[Home] [La storia del Progetto Elvas] [Regole Utilizzate]
[Personaggi] [Luoghi] [Racconti] [Download]
[Cronologia] [Genealogia] [Dizionario] [Musiche] [Immagini e Disegni]
[Giocatori] [Incontri] [Aggiornamenti] [Credits] [Link] [Mail]
barra spaziatrice
[torna a Racconti] [E.S.T. dE +1, giugno] [Credits & Disclaimers] [Stampa] [Scarica]



La mia fine è il tuo inizio

Kasentlaya Ridenow & Dana n'ha Angela

Un urlo; un disperato urlo di dolore, il primo respiro di un neonato, il suo primo vagito e poi il volto di sua madre e il sangue, il sangue, il sangue...
Sussultò terrorizzata: perché di nuovo quel ricordo?


barra

Gradatamente Kasentlaya riprese coscienza di dove si trovava: sentiva freddo, non fisicamente, era un fortissimo gelo interiore, poi percepì un tocco leggero nella sua mente, si accorse che Fiona e Dana la osservavano preoccupate. Si ribellò furiosamente, non voleva che vedessero quello.
Si alzò per uscire dalla stanza, troppo rapidamente forse, la testa prese a girarle, doveva uscire di lì, si voltò, non sentiva i richiami delle due telepati nella sua mente né vedeva l'espressione spaventata di Loreena. Infilò la porta e corse alla cieca attraverso la Torre fino alla sua stanza. Non capiva come le sue barriere avessero potuto cedere così repentinamente, aveva voglia di urlare, di sfogarsi qualunque cosa pur di cancellare quel ricordo... si rannicchiò sul letto con la testa tra le mani. Ma non riuscì a piangere.
«Kasentlaya,» la voce dolce e gentile di Dana la chiamava, «chiya... cosa c'è che non va? Ci hai fatto spaventare... sembravi del tutto assente... e cos'era quello che abbiamo visto?»
Scosse la testa in segno di diniego. «È una cosa che mi è successa... molto tempo fa.»
La Rinunciataria le sfiorò il viso con la mano. «Ne vuoi parlare?» la ragazza levò il capo verso di lei e la guardò a lungo. «Io,» cominciò incerta, «non so nemmeno se saprei raccontarlo... ma non so se posso...» non terminò la frase.
Lei aveva compreso ugualmente. «Non ti preoccupare, non sono offesa. A volte è difficile fidarsi degli altri, aprirsi, so anch'io cosa significa.»
Le strinse la mano. «Mi spiace... non intendevo dire che non mi fido di te,» tornò a fissarla negli occhi, «forse è meglio che tu lo sappia... io mi sento in colpa.»
«Perché?» chiese l'altra stupita, avvertiva il suo turbamento, ma la mente di Kasentlaya era per lei come un campo di ortiche e, senza il suo permesso, non sarebbe stata in grado di muoversi senza ferirla. «Non mi sembra che tu abbia fatto qualcosa di male.»
«Ne sei proprio convinta?» ribattè tristemente, «guarda se vuoi ma ti avverto...è un fardello pesante.»
Aprì la mente come mai prima e lei vide...


barra

Non sapeva se era il suo modo di visualizzare il laran o se era opera di Kasentlaya, ma quando entrò in contatto con la mente della ragazza, Dana ebbe la sensazione di essersi immersa in un cespuglio di rovi.
Kasentlaya, essendo di sangue Ridenow, aveva di sicuro una certa dose di empatia, anche se il donas non era sviluppato come in lei che, fortuna o sfortuna a seconda dei punti di vista, lo possedeva allo stato puro.
Avvertendo il disagio di Dana, la giovane comynara attenuò la barriera che aveva eretto a protezione dei suoi ricordi. Il cespuglio spinoso sembrò disporsi più razionalmente, liberando una specie di piccolo sentiero che conduceva verso un vecchio albero cavo e marcescente.
Dana recise il contatto e guardò Kasentlaya. «Così non serve,» disse pensierosa. «Non mi aiuti se continuiamo su questa strada.»
«Ti avevo detto che sarebbe stato difficile,» borbottò la ragazza. «Non è qualcosa che amo mostrare agli altri.»
Dana si appoggiò alla parete. Kasentlaya e lei erano cugine di primo grado, i loro padri erano fratelli di primo letto ed avevano condiviso l'educazione ferrea e coerciva del vecchio Dom Ridenow.
Dana aveva visto il nonno e lo zio solo durante le Feste, ai matrimoni e ai funerali... praticamente una dozzina di volte l'anno, se non di più. Ma non li aveva mai frequentati abbastanza da sapere se erano gentili e amorevoli quanto il suo genitore, ma ci avrebbe scommesso sopra tanto era sicura della cosa.
«Fiona è stata la prima a controllarti, vero?» le chiese, ricevendo un cenno affermativo del capo in risposta. «Non si sono mai preoccupati di verificare donas o altro?» la domanda era retorica e Kasentlaya non rispose.
Sapeva che Dana era riuscita ad andare alla Torre di Neskaya solo perché avevano scoperto molto presto che aveva il donas dei Ridenow allo stato puro, quindi suo padre non si era potuto rifiutare di concedere alla figlia il permesso di entrare nella Torre per essere addestrata e per lavorare nel Cerchio. Una volta, domna Elayna, la leronis di Castel Ridenow aveva tentato di esaminarla all'insaputa del padre di cui tra l'altro era lontana cugina... con il risultato che l'uomo si era infuriato come una belva.
I ricordi tornarono chiari d'improvviso; rivide la leronis che le stava davanti illuminata dalla luce della sua matrice; era quasi riuscita a metterla a suo agio per poter entrare in rapporto con lei quando il signore del castello era piombato nella camera della Sapiente ed aveva interrotto bruscamente il contatto imprecando contro entrambe.
Aveva preso Kasentlaya per un braccio ingiungendole di lasciarlo solo con Elayna. La ragazza era uscita dalla porta ma si era fermata dietro l'uscio ad origliare. Rakhal aveva duramente ripreso la donna dicendole che fin che restava in casa sua doveva rispettare le regole da lui imposte. Non voleva che sua figlia imparasse ad usare quel suo dannato donas e non gli importava se era pericoloso o meno. La ragazza, aveva detto, gli aveva portato via la cosa più cara che avesse e non l'avrebbe mai perdonata per quello.
Kasentlaya non aveva udito altro, forse perché era fuggita da quell'uomo che chiamava padre in preda allo sconforto.
Pochi giorni dopo Elayna era partita sotto le pressioni paterne, non senza aver salutato e confortato la giovane. Le ultime parole che le aveva rivolto erano state queste: «A volte, ci nascondiamo dietro le falsità per non accettare i nostri errori, questo è quello che fa tuo padre, ma un giorno lui non avrà più potere su di te e potrai vedere la verità, fino ad allora sii forte e fai delle tue debolezze la tua forza in modo che non possa ferirti.» Quelle parole Kasentlaya le avrebbe capite molto tempo dopo quando ormai non avrebbe più potuto perdonare suo padre.
Dana era rimasta in silenzio mentre Kasentlaya ricordava quei fatti sepolti nella sua memoria. Probabilmente non era la sola cosa che aveva dimenticato, volontariamente o meno.
«Ricordo che tuo fratello morì pochi mesi dopo la nascita, ma non saprei dirti se per problemi inerenti il laran o meno.»
Kasentlaya la fissò a bocca aperta. «Io non ho un fratello,» disse poco dopo. «Non mi hanno mai detto nulla!» Restò ancora in silenzio per qualche minuto, cercando di assimilare la notizia. «Mio padre mi ha sempre accusata di aver ucciso mia madre, che era tutta colpa mia e che si pentiva di avermi messa al mondo... non mi ha mai detto,» fece un'altra pausa, scuotendo la testa come per schiarirsi le idee. «Nessuno mi ha mai detto nulla!»
Dana cercò di compensare lo sconforto in cui sembrava essere caduta la cugina ma riusciva ad essere di poco aiuto.


barra

L'Amazzone ricordava poco di quel periodo. Aveva otto anni, la seconda moglie di suo padre era morta da appena un anno ed era già stato organizzato un nuovo matrimonio.
Una giovane Elhalyn era stata concessa in sposa a Diego Ridenow in cambio di un futuro matrimonio tra una delle sue figlie ed un fratello della donna... il perché della segretezza richiesta dagli Elhalyn in queste trattative venne fuori solo molti anni più tardi e, in ogni modo, la giovane e piacente ragazza era l'ideale per il padre di Dana.
In quell'occasione il Clan si era riunito e la storia del primogenito di Rakhal, zio di Dana e fratello minore di Diego, era stata discussa dal gruppo di maschi Ridenow al completo.
Grazie al fatto che pochi notavano la sua presenza o la ritenevano di intralcio, Dana aveva avuto al possibilità di assistere ad alcune di queste riunioni e ricordava alcuni sprazzi delle discussioni intercorse tra i due fratelli.
Il figlio di Rakhal, di cui non aveva saputo mai il nome, era morto da pochi mesi e lui non sembrava essersi ancora ripreso.
Ma il problema non sembrava essere la perdita del primogenito per di più maschio, cosa non rara anche a quei tempi, ma le difficoltà incontrate durante il parto.
Come d'abitudine il padre assisteva all'intero evento e restava in contatto telepatico con la moglie per tutta la durata del travaglio, fino alla nascita del piccolo. Lo scopo era quello di sostenere e condividere il dolore del parto, facendo contemporaneamente sentire al nascituro la sicurezza data dalla presenza di entrambi i genitori durante il difficile passaggio dalla vita intrauterina al nuovo e sconosciuto mondo esterno.
A Rakhal l'esperienza non era affatto piaciuta.
Il suo laran non era molto potente, di sicuro meno della moglie e del figlio, quindi dell'intero evento ricordava solo il dolore provato dalla moglie e l'angoscia del piccolo che veniva con violenza strappato da lei.
Diego era sembrato perplesso dalla reazione del fratello. Lui, che aveva prodotto decine di figli, fra legittimi e nedestro, non capiva né giustificava la mollezza del fratello.
Ovviamente Rakhal dava tutta la colpa alla moglie, che non era stata in grado di sopportare neppure il minimo accenno di dolore, scaricando tutto su di lui. Ma Diego sapeva benissimo che non erano altro che futili scuse.
Per Rakhal era sempre colpa di qualcun altro, per qualsiasi problema.
Dana, pur ancora giovane, aveva ormai capito che una della cose che avevano sfiancato la madre e la seconda moglie era stata proprio la presenza fin troppo forte del padre durante i parti. Ma la tradizione era questa e, nella loro parte di famiglia, la forza di un uomo era anche valutata dal sostegno che poteva dare alla moglie durante il parto, per poi disinteressarsi completamente di lei non appena il marmocchio fosse venuto al mondo.
La giovane Ridenow aveva accantonato presto l'argomento, non essendo ancora interessata alla cosa, ed era rimasta sorpresa quando aveva sentito anche gli uomini della scorta della nuova sposa del padre discutere e ridacchiare sulla mancanza di virilità mostrata dallo zio.
Aveva smesso di temere quegli uomini da anni. Frequentavano la loro casa con la stessa assiduità dei loro parenti e, nonostante le brutte facce e le armi che quasi li ricoprivano, aveva scoperto che in fin dei conti erano molto meno pericolosi dei suoi famigliari più stretti.
La storia raccontata da loro era molto diversa da quella che lo zio Rakhal continuava a ripetere.
Il capo dei mercenari, un uomo grande e grosso con dei capelli così rossi che non sarebbe stonato allo stesso tavolo dei suoi parenti, raccontava di come il prode Rakhal Ridenow se la fosse fatta sotto dalla paura non appena erano cominciati i veri dolori del parto e di come la moglie avesse dovuto fare praticamente tutto da sola.
Dana aveva ascoltato tutto in silenzio, senza che nessuno la degnasse di uno sguardo. Solo alla fine, quando l'intera banda si era messa a fare discorsi e battutacce sulla resistenza dei nobili comyn alle varie esperienze della vita, con termini così volgari che a stento riusciva a comprenderne il significato, il membro più giovane della banda, che lei ormai sapeva essere una ragazza, le si era avvicinato e le aveva detto di non farci caso.
Anche se non lo volevano ammettere erano tutti invidiosi dei poteri mentali che contraddistinguevano la loro casta e, se si fossero trovati nelle medesime condizioni, si sarebbero comportati esattamente nello stesso modo di suo zio.
La cosa non l'aveva rassicurata, ma neppure turbata più del necessario. Era ancora lontano il momento in cui avrebbe deciso di abbandonare quella vita e non aveva il donas della preveggenza per predire un cambiamento così radicale nel suo futuro.
«Poi dopo qualche mese ci arrivò la notizia che tua madre era di nuovo incinta,» concluse Dana. «Ma nessuno poteva prevedere quello che il caro zio Rakhal avrebbe fatto.»
Lo sguardo di Kasentlaya si era fatto di nuovo triste.
«Nessuno si è mai preoccupato di raccontarmi nulla,» disse piano. «Solo Elayna, quando era sicura che non ci fosse nessuno ad ascoltarci, cercava di raccontarmi qualcosa di mia madre. Ma capitava raramente.»
Le due restarono in silenzio. Kasentlaya ripensando agli anni trascorsi sotto il perenne ricordo della madre morta per colpa sua, Dana meditando su come aggirare l'ostacolo creato da quella barriera nella mente della cugina.
La sola cosa di cui l'Amazzone era sicura era che la barriera era stata cresciuta e curata con amorevole perseveranza dalle parole di accusa di Rakhal riguardo la responsabilità di Kasentlaya nella tragica fine della consorte.
«Adesso cerca di riposare un po',» disse alzandosi. «Intanto penso a qualcosa...»
Kasentlaya la guardò uscire dalla stanza e, cercando di non pensare a nulla, si rannicchiò sotto le coperte sperando in un sonno senza sogni.


barra

Dana restò per qualche istante immobile, fuori dalla porta della stanza. Quando fu sicura che Kasentlaya era sprofondata nel sonno, si diresse verso la serra.
Persa nei suoi pensieri non si accorse di Manolo che, apparentemente preoccupato dalla sua espressione, la fermò trattenendola per un braccio.
L'Amazzone alzò lo sguardo, trovandosi a fissare lo sguardo limpido e apparentemente inespressivo dell'umanoide.
«Va tutto bene, Manolo,» lo rassicurò. «Anche Kas sta bene, ha solo bisogno di riposare.» Manolo si raddrizzò in tutta la sua altezza, le braccia incrociate sul petto. «Va bene, non mi credi.» Dana sospirò, le sembrava di essere Mikhail, che con l'umanoide teneva lunghi ed articolati discorsi, riempiendo le battute di entrambi senza apparenti problemi e con gran divertimento di Manolo stesso.
«Kasentlaya ha un problema che dobbiamo risolvere,» disse, riprendendo la strada per la serra, seguita in silenzio da Manolo. «E io ho un problema, perché non so come aiutarla a risolverlo.»
Manolo emise uno dei suoi suoni inarticolati. «Perché siamo cugine, e perché sono un monitore,» rispose Dana, per nulla preoccupata dalla facilità con cui interpretava il linguaggio dell'umanoide.
Giunti all'ingresso della serra Manolo si fermò, trattenendo la donna per una manica.
Dana lo fissò divertita mentre, con difficoltà, Manolo cercava di chiederle perché volesse fare tutto da sola.
«Posso chiedere a Kelan di aiutarmi,» rispose lei, quando riuscì a comprendere i gesti. «Ma credo che Kasentlaya non sarebbe felice di vedere i segreti del suo passato esposti a degli sconosciuti.» Manolo assunse un'espressione inorridita. «Sì, Manolo, lo so che per noi Kelan non è uno sconosciuto, ma per Kasentlaya è diverso. Lei non lo conosce come lo conosciamo noi e non credo si lascerebbe frugare dentro da qualcuno con cui non ha nessun legame. Credo che le sarà difficile lasciarsi andare persino con me. Anche se siamo cugine, non ci conosciamo per niente.»
Manolo, apparentemente soddisfatto dalle risposte, salutò Dana con un cenno, allontanandosi a rapidi passi verso le stanze della Custode.
Dana lo osservò allontanarsi, cercando di non lasciarsi andare a pensieri poco opportuni. Ci mancava altro che perdesse il suo tempo fantasticando su Manolo...


barra

Era ormai notte quando Dana lasciò la serra, senza essere arrivata a nessuna conclusione.
Non aveva voglia di ritirarsi, tanto sapeva che il sonno non sarebbe arrivato tanto facilmente quella notte. Respirò profondamente l'aria fredda, stupendosi ancora una volta delle belle serate di cui avevano goduto in quelle ultime settimane, e si diresse verso il Northern Scoundrel. Forse un bicchiere di sidro o un paio di firi potevano indirizzare i suoi pensieri verso argomenti più piacevoli che non fossero il problema di Kasentlaya.
All'interno della taverna non c'era molta gente. Dietro il bancone Will, il braccio destro di Alar, stava discutendo con alcuni avventori sul prezzo delle vivande. Dana si guardò intorno con curiosità, era strano che Alar non fosse nei paraggi, anche se la serata era chiaramente fiacca.
Da uno dei piccoli tavoli, disposti lungo le pareti, Mikhail stava cercando di attirare la sua attenzione. Allo stesso tavolo, cercando di passare inosservato, Kelan si stava nascondendo dietro un boccale colmo di sidro.
Ignorandolo, l'Amazzone si diresse al bancone, dove prontamente Will le riempì un boccale di sidro, poi con calma si avvicinò al tavolo, facendo tirare al giovane MacAran un sospiro di sollievo.
«Se cerchi Alar, non c'è,» le comunicò allegramente Mikhail, scostando una delle sedie per permetterle di accomodarsi. «Shonnach è passata qualche ora fa, ti cercava.»
L'Amazzone, poco impressionata dalla notizia, sorseggiò lentamente la bevanda, controllando con occhio critico gli avventori sconosciuti della taverna.
Un'ennesima carovana si era fermata ad Elvas, Shonnach di sicuro voleva parlarle di qualche sospetto che aveva scoperto tra i viaggiatori. Ringraziò mentalmente Alar di aver trovato il modo di tenerla impegnata per qualche ora, almeno aveva il tempo di bersi con calma qualcosa e rinchiudersi nella sua stanza, prima che la Sorella riprendesse la sua ricerca.
«Qual'è il problema?» chiese Kelan senza troppi preamboli, meno propenso alle chiacchiere del compagno di bevute.
Dana sospirò, sapeva che era inutile tenere nascosto qualcosa a Kelan, per non parlare di Mikhail. Presto o tardi il Cerchio si sarebbe riunito e i vari componenti avrebbero condiviso le ultime vicende che avevano coinvolto le loro allieve, quindi perché aspettare?
«Kasentlaya non si è sentita bene durante la prova di oggi con Fiona,» iniziò, sorseggiando il sidro. «Sembra che abbiamo risvegliato dei ricordi che erano sepolti piuttosto profondamente e ben protetti.»
Mikhail annuì, la sua espressione si era fatta seria.
«Hai qualcosa da dirci?» gli chiese Kelan, ricevendo un calcio da Dana.
Mai invitare Mikhail a raccontare qualcosa... era come chiedere a Benton di parlare dei suoi chervine.
«Ne ho parlato con Fiona appena me ne sono accorto,» disse il biondo Ardais. «C'è una barriera nella mente di Kasentlaya, qualcosa di molto profondo, la stessa che dovete aver stimolato voi durante le ultime prove.»
«E Kas non sa di cosa di tratti?» chiese Kelan, sentendosi un po' a disagio.
Dana scosse la testa negativamente. «Vecchi ricordi, che con l'aiuto di suo padre sono stati spinti così profondamente nella sua memoria da essere quasi irraggiungibili.»
«Gran bella famiglia, la vostra!» si lasciò sfuggire Kelan.
«Puoi dirlo forte,» confermò l'Amazzone, per nulla turbata dal commento. «Ma c'è di peggio nelle Pianure.»
Mikhail li guardava con un'espressione indecifrabile. Dopo tutto era un Ardais e le voci riguardo la sanità mentale di molti dei maschi della sua famiglia non erano lusinghiere.
«Non esiste una famiglia di comyn che non abbia qualche delizioso aneddoto da raccontare nelle lunghe sere d'inverno,» disse alla fine. «La barriera, se posso chiamarla così, non ha mai interferito con l'addestramento. L'ho percepita solo un paio di volte, in momenti di particolare difficoltà. Credo che salga più in superficie quando la piccola è sotto tensione...» fece una breve pausa, terminando il bicchiere di liquore che aveva davanti. «Se fosse disposta a collaborare, potreste riuscire a rimuovere il blocco... ma non so se vi piacerà quello che potrebbe esserci nascosto dietro.»
Kelan non riuscì a trattenere una risata. «Vedo con piacere che sei sempre il primo ad offrirti volontario nelle missioni particolarmente impegnative!»
«Oh, no!» si schernì Mikhail. «Per quello bastate tu e Damon. Io preferisco lunghe e rilassanti battute di caccia,» arrossì impercettibilmente, ma la cosa non sfuggì all'occhio attento di Dana. «Per andare a giocare dentro la testa della gente bastate voi.»
Dana si mise a ridere, subito seguita da Kelan e dallo stesso Mikhail. Almeno era riuscita a rompere un po' la tensione. Il lavoro che si prospettava davanti ai suoi occhi per i prossimi giorni non sarebbe stato né leggero né tantomeno divertente.
Cercare di liberare Kasentlaya dal blocco che le impediva di ricordare era come scoperchiare un nido di formiche-scorpione... una volta tolto il cumulo di detriti che nasconde l'imboccatura non puoi mai essere certo di quello che ne potrebbe uscire fuori.


barra

La luce spettrale della luna filtrava tra le imposte inargentando la stanza. Kasentlaya si tirò a sedere sul letto, ancora intontita, grata per quello poche ore di sonno che avevano cancellato in parte il dolore.
Mentre si rivestiva la sua mente tornò agli eventi di quel pomeriggio; sentì per l'ennesima volta la voce di suo padre che le ricordava quanto disgraziata fosse poi le urla di sua madre e la mente le si riempì di domande.
Perché Rakhal non le aveva mai detto di suo fratello? La odiava così tanto? O si vergognava di quello che era successo. Kasentlaya strinse i pugni piena di rabbia. "Sapere la verità è un mio diritto!" pensò.
La verità. Così vicina eppure continuava a scivolarle tra le dita . "Perché non ricordo?"
Stava scendendole scale così concentrata nello sforzo di ricordare qualche cosa che quasi andò a sbattere contro Fiona .
La donna la guardò comprensiva. «Hai dormito?» le chiese.
«Poco,» rispose la ragazza, «ma forse è meglio così.»
«Vieni nel mio studio... vorrei sapere cosa c'è che non va.»
Quando furono nelle stanze di Fiona, Kasentlaya la guardò allibita. «Come fai a...» comincio ma venne interrotta da un verso strano e si trovò faccia a faccia con Manolo che la guardò preoccupato.
«Capisco,» disse Kasentlaya, non riuscendo a nascondere un sorriso. «Certo che tu, pur non parlando, chiacchieri quasi quanto Mikhail!»
L'umanoide fece un gran sorriso e annui. Poi dopo aver salutato con un altro dei suoi versi uscì dalla stanza.
«Allora,» disse Fiona, «qual è il problema? Manolo mi ha fatto capire che c'è qualche cosa ma non sono riuscita a parlare con Dana.»
«Diciamo che ho dei problemi con il passato,» rispose. Fiona la guardò a lungo e alla fine sfiorò la matrice che portava al collo in un gesto eloquente.
Qualcosa spinse Kasentlaya ad annuire... Fiona le ricordava così terribilmente Elayna! Aprì la mente quel tanto che bastava perché Fiona potesse vedere quello di cui aveva parlato con Dana il pomeriggio precedente poi tornò ad innalzare le sue barriere.
La Custode la scrutò attenta. «Sai che puoi fidarti,» mormorò poi.
Kasentlaya sorrise tristemente. «Voi siete la mia famiglia... ma sai quando non ne hai una per tanto tempo diventa difficile abituarsi all'idea.»
L'altra rimase in silenzio in attesa. «Fiona,» riprese Kasentlaya. «Aiutami... io... ho paura.»
Lo disse con disperazione e la Custode soffrì nel vederla così angosciata. «Troveremo il modo,» promise, «ne parlerò con Dana.»
La ragazza chinò il capo e uscì dalla stanza. Appena fuori si appoggiò al muro e sentì le lacrime che aveva tanto aspettato scorrerle sul viso.
Per un istante avvertì la presenza rassicurante di Fiona. "Andrà tutto bene..."


barra

La notte era trascorsa più tranquillamente del previsto, nonostante la difficoltà generale nel prendere sonno e le passeggiate al chiaro delle lune in attesa del momento propizio per coricarsi.
Dana era riuscita a contattare Illa, in viaggio per uno sperduto paese delle Terre Aride per conto di suo padre. Questa volta non aveva chiuso le comunicazioni come la primavera appena conclusa, non c'era nulla di sconveniente da nascondere... tranne forse il motivo del viaggio.
Aveva chiesto alla mercenaria se ricordasse qualcosa di particolare riguardo gli anni relativi alla nascita di Kasentlaya, ma la donna non ricordava nulla.
"La sola cosa strana nella vostra famiglia, in quel periodo almeno, era quel ragazzo," le aveva risposto. "Ricordo che quando salutò tua zia, poco dopo il matrimonio di tuo padre con sua sorella, le disse che infondo sarebbe stata la scelta migliore, anche se lei lo avrebbe capito solo troppo tardi."
Illa si stava riferendo a Nyal, il fratello della terza moglie di suo padre portato come accessorio del corredo al momento del matrimonio. Aveva il donas degli Elhalyn allo stato quasi puro ed era completamente pazzo... come solo un Elhalyn potrebbe essere. La cosa non aveva mai turbato Dana, né tantomeno Illa, che si divertiva a vedere i forti e terrorizzanti uomini della sua banda scappare davanti a quel ragazzo come galline impaurite.
"Avreste fatto una bella coppia," concluse la mercenaria, prima di staccare il contatto. "E di al tuo amico biondino che Renaldo lo saluta!"
Dana non fece in tempo a ribattere, che la compagna aveva già abbandonato quel basso livello di sopramondo che riusciva a raggiungere quando era in collegamento con lei. Avrebbe approfondito l'argomento la prossima volta ma, almeno, un paio di dubbi si erano diradati dalla mente dell'Amazzone che, insperabilmente, riuscì a farsi una bella dormita.


barra

La mattina dopo Fiona aveva organizzato una piccola riunione di tutti i telepati del Cerchio che potevano essere coinvolti nel tentativo di demolire la barriera che isolava Kasentlaya dalla sua memoria più remota.
Oltre a Dana, la Custode aveva convocato Mikhail e Kelan. Il primo perché era il tutore della ragazza, il secondo perché era il solo monitore che poteva pensare di coinvolgere in un'impresa del genere, non potendo Dana monitorare se stessa. Non ci fu bisogno di spiegare l'argomento dell'incontro, fu più difficile tenere Damon e Shonnach fuori dai piedi, perché non invitati e di sicuro intralcio in quello che dovevano riuscire a pianificare.
«Non contate su di me,» mise subito in chiaro Mikhail. «Un conto è addestrala, condividendo anche di più di quello che normalmente si fa tra due telepati, ma quello che volete fare va oltre le mie capacità. Sono anche convinto che a Kasentlaya non farebbe piacere avermi intorno. Sono fatti privati, solo voi due potete interferire con la sua sfera più intima senza fare troppi danni.»
Fiona sospirò, senza commentare. Mikahil non aveva tutti i torti e anche Kelan sembrava essere della sua stessa opinione.
«A me non piace quando la gente fruga dentro la testa degli altri, che siano consenzienti o meno. Lo trovo una mancanza di rispetto e, forse perché non sono stato addestrato in una vera Torre, non gradisco certe... attenzioni.»
«Ci servirà qualcuno a portata di voce,» lo tranquillizzò Dana. «Fiona è perfettamente in grado di monitorare sia me che Kasentlaya, ma non si può mai dire come andrà l'intera operazione. Vorrei solo saperti nelle vicinanze, in caso di necessità.»
Kelan alzò un sopracciglio, perplesso davanti alla richiesta dell'Amazzone. «Tu e Fiona che chiedete il mio aiuto in caso di bisogno? Perché non Damon, di sicuro ha capacità migliori delle mia...»
Fiona lo interruppe con un gesto deciso della mano. «Damon non è un monitore e non saprebbe come comportarsi in caso di bisogno.» Il tono non ammetteva repliche.
«Più che altro, Kasentlaya non lo vorrebbe,» si intromise Mikhail. «Potrebbe chiudere un occhio se, travolte da quello che vogliono liberare, chiamassero te,» continuò, indicando le due donne con un cenno del capo. «Ma non credo la prenderebbe altrettanto bene se chiamassero me o Damon.»
Kelan sospirò. «Sembra che non abbia alternative,» si arrese. «Qualunque cosa vorrete fare, resterò nella sala dei relè... basterà chiamarmi e sarò qui in un baleno.»
Mikhail sospirò soddisfatto, alzandosi e dirigendosi verso la porta. «Visto che la mia presenza non serve più, mi congedo. Se mai doveste avere bisogno... sarò alle Terme.»
«Mikhail...» lo fermò Dana, un istante prima che l'uomo uscisse dalla porta. «Ho dei saluti per te...»
«Saluti?»
Dana annuì, sorridendo seraficamente. «Illa mi dice di riferirti che Bertrand e... Renaldo ti salutano...» disse, con tono innocente e disinteressato.
Mikhail divenne immediatamente rosso, fino alla radice dei capelli. «Io...» ma non aggiunse altro, uscendo rapidamente dalla stanza, non senza aver lanciato un'occhiata di fuoco a Dana che, senza che trasparisse nulla esteriormente, si stava divertendo enormemente.
Fiona sospirò, scuotendo la testa sconsolata. Sarebbe stato più facile tenere a bada una banda di adolescenti al loro primo Vento Fantasma che i suoi telepati.
«Dobbiamo decidere cosa fare!» esclamò poi, fissando lo sguardo sull'Amazzone. «Tu hai qualche idea?»
Dana scosse negativamente la testa. «Quando ho cercato di controllarla, subito dopo l'incidente di ieri, ho percepito l'ostacolo come una fitta barriera di rovi... ma credo che lei la visualizzi più come una barriera di fuoco.»
Kelan annuì. «È così che solitamente visualizza il suo laran, fuoco e fiamme.»
La Custode si fece pensierosa. «Dovremo cercare di lavorare utilizzando la sua visione della cosa, anche se è difficile da fare. Fuoco, acqua e piante... un bell'insieme!»
«Se Kas collabora, come ha fatto ieri, dovrebbe riuscire a facilitarci le cose, permettendoci di camminare su un terreno a noi familiare.»
«Non vorrete farle subire tutto questo senza un po' di aiuto?» Kelan sembrava inorridito. «Come si chiama... kirian, le darete un po' di kirian per attenuare le sue resistenze?»
Fiona assunse un tono comprensivo. «Sì Kelan, non lasceremo che Kasentlaya possa farsi del male, reagendo in maniera inaspettata alla nostra intrusione. Ma non è detto che l'utilizzo del kirian le impedisca di aiutarci in qualche modo.»
«La barriera è stata una difesa alla continua violenza psicologica di suo padre,» rifletté Dana, ad alta voce. «Ma Mikhail dice che ha già incontrato l'ostacolo un paio di volte, questo significa che la barriera non è ancorata a qualche livello del subconscio, io ho incontrato l'ostacolo molto vicino alla superficie cosciente quando l'ho controllata ieri. Probabilmente la resistenza opposta ai ricordi si affievolisce ogni giorno di più. È solo la paura di quello che potrebbe trovare a tenerla ancora in piedi.»
L'espressione di Kelan si fece triste. «Capisco cosa può provare. Solo dopo il primo inverno passato qui sono riuscito ad affrontare il ricordo di mia moglie e dei bambini... fino ad allora il solo pensiero mi faceva stare male e lo ricacciavo sempre più lontano dalla mia vita cosciente.»
«Non ne sono convinta...»
Fiona e Kelan si scambiarono uno sguardo interrogativo. «Di cosa?» chiese la Custode.
«Mio zio è un codardo. Avrebbe accusato chiunque se la cosa fosse servita a farlo sembrare una vittima degli eventi e non la causa della disfatta. Dietro quella barriera ci potrebbe essere la verità che ha cercato di tenere nascosta fino ad oggi.»
Fiona si alzò, dirigendosi verso la piccola cassettiera intagliata che faceva bella mostra su uno dei tavoli della sua stanza. Aprì un paio di cassetti prima di trovare quello che cercava: una piccola bottiglia di liquido ambrato, ancora piena e sigillata.
«Prima organizziamo le nostre mosse, poi proponiamo la cosa a Kasentlaya.»
Dana annuì. «Non c'è molto da pianificare. Sempre che non voglia farlo tu stessa, partirò come un normale controllo, cercando di arrivare fino ai piedi della barriera.»
«Dovremo salire nel sopramondo, ma solo ad un livello molto basso e poco frequentato,» la interruppe brevemente la Custode.
«Sì,» concordò Dana. «Solo quando sarò in grado di visualizzare la barriera sarò in grado di dire come procederemo. Dovremo lavorare molto di improvvisazione.»
«La cosa non mi esalta,» fu l'ultimo commento di Fiona.
I tre restarono in silenzio, fissando la piccola bottiglia di kirian posata sul basso tavolino in mezzo a loro. Quello che si prospettava davanti non era di certo il programma di una tranquilla scampagnata di fine primavera.


barra

Un paio di giorni dopo Dana chiese a Kasentlaya di raggiungerla nello studio di Fiona. Appena entrata capì che si trattava di una riunione in piena regola.
La Custode le fece cenno di sedersi. «Dobbiamo decidere cosa fare,» esordì, «o, meglio, abbiamo un'idea e vogliamo sapere cosa ne pensi.» La ragazza restò in silenzio, in attesa. «Nella tua mente c'è una barriera che blocca i tuoi ricordi sgradevoli. Non credo che sia qualcosa di volontario ma sicuramente il comportamento... poco ortodosso di tuo padre ti ha indotto a proteggerti.»
«Possiamo provare a distruggere questa barriera,» prosegui Dana, «se hai cominciato a percepire alcuni frammenti degli avvenimenti accaduti forse significa che il blocco sta cedendo... sarà che non hai più Rakhal vicino o forse è perché sfrutti di più le tue facoltà telepatiche.»
«Bene,» sospirò Kasentlaya, «e se non funziona questo ci sono sempre le finestre della Torre!»
Le altre la fissarono severamente e Fiona si schiarì la voce.
«Posso andare avanti?» esclamò Dana tesa. Kasentlaya tornò di colpo seria e annuì. «Posso cercare di entrare nella tua testa per rimuovere quell'ostacolo. Fiona farà da supervisore e se servisse ci darà una mano.»
«Detta così è semplice... ma io come mi dovrò comportare?» domandò la giovane agitandosi a disagio sulla sedia.
«Tu sarai sotto l'effetto del kirian,» intervenne con fermezza Fiona, indicando una boccetta che conteneva un liquido ambrato poggiata sul tavolo. «Non so come reagirai alla sostanza. Potresti perdere conoscenza o partecipare alla demolizione della barriera,» restò in silenzio e poi proseguì. «Ne hai mai preso?»
«Non che io ricordi... il che è tutto dire!» ribattè lei ridendo sarcastica.
Fiona sospirò. «Sarebbe stato meglio sapere che effetti ha su di te... ci sono persone che lo tollerano poco... non mi piace lavorare alla cieca ma non possiamo fare altrimenti... bisogna levare quel blocco.»
«È tutta una scommessa,» mormorò Dana, «spero di farcela ma non posso quantificare la gravità della cosa senza averla vista... comunque è certo che non mi darò per vinta troppo facilmente!»
Decisero di tentare la cosa il giorno seguente. «Non utilizzare la matrice oggi... cerca soprattutto di dormire, non so cosa ci aspetta domani,» le aveva detto Dana, mentre camminavano verso la serra.
«Mi spiace di farti preoccupare,» aveva risposto la cugina, promettendo di obbedirle.
«Non temere,» Dana aveva scrollato le spalle. «Tu sei la prima parente che sono felice di aiutare!»
Stava andando verso la sua stanza per cercare di recuperare il sonno che aveva latitato la sera prima quando due figure emersero dalle ombre del corridoio.
"Guai!" pensò Kasentlaya.
Loreena e Aliciana si piazzarono a bloccarle il passaggio. «Sono due giorni che ci eviti!» sbottò la più piccola, gli occhi grandi che splendevano nella penombra. «Sei arrabbiata con noi?»
«Eh? No affatto... avevo solo voglia di stare un po' da sola...»
«Lori mi ha raccontato che ti sei sentita male. Cosa è successo?»
Kasentlaya le guardò sconsolata. «Mi avete teso un agguato, eh?! Sto bene ho solo bisogno di riposare...»
«Come bugiarda fai pena,» replicò Aliciana, divertita nel vedere l'amica che cercava di sviare i loro sospetti.
«Già... e Dana ha una faccia spaventosamente preoccupata!» rincarò Loreena. «Tu stai male e non ce lo vuoi dire ecco!»
La giovane alzò le mani in segno di resa. «Almeno non parliamone qui per favore! Andiamo a fare un giro che poi vi spiego...»
Pochi minuti dopo camminavano nel cortile della Torre. Kasentlaya in silenzio perché cercava le parole giuste da dire, le altre perché cercavano di capire cosa avesse. Alla fine si fermò vicino alla fontana e si sedette sul bordo di pietra nera.
«Non so da dove cominciare... ho un problema che devo risolvere e Dana e Fiona stanno cercando di darmi una mano. Ma, per il resto... ci capisco poco anche io! Vi prometto che quando sarà il momento vi dirò tutto.»
Le due ragazze annuirono.
«Puoi sempre contare su di noi,» esclamarono in coro. Kasentlaya sorrise, grata del sostegno delle compagne e le abbracciò di slancio.
Poi, passato quel momento in cui si erano sentite così vicine, si voltò osservando pensierosa la Torre.
«Meglio che vada a dormire, domani sarà una giornata infernale...» con passo deciso si avviò verso il massiccio edificio, lieta che le sue compagne avessero compreso.


barra

La mattina arrivò fin troppo presto. Kasentlaya aveva passato un'ennesima notte agitata, mentre sia Dana che Fiona avevano trascorso la nottata ripensando al lavoro da svolgere, riuscendo persino ad incrociarsi nel sopramondo, mentre vagavano ognuna immersa nei propri pensieri.
Il breve colloquio onirico non aveva però portato ulteriori idee al progetto e, quando Dana passò dalla stanza di Kasentlaya per condurla nelle stanze private della Custode, la sola certezza che avevano era che non avrebbero saputo come comportarsi fino a quando non sarebbero state immerse nella cosa fino al collo.
Il fuoco nel camino era stato acceso da poco e la fiamma era ancora debole. I pesanti tendaggi erano stati tirati sulle finestre, lasciando che la sola luce delle fiamme illuminasse l'interno della stanza. La Custode le stava aspettando nervosamente, pizzicando il suo ryll traendone accordi dissonanti, perfettamente in sintonia con il suo stato d'animo.
Senza bussare, Dana aprì la porta e fu quasi costretta a spingere dentro Kasentlaya. La ragazza stava tremando come una foglia, nonostante i tentativi dell'Amazzone di tranquillizzarla.
Fiona si alzò in piedi, posando lo strumento su una bassa mensola posta accanto ad uno dei tavoli, lo stesso su cui erano posati tre piccoli bicchieri e due bottiglie, colme entrambe di liquido ambrato.
«Cominciamo,» disse senza troppi preamboli, aprendo la più grande delle bottiglie e riempiendo due dei bicchieri. Con delicatezza la Custode aprì la piccola bottiglia sigillata, versando poche gocce di liquido dentro il terzo, che allontanò poi dagli altri.
Fiona sollevò il bicchiere, porgendolo alla ragazza, mentre con un cenno disse a Dana di prendere uno degli altri rimasti.
«Non mi pare il caso...» cominciò con tono ironico Kasentlaya, subito freddata dall'espressione seria della Custode.
Con esitazione la giovane Ridenow prese il bicchiere e lo annusò con diffidenza.
«È kirian,» spiegò Fiona, «un derivato dei fiori di Kireseth che permette di allentare le resistenze al laran.» Kasentlaya non si sentì tranquillizzata dalla spiegazione. «Kelan vi ha già spiegato a cosa serve.»
La ragazza annuì. Era stata una lezione noiosa e ricordava poco di quello che Kelan aveva spiegato. Lei e Loreena non amavano le giornate di insegnamento teorico, quando venivano date loro solo nozioni e informazioni varie, senza che venisse mostrato anche l'utilizzo pratico di quello che veniva detto.
Dana si sedette sulla poltrona accanto al camino. «La prossima volta ascolterai con più attenzione quello che ti viene insegnato... e anche Loreena si prenderà una bella lavata di testa,» disse con tono forse più serio del necessario. «L'addestramento non è solo lavorare con noi e imparare trucchi con la matrice. Se non conoscete l'utilizzo delle piante e delle droghe che si ricavano da esse potreste trovarvi in guai molto peggiori.»
«Ti abbiamo detto che l'avremo usato per ridurre la tua resistenza all'intrusione di Dana,» neppure il tono della Custode era amichevole. «Quello che ci serve è di poter usufruire del tuo aiuto, quindi non possiamo addormentarti completamente né lasciarti senza una protezione.»
«Il kirian riuscirà a mantenerti abbastanza tranquilla da permettermi di arrivare alla barriera senza incontrare troppi ostacoli,» continuò Dana, bevendo lentamente il contenuto del suo bicchiere, reprimendo una smorfia di disgusto. «Dobbiamo cominciare con una dose molto piccola, perché non sappiamo come reagirai alla sostanza. Se ci dovessimo accorgere che è troppo poca, allora Fiona aumenterà la dose,» concluse, svuotando anche il bicchiere. «Questa roba è disgustosa!» aggiunse alla fine, posandolo sul tavolo accanto alla bottiglia.
Kasentlaya avvicinò il suo bicchiere alle labbra, ancora indecisa. «Non è firi il vostro?»
Fiona la guardò sorpresa. «Sarebbe uno dei rituali del nostro Cerchio, quello di bersi un bicchiere di firi prima di ogni lavoro per distendersi i nervi?» Kasentlaya arrossì violentemente, svuotando in un sorso solo il piccolo quantitativo di droga contenuto nel suo bicchiere.
Dana ridacchiò, sistemandosi più comoda sulla poltrona. «Potrebbe anche essere un'idea... di sicuro avrebbe un sapore migliore di questa roba!» Indicò con un cenno il terzo bicchiere, rimasto intoccato sul tavolino. «Non avrai intenzione di prenderne anche tu, a te non serve.»
Fiona scosse negativamente la testa. «È solo un gesto scaramantico,» rispose. «Spero che non serva, al massimo puoi berlo tu se senti di avere qualche problema.»
Dana sospirò, stendendosi meglio sulla poltrona. «Basterà questo,» affermò, anche se poco convinta.
Kasentlaya aveva cominciato a sentirsi la testa come svuotata. Una sorta di ottundimento che le faceva percepire lontani e privi di senso i discorsi delle due donne.
«Cosa ha bevuto Dana? Kirian anche lei?» chiese, sentendosi la lingua impastata.
Fiona le fece cenno di distendersi sul divanetto su cui era seduta, cosa che la ragazza fece con piacere. «No,» le rispose. «Quello che ha preso Dana è una specie di disinibitore, un esperimento che lei e Kelan hanno fatto utilizzando le stesse sostanze con cui si producono tutte le droghe che vengono usate quando si tenta di influire sul laran
Kasentlaya si era sdraiata, era come se avesse sonno, ma non provava nessun desiderio di dormire. «Perché un dis...?» la parole faticavano ad uscire e terminò la frase telepaticamente, "...disinibitore?"
"Quando diventi monitore fai un giuramento, sei tenuto a curare e aiutare i telepati in difficoltà, ma senza intrusioni troppo... invasive. Quello che dobbiamo fare potrebbe crearmi dei problemi, specialmente se tu cominci a opporre resistenza," rispose Dana, spostandosi nel contempo al livello del sopramondo che aveva scelto come teatro dell'intera operazione. "Non solo avvertirei immediatamente il tuo disagio, amplificato più del normale anche a causa dell'empatia, ma mi sentirei obbligata ad interrompere il contatto perché andrebbe contro le regole che ho seguito in anni di lavoro nelle Torri."
Kasentlaya era accanto a lei e si guardava intorno, stupita da quello che le circondava.
Solitamente il sopramondo era una distesa deserta, incolore, dove di tanto in tanto le immagini astrali delle Torri, o di altri luoghi dove era concentrata una grande quantità di laran, spiccavano nel nulla come fari abbaglianti. Invece il luogo dove si trovavano in quel momento sembrava la serra della Torre di Elvas, solo che appariva immensa, senza pareti di vetro a proteggerla dal gelo esterno. La sola cosa che ricordava a Kasentlaya che si trovava nel sopramondo era la strana colorazione delle piante, tutte nella sfumature grigio-azzurra che contraddistingueva il mondo astrale dei telepati di Darkover.
Dana era seduta sul tronco di un albero caduto e aspettava con calma che la cugina si riprendesse dallo stupore.
«È normale per me visualizzare tutto in questo modo,» disse, indicando con un ampio gesto della mano la vegetazione che le circondava. «Forse perché il solo posto dove mi sentivo tranquilla, quando ero a casa, era nella serra del castello.»
Fiona si materializzò alle sue spalle, guardandosi intorno sorridendo. Pochi istanti dopo un'aquila volò sopra le loro teste, lanciando un breve grido di saluto.
«Adesso ci siamo tutti,» disse soddisfatta la Custode. «Mentre voi due starete qui al sicuro, io e Kelan saremo fuori dalla barriera di protezione, pronti ad intervenire in caso di necessità.»
Kasentlaya non fece in tempo a chiedere nulla che Fiona era già svanita. L'aquila la seguì poco dopo, svanendo oltre l'orizzonte dopo un passaggio a quota talmente bassa da sfiorare la testa di Dana.
«Aspettiamo solo che Fiona innalzi la barriera, poi possiamo cominciare,» disse la donna, dopo essersi risistemata i capelli. «se fossi in te mi metterei comoda.»
Mentre Kasentlaya si sedeva su una roccia poco distante, attorno a loro stava addensandosi una leggera nebbiolina azzurra. Lentamente la nebbia sembrò tramutarsi in una finissima parete di cristallo, che arrivò a circondare tutto il piccolo giardino creato da Dana, fino a creare una bolla iridescente intorno a loro.
L'effetto della barriera fu immediato. Anche se non ne era consapevole prima, Kasentlaya si rese conto che non sentiva più nessun rumore di sottofondo. Come se la bolla di stesse trattenendo fuori tutti i rumori provocati dagli altri telepati in transito negli altri livelli del sopramondo.
«In pratica è così,» disse Dana, rispondendo alle domande che la cugina non riusciva a formulare. «Fiona visualizza il suo laran come acqua. Fiumi, laghi, mare e questa bolla è la visione della sua barriera. Solo che è molto più resistente di quanto non sembri a prima vista.»
L'Amazzone si alzò, stiracchiandosi. «Credo che la droga stia cominciando a fare effetto,» allungò una mano a Kasentlaya, invitandola a fare lo stesso. «È ora di andare.»
La sensazione di stordimento impedì alla ragazza di reagire prontamente, ma Dana l'attese con calma, sorridendo senza mostrare alcuna preoccupazione.
«Come faremo a superare gli ostacoli che hai trovato la volta scorsa?» chiese alla cugina, appoggiandosi al suo braccio, più in cerca di conforto che di un sostegno.
Dana ridacchiò, stupendosi essa stessa della cosa. «Quelli non saranno un problema. Credo fossero la tua protezione contro gli estranei.»
Il passo di Kasentlaya si era fatto più sicuro. Grazie all'effetto della droga, Dana non aveva remore ad influenzarla direttamente e le stava infondendo forza e determinazione, in modo da riuscire a raggiungere la vera barriera senza trovare ostacoli prima.
«Per impedire agli altri di scoprire il mio segreto?» chiese, guardandosi in giro preoccupata, temendo di veder comparire qualcuno dei mostri di fuoco che tormentavano i suoi incubi.
«E per darti una scusa per non affrontare il problema,» aggiunse Dana. «Io vedevo dei cespugli di rovi, tu probabilmente qualcosa di attinente con il fuoco. Non deve essere stato facile.»
Kasentlaya rabbrividì involontariamente, trasmettendo alla cugina solo qualche frammento dei suoi incontri con i mostri che avevano fino ad allora protetto la barriera. «Solo che io non sapevo che, oltre loro, ci fosse anche dell'altro,» aggiunse alla fine.
«Adesso vedremo cosa.»
Dana si era fermata. In realtà avevano camminato pochissimo, solo di pochi metri, ma il paesaggio era cambiato completamente. Invece del giardino rigoglioso si trovavano in mezzo ad una distesa brulla, dove gli alberi e le piante che avevano rallegrato la loro vista fino a pochi istanti prima non erano che uno sbiadito ricordo.
Qualche arbusto bruciato dal fuoco cercava di farsi strada tra le rovine di quella che sembrava essere stata una strada affiancata da un basso muretto. Oltre di esso si stendeva una distesa infuocata, simile alle sconfinate pianure delle Terre Aride.
Kasentlaya era nuovamente intimorita. La sua visione del laran stava prendendo il sopravvento su quella di Dana e non era certa che la cosa fosse intenzionale. In lontananza una colonna di fuoco sembrava scaturire dal nulla, arrivando quasi a toccare la bolla creata da Fiona.
«Andiamo,» la sollecitò l'Amazzone. «Se ci fossero problemi Fiona troverebbe il modo di avvertirci. Kelan può oltrepassare la sua protezione senza problemi, probabilmente manderebbe lui come messaggero.»
Dana posò una mano sulla spalla della cugina, spingendola avanti. Il contatto modificò la visione che la ragazza aveva dell'ostacolo davanti a loro. Adesso vedeva chiaramente un grosso albero oltre la cortina di fiamme, probabilmente la visualizzazione che la donna aveva della sua barriera.
«Non credo sia una buona cosa tutto questo,» bisbigliò Kasentlaya, indicando il paesaggio che si faceva sempre più arido e inospitale.
Dana si guardò intorno, non troppo impressionata. La cosa che le interessava era davanti a loro, tutto il resto era solo una distrazione. L'ambiente risentiva dell'agitazione e della paura di Kasentlaya nei confronti di quello che avrebbero potuto scoprire e lei non aveva intenzione di affaticarsi inutilmente cercando di mantenere il paesaggio ameno solo per rendere la breve passeggiata più gradevole.
«Quello che ci interessa è la dentro,» disse alla cugina, indicando la colonna di fuoco e legno che si ergeva ormai a pochi passi da loro. «La prima cosa che dovremo scoprire è la sua natura.»
Kasentlaya la guardò perplessa. «Non capisco...»
Dana allungò una mano, saggiando la resistenza della cortina di fiamme che sembrava avvolgere l'albero cavo che già aveva visto durante il primo controllo effettuato sulla ragazza. Il fuoco non sembrava bruciare, quindi, con ogni probabilità, non era un vero ostacolo... almeno non per lei.
«Nel corso degli anni hai avuto spesso problemi con i mostri che descrivevi prima?» le chiese, mentre con le mani arrivava finalmente a toccare la rugosa superficie dell'albero, ricevendone una sensazione di freddo e di calore allo stesso tempo.
Kasentlaya era rimasta qualche passo indietro, temendo di avvicinarsi troppo a quel muro di fiamme. Non si ricordava quando i suoi incubi erano cominciati. Nei sogni avveniva spesso che, quando si spingeva troppo indietro con i ricordi, comparisse uno dei suoi persecutori o, più spesso negli ultimi tempi, la figura di suo padre che subito l'accusava di essere stata la rovina della loro famiglia.
«Solo quando sogno...» rispose alla fine. «Quando Elayna cercò di controllare il mio laran, prima che mio padre la cacciasse, passai più di una settimana senza riuscire ad addormentarmi,» si avvicinò di poco alla cugina, fermandosi appena dietro di lei. «Appena chiudevo gli occhi mi sentivo trascinare indietro, ripensavo a mia madre, alle parole di mio padre e subito dopo comparivano loro. Non mi hanno mai fatto del male, erano solo spaventosi...»
«Quel tanto che bastava per tenerti lontano da qui,» Dana era ormai certa che quella prima barriera non nascondesse nessuna trappola. Era solo la materializzazione del continuo interferire di suo zio nella vita della cugina.
Se c'erano trappole sarebbero state nascoste sotto la corteccia, celate al primo controllo e pronte a mettere in difficoltà la stabilità emotiva di entrambe. Per quanto poco dotati, sia Kasentlaya che suo padre Rakhal erano Ridenow, quindi dovevano possedere la lieve empatia che contraddistingue tutti i membri della loro casata e qualsiasi difesa fosse stata creata sarebbe stata indirizzata verso la loro capacità di percepire le emozioni e gli stati d'animo altrui.
Dana si chiese incuriosita quale potesse essere la visione che la cugina aveva di questa formidabile pianta che lei visualizzava, e che si stupiva di trovare salda al suolo nonostante l'evidente stato di imputridimento della struttura.
«Avvicinati Kas,» la sollecitò, allungando una mano e invitandola a prenderla.
La ragazza fece qualche altro passo in avanti e afferrò la mano tesa dell'Amazzone, stando ben attenta a non farsi sfiorare dalle fiamme che sembravano lambire senza effetto il corpo della donna.
Dana strinse la mano e si lasciò attraversare dalle sensazioni della cugina, senza opporre alcuna resistenza.
Angoscia, paura e odio... Kasentlaya provava tutto questo nei confronti del padre, ritenuto responsabile di quello che stava subendo. Ma sembrava esserci dell'altro.
Parte dell'odio che percepiva non proveniva dalla ragazza, era qualcosa di più profondo.
Stava per ghermire l'origine di questo sentimento, frammisto ad un vago senso di vergogna, quando una gigantesca creatura sembrò prendere vita dalla colonna di fiamme dietro di loro.
Istintivamente Kasentlaya si ritrasse, interrompendo il contatto con Dana. Pur non avendo mai subito attacchi diretti da una di quelle creature, la paura che scatenavano dentro di lei era la miglior difesa di quella barriera che si era accresciuta nel corso degli anni e che ora sembrava autoalimentarsi proprio grazie alle reazioni di fuga della ragazza.
In una frazione di secondo Dana comunicò a Fiona quello che aveva pensato riguardo l'intera situazione.
Era ormai certo che non fosse Kasentlaya l'artefice del quell'ostacolo formidabile. L'unico merito della ragazza era stato quello di lasciarsi dominare dalla paura e dal timore che i mostri generati dalla barriera facevano crescere in lei, in risposta ai tentativi, meno frequenti negli anni passati ma molto più insistenti negli ultimi mesi, di forzare l'immagine che Rakhal Ridenow aveva provveduto a creare dentro la coscienza della figlia.
Per anni si era vista attraverso i suoi occhi, crescendo convinta di essere un peso insostenibile per il resto della famiglia, di essere stata l'unica causa della morte della sua amatissima moglie.
Gli istinti di ribellione di Kasentlaya si erano sempre limitati al mondo esterno, non aveva mai fatto nulla per reprimere o cancellare la visione di se stessa che il padre aveva impresso dentro di lei anno dopo anno.
Ora, finalmente libera dal giogo paterno, Kasentlaya poteva vedersi attraverso gli occhi di altre persone, che non avevano subito i preconcetti creati da Rakhal, ed aveva cominciato a prendere coscienza di sé, dando il via agli incubi e alle crisi che le avevano condotte fino a lì.
"Percepisco la barriera come una entità a se stante," stava spiegando Dana. "Come una forza elementare che si nutre della paura di Kas."
Fiona stava osservando attraverso gli occhi di Dana la gigantesca pianta infuocata che si ergeva in mezzo alla desolazione che era il cuore più profondo del sopramondo personale di Kasentlaya.
"Vuoi entrare?" chiese all'Amazzone.
"Restando qui fuori non otterremo nulla. Se quello che sento è giusto, Kasentlaya dovrà affrontare i fantasmi legati ai maltrattamenti subiti in passato."
Entrambe le donne stavano fissando il mostro di fuoco. La creatura si era tramutata in una figura incappucciata avvolta dalle fiamme, una sorta di guardiano fermo davanti l'unica apertura che sembrava condurre all'interno della pianta.
"Pensi di riuscire a controllarla? Dovrai aiutarla a superare gli ostacoli."
Dana fece un rapido controllo di se stessa. Apparentemente la droga che aveva assunto prima di salire nel sopramondo stava ancora operando egregiamente il suo effetto. Non provava nessuna remora nell'imporre alla cugina le proprie sensazioni, rendendola più forte e determinata.
"Per ora non sembrano esserci problemi," disse alla fine. "Se potesse fare quello che desidera sarebbe già fuggita mille miglia da qui!"
Fiona annuì mentalmente, ritirandosi e tornando ad essere la spettatrice che era stata fino a quel momento.
Kasentlaya e la figura incappucciata si stavano fronteggiando. La ragazza, più arretrata rispetto a Dana, sembrava sfruttare l'ombra della donna come uno scudo difensivo contro la creatura che, fluttuando ad almeno mezzo metro da terra, restava immobile davanti l'unica apertura.
«Forza!» esclamò Dana, afferrando Kasentlaya per un braccio e tirandosela vicina. «Adesso dobbiamo entrare.»
La ragazza impallidì, mentre la creatura tornò a trasformarsi in un mostruoso essere di fiamme e fuoco.
«Hai visto?» le chiese, indicando con un cenno l'essere. «La tua paura gli ha ridato energia. Si nutre di essa e del rimorso che le parole di tuo padre hanno fatto crescere dentro di te.»
Come cedendo parte della sua linfa ad un ramo sofferente, Dana fece fluire la propria energia attraverso il corpo della ragazza, forzando qualsiasi tentativo di resistenza.
Sopraffatta per un istante dalla visione di Dana, Kasentlaya vide il suo mostro tramutarsi in un gigantesco fiore marcescente, dall'aspetto così instabile che un solo colpo di vento appena più forte del normale lo avrebbe disperso nel nulla.
Forza e sicurezza. Pur sapendo che quelle sensazioni non erano ancora le sue, Kasentlaya se ne nutrì avidamente e, tentando qualcosa che non avrebbe mai pensato di essere in grado di fare, allungò una mano e toccò il mostro che tante volte l'aveva terrorizzata.
Il fiore si sgretolò al solo contatto, sovrapponendosi all'immagine dell'essere di fiamma che esplodeva, dopo essere come ricaduto su se stesso.
La voce di Rakhal, che accusava la figlia di non essere neppure all'altezza di sedere alla loro tavola come una vera comynara, riecheggiò nelle loro menti, prima di svanire nel nulla come le ultime scintille del mostro di fuoco.
«È stato facile!» si entusiasmò Kasentlaya, avvicinandosi alla breccia che si era creata nel muro di fiamme.
Dana non poté fare a meno di sospirare. «Questa volta,» le disse, varcando la soglia e introducendosi all'interno della pianta. «Ma da adesso in poi saremo fuori dal nostro territorio e sarà sempre più difficile, mano a mano che ci avvicineremo al punto di origine di... questo!» allargò le braccia e Kasentlaya, che era entrata con passo più incerto, spalancò gli occhi, incredula.
Si trovavano all'interno di una gigantesca sala, le alti pareti illuminate da torce che emanavano una luce debole e fredda, il soffitto a volta che si intravedeva a stento nella semioscurità.
Attraverso l'entrata si potevano ancora percepire le visioni che le due Ridenow percepivano di quella struttura. La gigantesca pianta e la colonna di fuoco erano ancora al loro posto mentre, non c'era bisogno di spiegazioni questa volta, un piccolo rivolo di acqua limpida e cristallina aveva circondato il perimetro esterno di quella che adesso era un salone e, non riuscendo ancora a vincere la resistenza della barriera, aveva formato come una fontanella che sgorgava allegramente sulla parete più vicina all'entrata.
Fiona seguiva i movimenti delle due telepati, liberando lo spazio intorno a loro dai residui di quello che, poco a poco, riuscivano ad abbattere. Ma adesso, anche lei non riusciva ad oltrepassare il blocco. Rakhal Ridenow poteva non aver creato volontariamente tutto quello ma, con una costanza degna solo dei maschi del loro ramo della famiglia, era riuscito ad ottenere un ostacolo formidabile.
Però, nonostante il suo potere fosse di gran lunga superiore a quello che poteva percepire come fonte di energia che manteneva insieme la barriera, non riusciva ad oltrepassare il confine. Al massimo, ma solo ancorandosi alle emanazioni di Dana, poteva lambire con il piccolo ruscello i piedi delle due donne, ma non oltrepassare il punto dove si erano fermate.
Mantenendo il contatto con l'Amazzone, la Custode richiamò l'attenzione di Kelan. L'aquila aveva continuato a volteggiare alta nel cielo, seguendo con occhio attento le mosse delle due donne, però non percepiva nulla al centro della distesa ora purificata dall'azione di Fiona.
"Per me sono immobili al centro di un isolotto," rispose alla domanda di Fiona, scendendo in planata per osservare meglio la situazione. "Non vedo né la pianta di Dana né la colonna di fuoco, figuriamoci se riesco a visualizzare quella sala!"
Fiona si materializzò davanti alla pianta e attese che Kelan si posasse delicatamente sul suo braccio teso. Il contatto diretto con la Custode permise al monitore di vedere quello che appariva davanti a lei.
"Perché continui a vederla così," l'aquilotto inclinò il capo, per avere una visuale migliore dell'albero colossale. "Una colonna di acqua zampillante... sarebbe più nel tuo stile!"
Fiona lo grattò sulla testa. "Mi trovo più a mio agio con la visione di Dana che con quella di Kasentlaya. Inoltre," indicò con un cenno del capo la cima dell'albero, "così posso controllare l'effetto che la droga ha su di lei. Nel momento in cui la mia visione dovesse sovrapporsi alla sua, significherà che l'effetto del disinibitore è in calo e che Dana avrà bisogno di una nuova dose." Kelan allargò le ali, assestando la sua posizione sul braccio della donna. "Tu non avverti nulla della barriera?"
"Ci sono delle correnti d'aria che mi impediscono di avvicinarmi a Dana," rispose, piegando nuovamente la testa di lato. "Però non vedo altro, neppure una presenza minacciosa che possa rappresentare il loro avversario."
Fiona sollevò il braccio con forza, permettendo a Kelan di riprendere il volo. "Il loro solo avversario è rappresentato dalle reazioni di Kasentlaya ai ricordi del passato. Fino a quando non riuscirà a liberarsi dalle pastoie create dal padre non riuscirà neppure ad abbattere la barriera."
Kelan, già alto nel cielo, aveva ricominciato a volteggiare sulla zona, controllando anche i confini del sopramondo per evitare l'arrivo di presenze indesiderate.
"Allora speriamo che Dana continui ad imporle le sue sensazioni, altrimenti non usciranno più da lì!"


barra

Ancora ferma al centro della sala, Dana aveva ascoltato la conversazione dei due compagni che le stavano osservando da fuori. Il fatto che Kelan non percepisse nulla di minaccioso attorno a loro non poteva essere considerato un fattore a loro vantaggio, voleva semplicemente dire che il loro avversario era veramente solo Kasentlaya.
Almeno la Custode aveva trovato il modo di eseguire un doppio monitoraggio sulle sue condizioni fisiche.
Controllando solo il corpo poteva rendersi conto troppo tardi dell'esaurirsi dell'effetto della droga mentre, guardando le sue reazioni nel sopramondo, poteva cogliere le prime avvisaglie e agire di conseguenza, permettendole così di non perdere tempo prezioso nell'attesa che il disinibitore tornasse a compiere il suo effetto.
Nel frattempo Kasentlaya si aggirava nella sala, con aria più spavalda di quello che effettivamente era.
La ragazza aveva già fatto il giro della stanza almeno un paio di volte e non aveva trovato nulla di interessante. Non conosceva quel posto e non sapeva come proseguire. Non c'era traccia di corridoi o di aperture o, forse a causa della scarsa luce delle torce, non era ancora riuscita a trovarne. Di tanto in tento si voltava per controllare dove fosse Dana, ma la cugina non si era ancora mossa.
La ragazza sbuffò spazientita, prima ancora di rendersi conto di quello che aveva fatto. Arrossendo controllò la reazione di Dana, ma l'espressione dell'Amazzone sembrava assente e non aveva notato la cosa. Il fatto, invece che rassicurarla, la irritò ancora di più.
«Restiamo ferme qui?» chiese alla fine, tornando al centro della sala, resistendo alla tentazione di tirare la cugina per una manica. «Non riusciremo a fare nulla se non troviamo il modo di andare avanti.»
Lo sguardo di Dana tornò a mettere a fuoco l'ambiente che la circondava, allentando il contatto con Fiona e con Kelan. Abbassò lo sguardo sulla ragazza e fu investita dalle sue emozioni.
Impazienza, rabbia e paura... soprattutto paura, anche se cercava di nasconderla dietro un comportamento spavaldo.
«Non dipende da me,» le rispose. «Se tu non vuoi proseguire possiamo anche restare qui in eterno.»
Kasentlaya assunse un'espressione sorpresa. «Sarei io che non voglio proseguire?» il tono era incredulo.
Dana si voltò verso la breccia che collegava la grande sala con l'esterno. Il piccolo torrente creato da Fiona si era raccolto in un laghetto che circondava completamente l'albero, ma solo un piccolo rivoletto riusciva ad entrare, insinuandosi attraverso delle crepe nella parete, seguendo le diramazioni delle radici di una pianta rampicante.
«Quel ramo è il mio collegamento con l'esterno,» disse. «È grazie ad esso che Fiona riesce a superare la barriera. Se dovesse accadermi qualcosa, o non fossi più in grado di mantenere il contatto con lei, la pianta avvizzirebbe e Fiona non sarebbe più in grado di raggiungerci. Anche Kelan non riesce a passare, l'ostacolo che stiamo cercando di abbattere sta a sua volta cercando di isolarci dal resto del sopramondo, quasi volesse difendersi da noi.»
Kasentlaya era impallidita. «Stai cercando di spaventarmi?»
Dana scosse la testa negativamente. «Hai già paura, ma non vuoi ammetterlo. La barriera si nutre della tua paura e il fatto che cerchi di nasconderla a te stessa la rende ancora più solida.»
«Cosa dovrei fare allora?» gli occhi della ragazza si erano fatti lucidi. Dana sembrava essere un'altra persona da quando avevano oltrepassato quella soglia e la cosa la spaventava ancora più di quello che avrebbero potuto incontrare.
«Non sono cambiata,» puntualizzò l'Amazzone. «Non è facendo finta di non avere paura che potremo andare avanti.»
Dalla sua postazione di osservatrice Fiona si chiese se per caso la donna non stesse esagerando ma, doveva ammetterlo, da quando avevano abbandonato lo spazio di sopramondo sembrava che nessuna delle due fosse più in grado di imporre il proprio volere all'ambiente che le circondava.
Dana si ritrasse, elevando la barriera che normalmente la separava dalle emozioni di chi la circondava e che permetteva agli altri di non essere investiti dai suoi umori.
Kasentlaya si ritrovò improvvisamente senza sostegno, la forza che l'aveva sorretta fino a quel momento era solo opera della cugina e ora si sentiva schiacciata dal terrore che quel luogo sconosciuto evocava in lei.
La sala sembrò collassare su se stessa. Le pareti si avvicinarono a loro, assumendo l'aspetto di un sotterraneo umido e malsano. Le torce furono sostituite da lanterne colme di olio, la cui luce giallastra non riusciva ad illuminare nulla che fosse oltre la portata del loro braccio teso. Davanti a loro, si estendeva un lungo corridoio, dalle pareti ricoperte di muschio e dal pavimento attraversato da un rivolo di liquami.
Dana abbassò nuovamente la sua barriera difensiva, restituendo alla cugina il suo sostegno, ma con meno vigore che in precedenza.
«Adesso possiamo andare,» disse soddisfatta, spingendo la giovane davanti a sé, incurante le forte tremore che pervadeva ogni fibra del suo corpo.


barra

Kelan aveva assistito alla scena attraverso gli occhi di Fiona ed era rimasto sconcertato.
"Non avrà esagerato?" chiese alla Custode, abbassandosi quasi a sfiorarla.
Fiona riusciva ancora a seguire le due donne solo grazie al collegamento che Dana aveva realizzato per lei. Non sapeva come l'Amazzone avesse capito che sarebbe stato impossibile per lei procedere oltre, ma quel piccolo ramo di rampicante, che si insinuava e strisciava lungo i muri malsani del sotterraneo era il solo filo che la manteneva in contatto con loro.
Dal suo punto di osservazione, fuori dalla pianta, la Custode poteva osservare come l'albero gigantesco stesse lentamente cominciando a perdere di stabilità. Le fronde più alte sembravano perdere colore, mentre la crepa che ne deturpava la base si era allungata ed aveva raggiungo la prima biforcazione dei rami della chioma.
Invece che rafforzarlo, la manovra brutale dell'Amazzone sembrava aver arrecato notevoli danni, tanto che un'intera parte della corteccia era come avvizzita e si stava staccando dal legno sottostante.
"Qualunque cosa abbia fatto, sembra che stia funzionando!" fu la risposta di Fiona ai dubbi di Kelan che, tutto tranne che tranquillizzato, riprese rapidamente quota.


barra

Le pareti del tunnel si erano ristrette al punto che, per proseguire, dovevano quasi strisciare contro di loro, immerse in quasi due piedi di acqua densa e fangosa di cui non volevano scoprire l'origine.
Di tanto in tanto Dana controllava dietro di sé, per verificare la presenza del sottile ramo che si allungava fino a raggiungere l'entrata da cui erano passate. Fino a quando quel collegamento resisteva, Fiona sarebbe potuta intervenire in caso di pericolo... almeno sperava.
Kasentlaya avanzava faticosamente, cercando di non toccare le pareti e evitando il contatto con qualsiasi cosa sembrasse sporgere da esse. Il senso di soffocamento che provava era lo stesso che l'aveva attanagliata durante i lunghi anni trascorsi a Castel Ridenow accanto al padre.
Il solo pensiero dell'uomo la fece rabbrividire, quasi quanto l'urlo disumano che provenne nello stesso istante da una nicchia che si era aperta alla loro destra.
La ragazza di immobilizzò, tanto che Dana quasi le finì addosso. Non aveva sentito il gemito e non capiva cosa avesse bloccato la giovane.
Allungò una mano fino a toccare la spalla della cugina. Kasentlaya sobbalzò e lanciò un grido, sospirando di sollievo quando si accorse che a toccarla era stata Dana.
Lentamente una sorta di lontano uggiolio penetrò la mente dell'Amazzone. Non era il verso spaventoso che udiva la cugina. Era come se ascoltassero lo stesso suono ma su due frequenze diverse, percependo ognuna una diversa variante della medesima vibrazione.
"È cominciato!" pensò, non sicura che da fuori potessero ancora percepire quello che trasmetteva. "Anche se lo spettacolo sembra essere solo per lei."
Kasentlaya si strinse più vicina alla cugina, cercando di trarre un po' di conforto dal contatto. Sperava che Dana non la allontanasse, aveva paura che la costringesse ad affrontare da sola quello che stava arrivando.
«Tu sai cosa può essere?» le chiese la donna, ricevendo in risposta un cenno negativo del capo. «Non deve essere tanto grande, se riesce a stare tutto li dentro.»
Kasentlaya abbozzò un sorriso, ma il risultato fu più simile ad una smorfia. Lei vedeva una caverna spaventosa dove pochi istanti prima c'era una piccola nicchia che, a quanto sembrava, Dana vedeva ancora.
«A cosa stavi pensando poco prima di sentire quel lamento?»
Kasentlaya si mise le mani sulle orecchie, ma il suono arrivava direttamente dentro la sua testa. «Pensavo che questo posto mi sembrava opprimente come la presenza di mio padre,» rispose in un sussurrò. «Era come se cercasse di soffocarmi, di togliermi anche l'aria che respiravo.»
Dana sorrise, lasciando che un po' della sua forza passasse nella cugina, mentre la ragazza continuava a raccontare le sue sensazioni.
«Era sempre freddo e scostante, quando eravamo da soli o con altri del castello,» la voce aveva recuperato un po' di tono. «Quando venivano ospiti, o parenti lontani, sembrava il padre più affettuoso del mondo, sia con me che con Wren, la mia sorellastra. Ma poi andavano via e lui tornava ad essere un mostro... ma solo con me!»
Dana ascoltava in silenzio. Era un processo che Kasentlaya doveva fare da sola. Riconoscere le sue vere sensazioni e separarle da quelle che erano state create apposta per lei. Non era facile, sarebbe stato molto più semplice chiederle di spogliarsi davanti ad estranei.
«Le prime volte, quando cercavo di capire cosa realmente mio padre provasse per me, sentivo solo freddo... e sporco. Era come se lui cercasse di scaricare in me tutto lo sporco che c'era dentro di lui,» realizzò all'improvviso.
Il grido si fece più vicino, ma questa volta Kasentlaya sembrò rimanere impassibile. Guardò distrattamente la caverna sulla sua destra, per rendersi conto che era nuovamente diventata una piccola nicchia mentre, non più ascoltato, il grido si perdeva in lontananza.
Senza parlare, Dana la spinse leggermente in avanti, per farla proseguire. Aveva notato come la ragazza sembrava evitare il contatto diretto con l'ambiente che le circondava ma, se continuava a comportarsi a quel modo, non sarebbe riuscita ad affrontare quello che sembrava nascondersi sotto il liquame.
«Almeno mio padre non faceva eccezioni,» disse, controllando che dietro di loro tutto procedesse per il meglio. «Trattava tutti allo stesso modo. Mio fratello Kyrill, il maggiore, non aveva più vantaggi del figlio dell'ultimo stalliere. Quando voleva qualcosa doveva guadagnarselo con fatica. Non era raro che dovesse combattere contro uomini più grandi di lui per dimostrare di essere degno di qualcosa.»
«In quanti eravate?» le chiese Kasentlaya.
«Se fossero sopravvissuti tutti, in ventuno. Ma da quando non ho più contatti non so di quanto siamo aumentati,» l'espressione si fece pensierosa. «Illa non mi riferisce le novità di casa Ridenow, dice che mi fanno innervosire e che non le piace!»
«Non volevo rattristarti,» Kasentlaya aveva notato il cambio di umore della cugina e temeva di esserne responsabile.
Proseguirono in silenzio per una decina di minuti. Tutto intorno a loro sembrava statico, nessun rumore dalle profondità della galleria, nessuna apparizione misteriosa. Kasentlaya si stava calmando e, pur essendo ancora spaventata da quello che poteva essere nascosto nell'oscurità, sembrava stare bene attenta a non evocare nulla di potenzialmente pericoloso.
«Ricordo una delle prime scappatelle di Kyrill,» riprese Dana, facendo sobbalzare la cugina. «Aveva deciso che una delle nuove cameriere doveva essere la sua prossima conquista e aveva deciso di prendere quello che credeva gli spettasse di diritto. Anche uno degli ufficiali di nostro padre aveva avuto la stessa idea e, poco brillantemente, mio fratello gli aveva sbattuto in faccia il fatto che, essendo figlio del Dom, era evidente che la fanciulla spettasse a lui.»
«E tuo padre? Ha dato la fanciulla al suo ufficiale?» chiese Kasentlaya, sapendo che questo era quello che avrebbe fatto suo padre nella medesima situazione.
«No,» Dana si era fermata, appoggiando una mano contro la parete, percependo come una sorda nota di attesa propagarsi lungo le pietre ammuffite. Era come se anche l'ambiente che le circondava stessa attendendo la risposta trattenendo il fiato. «Ricordo che eravamo tutti a cena, quando Kyrill fece un commento sulla ragazza che quella sera avrebbe avuto la fortuna di trovarselo nel letto. Nostro padre si alzò, senza dire una parola, e trascinò Kyrill fino alle stanze delle guardie e, dopo aver chiamato fuori l'ufficiale, condusse entrambi nel cortile che utilizzavano per l'addestramento.»
«Li ha fatti battere per la ragazza?»
«Voleva un duello in piena regola, ma Kyrill cominciò a piagnucolare come una femminuccia. Sapeva che il soldato era molto più bravo di lui con la spada e che non avrebbe avuto speranze. Nostro padre avrebbe impedito che si facesse troppo male, ma non avrebbe fermato il combattimento al primo taglietto.»
«Chi ha vinto?» adesso Kasentlaya era veramente curiosa. Non aveva mai avuto fratelli maschi, neppure adottati, e non era abituata a scene del genere.
«Nessuno,» fu la risposta. «Appena Kyrill si mise a piagnucolare, nostro padre lo afferrò per i capelli, chiudendolo dentro il recinto dei maiali. Non voleva codardi in famiglia, se qualcuno voleva qualcosa doveva essere disposto a rischiare per averla. Da quel giorno nessuno dei maschi ha mai chiesto qualcosa per diritto, si limitava a dichiarare a nostro padre quello che voleva e, se riusciva ad ottenerlo nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.»
«Se l'alternativa era passare una notte tra i maiali!» commentò Kasentlaya.
Dana scosse negativamente la testa. «L'alternativa era la minaccia di essere mandati da tuo padre e di essere allevati da lui.»
Kasentlaya non fece una piega ma, attorno a loro, l'aria sembrò riscaldarsi.
«Lo zio Rakhal era l'esempio migliore di quello che non sarebbero dovuti diventare,» proseguì Dana. «Nel nostro castello passava di tutto: soldati, mercenari, mercanti delle Terre Aride. Tutti avevano rispetto di nostro padre, per un motivo o un altro. Ma potevi chiedere a chiunque di loro cosa pensassero di suo fratello e la risposta sarebbe stata unanime.»
Kasentlaya annuì. Non c'era bisogno di chiedere quale potesse essere.
Davanti a loro un rumore sordo faceva vibrare l'aria surriscaldata. Le due donne si fermarono per un istante, restando in ascolto.
«Sembra una cascata,» fu il commento, un po' stupito, di Dana.
«La Custode?» il tono della cugina era speranzoso, ma sapeva benissimo che non poteva essere possibile.
Si voltò a guardare il tunnel alle loro spalle. Non sembrava cambiato nulla ma, nella putredine delle pareti e nel liquame che circondava i loro piedi, il rampicante di Dana e il rivoletto di acqua limpida che era la propaggine del laran di Fiona spiccavano come gioielli luminosi.
«Hai sempre cercato di non farti toccare dall'ambiente che ti circondava,» disse improvvisamente Dana, giunta davanti all'origine del rumore. «Nonostante tutti i tentativi di Rakhal sei riuscita a non farti corrompere.»
Kasentlaya si portò accanto alla cugina. «Non capisco!» ribatté, prima ancora di vedere cosa le aspettava.
Davanti a loro si apriva una nuova sala, dalle pareti distanti e indistinguibili. La sola cosa perfettamente visibile era una cascata di liquame maleodorante che precipitava da un'altezza inimmaginabile e copriva tutto il lume della galleria che stavano percorrendo.
«Sto dicendo che quella di sporcarti è una delle tue paure. Essere coinvolta dalle abitudini corrotte che tuo padre ha sempre cercato di importi... questo è un altro tentativo che tuo animo sta facendo per convincerti a desistere.»
A riprova delle parole della cugina, Kasentlaya stava indietreggiando davanti alla pioggia di liquame. Il livello della lordura in cui erano immerse si era alzata di qualche centimetro e l'impeto della cascata sembrava volerne incrementare ancora l'aumento.
«Temo che ci sia un solo modo per passare,» disse piano Dana, portandosi alle spalle della cugina e, senza darle il tempo di reagire, le dette uno spintone che la fece finire direttamente sotto il getto che pioveva dall'altro.
Per un istante si chiese dove, una ragazza ancora giovane come Kasentlaya, potesse aver imparato così tante imprecazioni. Poi, ridacchiando, si creò una protezione e passò a sua volta oltre il maleodorante ostacolo.
«Questa me la paghi, sai!» Kasentlaya era letteralmente fumante di rabbia. Dana, protetta da una gigantesca foglia di felce, le stava davanti sorridendo e lei sentiva crescere dentro di sé un furore incontenibile.
Dal canto suo, sia Dana che i due telepati che le stavano controllando da fuori, potevano vedere un'aura dorata sprigionarsi dalla ragazza, l'emanazione visibile della sua rabbia.
Il liquido di cui era ricoperta evaporò rapidamente, senza lasciare residui. La violenta reazione che la doccia imprevista aveva causato in lei aveva avuto come effetto un indebolirsi della stabilità dell'ambiente che le circondava, favorendo il passaggio all'interno della sala della emanazione liquida della Custode.
Dana non disse nulla, limitandosi ad appoggiarsi ad una parete, pulita e cristallina rispetto a quelle della galleria da cui erano arrivate, ed attese che Kasentlaya notasse finalmente quello che era accaduto. L'Amazzone aveva abbassato il controllo emotivo sotto cui teneva la cugina e la giovane stava attingendo direttamente alla sua forza interiore.
Quando la ragazza si guardò intorno, rimase come stupita. «Come ci sei riuscita?» le chiese.
«Io non ho fatto nulla,» rispose tranquillamente. «Hai fatto tutto da sola. Hai reagito a qualcosa che non ti piaceva e hai liberato un po' della tua forza.»
«Però tu non dovevi farlo!» insistette Kasentlaya, avvicinandosi minacciosa alla donna.
Dana si stacco dalla parete, oltrepassando la cugina e portandosi al centro della sala. «Tu saresti passata?» Kasentlaya arrossì lievemente e non aggiunse altro. «Da che parte ora?» riprese Dana, guardandosi intorno distrattamente.
Cominciava a subire un po' l'atmosfera del luogo, ma le sembrava di riuscire ancora a controllarsi perfettamente. Kasentlaya adesso richiedeva un'imposizione inferiore da parte sua. La ragazza aveva visto di essere meno debole di quanto credeva e che, nonostante tutti i suoi timori, non aveva ancora incontrato nulla di veramente pericoloso.
Kasentlaya si guardò in giro, cercando qualcosa che le dicesse da che parte dirigersi. Poi, con decisione, puntò verso l'angolo che sembrava più in oscurità rispetto al resto della sala.
«Andremo da quella parte!»


barra

"Vedi qualcosa di strano?" la voce di Kelan risuonò allarmata nella mente di Fiona.
Già da qualche minuto l'albero aveva cominciato a perdere la sua forma, cominciando a sostituirsi con una struttura fatta di ghiaccio opaco. Il fatto significava inequivocabilmente che la droga presa da Dana stava cominciando a perdere il suo effetto e che, più presto di quanto avevano previsto, la donna non sarebbe più riuscita ad imporre attivamente la sua volontà all'ambiente che la circondava.
"Dana ha bisogno di una seconda dose," rispose, con tono più preoccupato del voluto. Kelan planò sulla sua spalla, fermandosi sul suo braccio teso. "Però non riesco più a contattarla. Devo tornare fuori."
Kelan si staccò dal braccio della Custode e si accomodò su una sorta di trespolo creato per l'occasione. Con occhio inespressivo guardò la figura di Fiona tremolare e svanire come nebbiolina, mettendosi in paziente attesa del suo ritorno. Erano trascorsi solo pochi istanti quando, condensandosi dal nulla, la proiezione astrale di Fiona si mise nuovamente in contatto con lui.
"Non riesco a riportarla ad uno stato più vigile," riferì preoccupata la donna.
Kelan saltellò nervosamente sul trespolo. "Faglielo bere lo stesso!"
Fiona lo guardò severamente. "Potrei soffocarla, lo sai benissimo."
Kelan non poté ribattere, visto che la figura della Custode si era nuovamente dissolta. Si voltò allora a guardare le due cugine, sempre ferme in mezzo alla radura. Non sembrava essere accaduto nulla di strano, lui continuava a vederle ferme nello stesso punto. Dana non sembrava sofferente e Kasentlaya aveva di certo un'espressione più sicura e determinata.
Stava per tornare a scrutare il punto in cui sarebbe ricomparsa Fiona quando notò una figura scura al fianco di Dana, che restò accanto all'Amazzone per qualche istante prima di svanire nuovamente, per ricomparire a pochi centimetri da lui.


barra

La strada che Kasentlaya aveva scelto di seguire non si era dimostrata delle più semplici.
Dopo pochi metri la sala si era nuovamente ristretta ed ora si trovavano in una sorta di angusto passaggio in pietra che procedeva verso il basso, costeggiando un strapiombo che dava su un mare di lava.
Kasentlaya sollevò il capo per un istante, scrutando più avanti nella penombra rossastra. Volute di vapori sulfurei aleggiavano nell'ambiente impedendo di discernere qualsiasi cosa. Si fermò pensierosa scrutando più in basso il magma che ribolliva con un suono sordo.
Dana le si accostò. «Cosa c'è?» domandò, guardandosi in giro.
«Nulla... mi stavo solo chiedendo perché visualizzo il laran con il fuoco. Tu me lo sai spiegare?»
La Rinunciataria scosse il capo. «A me viene naturale usare le piante... forse semplicemente perché ti piace,» si sporse lievemente a guardare il fiume di magma sul fondo, chiedendosi per un istante cosa stesse provando Fiona, poi aggiunse. «Tutta questa lava potrebbe essere solo la rappresentazione del tuo stato attuale.»
Kasentlaya la guardò perplessa. «Quale stato attuale?»
«La tua rabbia, quella che ti ha dato tutta quell'energia che ti ha portato fino a qui.»
«Io... non ne sono sicura. So che il fuoco e tutto ciò che lo ricorda mi fa sentire al sicuro... come se facesse parte di me. E poi sei tu che mi stai sostenendo!» esclamò, mentre Dana assumeva un'espressione distante e strana.
Improvvisamente Kasentlaya si sentì mancare il sentiero da sotto i piedi, scivolò cercando inutilmente di aggrapparsi alle pietre scabre scorticandosi le mani.
Ruzzolò giù, urtando contro le rocce che costellavano la strada per un periodo che le parve un'eternità, avvertendo più in alto lo scalpiccio dei passi affrettati di Dana che la inseguiva.
Si trovò d'un tratto distesa a gambe larghe su di un pavimento di granito, la lava e lo strapiombo erano svaniti. Il colpo ricevuto le aveva mozzato il respiro, annaspò per alcuni istanti cercando di mettersi a sedere mentre Dana era nel frattempo arrivata lì vicino.
«Dovresti guardare quando...» iniziò a dire, col tono di un ufficiale che ordina al cadetto di pulire le latrine.
«Se la terra non si spostasse sarebbe meno difficile cadere!» esclamò la cugina, colta d'improvviso dalla rabbia. «E adesso quale prova interiore mi rappresenta questo scivolone? Mi chiedo perché, almeno per una volta, non sia caduta tu in questa trappola?»
Dana sorrise alle invettive della cugina. «Almeno sei scesa più in fretta...»
«Non diresti così, se il sedere dolorante fosse il tuo!» ribatté Kasentlaya, facendo una serie di smorfie teatrali.
Ma Dana non la stava più ascoltando guardava invece assorta davanti a sé. I vapori si erano diradati un poco, lasciando intravedere una vasta sala circolare. Ma da nessuna parte sembrava più scorgersi la presenta del rivoletto di acqua che le aveva seguite fino a quel momento e anche il suo rampicante sembrava aver perso vigore.
«Cosa sta succedendo?» Kasentlaya sembrava allarmata e, per una volta, aveva motivo di esserlo.
«Temo che l'effetto della mia droga sia finito,» rispose placidamente Dana.
Kasentlaya stava per ribattere, quando un'altra delle creature dei suoi incubi comparve davanti a lei, separandola dalla cugina.
Un gigantesco drago nero si era materializzato tra di loro e, con movimenti quasi sensuali, si stava avvinghiando attorno al corpo dell'Amazzone.
Kasentlaya dimenticò immediatamente ogni timore. Se quella creatura avesse attaccato lei probabilmente sarebbe morta di paura ma, vedendola avventarsi contro Dana, la reazione che scatenò fu esattamente l'opposto.
«Dana!» gridò, avvampando nuovamente dell'aura infuocata, pronta a lanciarsi in aiuto della cugina.
L'Amazzone si voltò verso di lei, con un'espressione tutt'altro che spaventata. La guardò sorridendo, mentre il gigantesco drago sembrò diventare sempre più piccolo, fino a restare come un gioiello prezioso arrotolato attorno al suo braccio destro.
«Non temere,» le disse, accarezzando la strana creatura. «Non è uno dei tuoi mostri... questa è Illa, la mia compagna,» spiegò, arrossendo.
Kasentlaya si bloccò immediatamente, indecisa se sentirsi tranquillizzata o preoccupata da quell'apparizione. «Ma come...» balbettò alla fine.
"La tua Custode e il volatile la fuori stanno cercando di svegliarti," la voce della creatura risuonò forte e chiara nella mente di entrambe le donne. "Sembrano preoccupati!"
Kasentlaya guardò la cugina. «Di cosa sta parlando?»
Il piccolo drago si voltò verso di lei, ma Dana lo distrasse accarezzandolo sulla testa. «Se Fiona non riesce a svegliarmi un po' non riuscirà a farmi bere la seconda dose di disinibitore,» spiegò brevemente. «Adesso non ti preoccupare,» disse poi, avvolgendo il drago attorno al braccio della cugina, mentre il suo corpo perdeva di consistenza.
Il drago si accomodò sulla nuova ospite, cercando di non far trapelare la sua impazienza.
Kasentlaya, preoccupata dalla piega che aveva preso la situazione, teneva il braccio steso davanti a sé, quasi temesse che il piccolo animale potesse attaccarla.
Non riusciva a credere che quello fosse l'aspetto astrale della libera compagna di Dana. Aveva sempre sentito parlare di lei dagli altri della Torre, quasi sempre dei commenti poco carini nei confronti della donna da parte di Shonnach e di Damon, e aveva capito che la mercenaria non possedesse nessun tipo di laran.
«È quello che dice,» commentò Dana, la cui immagine stava riprendendo consistenza. «Adesso andrà meglio, anche se credo che non ce ne fosse così bisogno.» Kasentlaya allungò il braccio, per permetterle di riprendere il suo draghetto. «Non le hai dato fastidio?»
Il piccolo animale la fissò per un istante. "Bak'ha!" la risposta risuonò nelle loro menti, mentre la creatura riprendeva rapidamente le dimensioni originarie per poi svanire di nuovo.
«Simpatica!» sussurrò Kasentlaya. «Cosa significa quello che ti ha detto?» chiese poi ad alta voce.
Dana tornò a guardarsi in giro, per controllare che l'assunzione della seconda dose di disinibitore non avesse portato a delle modificazioni delle sue percezioni sul luogo che avevano raggiunto. «Nel dialetto delle Terre Aride da cui proviene significa stupido,» rispose, sollevata dal fatto che non sembravano esserci differenze. «È una delle sue parole preferite,» aggiunse poi, sorridendo alla cugina.
Kasentlaya sospirò. «Stai bene, adesso?»
Dana annuì, indicando la sala che le circondava. «Che ne pensi?»
La luce palpitante che le aveva accompagnate sembrava stemperarsi, assumendo il colore delle lampade che si usavano nelle Torri. L'aumento della luminosità permise alle due donne di notare molti più particolari del nuovo salone che avevano raggiunto. Per la prima volta da quando si erano inoltrate in quel luogo poterono vedere tutto chiaramente. Il soffitto era dipinto e Kasentlaya si soffermò ad osservare gli affreschi.
Gli Dei di Darkover stavano ognuno ai quattro punti cardinali, immersi in uno sfondo blu punteggiato di stelle.
Quella sala era... così familiare. Era identica alla Grande Sala del castello dei suoi avi.
"No," si corresse, "non identica... distorta."
I colori erano sbagliati e appena visibili, come ricoperti di fuliggine, e la figura di Zandru era enorme e sembrava schiacciare gli altri Dei nei loro angolini.
Stava per rivelare la cosa alla cugina quando l'atmosfera della sala mutò repentinamente. Una nuova tensione si andava accumulando come prima di una tempesta. La bruma, che sembrava essere svanita, ritornò spinta da un vento invisibile e sembrò concentrarsi in un unico punto, che si frappose tra di loro ed il centro della sala.
Attraverso la cortina che si era creata potevano vedere un basso mobiletto di legno intagliato, simile a quelli prodotti dagli artisti delle Terre Aride. Appoggiato esattamente al centro, vi era un piccolo contenitore che sembrava realizzato in preziosa filigrana di rame.
«Credo che siamo arrivate alla fine del viaggio,» mormorò Dana, indicando alla cugina quello che era apparso davanti a loro. «Adesso devi veramente affrontare da sola quello che accadrà,» le disse dolcemente, recidendo qualsiasi tipo di contatto potesse ancora esserci tra di loro.
Kasentlaya si sentiva attratta da quell'oggetto. Le sembrava familiare, sapeva che doveva essere importante per lei ma non ricordava perché. Si avvicinò ad esso, controllando solo con la coda dell'occhio che Dana rimanesse comunque a portata di voce.
Sapeva che lì avrebbe trovato la risposta a tutti i suoi incubi. Già il fatto di essere giunta fino a quel punto aveva dell'incredibile per lei. E non poteva dire che era stato solo per merito della cugina!
Aveva superato tutte le difficoltà che il padre aveva da sempre sostenuto che per lei sarebbero stati insormontabili. Non era più la bambina spaventata che voleva dimostrare di essere forte per ottenere l'amore di chi non avrebbe comunque saputo donarglielo. Il passo più grande lo avrebbe fatto per se stessa, per riappropriarsi di un pezzo della sua memoria che le era stato tolto con l'inganno.
Si avvicinò alla scatola. L'aria si era fatta densa e Kasentlaya ebbe come la sensazione di nuotare nella melassa.
La ragazza ebbe la tentazione di fermarsi ma, stringendo i pugni, ripensò alle parole della cugina: "La barriera si nutre della tua paura e del tuo odio."
Kasentlaya si raddrizzò in tutta la sua altezza. «La paura che le parole di mio padre potessero essere vere e l'odio che provavo per me stessa al pensiero di aver ucciso mia madre...»
Guardò il cofanetto e improvvisamente ricordò.


barra

Myria Castamyr-Sirtis era destinata ad un futuro brillante.
Il suo carattere buono e altruista, ma tenace nelle sue scelte, la rendevano adatta a qualsiasi tipo di lavoro con le matrici e grazie al suo forte laran e al suo raro donas, sarebbe riuscita a raggiungere qualsiasi livello di conoscenza, persino aspirare al ruolo di Custode, invece...
Invece si era innamorata!
Durante una Festa del Solstizio aveva ceduto a questa sua folle passione ed aveva perduto l'unica qualità indispensabile per essere addestrata come Custode.
Era ancora giovane e l'addestramento sarebbe venuto comunque. Fece in tempo a diventare il miglior tecnico della sua Torre prima di essere chiesta in moglie dall'uomo per cui aveva rinunciato al suo sogno più grande.
I Ridenow avevano già fama di essere tra le famiglie più decadenti dei Sette Domini. Il ramo principale della famiglia godeva del privilegio di tutti i pettegolezzi più gustosi. Dei rami cadetti si parlava poco, ma comunque in termini poco lusinghieri e Rakhal Ridenow, l'uomo per cui avrebbe rinunciato a tutto, aveva il privilegio di essere il pettegolezzo preferito persino all'interno della propria famiglia.
L'arrivo di Myria al castello aveva portato una ventata d'aria fresca.
Persino Diego, il fratello maggiore di Rakhal, era rimasto piacevolmente colpito dalla moglie del fratello e, con ogni probabilità, si era anche mangiato le mani per non essere riuscito ad accaparrarsela lui come sposa, invece che quella mezza cartuccia del suo parente.
Diego aveva già seppellito una moglie e stava per fare lo stesso con la seconda quando l'annuncio della prossima nascita del primo figlio di Rakhal raggiunse il suo castello. Sentenziò che Myria era forte e che il suo fisico avrebbe di certo sostenuto tutte le gravidanze che il suo caro fratellino avrebbe deciso di mettere in cantiere.
Lo stesso non si poteva dire di Rakhal.
Il primo parto fu un incubo. Per Rakhal, svanito nel nulla dopo i primi minuti di travaglio, e per Myria, costretta a far nascere da sola il bambino, sopportando non solo il proprio dolore ma anche quello che sentiva venire dal figlio.
Il bambino non sarebbe sopravvissuto a lungo, Myria lo aveva capito pochi istanti prima che cominciassero le doglie. Se il marito le fosse rimasto accanto avrebbe potuto sperare in un parto indolore, per regalare al piccolo qualche giorno di vita in più o una morte più dolce.
Il piccolo morì nel sonno pochi giorni dopo. I suoi polmoni incapaci di sopportare più a lungo la fatica di respirare lo portarono ad una morte fortunatamente rapida.
Quando restò incinta nuovamente Myria si sentì felice.
Amava suo marito e lo giustificava per quello che aveva fatto.
Sentiva che la piccola creatura che stava nascendo dentro di lei era forte e sana e questa volta sarebbe sopravvissuta, anche se non avesse avuto nessun supporto da parte del padre.
Quello che Myria non aveva previsto era invece l'indebolirsi del suo stesso fisico, duramente provato dal primo travaglio e mai completamente ripresosi.
La notte in cui la piccola si mostrò decisa a venire al mondo Myria restò completamente sola.
Rakhal si era rintanato nelle sue stanze, la mente annebbiata dall'alcool, incapace di sentire il benché minimo lamento provenire dalla stanza dove la moglie stava dando alla luce la sua secondogenita.
Myria aveva chiesto l'aiuto di qualcuno della propria famiglia, ma la richiesta era partita troppo tardi e nessuno sarebbe arrivato in tempo.
Realizzando all'improvviso che non avrebbe mai potuto vedere la figlia, fece preparare per lei una piccola scatola di filigrana e vi fece mettere dentro quello che di più caro aveva conservato della sua precedente vita.
Un filo di pietre di fuoco, intrappolate in una finissima maglia di argento, che la leronis del suo castello le aveva regalato quando avevano scoperto che il suo donas era il raro potere di generare il fuoco.
Sapeva che anche la vita che stava per portare alla luce possedeva quel dono e, come un messaggio di addio che sarebbe riuscito ad attraversare il tempo, avrebbe lasciato a lei quelle pietre che ricordavano il loro legame.
Il travaglio fu rapido, ma Myria cominciò a morire pochi istanti prima del primo vagito della figlia.
In un ultimo tentativo di raggiungerla, la donna estese la sua mente in un abbraccio colmo di amore, con cui la accompagnò fino a quando le fu possibile mantenere il contatto.


barra

Kasentlaya non capiva come potesse ricordare fatti che avevano preceduto la sua stessa nascita ma, nel profondo, sapeva che quello che aveva visto era vero.
Come proveniente da un luogo lontano e dimenticato, sentì attorno a sé il calore dell'ultimo abbraccio della madre e, improvvisamente, non fu più nella stanza opprimente dove il suo viaggio l'aveva portata, ma in un grande giardino ricolmo di vita.
Una donna alta, che indossava l'abito tipico dei tecnici delle matrici e le assomigliava in modo inquietante, le stava di fronte e la fissava sorridente.
Kasentlaya si guardò intorno, ma non vide la cugina da nessuna parte, così come non riuscì a trovare nulla di familiare nel luogo che la circondava.
«Chi sei?» chiese, nonostante in cuor suo conoscesse già la risposta.
Un tenero sorriso illuminò il volto della donna. «Tua madre,» mormorò.
Kasentlaya sentì un dolore inaspettato nel petto e si rese conto che stava piangendo.
Myria scosse il capo e le asciugò le lacrime. «Adesso mi hai ritrovata,» le disse dolcemente, una voce che Kasentlaya si accorse di aver da sempre conosciuto. «Nella scatola troverai le risposte che cerchi, anche alle domande che ancora non ti sei fatta. E troverai anche ciò che tuo padre ha tentato di soffocare... quello che io ti ho lasciato, la tua eredità.»
Con una mano, Myria sfiorò il volto bagnato di lacrime della figlia. «Adesso posso andare,» continuò, posando un dito sulle labbra della ragazza, che stava per protestare. «Ricorda solo questo: ogni fine è l'inizio di una nuova cosa, spesso più bella di quella che l'ha preceduta. Ora che mi hai ritrovato non potrai più perdermi,» fece scivolare il dito dalle labbra al cuore della figlia. «Ormai più nessuno può portarmi via da te.»


barra

Un tocco leggero sul viso la ridestò come da un sogno.
Kasentlaya si ritrovò al centro della sala, con le mani strette sulla piccola scatola lavorata che era il cuore dei suoi ricordi. Accanto a lei non c'era nessuno, Dana era ancora ferma nel punto in cui si era ritirata e Fiona, o meglio il rivoletto che le aveva accompagnate fin lì, aveva riempito tutto il perimetro del locale di acqua limpida e cristallina.
«Ormai solo tu stai tenendo in piedi questo posto,» le disse Dana. «Devi decidere cosa farne.»
Kasentlaya guardò la scatola.
Sapeva che non era reale, che una volta tornate dal sopramondo si sarebbe dissolta. Ma sapeva che, fino a quando l'avesse tenuta segregata in quel posto, non avrebbe liberato il dono che la madre le aveva lasciato.
«Ogni fine segna un nuovo inizio,» ripeté le parole che le aveva detto la madre. «La tua fine è stata il mio inizio...» sentì una lacrima scendere silenziosa lungo il viso.
Con dita tremanti aprì la scatola...
Non era preparata a ciò che la aspettava. Appena sollevò il coperchio della scatola un volatile di fuoco uscì da contenitore iniziando a volteggiarle attorno, lanciando alte grida.
Sembrava giocoso, felice di poter finalmente spalancare le ali dopo una così lunga prigionia. Kasentlaya sapeva cos'era... ma non ricordava... poi la parola emerse dalle nebbie del passato, una parola udita in una favola tanto tempo prima... "fenice...".
Come attirata dal suo richiamo mentale la creatura andò a posarsi sulla sua spalla... e scomparve.
"No... lei è... in me..." Kasentlaya guardò Dana stupefatta, solo ora capiva le parole di sua madre.


barra

Lo spettacolo che trovarono ad attenderle era degno di un ritratto.
Fiona, ormai sfinita dall'avventura, appariva come un'immagine traslucida di acqua limpidissima. Kelan, appollaiato sulla sua spalla, fissava con evidente apprensione la figura sconosciuta seduta su una roccia poco distante da loro.
Kasentlaya, con passo sicuro, si diresse verso la Custode.
«È finita,» sentenziò, voltandosi ad osservare lo splendido giardino creato dalla percezione del laran di Dana.
Fiona sorrise e, accarezzando Kelan, le fece un cenno affermativo. «Vi aspettiamo giù,» disse poi, rivolta a Dana. «Abbiamo tutti bisogno di mangiare... e molto!»
Kasentlaya sorrise, effettivamente sentiva un certo languorino. Si voltò a guardare la cugina.
Dana era seduta accanto alla sconosciuta. Gli occhi dell'una persi in quelli dell'altra, senza parlare ma con un'espressione che diceva molto più di tante parole.
«Ehm!» si schiarì la voce. «Dana...»
«Sì,» sospirò l'Amazzone, alzandosi. «Adesso scendiamo.»
Illa si voltò a guardarla, seguendo la compagna e fermandosi a pochi centimetri dalla ragazza. «Così saresti sua cugina,» le disse, valutando con attenzione i tratti di famiglia. «Assomigli molto a tua madre,» disse poi. «Un giorno mi spiegherai cos'era quel volatile che hai liberato prima che tutto si dissolvesse,» concluse, poco prima di sparire.
Dana scosse tristemente la testa. «Fai finta di niente,» disse, preparandosi a rientrare nel proprio corpo. «Devi starle simpatica, è difficile che parli così a lungo con chi non conosce...»


barra

«E con quelli che conosce?» chiese Kasentlaya, stiracchiando i muscoli intorpiditi e gettandosi sul cibo che Manolo aveva depositato sul tavolo davanti a loro.
Dana agitò una mano, occupata a mangiare forse più della cugina. "Lasciamo perdere!"









barra









Disclaimers

Il costante utilizzo del laran risveglia in Kasentlaya ricordi sepolti da tempo.

torna all inizio







The Elvas Project © 1999 - 2008
© SDE Creations
Ultimo aggiornamento: 31/12/2008