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Il sogno

Kasentlaya Ridenow

Parai il fendente, le spade stridettero e quel suono riverberò per tutto il cortile. Anche mentre combattevo non riuscivo a distrarmi... Quel sogno era divenuto un'ossessione e non potevo liberarmene. Ormai da molte notti continuavo a riviverlo: vedevo una Torre ed un volto di donna, sentivo una specie di richiamo ma quando ero sul punto di capire cosa significasse mi svegliavo ed il sogno svaniva. Ero così immersa nei miei pensieri che non vidi la spada del mio avversario saettare verso la mia testa. L'impatto fu violentissimo: se non avessi avuto l'elmo mi avrebbe uccisa. Caddi in terra stordita e imprecai, il soldato si chinò su di me e sentii la sua voce aspra che diceva: «Per Zandru, ragazzo! Ma dove hai la testa?» poi mi afferrò e prima che potessi impedirglielo mi sfilò l'elmo.
«Vai Domna?! Ma... ma come?» poi si girò di scatto e corse a cercare mio padre.
Cercai di tirarmi in piedi. "Ecco il guaio è fatto!" pensai sconsolata. Era un po' che lo facevo, avevo preso un'armatura e un elmo di cuoio e una spada da addestramento da uno dei magazzini all'insaputa di tutti e mi ero travestita per potermi addestrare con gli uomini visto che, come diceva la mia adorabile matrigna, non ero, e personalmente non mi sentivo, adatta alle attività femminili. Sentii la presenza di mio padre nelle mente ancor prima di vederlo. Mi guardò, non tradiva alcuna emozione ma dentro di sé era infuriato. Lo percepivo chiaramente.
«Seguimi,» ordinò in tono glaciale. Attraversammo il cortile, mentre tutti gli armigeri si scambiavano bisbigli e commenti, ed entrammo nella Sala Grande del castello. Li ad attenderci, con aria di trionfo, stava la mia matrigna.
Non mi aveva mai amata. Oh, certo, mi trattava cortesemente. Ma mi considerava solo un ostacolo verso il prestigio. Anche lei infatti aveva una figlia e fin da quando era entrata nel cuore dell'estraneo che chiamavo padre aveva sempre cercato di sminuirmi.
A quanto pareva ci era riuscita. Mio padre mi considerava responsabile della morte di mia madre. Era colpa del mio laran, aveva detto, se era morta di parto. Ero troppo forte per lei.
Rakhal Ridenow mi squadrò senza dire nulla. Il suo silenzio era peggiore delle parole, se mi avesse schiaffeggiato mi avrebbe fatto sentire meglio. Capii invece che a punirmi sarebbe stata la mia matrigna che, infatti, si avvicinò e disse ironicamente: «Guardati, sembri una di quelle... come si chiamano... ah sì Rinunciatarie,» calcò la parola con disprezzo, «è così che si comporta una Comynara
La sfidai con lo sguardo. «Non accetto critiche da una come voi, Vai Domna
Lo schiaffo risuonò secco nel silenzio della stanza. "Finalmente ti sei deciso!" pensai fissando mio padre.
«Non osare offendere la tua madre adottiva!» ringhiò, «prima mi porti via Myria e poi mi disonori così? Cosa pensi che stiano dicendo adesso i miei uomini? Che io non so tenere a bada i miei figli, ecco cosa!» mi strappò la spada di mano e la scagliò lontano.
«Visto che non vuoi cambiare comportamento,» disse poi, «ti sposerai al più presto... con un uomo che ti raddrizzi!»
«E se non volessi?» ribattei coraggiosamente. Nessuno sano di mente discuteva gli ordini di mio padre ma io ero disperata, tanto nulla sarebbe potuto andare peggio.
La sua ira mi investì in pieno. «Come osi anche solo parlare! Sciagurata!» ma io non lo stavo più ascoltando: nessuno dei miei aveva mai pensato di mandarmi in una Torre e non avevo mai sviluppato molte difese. Mio padre era un telepate estremamente potente e mi aveva aggredito mentalmente con molta violenza; non mi accorsi nemmeno di cadere, poi tutto divenne sfocato e confuso.
Mi trovavo su una piana grigia che si estendeva senza fine, che fosse il Supramondo dove lavoravano i Cerchi delle Torri? Non lo sapevo ma non ebbi il tempo di indagare, all'improvviso infatti era apparsa una struttura in lontananza.
Era la Torre del mio sogno. Cercai di avvicinarmi ad essa ma ero come impastoiata e non riuscivo ad orientarmi. Poi apparve un volto: una donna avvolta in veli cremisi dall'espressione gentile e senza età. Forse mi stava parlando ma se così fu non compresi ciò che diceva. Qualunque cosa fosse però parlò al mio cuore e venni invasa da un'ondata di nostalgia.
Capii che mi stava offrendo qualche cosa di importante che avrebbe cambiato il corso del mio destino e, anche se era solo un sogno, in cuor mio accettai.
Mi svegliai nella mia stanza immersa nel buio del castello. Il silenzio della notte greve e assoluto mi pesava addosso come un sudario.
Avevo un'unica certezza: dovevo partire, andare in quella Torre. Mi vestii con degli abiti maschili che di solito usavo per cavalcare e presi lo stretto necessario per affrontare il viaggio: vestiti, coperte, un po' di denaro.
Scesi nelle cucine a far provviste e mi diressi verso le scuderie. Fui costretta a passare per la Sala Grande il mio sguardo cadde sulla spada che la mia famiglia si tramandava da generazioni, solidamente appesa al muro principale della grande sala.
Con fatica la staccai dal supporto, "Chissà forse mi tornerà utile," pensai fissandola alla schiena. Fuori era buio pesto ed arrivata alle stalle mi diressi verso il box del mio cavallo.
«Buono Asfaloth,» mormorai accarezzandolo, il fiato che si condensava in piccole nuvolette di vapore. Mentre lo sellavo mi bloccai di scatto: partire si, ma per andare dove?
E poi con meraviglia mi accorsi che nel profondo della mia mente conoscevo la strada.
Condussi il roano fuori dal portale del castello e balzai in sella.
La strada si perdeva nel buio davanti a me. Sospirai spronando il cavallo e, senza guardarmi indietro, mi diressi verso il mio futuro.










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Disclaimers

Kasentlaya Ridenow inzia a sognora Fiona e la Torre di Elvas. Dopo l'ennesima lite con la propria famiglia, decide di scappare per raggiungere la valle vista solo in sogno.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008