma il cugino non smetteva di tenerci d'occhio. Dalle nostre espressioni era evidente che la conversazione andava deteriorandosi ed era pronto a chiamare Benton, nel caso la lite fosse degenerata.
Spiegarlo a lui, facile a dirsi! «Non so spiegare nemmeno a me stesso cosa sta capitando, come faccio a spiegarlo ad uno zuccone come te?»
«Sarei io lo zuccone?» Keith mi aveva afferrato per la giacca, tirandomi a pochi centimetri dal suo naso. «Chi si sta preoccupando di essere pagato solo per le sue prestazioni? Shann dice che ti sta sfruttando peggio di uno schiavo, se sapesse che non lo fa solo...»
La sola fortuna di Keith fu che Alban, non appena lo aveva visto afferrarmi per la giacca, era prontamente corso da Benton. Quando lo zio ci afferrò per i capelli, secondo lui la soluzione migliore per dividerci, io avevo guadagnato un occhio nero, ma Keith si ritrovava con lividi e contusioni su tutto il volto e lo stomaco.
«Non voglio sapere perché vi stavate picchiando,» lanciandoci letteralmente a un paio di metri di distanza l'uno dall'altro, Benton sembrava un demone vendicatore. «Tu, Keith, sei un emerito idiota. Sai benissimo che è stato addestrato nella lotta, dovevi saperlo che rischiavi di diventare una poltiglia sanguinolenta. Tu, invece,» il suo indice puntato direttamente contro il mio petto era la cosa più minacciosa che avessi visto dal primo duello senza protezioni che avevo fatto. «Dovresti essere diventato un po' più maturo di lui.»
Keith si era alzato a fatica, tenendosi lo stomaco e facendo più smorfie del necessario. «Non siamo più bambini, zio. Se vogliamo prenderci a pugni siamo liberi di farlo.»
«A guardarvi non si direbbe,» al tono di biasimo nella voce di Benton ci siamo guardati e, in effetti, non avevamo l'aspetto di due adulti maturi. «Andate da Liriel e fatevi dare qualcosa per ripulirvi. Non voglio essere nei tuoi panni quando tornerai a casa e dovrai spiegare alle vostre madri come sei riuscito a conciarti così.»
Keith aveva abbassato lo sguardo. Se avessimo riflettuto prima di cominciare ad azzuffarci, forse il loro pensiero ci avrebbe trattenuto.
Tornando verso la casa dello zio, Keith sembrò poco a poco ritrovare lo spirito combattivo.
«Duane, per quello che ho detto prima...»
«Non ti è bastato, deartháir, se troviamo un posto lontano da lui posso anche ricominciare a dartele.»
Keith scosse la testa, alzando le mani in segno di resa. «Volevo solo dire che non farei mai nulla che potrebbe metterti in difficoltà con lo zio Shann. Dopo che si è riunito con la zia Maeve è diventato iperprotettivo nei confronti di tutti, non so come faccia Gwennis a sopportarlo.» L'espressione di sollievo sul mio volto doveva essere evidente, perché anche lui sembrò tranquillizzarsi. «Sai cosa dice, che l'onore e il rispetto sono le sole cose che contano nella vita di una persona.»
«Non ti seguo, Keith,» sapevo della filosofia di vita dello zio, ma non riuscivo a capire dove volesse arrivare mio fratello.
«Quello che voglio dire... prima di lavorare per guadagnarti quelli degli altri, devi avere onore e rispetto per te stesso. Duane,» il tono della sua voce era triste quasi quanto l'espressione, «io credo che, se non chiarirai con Brydar la vostra situazione e se non decidi cosa vuoi, li perderai entrambi.»


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Ripulito e con gli abiti rimessi in ordine da Liriel, quando finalmente riuscii a tornare a casa era ormai da un pezzo passata l'ora di cena. Le luci nella cucina erano spente, segno che Miranda se ne era già andata e che Brydar aveva di sicuro già mangiato e in quel momento si trovava davanti al camino, in attesa del mio ritorno.
Non avevo fame, stavo troppo male per averne.
Keith aveva ragione e con l'ultima stoccata mi aveva ferito di più che con tutti i suoi pugni.
Cosa volevo veramente?
Che Pat mi accettasse e diventasse il mio bredu in tutti i sensi, oppure che Brydar si aprisse un po' di più, per capire cosa veramente provava nei miei confronti?
Continuare a pensare a Pat era ormai un'abitudine, me ne ero reso conto quel pomeriggio. Cercare in lui il mio compagno mi impediva di sperare in una qualche attenzione da parte di Brydar... ma potevo continuare a stare con Brydar senza mettermi in gioco... senza chiedere che lui si mettesse in gioco?
Varcata la soglia mi diressi rapidamente verso le scale e la mia stanza, speravo che Brydar si fosse addormentato e che non mi avesse sentito rientrare.
La sola luce del camino non mi permetteva di vedere ma, messo il piede sul primo gradino, ogni speranza crollò miseramente.
«Siamo così stanchi, stasera, da non fermarci neanche a salutare?»
Il tono della voce, il breve contatto telepatico per controllare che tutto andasse bene... certe volte sembrava che si preoccupasse veramente.
«Questa sera non è il caso,» ripresi la salita, senza voltarmi. «Ci vediamo domani mattina.»
Doveva aver capito che qualcosa non andava, perché non cercò di fermarmi o di seguirmi.
Raggiunsi la mia camera, buttandomi sul letto, restando a fissare il soffitto per un tempo che mi sembrò interminabile. Poi, spogliandomi per coricarmi, mi resi conto che forse era il caso di scendere per andare in bagno.
Quando stavo per risalire, Brydar mi aspettava fuori dalla sua stanza, appoggiato allo stipite, con la luce della lanterna che illuminava perfettamente il corridoio.
Mi afferrò per un braccio, facendomi girare verso di lui e prendendomi il volto tra due dita. Controllò con sguardo esperto l'occhio che stava diventando sempre più gonfio e dolente, poi mi tirò dentro la camera.
Senza parlare mi spinse contro il letto, dirigendosi poi verso la finestra. Solo quando tornò verso di me, posando una federa piena di neve e ghiaccio sull'occhio, capii cosa aveva fatto.
«Dovevi farlo subito,» commentò, sedendosi accanto a me. «Adesso ci vorrà una vita prima che l'ematoma scompaia del tutto.» Mi irrigidii quando infilò una mano ghiacciata sotto la mia camicia, ma non per il freddo. «Si può sapere cosa hai combinato?»
Cercando di rilassarmi, mentre le dita di Brydar percorrevano leggere ogni centimetro della mia schiena, dovetti schiarire un paio di volte la voce prima di riuscire a parlare.
«Ho fatto a pugni con mio fratello.»
«Keith? Non mi sembra il tipo da passare alle vie di fatto.»
«Divergenze di opinioni su come gestisco il patrimonio di famiglia.»
«Non ti seguo.»
«Mi ha ricordato che per i McKee esistono solo poche cose veramente importanti e sono l'Onore e il Rispetto...» Brydar non fece commenti, aspettando che procedessi nella spiegazione Percepiva la tensione che si era accumulata ma non riusciva a capirne il perché. «Stando con te, Brydar, sento che li sto lentamente perdendo entrambi...»
La mano di Brydar rimase come immobilizzata nella posizione in cui si trovava. Non credevo avrei mai avuto il coraggio di dirgli una cosa del genere, ma era evidente che non era il caso di proseguire oltre, nascondendo la cosa ad entrambi.
Mi alzai dal letto, la sua mano ricadde immobile al suo fianco. Non percepivo nulla da lui, la sua mente era chiusa e barricata all'inverosimile. Se l'affermazione l'avesse in qualche modo toccato o ferito sarebbe rimasto un mistero. Senza aggiungere altro uscii dalla camera, chiudendo la porta dietro di me.
Non salii nella mia stanza. Mi fermai davanti al camino, sprofondato in una delle due poltrone, avvolto nella coperta di pelliccia ad osservare le fiamme che morivano lentamente.
Per un breve istante pensai a mio fratello e al terzo grado che di sicuro aveva subito dalle nostre madri. Sarebbe toccato anche a me, la prossima volta che le avrei incontrate. Forse sarebbe stato meglio incontrare prima Keith e sentire quali erano state le sue risposte.
Da piccoli eravamo abituati a farlo, per evitare di essere presi con le mani nel sacco dopo le nostre varie malefatte. Anche se le punizioni delle nostre madri duravano veramente poco: non appena uno di noi si metteva a piagnucolare una delle due arrivava e ci coccolava entrambi, cantando ballate strappalacrime, fino a quando non era tutto passato.
Provai ad immaginare come sarebbe stato ricevere le stesse attenzioni da lui... ma volevo solo continuare a prendermi in giro.


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Qualche tempo dopo, quando la mano di Brydar si posò sulla mia spalla, mi resi conto di essermi addormentato.
Il camino era ormai spento e l'aria si era notevolmente raffreddata.
«Se non vuoi tornare dentro, almeno vai in camera. Prenderai un malanno se resti qui.»
Mi strinsi ancora di più nella pelliccia. Era inutile che facesse finta, non importava che si sforzasse.
«Non sei più un bambino capriccioso,» mi sollevò di peso dalla poltrona, portandomi in braccio fino alle scale. «Se hai intenzione di salire, ti lascio qui.»
«Mettimi giù,» mi sentivo il volto in fiamme.
Brydar sospirò piano, spostandosi dalla balaustra e tornando verso la sua stanza. Lo raggiunsi un istante prima che chiudesse la porta. Una notte in più cosa avrebbe cambiato? Non volevo restare solo.
Disteso su un fianco, attendevo solo il momento in cui si sarebbe avvicinato. Sapevo che dal momento che avesse posato anche solo una mano sul mio corpo non avrei più trovato la forza di respingerlo. Invece si sdraiò accanto a me, circondandomi la vita con un braccio e stringendomi con forza e decisione contro di sé.
Lo sentii sprofondare lentamente nel sonno, senza che il suo braccio mi lasciasse.
Con le barriere abbassate dal sonno, la mente di Brydar sarebbe stata più facile da esplorare. Non l'avevo mai fatto, non sarebbe stato leale.
Quella notte però alcuni frammenti dei suoi sogni mi raggiunsero.
Brydar era piccolo, quattro, forse cinque anni al massimo. Dalle decorazioni della sala in cui si trovava era evidente che si era appena svolta una cerimonia funebre. Non era solo, altri due bambini, più piccoli di lui, stavano piangendo copiosamente, lacrime che lui sembrava trattenere a stento.
Con loro una donna dagli abiti dimessi della servitù, lunghi capelli rossi raccolti in una folta treccia e trattenuti da due fermagli in legno decorato.
Brydar le stava chiedendo perché la loro mamma non poteva restare nel campo, assieme agli altri che venivano presi dagli Dei. L'avevano portata via prima che loro potessero vederla per l'ultima volta e loro padre si era messo a ridere quando avevano osato protestare.
Era la regola, aveva detto, nessuno di loro poteva fare nulla per cambiarla.
I tre piccoli comyn si erano stretti tra di loro e a fatica la loro balia era riuscita a portarli verso le stanza più riservate, dove le donne della famiglia erano riunite per una sorta di veglia funebre.
Nel vedere i piccoli in lacrime solo la loro sorella maggiore, di poco più grande, si era avvicinata e, tenendo la balia per una mano, era andata con loro fino alla piccola serra che costituiva il giardino privato della Domna del castello.
Sentii il cuore stringersi davanti a quel faccino triste, che chiedeva alla donna il perché della morte della madre, del suo abbandono. Nel provare la tristezza di Brydar non ero riuscito a trattenere alcune lacrime e, cercando di non svegliarlo, mi ero avvicinato di più a lui. Le sue braccia mi avevano stretto ancora più forte, mentre la voce melodiosa della balia si era sovrapposta alle immagini, lasciando la mente di entrambi piena solo di parole tristi ma consolanti.









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Disclaimers

Durante un periodo di superlavoro alla fattoria di Benton, Duane viene costretto ad affrontare tutti i dubbi che la sua relazione con Brydar sta producendo.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008