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La voce del sangue

Gwennis n'ha Hannah

Quella sera al Northern Scoundrel, Shann stava sorseggiando un bicchiere di firi. Girato verso la sala, con un gomito appoggiato al banco, contemplò gli avventori e si permise un sorriso. La taverna vibrava della vita di Elvas, dell'anima del luogo che lui era ormai giunto a considerare casa. Era felice che fosse ancora un posto così tranquillo, pressoché sconosciuto al resto del mondo. Il crimine era limitato, gli scambi fra contadini e artigiani non erano ancora toccati dalla corruzione, e i soli nemici erano gli elementi e la dura natura di Darkover. In momenti come quelli Shann sentiva più che mai che la sua lealtà verso Dom Damon era stata ben riposta.
La porta della taverna si aprì in un sibilo di vento. Quando Shann posò gli occhi sulla solitaria figura ammantata di grigio, gli parve che un incubo avesse fatto irruzione nei suoi sogni di pace - un incubo tragicamente familiare. Un terrore superstizioso lo prese alla gola. Per Zandru, non avrebbe mai dovuto rilassarsi nel pensiero che tutto stava andando bene. In preda alla confusione, ebbe solo la presenza di spirito di girarsi mentre il nuovo venuto si stava ancora guardando attorno, e chinarsi sul proprio bicchiere con una mano sul viso, come un ubriaco.
Alar aveva visto molte cose in vita sua, ed era convinto che molte altre non le avrebbe mai viste. Per esempio, Shann McKee in preda al panico. L'ex soldato era sbiancato in viso, gli occhi colmi di angoscia, e ora stava disperatamente cercando di non farsi notare. Lo sguardo del locandiere corse immediatamente allo straniero che stava venendo verso il banco. Alar continuò ad asciugare i bicchieri.
«Buona serata, amico,» disse, quando l'uomo fu vicino. «Che posso servirti?»
Senza badare a Shann, l'uomo si scrollò di dosso alcuni fiocchi di neve gelata. «Niente,» disse, con voce fredda. «Sto cercando un uomo.»
«Mi spiace, qui tengo soltanto donne,» sogghignò Alar.
Lo straniero lo fissò in una maniera che gli avrebbe fatto quasi gelare il sangue; ma finché si limitava a fissarlo Alar sentiva di poter controllare la situazione. «Non sto cercando una notte di piacere. Sto cercando un uomo di nome Damon Aldaran.»
Alar guardò impassibile lo straniero. Doveva esserci una ragione per la reazione di Shann: poteva essere una marmotta sotto tanti altri punti di vista, ma non bisogna scherzare con l'istinto di un soldato. Scosse la testa. «Mai sentito.»
«Ne sei sicuro?» insistette lo straniero. «Forse non usa questo nome. Un uomo alto, attraente, capelli chiari, barba ben curata, viso amichevole.»
Alar scrollò le spalle. «Non mi pare proprio. Sembra la descrizione di un Comyn. Ci sono solo contadini, qui.»
Lo straniero lo fissò, soppesando le sue parole. Alar sostenne tranquillamente il suo sguardo. Senza una parola, l'uomo si girò e uscì di nuovo.
Quando la porta si chiuse, Shann emise un sospiro di doloroso sollievo. Alzò la testa e guardò Alar. «Grazie,» mormorò. Gettò un'occhiata verso la porta, in preda a un'indecisione drammatica. Un'indecisione subito infranta. «Alar,» disse, «fai sapere a Gwennis che si dimentichi della mia esistenza. Che non vada a casa mia e che non parli di me con nessuno. Fino a quando non sarò io a cercarla...» Shann parve voler aggiungere qualcos'altro, poi ci rinunciò.
Alar annuì, e prima che potesse fargli altre domande l'ex soldato aveva attraversato la sala per uscire nella gelida serata.


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Damon stava riconducendo il suo cavallo nella stalla privata all'interno del cortile della Torre dopo un giro fra gli abitanti delle fattorie. La voce fredda alle sue spalle interruppe i suoi pensieri. «Buona sera, Dom Damon.»
Damon non sentiva da anni quella voce, eppure non l'avrebbe dimenticata facilmente. Inutile far finta di nulla. Si girò lentamente, con una sensazione di fatalità schiacciante. «Buona sera a voi...» Gettò una buona occhiata all'uomo. «...capitano Bertrand.»
Lo straniero aveva lasciato ricadere il lembo del mantello grigio. Sotto portava l'uniforme del capitano delle guardie di Castel Aldaran, la stessa che aveva indossato Shann McKee. E così, era questo l'uomo che suo padre aveva scelto. Evidentemente, non soltanto le cose non erano migliorate, ma la politica del vecchio Dom Aldaran non faceva che scendere verso l'abisso.
«Vi siete risistemato un bel posticino, da queste parti,» disse Bertrand con voce ironica, alzando lo sguardo verso i muri della Torre.
Damon non staccò lo sguardo da lui. «Che cosa volete da me, capitano Bertrand?»
L'uomo abbassò di nuovo gli occhi sull'Aldaran. «Vostro padre vi manda i suoi saluti.»
Damon fece un lievissimo inchino con la testa, non abbastanza brusco da infastidire, non abbastanza profondo da essere ossequioso. Così stavano le cose. Suo padre l'aveva trovato. Che cosa avrebbe fatto di lui e di Elvas? In quali modi poteva danneggiarlo? Quali sarebbero state le conseguenze per la popolazione?
Bertrand si inchinò a sua volta, con una chiara sfumatura di scherno. La sua missione era compiuta. «A presto, Dom Damon.» Si girò per andarsene e si trovò di fronte Shann.
L'ex soldato pareva pronto ad aggredire Bertrand a mani nude. Gettò un'occhiata a Damon. «State bene?»
Damon annuì con il suo abituale aplomb.
Bertrand sollevò gli angoli delle labbra in un sogghigno. «Shann McKee. E così non ti ha ucciso l'inverno degli Hellers.» Shann non rispose, e continuò a fissarlo minacciosamente. «Non mi aspettavo tanta fortuna,» riprese Bertrand. «Finalmente potremo saldare quel vecchio conto, non è vero? A rivederci presto... capitano.» Sputò l'ultima parola come un insulto e si girò per scomparire nella notte.
Damon lo guardò andarsene, poi fissò Shann. Questi appariva profondamente turbato. «Che cosa voleva da voi, signore?» chiese.
Damon sospirò. «Soltanto comunicarmi che mio padre sa dove sono.»
Shann strinse i denti. «Dannazione. E io, che idiota...» Fece una smorfia di fastidio. «Se non mi fossi fatto vedere, non avrebbe scoperto di me...»
«Un giorno lo avrebbe scoperto comunque,» disse con calma Damon. «Come ha scoperto me. Che cosa intendete fare, Shann? Che cos'è questo conto in sospeso?»
Shann lo guardò con una lontana tristezza. «È successo dieci anni fa,» disse. «Voi eravate un ragazzo... non potete aver conosciuto i fatti. Scusatemi, signore. Sappiate che è stato un onore essere al vostro servizio e che non ho mai fatto nulla di disonorevole... se non in risposta a un disonore più grande. Addio.» Senza una parola, si girò e lasciò il cortile della Torre.
Damon lo guardò pensierosamente. Fece un passo verso la soglia della Torre, e chiese piano: «Hai idea di che stesse parlando?»
Ci fu un luccichio e Kelan uscì dalle ombre, con in mano la spada sguainata. «Ha parlato di dieci anni fa... Ero un ragazzo anch'io, ma non è quello il periodo in cui Shann è diventato capo delle guardie di tuo padre?»
Damon annuì. «Aveva molti nemici già allora. In molti non avevano apprezzato il fatto che avesse ottenuto quel posto così giovane. E poi...» Corrugò la fronte, colto da un ricordo più cupo.
«Già,» confermò Kelan. «Fu dopo la morte del capitano Giley. Una brutta storia...» Guardò Damon con occhi sbarrati. «Anche Giley aspirava al posto di capo delle guardie. Non penserai che Shann lo abbia ucciso per poterlo scavalcare? E in quel modo, per giunta?»
Il labbro di Damon si contrasse per il disgusto. «Ricordo che cercarono di tenere nascosta la faccenda a noi ragazzi, ma noi avevamo un fiuto per le storie macabre, come tutti gli adolescenti.» Rabbrividì. «Ma devo ammettere che quando scoprii che cosa esattamente gli avevano fatto... e dove avevano ritrovato tutti i pezzi del suo corpo, in particolare... ugh.» Damon accantonò quel pensiero.
«No, non può essere stato Shann,» ribadì Kelan.
«Non lo Shann che conosciamo noi, per lo meno,» disse Damon, scuotendo la testa.


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Shann tornò alla sua bottega, strisciando fra le ombre gettate dalle lune fra le case di Elvas. Non poteva permettersi di lasciare Bertrand in vita, ora che il capitano sapeva di lui. Se non avesse agito in fretta... Bertrand lo avrebbe ucciso, Aengus sarebbe rimasto orfano, Gwennis probabilmente non avrebbe apprezzato la cosa e Dom Damon avrebbe perso il suo sostegno; senza contare tutti gli altri innocenti che avrebbero potuto essere coinvolti. Shann non aveva alternative. Eppure, mentre raggiungeva la porta sul retro di casa sua e vi si appoggiava per un attimo, guardandosi attorno per essere sicuro che nessuno lo vedesse rientrare, una devastante stanchezza si impadronì di lui. Se non fosse stato per quei legami d'affetto, non gli sarebbe importato un soldo della sua vita. Il destino di un soldato era di morire combattendo, e prima o dopo non faceva differenza. Shann aveva vissuto un breve e dolce sogno per il quale era ancora disposto a lottare; ma non si faceva illusioni. Se avesse ucciso Bertrand, non sarebbe passato molto tempo prima che qualcun altro lo scoprisse e decidesse di vendicarlo, come Bertrand voleva vendicare Giley; e se Bertrand avesse ucciso lui... ebbene, non sarebbe stato poi così strano.
Entrò nella bottega, guardandosi attorno. La stanza era vuota e buia. A colpo sicuro, Shann si diresse verso l'armadio dove teneva i suoi recenti lavori d'artigianato, lo scostò dal muro e cercò nel buio recesso polveroso dietro di esso. Ne estrasse una spada in un fodero di cuoio e se la cinse in vita, poi afferrò il mantello bordato di pelo e uscì di nuovo nel freddo del vicolo.
Dove poteva essere Bertrand? Era forse tornato da Alar? Difficile. Non avrebbe certamente voluto uno scontro in pubblico. Si era probabilmente accampato nei boschi fuori dal villaggio: il freddo non era più tale da impedire di passare la notte davanti al fuoco. Sì, probabilmente era là che Bertrand lo stava aspettando. Ci sarebbe anche stata una certa giustizia poetica: quando Shann era fuggito da Castel Aldaran, aveva potuto liberarsi dei suoi inseguitori solo tendendo loro un agguato nel bosco. Inoltre, se si affrontavano fuori dal villaggio era meno probabile che venissero coinvolti degli innocenti. Non che questo a Bertrand importasse molto; ma doveva sapere che a quel modo sarebbe stato più facile attirare Shann.
L'ex capitano uscì a piedi dal villaggio, attento a non lasciarsi prendere in trappola; ma poco oltre il limitare dei boschi vide il bagliore di un fuoco. Bertrand non stava affatto cercando di nascondersi. Shann si avvicinò al fuoco, mantenendosi nell'ombra degli alberi e camminando senza rumore sulla terra indurita dal gelo. Cercò di scrutare la scena da lontano ma non vide altro che il fuoco da campo e alcuni fagotti e bisacce, e più in là i cavalli legati ai tronchi degli alberi...
«È una trappola,» comprese d'un tratto, e si schiacciò contro un albero girandosi istintivamente. Dietro di lui erano schierati Bertrand e altri otto soldati della guarnigione di Castel Aldaran.
«Dunque il tuo stile non è cambiato, Shann McKee,» disse il capitano, a braccia conserte. «Attacchi sempre a tradimento. Così come hai attaccato Giley... così come hai attaccato i tuoi stessi uomini la notte che sei fuggito.» Shann lo guardò a viso duro. «Io desideravo solo andarmene,» ribatté. «Dom Aldaran non aveva il diritto di scatenarmi dietro i soldati per uccidermi. Solo contro dodici, ho dovuto difendermi come ho potuto. E quanto a Giley...» Il labbro di Shann si increspò in una smorfia di disprezzo. «Dunque lo sapevi, e hai tenuto nascosto l'accaduto per cinque anni! Ma non hai potuto difenderlo quando ho scoperto la verità. Ha meritato tutto quello che gli è successo.»
«Lo dici tu,» disse Bertrand in un ringhio sommesso. «Chiunque avrebbe detto che Giley non aveva fatto nulla di strano, nulla che non fosse nel suo diritto.»
«Forse a quell'epoca avrei chiuso un occhio anch'io,» ribatté Shann, disgustato di se stesso. «Ma quello che ha fatto, lo ha fatto a mia sorella!» Sguainò la spada, mentre con l'altra mano si sbarazzava del mantello. «E tutti coloro che lo hanno protetto dovranno pagare con la vita!»
«Vedo che abbiamo ancora punti di vista molto diversi,» disse Bertrand con calma. Si scostò da un lato, e fece un cenno ai suoi uomini, che a loro volta estrassero la spada.
«Otto contro uno,» disse piano Shann. «Anche lo stile di Castel Aldaran non è affatto cambiato.» Prima che i soldati si muovessero, gettò un urlo di guerra e scattò verso il più vicino. Quello non ebbe neanche il tempo di difendersi che Shann gli affondò la spada nel petto.
Momentaneamente storditi dalla sorpresa, gli altri sette esitarono. «Che aspettate, idioti,» disse Bertrand. Shann stava già girandosi per affrontarne un altro. I soldati si riscossero e gli si strinsero attorno. Shann roteò la spada facendosi largo, poi balzò indietro e mosse alcuni passi su per una lieve altura, mettendosi con le spalle a un grosso masso e impedendo temporaneamente ai soldati di accerchiarlo. Ne spinse giù uno con una pedata in mezzo al petto, mandandolo a rotolare contro un albero, riuscì a disarmarne un altro facendogli volar via la spada, e, con un colpo particolarmente fortunato mentre si difendeva dagli attacchi dei restanti cinque, menò un fendente al collo di un aggressore staccandogli quasi la testa. Quello che aveva perso la spada appariva terrorizzato e non si riunì subito alla mischia, e l'altro giaceva stordito ai piedi dell'albero; ma ne rimanevano pur sempre quattro, e adesso i muscoli di Shann cominciavano a dolere, il sudore gli colava negli occhi e il respiro gli bruciava in petto. Non aveva più vent'anni, e da mesi non prendeva più in mano la spada. Uno dei soldati lo colpì di piatto alla spalla destra, senza ferirlo, ma con forza tale da intorpidirgli il braccio. Shann si passò la spada nella mano sinistra e con la destra afferrò l'arma di uno dei caduti per usarla come scudo. Ma ormai era solo questione di tempo.
«Non uccidetelo,» li avvertì Bertrand in tono mellifluo.
Shann ricevette una gomitata in pieno viso. Cercò di difendersi alla cieca, stordito dal dolore, ma uno dei soldati gli afferrò il braccio destro. Con il sinistro l'ex capitano delle guardie riuscì ancora a restituire quasi il colpo, sbattendo l'elsa della spada in faccia a uno degli aggressori, ma un altro gli bloccò il braccio sinistro. Shann si dibatté con tutte le forze che gli rimanevano, costringendo i due uomini a usare entrambe le braccia per cercare di tenerlo fermo. Mentre il quarto aggressore avanzava, Shann si chinò di scatto, riuscendo a sbilanciarne uno e a fargli perdere la presa per poi allontanarlo con un calcio, ma a quel punto quello che aveva preso il colpo in faccia ritornò alla carica, furente e gocciolante sangue dal naso, e lo afferrò a sua volta, sia pure troppo vicino alla spalla. Shann girò la testa di scatto e gli morse la mano fino all'osso.
Gli uomini ancora vivi stavano cercando di ritornare alla carica e Shann si difendeva come un demonio. Bertrand sbuffò. «Che noia,» disse, «e che branco di incapaci.» Si avvicinò alla mischia, prese uno stiletto dalla cintura, attese un'apertura e al momento buono lo affondò nel fianco di Shann.
Il dolore lo trafisse come una vampata di fuoco. Per un attimo, Shann rimase paralizzato, incapace di trarre un respiro, fissando Bertrand con attonita angoscia. Bertrand estrasse di scatto lo stiletto, e Shann emise un ansito violento. Tutta la sua forza e la capacità di sfida lo abbandonarono. I soldati gli lasciarono andare le braccia, e lui cadde in ginocchio, cercando di coprirsi la ferita con le mani.
«Bastardo,» ringhiò quello che era stato morso, e gli sferrò un violento calcio nel fianco. Shann urlò, crollando a terra in un debole tentativo di rannicchiarsi. Il soldato si trasse indietro per colpirlo di nuovo. «Strilla pure come una donna, figlio di una cagna!»
Bertrand sorrise soddisfatto, poi fece un cenno bonario al suo soldato. «Vacci piano,» disse, saggiando con il pollice la punta del pugnale sporco di sangue. «Abbiamo tante cose da fargli scontare, deve durare abbastanza.» Si inginocchiò accanto a Shann e gli appoggiò delicatamente il pugnale sul viso. «Che ne dici,» sussurrò, «da dove vogliamo cominciare?»
«Vi sbagliate, capitano Bertrand,» disse una voce, «avete già finito.»
Damon uscì dal fitto del bosco, con Kelan al suo fianco. Entrambi avevano la spada in pugno. E non erano soli: con loro apparvero Alar con un'ascia e Gwennis con la sua daga. A quel punto i sei soldati sopravvissuti di Bertrand erano riusciti a raggrupparsi, perfino quello che aveva perduto la spada, ed erano schierati fra loro e Shann. Steso a terra in una nebbia di dolore, Shann fece in tempo a vedere Gwennis che si gettava contro i suoi tormentatori, poi l'oscurità salì lentamente a inghiottirlo.


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Gli otto soldati di Bertrand erano riusciti con fatica a sconfiggere Shann, perdendo due uomini. Lo stesso Bertrand, il miglior uomo di Dom Aldaran, uno che forse sarebbe stato in grado di avere la meglio su Shann in singolar tenzone, era sceso in campo contro i quattro di Elvas accanto ai sei sopravvissuti. Meno di mezz'ora dopo, il solo Bertrand era ancora in piedi, e sanguinava da una ferita alla tempia. Due dei suoi uomini erano feriti, gli altri erano morti. Alar, sebbene ferito alla coscia, teneva sotto controllo il capitano, bilanciando l'ascia sulle mani con un sogghigno che pareva invitarlo a fare anche solo un piccolo movimento.
Damon si asciugò il sangue da un taglio sul labbro. «Allora, Kelan? Puoi fare qualcosa per lui?»
Kelan aveva piantato la spada insanguinata nel terreno e ora era inginocchiato accanto a Shann e gli teneva una mano sulla ferita, sotto il mantello con cui lo avevano coperto per tenerlo al caldo. «Credo di essere riuscito a fermare il sangue,» disse. «Ma la ferita è profonda.»
Gwennis teneva in grembo la testa di Shann, accarezzandogli i capelli. Sollevò su Kelan gli occhi invasi dalle lacrime, ma il suo viso era chiuso in una morsa spietata. Poi abbassò di nuovo lo sguardo sugli occhi chiusi di Shann e gli appoggiò una mano sul petto, sentendo respiro affrettato e il battito del cuore troppo lento e irregolare. «Vuoi che vada a cercare un carro?» chiese a Kelan con voce roca.
«No, non c'è tempo. Se mi aiutate, appena l'ho stabilizzato lo porteremo noi stessi.»
«E che ne facciamo di questi?» chiese Alar in tono ironico.
«Tagliagli la gola,» replicò Gwennis, gelida. Depose delicatamente la testa di Shann sul proprio mantello piegato e si alzò in piedi. «No, anzi, lasciali a me.»
«D'accordo, sorella,» disse gioiosamente Alar, scostandosi. Alla vista della Rinunciataria che avanzava con la daga in mano e con il volto di una belva, Bertrand si vide morto, e in maniera niente affatto piacevole.
«No, fermatevi, Madre,» disse Damon. «Non possiamo ucciderlo.»
«Io credo di poterlo fare benissimo,» scattò Gwennis. Damon allungò una mano e l'afferrò per un braccio. La donna provò la scossa della personalità dell'Aldaran e resistette, afferrandogli a sua volta la mano. Per un attimo fu uno scontro fisico come di volontà.
«Non voglio che finisca così,» disse Damon in tono quieto.
«E come diavolo deve finire?!» gridò Gwennis.
«Per una volta sono d'accordo con lei,» disse Alar. «Ehi, che Shann viva o muoia a me personalmente non cambia la vita, ma mi piacerebbe proprio dare una bella lezione anche a questi.»
«No,» ripeté Damon. «Mio padre ha mandato questi uomini per farmi pervenire un messaggio. Ebbene, ora io glieli rimando con un messaggio da parte mia: Damon Aldaran uccide solo per difendersi.» Guardò Bertrand dritto negli occhi. «È così che vanno le cose a Elvas.»
Gwennis e Alar lo fissarono attoniti, e perfino Kelan sollevò per un attimo lo sguardo da Shann. Era la prima volta che Damon pronunciava ad alta voce il proprio vero nome.
Gwennis lo lasciò andare di scatto, si girò rinfoderando con rabbia la spada e sferrò un calcio a un sasso. Poi si inginocchiò di nuovo vicino a Shann e si chinò su di lui, ridiventando in un solo battito di ciglia una donna dolce e addolorata. Senza vergogna, gli prese il volto fra le mani e gli baciò le labbra.
Alar scrollò le spalle. «Se così vi piace, Dom Damon.» Si rivolse ai tre soldati. «Sentito? Sparite, prima che cambiamo idea!» I tre fecero per spostarsi verso i cavalli. «Niente da fare, ve ne andate a piedi!» esclamò Alar, e ribadì il concetto facendo roteare l'ascia e piantandola con uno schianto nel terreno. I tre cambiarono rapidamente direzione e sparirono di corsa nel bosco.
Alar tornò indietro, soddisfatto dalla pronta obbedienza dei soldati. Shann stava cominciando a riprendersi, sotto le cure di Kelan e le tenere attenzioni di Gwennis. «Sentito?» gli disse il locandiere. «Ti sei guadagnato nove cavalli. Anzi, cinque a te, poi c'è la mia percentuale...»
Shann non era ancora abbastanza coerente da rispondergli per le rime, ma Kelan emise un profondo respiro e si rialzò, strofinandosi sulla camicia la mano sporca di sangue. «Coraggio,» disse, «portiamolo a casa.»


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Come Kelan aveva avvertito, la ferita di Shann era crudele, un colpo preciso destinato a dare una morte lenta. Ora che non era più al suo fianco, avendolo lasciato solo con Kelan in una stanza della Torre, Gwennis provava di nuovo il desiderio di sentire Bertrand urlare di dolore. Strinse gli occhi e cercò di non pensarci. La rabbia poteva solo peggiorare la situazione. Concentrò lo sguardo fuori dalla finestra, sul freddo panorama pallido sotto la luce delle lune.
Mikhail si era offerto di tenere d'occhio Aengus in una delle stanze di sotto. Alle spalle di Gwennis, Benton passeggiava su e giù nella piccola anticamera. Il giovane era fuori di sé dall'angoscia. «Mi ha detto che vuole che sia io a occuparmi di Aengus, se...»
«È una buona scelta,» disse piano Gwennis, senza girarsi. «So che tu e Liriel sareste due bravi genitori.»
«Ma io non voglio!» esclamò Benton. «Non voglio che mio fratello muoia. L'ho appena ritrovato! Che cosa farei senza di lui?»
Gwennis alzò lievemente il mento. «Un soldato alla sua età è già vecchio. Ha vissuto una vita piena. Se muore adesso, non avrà nulla da rimpiangere.»
Benton la guardò allibito. «Stai scherzando?» sbottò con rabbia. «Shann non è più un soldato da anni. È ancora giovane! Non può morire così. Ma che cos'hai al posto del cuore, donna?!»
Gwennis continuò a guardare fuori, il volto riflesso nel vetro. «Soltanto freddo, paura e dolore.»
Il viso di Benton si ridistese nella sorpresa. «Mi dispiace,» disse, «io...» Fece un passo avanti, incerto, e le mise una mano sulla spalla. Gwennis abbassò di nuovo gli occhi, e riconobbe la sua presenza toccandogli brevemente la mano con la sua.


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Seduto accanto al letto in cui giaceva Shann, Kelan scrutò il viso pallido e immobile dell'uomo cercando di capire che cosa ci fosse che non andava. Dopo quel breve momento di lucidità quando lo avevano riportato alla Torre, Shann era caduto in un torpore sempre più profondo. Questo era stato utile mentre Kelan lo curava, e ora era giusto che riposasse; il suo respiro e il battito del suo cuore erano di nuovo regolari. La ferita aveva cessato di essere mortale quando Kelan l'aveva chiusa; Shann aveva perso molto sangue, ma se era rimasto vivo fino a quel punto ora non aveva altro da fare che recuperare. E invece, Kelan sentiva la sua consapevolezza allontanarsi sempre di più, come un uomo che stia scivolando dal sonno alla morte.
Frustrato, Kelan tese la propria mente all'inseguimento delle tracce di quella di Shann. Spiccò il volo e risalì fra le nebbie e l'oscurità, fino a cogliere con chiarezza la sua presenza. Allora ridiscese e si posò sulla piana spoglia, vicino all'alta ombra verde cupo della Torre.
Poco lontano c'era un ragazzino che stava guardandosi attorno con aria curiosa. Se avesse potuto, Kelan avrebbe sorriso. Dunque era così che Shann immaginava se stesso, ed era una sorpresa. Un ragazzo magro, dal viso dolce e sottile sotto i capelli biondi, gli occhi grandi e luminosi e innocenti. Un ragazzo che non aveva ancora conosciuto la passione, la guerra e la morte.
«Shann,» lo chiamò Kelan.
Il ragazzo si girò. Lo vide e sorrise stupefatto. «Non ho mai sentito un'aquila che parla.» Si avvicinò, cauto e giocoso, e si chinò a guardarlo con le mani sulle ginocchia.
«Sono Kelan, Shann. Vieni a casa con me.»
Il ragazzo si raddrizzò e il sorriso scomparve. «Perché? Sto bene qui.»
«Perché non è il tuo momento. Quelli che ami hanno ancora bisogno di te.»
Il ragazzo scrollò le spalle con rabbia. «Non so di cosa stai parlando,» disse. «Qui è così bello... così in pace. Ho desiderato tanto un posto così. Non voglio tornare laggiù!»
«Eppure è lì la tua vita,» insistette Kelan. «E la vita è dolorosa. Arrendersi sarebbe da vigliacchi.»
«Non sono un vigliacco!» scattò il ragazzo. Il vento fece frusciare le piume di Kelan, investito dall'impatto delle emozioni e delle immagini che Shann stava cercando di tenere lontane. Vide scene di guerra e di sangue, dal primo uomo che Shann aveva ucciso, fino all'ultimo, poche ore prima. Vide le lacrime di sua sorella e lo spettacolo orrendo della morte di Giley e dello scempio del suo corpo. Provò il dolore e la delusione per il comportamento di Dom Aldaran, per aver dovuto uccidere tanti buoni commilitoni, la rabbia e la frustrazione per le angherie che aveva subito Gwennis da ragazzina, la paura che Aengus crescesse in un mondo malvagio, il coraggio con cui per anni Shann aveva fatto fronte a tante angosce, e la stanchezza con cui ora le stava rifiutando.
Kelan si concentrò. Con pazienza, cercò di aprirsi la strada fra tutte quelle emozioni negative e di trovare le scintille di luce calda nell'oscurità. Le portò allo scoperto, cercando di non disturbare in altro modo la mente di Shann. La dolcezza di sua madre. La prima volta che aveva fatto l'amore. La bellezza delle corse a cavallo nelle praterie arrossate dal sole. L'orgoglio quando era stato nominato capo delle guardie, per i suoi meriti e a dispetto della sua giovane età. L'amicizia e il rispetto, così spesso inattesi... come quando aveva visto Alar arrivare a salvarlo assieme agli altri. La scoperta di non essere mai stato davvero innamorato fino a quando Gwennis a Caer Donn aveva ricambiato il suo sguardo; la prima notte trascorsa insieme, avvolti nei loro mantelli, il dono prezioso che lei gli aveva fatto. La prima volta che lei gli aveva messo in braccio Aengus. Le notti fredde nella stanza dietro la bottega, ad addormentarsi sotto le pesanti coperte con Gwennis e il bambino in mezzo a loro...
«No!» gridò il ragazzo. «Non mi interessa. Sono solo illusioni!»
«Non è vero, Shann. Anche questa è la tua vita. Sei sicuro di voler rinunciare?»
«Sì! Lasciami in pace, lasciami dimenticare queste cose. Possono solo portare dolore!»
«E allora vuoi essere tu stesso la causa di altro dolore?» Kelan non avrebbe voluto arrivare a farlo deliberatamente soffrire, ma era la sua ultima speranza. Gli mostrò Gwennis e Benton in piedi davanti alla finestra, angosciati e stanchi, ansiosi solo di una buona notizia che sembrava allontanarsi di momento in momento.
«No,» disse il ragazzo ostinatamente, quasi in un singhiozzo. «Non voglio, non così...»
«Non c'è scampo, Shann. Se tu non torni, li farai soffrire. Lo so che non vuoi... puoi fare ancora tanto per loro. Non preferisci tornare?»
Il ragazzo si coprì il viso con le mani. Kelan gli concesse ancora quegli istanti di lacrime innocenti, che Shann il soldato non avrebbe mai saputo permettersi. Lo lasciò piangere per un poco per sé e per il mondo, poi, con immenso sollievo, lo vide rialzare il viso con espressione determinata. «Che cosa devo fare?»
«Seguimi,» disse Kelan. Allargò le ali e si staccò da terra, volando verso il ragazzo con lenti battiti, passandogli sopra la testa e poi roteando di nuovo per controllare dov'era. Vide che aveva cominciato a correre con lui, e allora riprese la rotta con sicurezza, fendendo l'aria buia verso le stelle...


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«Ti ha mai detto nessuno, fratello,» disse Shann fissando il piatto di liquido fumante davanti a lui, «che la tua cucina fa schifo?»
«Mangia la buona minestrina,» replicò gioiosamente Benton.
«Preferirei un chervine allo spiedo.»
«Lo sai che ancora non puoi, l'ha detto Kelan.»
Con un grugnito, Shann prese una cucchiaiata della sbobba fumante, la fissò torvo e la mandò giù fra smorfie di disgusto. «Se non me lo porti tu me lo vado a prendere personalmente.»
«Lo sai che non puoi uscire, Kelan dice che...»
«Oh, piantala!» sbottò Shann con finta esasperazione, ben consapevole di quello che doveva a Kelan.
La porta si aprì e in un turbinio di vento entrò Kelan stesso, insieme a Gwennis, infagottata nel mantello. «Stavate parlando di me?» chiese il giovane.
«Ma allora sei davvero un grande telepate!» esclamò Benton.
«Veramente sei tu che parli ad alta voce, ti si sente da fuori,» disse Gwennis.
Shann ridacchiò. Gwennis richiuse la porta, si fermò accanto al camino, e quando aprì le falde del mantello apparve il musetto un po' arrossato del piccolo Aengus. «Vai da kiyu Benton,» disse lei, e glielo mise in braccio. Poi si rivolse a Shann. «Come andiamo stasera?»
«Una meraviglia,» grugnì lui, fissando la sbobba ora fredda. Gwennis gli grattò la nuca, e Shann sollevò il viso e le rivolse un gran sorriso.
«Volevo controllare la ferita,» disse Kelan, «che non faccia infezione. È passato abbastanza tempo, ma meglio essere sicuri.»
Shann annuì, scostò la sedia dal tavolo e cominciò a sollevarsi la camicia.
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
I quattro rimasero immobili. La mano di Shann automaticamente si mosse verso la sua spada, che ultimamente stava appesa allo schienale di una sedia in cucina. Gwennis estrasse la daga e andò alla porta, mettendo la mano sulla maniglia. Di solito i pochi amici di Shann entravano direttamente o si annunciavano da fuori.
«Chi è?» disse Shann.
Ci fu una pausa, poi una voce giovane e incerta disse: «Sono Alban McKee.»
Benton, Kelan e Gwennis si scambiarono uno sguardo perplesso. Shann pareva folgorato. «Entra,» disse, anche lui con voce non troppo stabile.
La porta si aprì ed entrò uno smilzo ragazzino biondo, infagottato in abiti da viaggio e con una spada quasi più grossa di lui. Kelan lo fissò sbalordito. Era il ritratto vivente della visione che aveva avuto di Shann nel Sopramondo. Non lo disse... non aveva parlato a nessuno della visione. Per un attimo pensò a qualche indiscrezione giovanile di Shann, tanto il ragazzo gli assomigliava. Poi ricordò le immagini che avevano tormentato Shann nella visione...
Gwennis gli chiuse la porta alle spalle. In quel cerchio di sguardi, il ragazzo apparve molto a disagio. I suoi occhi si fissarono su Shann. «Voi dovete essere il capitano McKee...» Shann annuì secco, e Alban proseguì, cercando di non farsi intimidire dallo sguardo torvo del grosso guerriero. «Mia madre vi manda a dire che ha udito di certe manovre di Dom Aldaran... ha ragione di credere che siate in pericolo.»
«Infatti,» disse Gwennis, che non cessava di fissare con curiosità il ragazzino. «Ma li abbiamo sistemati, non temere. Tu, piuttosto, che ci fai in giro da solo in un viaggio così lungo, senza neanche un paio di Rinunciatarie al seguito?» Gli sorrise, e Alban arrossì fino alla radice dei capelli.
«Mia madre non poteva permettersi di ingaggiarle... e poi io sono abbastanza grande!» Rivolse uno sguardo quasi implorante a Shann, ansioso di sottrarsi a quello sguardo implacabile.
Shann batté le palpebre, e il suo viso si addolcì. Si alzò con uno sforzo dalla sedia e si avvicinò al ragazzo, tendendogli la mano con fare rassicurante. Alban fece un passo avanti, e Shann lo guardò in viso, passandogli una mano fra i capelli. «Vieni vicino al fuoco, sei fradicio,» disse. Gli mise la mano sulla spalla e si rivolse agli altri. «Alban, ti presento tuo zio Benton, lei è la mia libera compagna Gwennis, quello lì è nostro figlio Aengus, e lui è Kelan. Questo è Alban... il figlio di nostra sorella Maeve. Suo padre - è morto.»
Kelan lo vide fissare il ragazzo con un'intensa malinconia, in cui però l'amarezza andava finalmente stemperandosi nella consapevolezza. Con sollievo, osservò gli ignari Benton e Gwennis che si affollavano attorno ad Alban con mille domande, e sperò che un giorno Shann avrebbe saputo trovare anche per loro le risposte.









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Disclaimers

Il padre di Damon manda un messaggero per avvisare il figlio che sa dove si trova e che lo tiene sotto controllo. Sfortunatamente per Shann McKee, intervenuto per proteggere Damon, si scopre che il messaggero ha anche il compito di eliminare il vecchio capitano McKee a causa di un delitto commesso in passato.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008