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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, maggio (28)] [Credits & Disclaimers]



Sul sentiero...

Eris Skeffington

Il sole rosso era appeso nel mezzo del cielo come una sbavatura sottile, una riga indefinita all'orizzonte, una macchia di colore sulla tela, un cuore assopito ma palpitante, una stella che riluce nel mattino, il cuscino su cui ti addormenti. E sogni. Il pesante cavallo dai fianchi possenti camminava senza posa da un intero giorno, il pelo lucido ricoperto da un sottile velo di neve e sudore lo faceva risplendere debolmente sotto i raggi del sole morente. Dietro di lui, accovacciato e avvolto dentro una coperta spessa e calda, Dillyn guidava il suo passo facendo tintinnare i campanelli dei finimenti.
Gli mancava il vociare di Catrina, il suo modo di canticchiare frasi sconnesse mischiando pezzi di molte canzoni di cui, però, non ricordava mai tutte le strofe e il modo in cui Anya, pazientemente, tornava a insegnarle le canzoni scordate.
Fiore di Stella nitrì, come se avesse sentito il nervosismo di Dillyn e lui si vide costretto a tornare a pensare alla strada da percorrere. Il carrozzone si fermò davanti ad un piccolissimo spiazzo ricoperto di neve.
«Cosa c'è Pa'? Perché ci siamo fermati?» Una testa riccioluta fece capolino dall'interno del carrozzone.
«Ci fermiamo!» annunciò il guidatore scendendo dal carro e facendo un paio di passi per sgranchirsi le gambe.
«Per il nono inferno di Zandru! Ho le chiappe congelate come se fossi stata seduta per ore intere sulla punta dei monti Kilghard!» con questa espressione colorita Kaisey balzò giù dal carrozzone, solo per ritrovarsi immersa fino alle caviglia in quella che una volta sarebbe dovuta essere neve, ma che ora era ridotta a una sorta di poltiglia melmosa e bagnata.
«CHE SCHIFFFOOOOO!» gridò disgustata arrotolandosi i calzoni fin sopra il polpaccio, rabbrividendo leggermente per il contatto gelido e mordente del freddo che superava la barriera di calore creata dalle calze.
Dillyn afferrò le briglie del cavallo e lo condusse fino alle stalle.
Erano piccole e confortevoli e c'era paglia che doveva essere stata lasciata lì dalle guardie di confine poco tempo prima. Quello era l'ultimo rifugio per un lungo tratto di strada. A giudicare da quello che aveva sentito, quella via non doveva essere molto trafficata, anzi, fu una sorpresa per lui trovare un piccolo chervine legato in un angolo della stalla.
«Dunque non siamo soli...» mormorò con dispiacere. Di solito la compagnia di qualcuno lo avrebbe reso felice, ma in quel momento essa poteva solo rappresentare un pericolo.
Con un sospiro chiuse la stalla e, stringendosi la coperta attorno alle spalle, si avviò verso il carro per controllare che tutto fosse a posto per la notte.
Jesabel teneva in braccio la piccola Ainel, che osservava tutti con i grandi occhi azzurri pieni di sonno, e i due gemelli stavano litigando rumorosamente per chi dovesse terminare il lavoro (anche se sarebbe stato meglio dire che Kaisey litigava, visto che Brennan rimaneva in silenzio senza avere la forza di ribattere alla sorella). Con un gesto significativo della mano, Dillyn li mise a tacere e si accinse a terminare lui stesso l'ultimo controllo.
Quando fu sicuro che tutto fosse a posto, il carro chiuso e al riparo sotto quello che doveva essere stato un frondoso albero e che ora, coi suoi rami intricati, offriva una specie di tettoia perfetta per l'uso che ne voleva fare, i ragazzi in silenzio e riuniti e, accanto a lui, Manuel con la sua solita espressione pacata si voltò e, superando tutti, andò ad aprire la porta del rifugio.
I cardini scricchiolarono e con fatica l'uscio si aprì, rivelando una stanza con una decina di giacigli su un lato, una balla di fieno accatastata in un angolo, sopra quelle che parevano sedie incastrate in modo da formare una bassa pila, e una porta che probabilmente doveva portare ad una latrina.
Un uomo era accovacciato di fronte al focolare, il capo coperto da un cappuccio bordato di pelliccia che celava parzialmente il suo viso, stava riattizzando il fuoco che, a giudicare dal calore che aveva raggiunto la stanza, doveva essere acceso da un po' di tempo.
Dillyn si schiarì la voce e pronunciò la frase abituale che aveva dovuto imparare col tempo: «Come ultimo arrivato, chiedo a coloro che sono venuti qui prima di me il permesso di dividere il loro rifugio.»
L'uomo si alzò come se solo in quel momento si fosse accorto della loro presenza e li fissò.
«Se non risponderai loro, Cynhil, difficilmente essi potranno entrare nel rifugio...» disse una voce maschile mentre un'altra figura usciva da quelle che si confermarono essere latrine. L'ultimo arrivato sorrise abbassandosi il cappuccio del mantello, rivelando una folta capigliatura riccioluta e scura. «Sii il benvenuto: entra in questo luogo neutrale in pace, e vai in pace.» si risolse a dire, in modo che Dillyn e la sua compagnia potessero finalmente entrare nel rifugio e chiudere nuovamente il freddo fuori dalla porta.
«Il mio nome è Conrad, amici, e questo è il mio compagno di viaggio Cynhil,» l'interpellato fece un cenno del capo e, aggiungendo solamente: «vado a vedere il chervine,» e scomparve oltre l'uscio, chiudendoselo alle spalle.
«Scusatelo... non è abituato a viaggiare...» disse stancamente Conrad, lasciandosi quasi cadere seduto su uno dei letti.
Aveva i capelli umidi probabilmente di neve, la fronte madida e le guance parevano quasi imbellettate dalle dita abili e gelide del freddo. Si passò una mano sul volto, tirando indietro i riccioli che erano scivolati scompostamente sul volto pallido e osservò per un attimo i bambini, abbassando lo sguardo davanti alle due ragazze.
Dillyn sorrise andando a prendere possesso di un'altro dei giacigli.
«Io sono Dillyn e questi sono i miei figli e i miei due compagni di viaggio. Ragazzi!» esclamò e tutti saltarono in piedi, lasciando a metà ciò a cui stavano attendendo.
«Breny, Kaiser, » disse indicando i due gemelli, «lei è Jesabel, la maggiore, » l'uomo guardò di fuggita la ragazza che arrossendo abbassò lo sguardo, «mentre la piccola è Ainel, la più giovane del gruppo,» continuò Dillyn.
«Io sono Manuel, z'par servu,» aggiunse il ragazzone avvicinandosi. Vestito con un corpetto di pelliccia pareva ancora più imponente di quanto già non fosse.
«E questa è tutta la mia compagnia,» concluse Dillyn, togliendosi gli stivali.
«Molto numerosa,» commentò Conrad con un sorriso, poi si appoggiò con la schiena al muro e tacque, il respiro leggermente affannato.
Jesabel si avvicinò al fuoco mentre Manuel la aiutava a cercare il cibo nei sacchi che avevano portato. Gli altri si misero a fare i letti o a togliersi i primi strati dei vestiti, troppo madidi di pioggia per essere utili barriere contro il freddo.
Dillyn, dal canto suo, poté finalmente avere un po' di quel riposo che da tempo agognava.
«E tu come ti chiami?» la voce di Conrad lo risvegliò dal semitorpore in cui era caduto. L'uomo stava fissando Eris che stava intrattenendo gli ospiti, supportato dai due gemelli, con una breve piece teatrale mimica. Jesabel era sempre china sul fuoco accanto a Manuel, che controllava con un occhio la cena e con l'altro i ragazzini.
Eris si tocco le labbra scotendo il capo e poi fece un inchino tanto ampio che i capelli gli finirono tutti in faccia.
Dillyn scoppiò a ridere.
«Lui è Eris, purtroppo... o per fortuna dovrei dire?... è muto.» disse rimettendosi seduto, iniziando a massaggiarsi la schiena affaticata dal lungo viaggio.
«Oh... mi spiace,» rispose l'uomo.
«A me no! Mi pare che sappia benissimo come farsi intendere... quando vuole,» ribattè Dillyn con una risata argentina e allegra che sembrò contagiare tutti fuorché una persona.
Cynhil, rientrato silenziosamente nel rifugio poco prima, stava lucidando la propria spada, seduto sulla balla di fieno che aveva fatto rotolare in un angolo poco lontano dal caminetto, ma abbastanza da non rischiare che si incendiasse.
Qualche tempo dopo si ritrovarono tutti riuniti attorno al fuoco, chi seduto sugli sgabelli di legno, chi in terra, chi sulle coperte, usate a mo' di tappeto, tutti con del cibo di vario genere in mano.
«E voi dove siete diretti?» chiese Dillyn soffiando sulla minestra bollente nella ciotola di terracotta.
Cynhil alzò per un attimo impercettibilmente il capo e i suoi occhi di ghiaccio cercarono immediatamente quelli del compagno il quale, dopo un lieve cenno del capo, rispose a Dillyn, posando il cucchiaio nel proprio piatto.
«Andiamo verso Serrais,» rispose con un tono strano, e con un sorriso vago che lasciò interdetto Dillyn.
"Che sia nervoso?" pensò e riabbassò il capo ricominciando a mangiare lentamente, non notando gli sguardi che i due si scambiavano.
«Oh, è un bel viaggio...» commentò Jesabel imboccando la piccola che pareva non voler toccare cibo.
L'uomo biondo, Cynhil, la incuriosiva e sembrava aver attirato anche l'attenzione di Eris che, guardingo, lo osservava.
Quello che la donna non aveva notato, ma che all'esame dell'albino non era sfuggito, era il pugnale che l'uomo teneva legato alla cinta, un pugnale degno di un comyn, ricco e pregiato, e anche la spada era sicuramente preziosa e affilata. Eris si chiese se fossero comyn o banditi delle terre aride, come i capelli biondissimi di Cynhil lasciavano intuire.
Sorrise all'uomo, che aveva preso a fissarlo con una espressione enigmatica in volto, e gli fece un leggero inchino (ovviamente plateale).
Se fossero stati banditi o meno, lo avrebbero scoperto questa notte, ad ogni modo.


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La notte calò, stringendo nelle sue braccia gelide e inospitali la capanna. Due lucerne, deboli e fioche, illuminavano le pareti di fondo della stalla, riscaldandole e lasciando così che un profumo resinoso si levasse nell'aria. Accanto ad esse, due figure si stagliavano creando fitte ombre nette e scure.
Cinhyl fissò il suo interlocutore, gli occhi rapaci e attenti avevano quel lucore distaccato che da tempo li contraddistingueva.
Si chiese da quando i ruoli si erano invertiti, quando era diventato lui quello che doveva affidarsi a Conrad?
Sospirò, scuotendo il capo in segno di diniego. «Stiamo sbagliando, Conrad,» disse, scostando la mano che il ragazzo gli aveva posato sulla spalla e voltandosi a chiudere le cinghie che bloccavano i pacchi sul dorso del chervine.
«Forse...» mormorò Conrad con un sorriso pallido, voltandosi a fissare l'angolo più scuro della stalla, solo per non pensare ad altro, per non sentire ancora quella spossatezza che gli calava addosso come un macigno e di cui pensava Cinhyl non sapesse nulla.
Se solo fosse stato più attento, se, anziché perdersi nella rete dei pensieri, avesse aguzzato meglio la vista, osservando meglio quell'angolo in cui il buio creava una cortina spessa e oscura avrebbe potuto notare degli occhi vivaci e maliziosi che lo guardavano, ma non lo fece e questi tornarono nel buio, oltre quel velo pesante di oscurità.
Eris sorrise tra sé e sé, tornando al suo giaciglio: quei viaggiatori non erano briganti ma fuggitivi come loro e, mentre si tirava le coperte addosso, attutiti dalla neve, otto paia di zoccoli di chervine si allontanavano silenziosamente portando con loro due figure ammantate, nella notte.









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Disclaimers

Arriva al villaggio la carovana di Dillyn Shefton, un girovago accompagnato dalla famigla e dal giovane Eris Skeffington.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008