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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +3, gennaio (20)] [Credits & Disclaimers]



Poi viene il sole

Kasentlaya Ridenow

In collaborazione, per i capitoli 1 - 2 - 3, con

Gwennis n'ha Hannah


Prologo - Spiriti Inquieti

"Oh il sonno! Il sonno è una soave cosa,
amato da un capo all'altro della terra!
Alla Vergine Maria sia resa grazie!
Lei mandò dal cielo il dolce sonno,
che scese nell'anima mia."

"La Ballata del vecchio marinaio
Samuel T. Coleridge

Faceva freddo.
Il freddo saliva dalle pietre del pavimento, fastidiosamente ruvide sotto i suoi piedi nudi. Ed era fredda l'aria intorno a lei, così fredda che poteva vedere il suo stesso respiro. Si fermò nel mezzo del passaggio che stava percorrendo e si strinse addosso la camicia da notte.
Da quanto tempo camminava?
Potevano essere ore o giorni. Non lo sapeva. Era da così tanto tempo immersa in quella luce immutabile e spettrale che se n'era dimenticata. Oppure non stava camminando per nulla.
Non sapeva dove si trovava.
All'inizio aveva pensato di essere a casa ma il castello non era mai stato così vuoto nemmeno quando...
"No," si disse, "non pensare a quello..."
Ma era troppo tardi. Il sogno stava già cambiando.


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«Prova di nuovo.»
Dicendo questo Elayna tese la matrice verso Kasentlaya.
«È molto facile. Sai che puoi farlo.»
La ragazzina scosse con veemenza il capo. «Non ci riesco, te l'ho detto, non posso.»
La Sapiente sospirò e poggiò la pietra sul tavolo, di fronte alla giovane.
«Non puoi o non vuoi? Prima o poi il tuo donas si manifesterà in ogni caso e allora cosa farai se non sarai preparata? Potresti anche morire ed io non ho l'intenzione di permetterlo! Non dopo tutta la strada che ho fatto per evitarlo!»
Senza degnare di uno sguardo la ragazza che tentava di protestare si alzò e si diresse alla finestra dandole volutamente le spalle.
Kasentlaya maledisse le sue paure. Sapeva che adesso Elayna era arrabbiata con lei e la cosa che temeva di più era che l'Aillard decidesse di andarsene, di lasciarla di nuovo sola col padre.
E questo la terrorizzava.
Fissò la matrice, incerta sul da farsi. In cuor suo era sicura che Elayna avesse ragione ma, nonostante questo, non riusciva a togliersi dalla testa tutte le cose che le aveva detto Rakhal.
Che non doveva usare il suo laran e nemmeno sognarsi di toccare una pietra matrice perché non ne sarebbe venuto mai niente di buono e che, se l'avesse scoperta a fare una di queste due cose, lui...
Eppure non riusciva a staccare gli occhi dalla pietra. Ne era irresistibilmente attratta, come un uccello-spettro è attratto irresistibilmente dal calore della sua preda. Non poteva fare a meno di osservarla rapita alla luce guizzante del fuoco.
Tese la mano, con cautela.
La pietra era fredda e straordinariamente levigata al tatto.


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Fredda.
Fredda come le pietre su cui stava camminando. Fredda di quel gelo intenso che aveva sentito lei quel maledetto giorno...


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Il sole splendeva con forza nel cielo straordinariamente terso di quel rigido mattino autunnale. Splendeva per gli altri forse. Non per lei.
Non avrebbe voluto trovarsi sui bastioni del castello, ma suo padre aveva pensato che assistere alla partenza della Sapiente le avrebbe insegnato a non trasgredire gli ordini.
Si sentiva vuota e fredda dentro. Sarebbe potuta saltare oltre il parapetto. Sarebbe stato così semplice...ma non aveva il coraggio di farlo.
Osservò rassegnata il ponte levatoio che si abbassava per lasciar uscire Elayna e la sua scorta. Rimase a guardare immobile mentre i cavalieri sfilavano sotto di lei e rimpicciolivano sempre più fino a scomparire oltre la prima curva del sentiero.
Elayna non si era voltata nemmeno una volta.


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Ma suo padre era sempre stato così crudele?
Come per rispondere alla sua domanda inespressa il sogno cambiò di nuovo.


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Myria stava seduta accanto alla finestra godendosi l'ultimo sole del pomeriggio.
Sorrise tra sé. Presto Rakhal sarebbe ritornato dalla battuta di caccia e avrebbero cenato assieme e lui le avrebbe raccontato entusiasta come avevano catturato ogni singola preda.
Aveva insistito per andare con lui, ma suo marito era stato irremovibile. Era il suo primo figlio, aveva detto, non era il caso che si affaticasse troppo.
Come evocato dai suoi pensieri Rakhal entrò nella stanza. Myria gli sorrise mentre lui si chinava a baciarla con tenerezza.
«Stai bene vero?» le chiese staccandosi da lei per poterla guardare negli occhi.
Myria annui. «Certo, ma non ti aspetterai che ti corra incontro nelle mie condizioni!»
Anche Rakhal rideva adesso.
«E che cavaliere sarei se pretendessi che fosse la mia dama a venire da me?»
La baciò di nuovo poi, inginocchiatosi vicino alla sedia, le pose una mano sul ventre.
«Come vorresti chiamarlo?» chiese Myria, coprendo la mano di lui con la sua.
«Mi piacerebbe... Valentine, come il mio bisnonno.»
«È un bel nome.» Rakhal sorrise felice.
Myria chiuse gli occhi sentendo il figlio muoversi dentro di lei. Improvvisamente fu colta da un brivido e si chiese se fosse saggio dare ad un bimbo non ancora nato il nome di un morto.


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Kasentlaya si rizzò a sedere sul letto. Sentiva in bocca un gusto metallico, quasi sanguigno.
Si alzò scaraventando, senza tanti complimenti, le coperte ai piedi del letto. Si mosse a tentoni nel buio, inciampò nel tappeto e cadde bocconi.
«Luce,» borbottò tra i denti, «ho bisogno di luce.»
Si concentrò per un attimo sulla matrice e i ceppi posti nel camino presero fuoco con uno schiocco secco.
Alla luce delle fiamme Kasentlaya si tirò in piedi e si diresse verso il bacile che stava in un angolo della stanza.
Versò dell'acqua dalla caraffa e si lavò energicamente il viso cercando di cancellare anche gli ultimi brandelli di sonno che le erano rimasti appiccicati addosso.
Poi guardando la sua immagine riflessa, che era sua ed allo stesso tempo no, chiese:
«Che cosa vuoi che faccia?»


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Capitolo Primo - Alla Gilda

"Assetti le briglie, il carro, l'arredo
Saluti più volte... ma greve è il congedo."

Prior

Kasentlaya afferrò il battaglio con decisione. Questa volta avrebbe bussato. Invece, come per i tentativi precedenti, lasciò ricadere la mano con un sospiro. Ed ancora si chiese se stava facendo la cosa giusta. O aveva forse male interpretato il sogno e si stava preoccupando per nulla?
I suoi dubbi apparivano ridicoli ai suoi stessi occhi. Sentiva fin dentro le ossa quell'urgenza di partire... di andare.
Di tornare a casa.
Ma sapeva anche che era riluttante a lasciare la relativa sicurezza di Elvas, l'unico posto in cui si era sentita veramente protetta. Era per questo che si trovava davanti alla porta della Gilda. Per chiedere un consiglio. E forse un aiuto.
Mandando al diavolo tutte le sue incertezze si fece coraggio e bussò.
Ad aprirle fu l'ultima persona che avrebbe desiderato incontrare quella mattina.


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Shonnach aprì la porta a metà, quel tanto che bastava per permetterle di scrutare chiunque avesse bussato, ma facendo in modo di poterla chiudere in fretta se il visitatore si fosse rivelato ostile.
Kas si spostò nervosamente da un piede all'altro, sotto lo sguardo tutt'altro che amichevole della Rinunciataria. Sapeva che quell'analisi silenziosa sarebbe stata seguita da una raffica di domande.
Domande scomode.
Decise quindi di rispondere ancor prima che la Rinunciataria potesse chiederle qualche cosa.
«Vorrei vedere Madr...»
Shonnach, senza darle il tempo di finire, domandò: «Perché?»
«Beh... per parlarle.»
«Questo è ovvio.»
Kas cominciava a spazientirsi. «Allora perché l'hai chiesto, scusa?»
«Perché vuoi vedere Madre Gwennis?» chiese Shonnach ignorando la sua domanda.
Kasentlaya la fissò interdetta. Se la Rinunciataria voleva arrivare da qualche parte lei non aveva capito dove.
«Di che cosa hai paura? Che cerchi di accoltellarla? E poi il motivo per cui voglio parlarle sarà affar mio, no?»
Shonnach la fissò stupita per alcuni istanti, indecisa se essere offesa o meno. Poi agendo d'impulso le sbatté la porta in faccia.


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Kasentlaya rimase a guardare la porta, di nuovo chiusa. Non credeva di aver la forza di bussare ancora e così si voltò per andarsene. A bloccarla sui suoi passi fu il rumore della porta che veniva riaperta.
Madre Gwennis comparve sulla soglia, guardando in lontananza con fare incuriosito. Poi spostò lo sguardo su Kasentlaya.
«Oh, buona giornata... Mi pareva di aver sentito un lieve trambusto.» Poi lo sguardo della ragazza le fece corrugare lievemente le sopracciglia.
«C'è qualcosa che non va, Kasentlaya?»
Kas sobbalzò riportata al presente dalla voce della Rinunciataria. «Io...»
«Vieni dentro, non startene lì al freddo.»
Gwennis indietreggiò dalla soglia e la fece entrare nell'atrio riscaldato.
«Grazie.» Kas entrò senza farselo ripetere. In effetti, faceva piuttosto freddo ma lei, presa com'era dalle sue preoccupazioni, non se n'era resa conto. Una volta che la porta fu chiusa alle loro spalle Kas spostò di nuovo la sua attenzione su Gwennis.
«Avrei bisogno di parlarti. Se non disturbo...»
«No, affatto,» replicò Gwennis, cominciando a dirigersi verso il suo studio. «Mi è parso di sentire la voce di Shonnach. Cos'ha combinato stavolta?»
«Veramente è stata colpa mia...» a Kas non piaceva Shonnach ma doveva ammettere che il torto stava dalla sua parte. «Mi ha chiesto perché volevo vederti e io le ho detto di farsi gli affari suoi.»
Gwennis scoppiò a ridere.
«Troppo spesso Shonnach non fa nulla per rendersi accattivante. Non preoccuparti, tanto le sarà completamente sfuggita la sfumatura!»
La fece accomodare accanto al camino. «Dunque... volevi vedere me?»
«Sì... ho bisogno di un consiglio e non sapevo a chi rivolgermi,» sospirò, «mi manca molto... Dana, intendo.»
Gwennis sorrise. «Sì, capisco. Dana sa essere brusca, ma dice sempre le cose con chiarezza. Anch'io mi fido del suo giudizio. Spero di poterti aiutare. Di che si tratta?»
«Si tratta della mia famiglia,» sorrise amaramente, «di nuovo...» Poi con esitazione aggiunse. «Devo... devo tornare a casa.»
"Di nuovo?" si chiese Gwennis, frugando nella propria memoria lacunosa. Ad alta voce disse solo: «È successo qualcosa di grave?»
Il tono della fanciulla l'aveva allarmata.
«Non lo so. È come se qualcosa mi spingesse a tornare. In realtà forse so cos'è ma se te lo dicessi probabilmente ti metteresti a ridere.»
Gwennis sollevò un sopracciglio. «Prova.»
«Credo... credo che sia lo spirito di mia madre. Lei vuole che io ritorni...»
"Ecco adesso mi prenderà per matta!" pensò sconsolata la giovane.
«Tua madre?» Gwennis corrugò la fronte e guardò fra le fiamme del camino. «Cose simili non... non mi sono ignote.»
Kasentlaya la fissò senza comprendere.
«A volte faccio dei sogni strani, mi sembra di vedere persone della mia famiglia...» Gwennis scrollò le spalle e cercò di sdrammatizzare. «Però poiché non ricordo la mia famiglia, è impossibile. Ma dimmi della tua esperienza.»
«Non so definire se fosse un sogno o no... l'ho vista quando ancora aspettava il suo primo figlio, quello che morì subito dopo la nascita... e c'era mio padre...»
Gwennis attese in silenzio, ora fissando lo sguardo della fanciulla perso nel vuoto.
«Ma lui era diverso, come io non l'ho mai conosciuto.»
«Diverso?»
«Era felice... il miglior marito che una donna potesse desiderare... il miglior padre,» le ultime parole uscirono in un sussurro appena udibile. Kas chinò il capo e rimase in silenzio.
Gwennis strinse le labbra, avvertendo il dolore di Kasentlaya.
«Forse lo hai visto così perché... sentivi la sua mancanza. La mancanza di quello che non è mai stato.»
«Ho molta fantasia,» Kasentlaya rialzò il capo incontrando lo sguardo della Rinunciataria, «ma non così tanta da immaginarmi mio padre in quel modo, credimi.»
«E allora credi che sia un messaggio di tua madre? Ma perché dovrebbe volere che tu ritorni? Per... lui?»
«Forse. Sarebbe ironico, non trovi? Forse è davvero successo qualcosa... o forse...»
Gwennis l'incoraggiò a continuare con un cenno del capo.
«Forse c'è qualche cosa che non ho fatto. O che non ha fatto lei,» rise, una risata secca, cinica, «ai morti non piace lasciare le cose a metà.»
Gwennis represse un brivido.
«Qualcosa che tu dovresti fare al posto suo? È per questo che ritieni di dovertene andare?»
«Si... ma credo che sia anche qualcosa che devo fare per me stessa. Quello che so per certo è che il prezzo da pagare sarà molto alto.»
«È così per ogni scelta importante.» La donna più anziana tributò un istante di silenzio alla decisione della giovane, poi chiese: «In quale modo possiamo aiutarti?»
«Questa è la parte più difficile... non so...» fece una pausa cercando di trovare le parole adatte, «chiedo la protezione delle Rinunciatarie, non una scorta... chiedo... la protezione dell'abito.»
Abbassò gli occhi di nuovo attendendo la risposta.
«Vuoi viaggiare come una Rinunciataria?» Gwennis finalmente comprese. La ragazza doveva essere davvero fuori di sé. Si alzò dalla poltrona e cominciò a passeggiare per la stanza a braccia conserte.
«Ti rendi conto che non sarebbe una protezione? Che diverresti un bersaglio legittimo per chiunque?»
«Me ne rendo conto. Non m'importa. E in fondo lo ero anche quando sono venuta qui.»
Gwennis sospirò e si girò a guardarla. «Ti posso dare una scorta. Sarebbe questa la prassi.»
Kas scosse il capo.
«So che forse non ne ho il diritto... ma non te lo sto chiedendo senza uno scopo... la scelta non è solo tra restare e andare... sto cercando di capire cosa voglio essere.»
«E per capirlo vuoi esporti ad un rischio simile? Vuoi...» La Madre della Gilda la guardò con occhi sbarrati. «Vuoi provare che cosa significhi essere una Rinunciataria,» disse piano.
Kasentlaya annuì. «Voglio sapere... devo.»
«Ci sono altri sistemi,» disse Gwennis, sgomenta. «Se hai il dubbio che questa sia la tua strada, potresti vivere con noi per un poco...»
«Non c'è tempo... io...» Kasentlaya nascose il viso tra le mani, «non ho scelta.»
Gwennis si avvicinò e le pose le mani sulle spalle. «Perché non hai tempo, bambina? Che cosa ti ossessiona a tal punto?»
«Il passato.»
Kasentlaya sentì le lacrime scorrerle lungo le guance. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe pianto. Non c'era riuscita.
La Madre della Gilda si inginocchiò e la circondò con le braccia, come se avesse potuto difenderla da quel passato che la tormentava. Sapeva cosa significasse. «Shhh, non fare così,» disse. «Troverai una soluzione. Quale che sia il modo in cui intendi vincere la tua battaglia, ti aiuteremo.»
Kasentlaya si strinse a lei cercando un po' di conforto.
Quando si fu calmata disse piano. «Mi spiace Gwennis... non intendevo...»
«Non importa,» replicò Gwennis con un sorriso, passandole la mano sulle guance. Si raddrizzò e tornò a sedersi di fronte alla fanciulla, guardandola con il mento sulle mani.
«Ebbene... se sei decisa nella tua scelta, non voglio che tu soffra più a lungo. Ma devi renderti conto, Kasentlaya, che l'abito che indosserai va rispettato e onorato. Nessuno dovrà giudicare male le Rinunciatarie a causa tua.»
«Non succederà. Non potrei mai disonorare quello per cui tante donne hanno combattuto e sofferto.»
Gwennis si alzò e le tese la mano. «Devo chiederti di giurare ciò che hai appena detto. Io mi fido di te, ma non tocca solo a me fidarmi, devi prendere un impegno con tutte le Rinunciatarie.»
Kasentlaya prese la mano della Madre della Gilda e si inginocchiò di fronte a lei.
«Io, Kasentlaya Ridenow, giuro che mai disonorerò il buon nome delle Rinunciatarie né mai arrecherò loro danno e m'impegno, fino a quando indosserò quest'abito, a rispettare le leggi delle Rinunciatarie. E se mai mancherò a questa promessa che il mio corpo sia lasciato ai cani selvatici e la mia anima alla misericordia della Dea.»
Dentro di sé, Gwennis pregò che non le succedesse niente del genere. Sapeva che Kasentlaya avrebbe mantenuto il giuramento, ma sapeva anche a quali pericoli si sarebbe esposta. «Così io, Gwennis n'ha Hannah, ne sono testimone.»
Le pose brevemente la mano sulla testa.
Rimasero in silenzio per alcuni istanti, quasi a voler suggellare più profondamente il giuramento.
Poi Kasentlaya si rialzò e ad un cenno di Gwennis si risedette.
«Non ho intenzione di lasciarti andare da sola. È un viaggio rischioso e ancor di più in questo periodo dell'anno.»
Vedendo che la ragazza stava per protestare Gwennis parlò ancora, stavolta con una certa severità.
«Hai giurato di seguire le nostre leggi, ricordi?»
Kasentlaya arrossì violentemente e mormorò: «Sì, Madre. Lo ricordo.»
Gwennis annuì. «Bene. Ho già in mente un paio di persone che potrebbero accompagnarti.»
Si alzò e Kas, intuendo che il colloquio era finito, si alzò con lei.
«Ti farò sapere tra qualche giorno se hanno accettato.»
Kasentlaya annuì e dopo averla ringraziata se ne andò.
Una volta rimasta sola Gwennis si sedette di nuovo, scrutando pensierosamente le fiamme.
Non conosceva da molto le Rinunciatarie cui aveva intenzione di affidare Kasentlaya poiché erano giunte da poco ad Elvas. Sapeva però che erano affidabili e capaci.
"E se non vorranno accompagnarla," pensò cupamente, "vedrò di convincerle io."


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Capitolo Secondo - Lezioni Di Scherma

"Tutti gli uomini sono fatti d'acqua, lo sapevi, questo?
E quando li buchi l'acqua fuoriesce e gli uomini muoiono"

"Il trono di Spade" George R. R. Martin

Elayna poggiò la tazza sul tavolo dopo aver bevuto un'abbondante sorsata del liquido bollente.
Fuori faceva freddo come nel nono inferno di Zandru e, nonostante lo Scoundrel fosse persino troppo riscaldato, lei si sentiva gelare.
Ed era già al terzo jaco.
«Sei sicura di sentirti bene?»
Devra n'ha Shavanne stava seduta di fronte a lei e la fissava pensierosa.
«Sì, a parte questo freddo del diavolo. Sai cosa penso?» al cenno negativo della Rinunciataria proseguì, «penso di stare invecchiando!»
Devra cercò di nascondere il suo divertimento dietro un sorso di sidro, col solo risultato di finire quasi strozzata dalla bevanda. Quando poté di nuovo parlare disse:
«Vecchia? Tu? Ma senti... e come mai se sei così vecchia non hai ancora messo la testa a posto?»
Elayna inarcò interrogativamente le sopracciglia.
«Che cosa intendi, scusa?»
«Beh... ad esempio, perché non ti sei trovata un bel giovanotto aitante con cui fare un po' di figli? Sai cos'ho dovuto subire l'ultima volta che sono passata nel Dominio delle Aillard? Domna Nynaeve mi ha sottoposto ad un interrogatorio in piena regola!»
Elayna si portò le mani al cuore fingendosi preoccupata.
«Misericordiosa Avarra! E tu cosa le hai detto?»
«Che non sapevo dov'eri. Il che era la verità... ma tu conosci tua madre, no? Per un attimo ho temuto che ordinasse di farmi perquisire così da essere sicura che non ti nascondessi nelle mie tasche.»
Elayna rise.
«Mi dispiace... deve essere stato imbarazzante.»
Devra scosse il capo.
«Non più di tanto. Ed in fondo ne valeva la pena visto il guadagno che la Gilda ha ricavato dall'incarico che ci ha assegnato.»
Elayna ritornò seria.
«A proposito di incarichi... cosa avete intenzione di fare adesso? Ritornerai presto nelle Pianure?»
Devra scrollò le spalle.
«Non lo so ancora. E non tocca solo a me decidere... Devo ammettere però che ti sei scelta un bel posto in cui vivere. Lontano dalle grinfie dei tuoi parenti e pieno di cose interessanti.»
«Elvas? Interessante lo è di certo ma attenta che non ti capiti qualche avventura tra capo e collo!»
Le due donne rimasero per un po' in silenzio ad osservare gli altri avventori.
Devra in realtà una decisione l'aveva presa. Ma non era necessario che Alanna e Tamra sapessero che voleva fermarsi per trascorrere un po' di tempo in compagnia della sua vecchia amica.


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Devra slacciò la fibbia che teneva chiuso il mantello, se lo sfilò dalle spalle e lo appese ad uno dei pioli di legno piantati nel muro vicino all'ingresso della Gilda.
Elayna aveva ragione. Era dannatamente freddo e, se avesse continuato così, sarebbe stata costretta a mettersi un mantello più pesante.
«Ah, Devra sei qui.»
La Rinunciataria si voltò per vedere chi fosse.
Marisela, la maestra di spada della Gilda, si era fermata nel corridoio, un mucchio di coperte tra le braccia.
Devra indicò quello che la donna stava trasportando. «Serve una mano?» domandò.
Marisela scosse il capo. «Non preoccuparti. Non pesano poi tanto. Piuttosto... prima Gwennis ti cercava.»
Devra la fissò perplessa per un istante. «Ha detto perché?»
«No. Solo di avvertirti non appena qualcuna ti vedeva.»
Devra la ringraziò e l'altra Rinunciataria si avviò per la sua strada borbottando qualcosa come "maledetto inverno" tra i denti.
Che una delle avventure a cui Elayna aveva accennato stesse per precipitarle addosso?
Aveva la sensazione che l'avrebbe scoperto fin troppo presto.


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Bussarono alla porta.
«Avanti. È aperto.»
Elayna entrò. Kasentlaya era seduta sul tappeto vicino alla finestra in modo da poter sfruttare al massimo la scarsa luce del pomeriggio invernale mentre disegnava.
Elayna sorrise. Il quaderno rilegato su cui Kas disegnava era un regalo di molto tempo prima.
Sentendosi osservata la giovane sollevò il capo.
«Oh, salve cugina,» indicò lo spazio accanto a lei, «c'è un sacco di posto se vuoi sederti.»
La Aillard scosse negativamente il capo. «Grazie ma sono qui solo per riferirti un messaggio.»
«Di che si tratta? È successo qualcosa?»
Elayna alzò una mano per fermare il fiume di domande. «Lasciami finire! Devra mi ha detto che devi raggiungerla tra un quarto d'ora davanti alla Gilda. E di indossare qualcosa di più... confortevole. E caldo.»
Kas rimase in silenzio. Che tutta la faccenda avesse a che fare con la sua richiesta a Gwennis?
«Non ti ha detto perché, vero?»
«No,» il sorriso scomparve dalle labbra di Elayna, «però mi pareva preoccupata. Non avrai combinato qualcosa!»
«Veramente... sì.» Kas rimase sorpresa alla sua stessa ammissione.
Elayna afferrò una sedia e vi si lasciò cadere pesantemente.
«Sarà meglio che mi spieghi tutto mentre ti cambi. E sbrigati, hai solo un quarto d'ora.»


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Quindici minuti dopo Kasentlaya si affrettava verso la Gilda arrancando, immersa fino al polpaccio, nella neve appena caduta.
Elayna era rimasta sorpresa da quello che le aveva rivelato. E terribilmente preoccupata.
L'aveva anche redarguita, usando più o meno, le stesse parole della Custode. Entrambe le Aillard le avevano ricordato le sue responsabilità nei confronti del Cerchio ed Elayna aveva aggiunto cupamente che se si fosse fatta ammazzare non gliel'avrebbe mai perdonato.
Kas quasi sorrise all'insensatezza di quell'ultima affermazione. Quasi, perché in fondo sapeva, anche se non voleva ammetterlo, che poteva succedere qualsiasi cosa. E che lei poteva anche non tornare.
"Smettila di pensare così positivamente!" si disse ironicamente, "e comincia a chiederti perché Devra vuole vederti."
La Rinunciataria l'aspettava accanto all'ingresso della Gilda, come Elayna le aveva detto. Non appena la vide, sollevò un grosso involto che stava per terra accanto a lei e le si fece incontro.
«Madre Gwennis ci ha riferito la tua richiesta,» disse, non appena la ragazza fu a portata di voce, «ed io e le mie socie abbiamo accettato di accompagnarti.»
Kasentlaya la ringraziò poi, vinta dalla curiosità, chiese. «Cosa c'è li dentro?»
Devra sorrise. «Seguimi. Lo scoprirai presto.»
Kasentlaya obbedì e dopo pochi minuti le due donne si fermarono ai margini del villaggio. Devra estrasse due spade da addestramento dal fagotto che si era portata appresso e ne tese una a Kasentlaya rimanendo poi ad osservare mentre la ragazza la rigirava tra le dita.
«È leggera.»
Devra sorrise. «E più corta di una spada di qualche spanna. Difatti noi lo chiamiamo coltello.»
«E che differenza fa?» ribatté la giovane provando un affondo, «rimane sempre un'arma.»
«Appunto,» Devra annuì soddisfatta, «perciò va usata solo se necessario.»
Aspettò un istante per assicurarsi che Kas avesse capito, poi proseguì: «Adesso fammi vedere come la impugni.»
Nel notare che stringeva troppo la presa si avvicinò e le spostò leggermente le dita sull'impugnatura.
«Non devi strangolare qualcuno. Quindi cerca di non tenere le dita così rigide. Ecco, così va meglio.»
«Ho paura di lasciarlo cadere,» ammise Kasentlaya.
«Cadere?» disse Devra asciutta. «Il coltello dev'essere un'estensione del tuo braccio. Lasceresti cadere una parte del tuo braccio?»
La ragazza scosse il capo.
«Allora non lascerai cadere nemmeno il coltello. Ci siamo capite?»
Kasentlaya annuì restando in silenzio.
Da quando le aveva messo in mano il coltello Devra si era trasformata, dalla donna posata ma pronta allo scherzo di cui le parlava Elayna, ad una specie di sergente dei Cadetti col mal di denti. La ragazza si strinse mentalmente nelle spalle. Doveva essere una caratteristica comune di tutti gli insegnanti, di qualsiasi genere fossero. Ora che ci pensava capitava sempre anche con Mikhail.
Devra intanto aveva raccolto da terra l'altra arma e si era posizionata di fronte alla Ridenow.
«Che tipo di addestramento viene dato agli uomini di tuo padre?» chiese, sapendo che Kasentlaya si era fatta passare per un uomo pur di imparare quel poco che sapeva della scherma.
«Le reclute imparano le figure fondamentali con la spada lunga e poi si allenano con i soldati più esperti»
Devra annuì pensierosa, poi sollevò il coltello. «Scordati di utilizzare due mani quando maneggi questo, è un gesto inutile che diminuisce l'efficacia della lama. Inoltre non è necessario visto che il coltello pesa quasi metà di una spada.»
«Il coltello è stato pensato per risultare facilmente maneggiabile da qualsiasi donna,» fece un mezzo sorriso, divertita, «non tutte le Rinunciatarie sono soldatesse, come alcuni uomini sembrano credere, ma ogni donna che entri nella Sorellanza deve imparare quel tanto che basta per difendersi per quanto imbranata possa essere.»
Poi si mise in posizione di guardia.
«Basta con la teoria per oggi. Fammi un po' vedere come sai difenderti.»
Per il resto del pomeriggio Kasentlaya non poté far altro che bloccare disperatamente i colpi della sua maestra senza che le venisse concesso un attimo di respiro.
Terminata la lezione, tornò alla Torre piena di lividi e così stanca da non riuscire a pensare. Ma almeno quella notte non sognò.


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Capitolo Terzo - In Viaggio

"Un buon viaggiatore non ha piani precisi e il suo scopo non è arrivare"

Lao Tzu

Il sole non era ancora sorto quando Kasentlaya condusse il cavallo fuori dalle stalle della Torre dopo averlo bardato e sellato.
Giunta sulla piazza fermò la sua cavalcatura davanti alla fontana e si mise a controllare che tutto fosse in ordine.
Era talmente immersa nei suoi pensieri da non accorgersi che il factotum della Custode le era arrivato alle spalle.
Quando questi attirò la sua attenzione si voltò di scatto e sobbalzò sorpresa nel trovarselo davanti così all'improvviso.
Respirò a fondo un paio di volte per calmarsi e cercò di allontanare alcuni pensieri imbarazzanti che le erano balzati alla mente mentre fissava l'umanoide nei suoi penetranti occhi azzurri.
Manolo la salutò con un gran sorriso, evidentemente divertito dalla sua reazione, e poi le mise un pacchetto tra le mani.
«Che cos'è Manolo? L'hai preparato tu?»
L'umanoide scosse il capo e si voltò eloquentemente verso la Torre.
«La Custode?»
Manolo annuì e poi grugnì qualche cosa indicando, prima l'involto, poi la strada che usciva dal villaggio.
«Mi servirà lungo la strada, non è così?»
Manolo emise un verso soddisfatto e rimase a fissarla mentre Kas riponeva il pacchetto nella bisaccia dove teneva i suoi effetti personali insieme con la lettera che Elayna le aveva fatto promettere di consegnare alla sua vecchia Custode quando, al ritorno da Serrais, fossero passate per Arilinn. Poi la ragazza si voltò verso di lui e si disse che tanto valeva fare due chiacchiere mentre attendeva l'arrivo delle Rinunciatarie.
«Allora,» cominciò incerta, «come pensi che andrà questo viaggio?»
Il servitore della Custode la guardò pensieroso, poi si strinse nelle spalle.
«Beh... non sei molto incoraggiante, lo sai? Potresti almeno dimostrare un po' più d'entusiasmo!»
Manolo alzò gli occhi al cielo.
«Sì, sì, lo so che tu pensi sia da pazzi viaggiare in pieno inverno, ma ammettilo che in fondo ti piacerebbe venire...» aggiunse per stuzzicarlo.
Manolo sospirò esasperato.
«Eh, vecchio mio,» proseguì Kas sempre più divertita, «sai qual è il guaio? Che hai passato troppo tempo in una Torre! E così adesso non ti è rimasto nemmeno un briciolo di spirito d'avventura!»
Manolo però non la stava più ascoltando ma fissava la strada alle sue spalle.
Adesso che ci faceva caso la ragazza poteva udire il rumore di cavalli che si avvicinavano. Si voltò seguendo lo sguardo di Manolo e dopo pochi istanti vide apparire tre figure che procedevano a passo spedito verso di loro, ognuna seguita dal proprio cavallo.
«Pare che sia giunto il momento di salutarci,» mormorò la giovane all'indirizzo dell'umanoide. Si avvicinò alla sua cavalcatura e fece per montare in sella ma si sentì trattenere per una manica.
Si voltò stupita verso Manolo che, senza darle il tempo di dire alcunché, le sventolò un dito ammonitore davanti al naso esibendo una faccia tanto seria da fare invidia a Fiona.
«Farò attenzione, Manolo, te lo prometto.»
Il servitore della Custode la trattenne ancora per qualche istante fissandola intensamente negli occhi, poi soddisfatto la lasciò andare e fece un passo indietro.
Kas montò a cavallo imitata dalle altre Rinunciatarie che nel frattempo si erano avvicinate.
«Pronta?» chiese Devra mentre la osservava con occhio critico cercando di cogliere qualche particolare fuori posto.
Sotto quell'esame silenzioso Kas si portò involontariamente la mano ai capelli. Poi, accortasi dell'inutilità della cosa, lasciò ricadere il braccio con una smorfia. Devra sorrise riconoscendo quel gesto che tutte le Rinunciatarie erano portate a fare ogni tanto, almeno all'inizio.
«Ti ci abituerai presto,» le disse gentilmente.
«Sarà meglio avviarsi,» fece notare Tamra, con una punta d'irritazione, «o non riusciremo ad arrivare al rifugio prima di notte.»
Ben presto giunsero al punto del sentiero da cui un viaggiatore che si stesse dirigendo alla Valle poteva vedere Elvas per la prima volta.
Kas fermò per un istante il cavallo e si sollevò sulle staffe osservando con attenzione la vallata che ai loro piedi emergeva dalla nebbia mattutina. Cercò di imprimersi nella mente ogni singolo particolare del paesaggio e si chiese quando l'avrebbe rivisto.
«Già cambiato idea?» la voce derisoria di Tamra la riscosse da quel corso di pensieri.
Kas scrollò le spalle e si voltò verso di lei.
«Stavo solo rievocando il passato,» rispose freddamente. Poi toccò leggermente il collo del cavallo con le redini per incitarlo a muoversi.
Non capiva la strana ostilità che Tamra aveva mostrato nei suoi confronti fin da quando l'aveva conosciuta ma non le piaceva per niente.
E non sapeva se ricambiarla o no.


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«Domani ripartiamo,» annunciò Devra facendo il suo ingresso nella stanza.
«Finalmente,» borbottò Kasentlaya senza alzare la testa dal guanto che stava riparando.
«Pensavo che volessi diventare una di noi,» si intromise Tamra che non perdeva occasione di mettere in difficoltà la ragazza. Devra si schiarì la voce e lanciò uno sguardo ammonitore all'altra. Non sapeva spiegarsi perché Tamra si comportasse in maniera così indisponente, ma molte spedizioni non andavano a buon fine proprio a causa di dissidi interni al gruppo.
Per lo meno Kas non dava segno di soffrire troppo la tensione ma la donna sapeva che questo comportamento, apparentemente tranquillo, non poteva durare in eterno.
«Avete trovato quello che ci serve?» chiese cambiando discorso.
Kas alzò il capo e fece un cenno verso un sacco che stava appoggiato in un angolo.
«È tutto là dentro.»
Devra annuì soddisfatta.
«Alanna è tornata?»
«Sì. È andata a farsi il bagno,» rispose Tamra.
Devra sospirò di sollievo. Nessun altro commento pungente. Forse la sua socia era solo nervosa. In fondo poteva capirla, da quel momento in poi le cose erano destinate a complicarsi inevitabilmente. Anche nel migliore dei casi qualche imprevisto avrebbe potuto rallentarle. E gli imprevisti, soprattutto in inverno, potevano rivelarsi mortali.
"Sembra proprio che gli dei non vogliano darci una mano," rifletté cupamente gettando un'occhiata fuori dalla finestra. Il cielo, coperto di nuvole, minacciava neve e gelo a venire. E la mole massiccia delle montagne incombeva su di loro.


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«Kasentlaya svegliati, è ora di andare.»
Alanna era china su di lei e la scuoteva leggermente per una spalla. La giovane si sollevò a sedere sul letto mentre la Rinunciataria usciva dalla stanza per andare a svegliare le altre.
Le braci morenti fornivano luce appena sufficiente per muoversi. Rabbrividendo, la giovane gettò altra legna sul fuoco che presto cominciò a scoppiettare vivacemente fornendo almeno l'illusione del calore.
Si lavò la faccia, poi recuperò gli abiti che aveva lasciato ripiegati su una sedia la sera precedente e si vestì in fretta. Non era il caso di indugiare inutilmente. Nonostante il fuoco, nella stanza si gelava. Dalla camera a fianco cominciavano a provenire dei rumori, segno che anche Devra e Tamra si erano svegliate e si stavano preparando. Pochi istanti dopo Alanna rientrò nella stanza e prese a vestirsi.
«Dormito bene?» chiese Kas, soffocando uno sbadiglio.
«Sì, grazie. Tu?»
«Abbastanza. Che cosa ci aspetta oggi?» chiese poi, cominciando ad infilarsi gli stivali.
«Se siamo fortunate e se le strade sono sgombre dovremmo riuscire a percorrere parecchie miglia prima di notte. Abbastanza da permetterci almeno di coprire un quarto della strada che ci separa da Storn.»
Kasentlaya annuì. «Ci sono passata venendo ad Elvas. Però ho preferito non fermarmi lì.»
«Perché? Saresti stata molto più al sicuro in una locanda che da sola in un rifugio.»
Kas ridacchiò. «È vero... ma avevo soldi appena sufficienti ad acquistare cibo per me ed il cavallo, figuriamoci alloggiare in una locanda!»
Alanna sorrise. «Non ci avevo pensato. Certo allora saprai anche che le cose da qui in poi si fanno sempre più difficili. Temo che non avremo bel tempo e dobbiamo superare due passi prima di arrivare a Storn.»
«Spero che per una volta tu ti sbagli.» Devra aveva aperto la porta senza che le altre due se ne accorgessero. «Anche se capita molto raramente.»
Le tre donne rimasero in silenzio per alcuni istanti pensando ai pericoli che le attendevano.
«Sarà meglio muoversi!» esclamò alla fine Alanna cercando di allentare la tensione. «Non possiamo restare qui a fissarci in eterno.»
La altre raccolsero le bisacce e la seguirono senza parlare mentre si dirigeva verso le stalle.
All'esterno il cielo era terso ed il sole riverberava in maniera accecante sulla neve fresca quasi a voler smentire le paure di Alanna.
Le montagne che circondavano Caer Donn erano una vista magnifica ma, nonostante tutto, la guida non riusciva a scrollarsi di dosso la preoccupazione. A lei sembrava solo che i raggi del sole, illuminando le pareti di roccia degli Hellers, ne mettessero in risalto le ombre ancora più cupamente.
«Sembra che abbiamo avuto fortuna.» Commentò Kasentlaya quando si fermarono, verso mezzogiorno.
«Non lo so. Questo tempo non mi convince. E poi c'è odore di neve nell'aria, non lo senti?»
«C'è neve anche per terra, se è per questo.»
Devra scoppiò a ridere.
«Pensate quello che volete. Io resto della mia idea!» ribatté seccamente la guida.
Si alzò e si diresse a grandi passi verso le cavalcature impastoiate poco lontano.
Nel sentire che si avvicinava, il suo cavallo sporse il muso sperando di ricevere una carezza o forse qualche leccornia.
La Rinunciataria sorrise passando un paio di volte la mano sul manto perfettamente pulito dell'animale. Poi si chinò a controllare gli zoccoli per pulirli in caso di necessità.
«Mi dispiace. Se ti ho offeso ti chiedo scusa.»
Alanna si voltò. Kasentlaya le stava di fronte, senza il coraggio di guardarla in faccia.
«Non sono offesa. È colpa di questo tempo. Non è normale che sia così caldo, e mi innervosisce.»
«Credi che cambierà?»
«Forse. O forse no. In montagna i cambiamenti climatici avvengono nel giro di pochi minuti.»
«Non mi piace.»
Alanna sorrise. «Questo è un bene.»
Kas esclamò incredula. «Vuoi dire che è un bene avere paura della montagna?»
«Sì,» rispose l'altra, «la montagna va rispettata e temuta. Solo così non sarai mai colta di sorpresa. Non puoi prevedere tutto ma almeno puoi cercare di prepararti.»
Kas si guardò intorno con una strana espressione sul viso.
«Conviene ripartire, allora,» borbottò alla fine cominciando a sciogliere le pastoie del suo cavallo.
Alanna le lanciò uno sguardo d'approvazione. Era molto giovane ma stava già imparando.


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Capitolo Quarto- La Slavina

Tutto l'inverno sta entrando nel mio essere: collera, odio,
brividi, orrore, fatica improba, forza.
E, come il sole nel suo inferno polare,
il mio cuore non sarà che un blocco rosso e ghiacciato"
da "Canto d'autunno" Charles Baudelaire

Come Alanna aveva temuto il tempo era cambiato. Nel primo pomeriggio grosse nuvole scure avevano cominciato a velare l'orizzonte, dapprima rade poi, col passare delle ore, sempre più fitte.
Ad un certo punto si era alzata la nebbia, pesante ed umida, talmente fitta che avevano deciso di scendere da cavallo e procedere in cordata per evitare il rischio di perdersi nel grigiore che le circondava da ogni lato.
«Ricordami di starmene zitta la prossima volta,» aveva detto ad un certo punto Kasentlaya, rivolgendosi ad Alanna che camminava a pochi passi da lei. La donna aveva riso garantendole che avrebbe provveduto.
Procedettero a quel modo tanto a lungo che alla fine la giovane perse la cognizione del tempo.
Pareva di camminare sospesi nel nulla, non si sentivano rumori provenire dalla foresta che stavano attraversando. Solo il loro respiro e lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli.
Dopo quella che parve un'eternità, Alanna smise di avanzare.
«Devra, sarà meglio che ci fermiamo. Non voglio rischiare che uno degli animali si azzoppi perché non vede dove cammina. O che ci azzoppiamo noi,» puntò il dito alla loro destra, «là, quella macchia scura, la foresta s'infittisce in quel punto, ci terrà al riparo dal vento. Mi dispiace ma temo che stanotte la passeremo all'addiaccio.»
«Pazienza. Meglio questo che...»
La Rinunciataria non poté finire la frase. Un grido alto e stridulo perforò il silenzio ovattato creato dalla coltre di nebbia.
Le donne rabbrividirono e i cavalli si irrigidirono al loro posto roteando follemente gli occhi.
Il grido si fece più vicino. Era un urlo agghiacciante che annullava tutti i pensieri. Si poteva solo rimanere immobili, a tremare. Poco a poco quel terribile suono si spense e sulla foresta tornò a regnare il silenzio.
«Era quello che penso io?» chiese Kasentlaya, stringendosi istintivamente nel mantello. Tutto il calore sembrava essere fuggito dal suo corpo.
«Uccello spettro.» Confermò Tamra con voce tesa. «Ci mancava anche questa!»
Alanna riprese ad avanzare con decisione verso gli alberi, trascinandosi dietro la propria cavalcatura ancora scossa dai tremiti.
«Muoviamoci, al riparo della foresta saremo al sicuro. Non credo che il banshee si spingerà sino a qui, ma non si sa mai.»
Gli altri membri della carovana la seguirono senza farselo ripetere.
Il posto che Alanna aveva scelto per la sosta si rivelò essere una radura circondata da sempreverdi e da un fitto sottobosco. Non c'era molto spazio per muoversi, ma gli alberi fungevano da barriera, sia contro il vento sia contro la neve che sicuramente sarebbe caduta durante la notte.
Tamra ed Alanna sistemarono gli animali, scambiando solo qualche parola di tanto in tanto. Nessuno sentiva il bisogno di rompere il silenzio. L'urlo del banshee aveva reso tutte di pessimo umore.
Kasentlaya raccolse dei rami caduti per il fuoco. Contenevano talmente tanta resina che, nonostante fossero zuppi a causa della neve, s'incendiarono subito.
«Ah, un po' di luce è quello che ci vuole,» commentò Alanna avvicinandosi e, levatasi i guanti, protese le mani verso le fiamme.
«Un po' di luce e una zuppa calda.» Devra si avvicinò e pose un tegame sul fuoco perché si scaldasse.
Mentre l'odore della loro cena si spandeva nell'aria, le Rinunciatarie coprirono una parte del terreno con alcuni rami di pino che Tamra aveva procurato. Poi vi misero sopra alcune pesanti coperte in modo da poter riposare senza essere a contatto diretto col terreno.
Quando la zuppa fu pronta, le donne si sedettero accanto al fuoco. Consumarono il pasto in silenzio, assaporando il cibo caldo che scendeva nello stomaco.
Quando ebbero finito di mangiare Alanna attirò l'attenzione di Kas.
«Posso farti una domanda?»
La giovane annuì.
«Perché hai chiesto a Gwennis di poter viaggiare come una di noi? Sarebbe stato più semplice e sicuro ingaggiare una scorta.»
«Se avessi fatto così nulla avrebbe impedito a mio padre di trattenermi una volta tornata al castello. Inoltre, l'ho chiesto perché vi rispetto,» concluse, a voce più bassa.
«È tipico di voi comyn. Sfruttate gli altri per risolvere i vostri problemi!» Disse Tamra, che aveva sentito solo la prima parte della risposta.
«Taci!» Alanna spostò la sua attenzione da Kas alla Rinunciataria, «non hai il diritto...»
«Non ho il diritto? E che diritto ha lei di spacciarsi per una di noi quando non se l'è guadagnato?»
Alanna fece per ribattere, ma Kas le sfiorò leggermente il braccio.
«Lascia stare, ti prego. Non fa nulla.»
Poi si voltò a fissare Tamra. «Pensavo che voi foste diverse, che non giudicaste le persone secondo degli stereotipi, ma per quello che sono,» disse tristemente. «Non sei tanto diversa da coloro che disprezzi. Ti stai comportando esattamente come un qualsiasi nobile dei Domini.»
Poi si alzò, non volendo discutere ulteriormente, e si diresse verso le sacche da viaggio che avevano accatastato in un angolo perché non fossero d'impiccio.
Ritornò vicino al fuoco tenendo in mano un piccolo quaderno rilegato in cuoio e della grafite per disegnare. Si sedette appoggiandosi al tronco di un vecchio abete e si chiuse in un silenzio ostinato.
Nonostante cercasse di concentrarsi su quello che stava facendo, le parole di Tamra continuavano a tornarle alla mente.


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Kas si rigirò sotto la coperta, borbottando qualcosa. Stava di nuovo sognando il suo litigio con Daenerys.
La Hastur avrebbe voluto seguirla in quel difficile viaggio, ma Kas aveva detto no. Aveva sperato che la sua compagna capisse che era una cosa che doveva sistemare da sola, ma Rys non aveva compreso, credendo che ragazza più giovane volesse tenerla fuori dalla sua vita.
Rys non aveva capito quanto quel rifiuto fosse costato alla Ridenow.
Nel sogno la faccia della sua compagna si trasformò in quella di Tamra che le strappava di dosso gli abiti da Rinunciataria e li buttava nel fuoco, affermando che non era degna di indossarli.
La giovane si svegliò di soprassalto con un gemito. Respirò profondamente un paio di volte, poi si guardò attorno. Era ancora notte fonda e le sue compagne di viaggio dormivano pacificamente. Tutte tranne Devra che stava di guardia appoggiata con la schiena al tronco di un albero poco lontano.
Kas si alzò senza fare rumore, si avvolse nella coperta e le si avvicinò.
La Rinunciataria sollevò lo sguardo dalle braci che stava ravvivando usando un ramo come attizzatoio.
«Non è ancora il tuo turno di guardia, torna a dormire chiya
Kas le si sedette accanto senza parlare.
«Che cosa succede? Stai pensando a quello che ha detto Tamra? Se è così non badarle troppo, è una brava persona, ma a volte non pensa prima di parlare.»
«Però ha ragione, insomma, non ho fatto nulla per guadagnarmi un posto tra di voi...» mormorò Kas.
Devra sorrise.
«La maggior parte di noi non ha fatto mai nulla prima di diventare Rinunciataria, lasciando che fossero i nostri uomini a prendere le decisioni importanti. È normale che tu adesso ti senta insicura, stai andando contro tutto quello che ti è stato insegnato. Ora però va a riposare, ti sveglierò quando sarà il tuo turno di guardia.»
Kas si alzò e fece per seguire il consiglio della donna più anziana, ma si fermò a metà strada e tornò indietro.
«Devra?»
«Sì?»
«Grazie.»
Devra sorrise, poi tornò a studiare le fiamme.
"Spero che tu trovi la tua strada bambina, lo spero davvero."


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Kasentlaya cercò un solido punto d'appoggio stando bene attenta a non scivolare sul terreno ghiacciato. Un passo falso poteva esser loro fatale. Il sentiero su cui si stavano inerpicando saliva tortuosamente, scavandosi a fatica la strada nel fianco della montagna. Ma, se da un lato potevano aggrapparsi alle sporgenze di roccia, dall'altro il sentiero costeggiava un profondo strapiombo. Uno scivolone ed un volo di qualche centinaio di metri prima di andare a sfracellarsi sulle pietre aguzze che costellavano il canalone.
La giovane Ridenow gettò un'occhiata in basso e subito se ne pentì. Si morsicò le labbra cercando di soffocare la paura che le serrava lo stomaco. Riportò gli occhi in basso, ad osservare il terreno con concentrazione. Spostò un piede avanti, poi l'altro. E ancora avanti, per un tempo indefinito, senza mai vagare troppo con lo sguardo per il timore di scorgere l'abisso sotto di lei.
La voce di Alanna che annunciava una sosta fu accolta come una benedizione. La Rinunciataria le aveva fatte fermare in un punto in cui il sentiero diventava più ampio, quasi uno spiazzo, dove sia loro che i cavalli avrebbero potuto riprendere fiato senza essere premuti gli uni agli altri.
Kas controllò la sua cavalcatura, poi frugò in una delle sacche da sella alla ricerca di qualcosa da mangiare. Sentì sotto le dita la lettera di Elayna poi, tastando ancora più sotto, un involto rigonfio. Si trattava del pacchetto che le aveva dato Manolo. Dopo che l'aveva riposto nella sacca da viaggio se n'era completamente dimenticata. Lo tirò fuori dalla bisaccia e lo soppesò. Tanto valeva vedere cosa c'era dentro, anche se dubitava che Fiona vi avesse messo qualcosa da mangiare. Si sfilò uno dei guanti e sciolse il nodo che chiudeva l'involucro.
«Ah, cibo!» esclamò trionfante la ragazza, trovando alcune delle barrette energetiche che si consumavano dopo il lavoro nei Cerchi. La Custode aveva anche preparato dei sacchetti contenenti erbe officinali che sarebbero potute tornare loro utili. Spezzò una delle barre di miele e noci in quattro parti e ritornò verso le altre. Divisa la razione con le Rinunciatarie, si sedette su una roccia poggiando la schiena alla parete della montagna.
«Quanto manca?» domandò Tamra.
«Due o tre ore e attraverseremo il passo. Fate molta attenzione però, da qui in avanti la strada quasi scompare, ci sono dei gradini scavati nella pietra, ma il ghiaccio li rende scivolosi.» Rispose Alanna.
Kas la guardò preoccupata. «E i cavalli? Come faranno a salire?»
«Non preoccuparti, sono delle ottime bestie e di sicuro troveranno la strada più facilmente di noi!» disse Devra alzandosi.
«Rimettiamoci in cammino. Non è nemmeno mezzogiorno, ma se il sentiero è ghiacciato saliremo più lentamente. Ed io voglio trovarmi ben al di sotto della linea degli alberi prima che cali il buio!»
Le Rinunciatarie si affrettarono a seguire il suo esempio. A nessuno piace diventare il pasto di un uccello spettro.


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Alanna si fermò per un istante a riprendere fiato, appoggiandosi alla parete di roccia. Anche lei, nonostante fosse nata tra le montagne, cominciava ad avere qualche problema di respirazione a causa dell'altitudine.
Con la manica della giubba si deterse il sudore dal volto. Faceva dannatamente caldo per essere in pieno inverno. Ed era ancora più strano visto che la mattina precedente, per bere, avevano dovuto rompere il ghiaccio che ricopriva il ruscello vicino a cui si erano accampate.
Si voltò indietro a controllare che le altre non avessero problemi. Devra, che quella mattina chiudeva la fila, sbucava in quel momento da dietro l'ultima curva del sentiero. Alanna notò che tutte, seguendo il suo esempio, si erano tolte il pesante mantello e l'avevano legato dietro la sella. Era davvero troppo caldo anche se il cielo era coperto di nuvole.
Kasentlaya la raggiunse tirandosi dietro il cavallo. Seguendo il suo esempio, si appoggiò alla roccia per riposare un momento.
«Tutto a posto?» chiese Alanna, notando che la giovane respirava a fatica.
Kas annuì.
«Solo... caldo...»
Alanna prese la borraccia che portava a tracolla, bevve e poi la offrì alla ragazza che accettò con gratitudine.
«Bevi poco alla volta, sei accaldata ed altrimenti potrebbe farti male.»
Kas bevve qualche sorso d'acqua, poi le restituì l'otre di pelle.
«A che altezza siamo?»
«Siamo a metà del cammino. Presto saremo in cima.» Staccandosi dalla parete di roccia, Alanna riprese a salire.
Kas rimase a guardarla per alcuni istanti prima di seguirla. Alzò la testa ad osservare la cima della montagna, coperta di neve. L'ombra del massiccio oscurava quel punto del sentiero che, probabilmente, rimaneva in penombra anche sotto il sole di mezzogiorno. La montagna si ergeva silenziosa su di loro. In attesa.


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«Allora? Come sta?»
«Non lo so! Perché invece di alitarmi sul collo non vai a prendere i medicamenti di Fiona?»
Le voci erano quelle di Tamra e Kas. Ma perché Kas pareva tanto arrabbiata?
Alanna aprì faticosamente gli occhi cercando di capire cosa stesse succedendo, ma non appena provò a voltare la testa si sentì invadere da un'ondata di nausea.
«Grazie agli dei ti sei svegliata!» Kas era china su di lei, il volto tirato dalla preoccupazione.
Alanna la fissò senza capire. «Cosa...?»
«Una slavina,» la ragazza rabbrividì involontariamente. «Quando ce ne siamo accorte ce l'avevamo ormai addosso.»
«Le altre?» la Rinunciataria lottò per mettersi a sedere, ma Kas la trattenne.
«Tu non ti muovi da qui finché non ti ho controllato!» sbottò. Poi, quando fu sicura che Alanna non avrebbe tentato di alzarsi di nuovo, aggiunse: «Le altre stanno bene. Adesso cerca di stare ferma.»
Si concentrò e passò un paio di volte la mano a pochi centimetri dal corpo della donna fino a visualizzarne i canali.
Questi apparivano liberi e risplendevano di una luce azzurrina ed intensa, ma Kas scese a controllare più in profondità per assicurarsi che non vi fossero lesioni interne che potevano anche sfuggire ad un controllo superficiale.
«La spalla, ti fa male?» chiese distrattamente senza alzare gli occhi dal proprio lavoro.
«Sì,» rispose Alanna.
Kas annuì, quasi si aspettasse quella risposta.
D'improvviso qualcuno dietro di lei ansimò e lasciò cadere a terra qualcosa.
La giovane alzò lo sguardo. Non si era resa conto che Tamra fosse tornata. La Rinunciataria aveva lasciato cadere il pacchetto con gli unguenti che Manolo le aveva consegnato e spostava lo sguardo da lei ad Alanna senza dire una parola.
Dopo pochi istanti si riscosse e si voltò verso Kasentlaya che la fissava a sua volta, confusa:
«Io... vado a vedere se Devra ha bisogno d'aiuto con gli animali.»
Senza dare alle altre il tempo di ribattere girò sui tacchi e si allontanò.
"Cosa le avrà preso per comportarsi in quel modo?" Kas raccolse l'involto da terra e lo studiò come se potesse darle delle risposte. "Cosa può averla turbata così tanto da scapparsene via come se avesse un esercito alle calcagna? A meno che..."
La giovane scrollò le spalle scartando quell'ipotesi assurda. Se fosse stato quello il motivo lei se ne sarebbe di sicuro accorta prima.
Sospirando si inginocchiò di nuovo a fianco di Alanna e le aprì la camicia in modo da poter spalmare l'unguento sulla spalla contusa.
«Questo dovrebbe far sparire l'infiammazione in una paio di giorni. Io, col laran, non mi azzardo a fare di più. Il monitore è mia cugina,» spiegò mentre lavorava.
Alanna annuì e sorrise. «Va già meglio, grazie.»
Mentre la giovane terminava di applicare la medicazione Devra e Tamra si avvicinarono.
«Come ti senti?» chiese Devra, osservando l'abbondante fasciatura che copriva la spalla della Rinunciataria.
«Nulla di grave, possiamo anche rimetterci in cammino. Purché una di voi mi aiuti ad alzarmi!» tese una mano e Kas la aiutò a rimettersi in piedi.
«Dubito che arriveremo molto lontano,» disse ironicamente Tamra, «il sentiero adesso è bloccato dalla neve e tale rimarrà fino a primavera! Avete forse intenzione di aspettare?»
Devra sbuffò esasperata.
«Non mi pare il momento adatto per fare del sarcasmo! Se non possiamo salire la cosa più logica da fare è scendere. Ringraziando gli dei, nessuno degli animali è rimasto ferito.»
«Almeno questo.» Borbottò Alanna avviandosi verso le cavalcature. Fece un paio di passi e sarebbe caduta se Kas non l'avesse sorretta.
«Credo... di non stare così bene come pensavo...» Alanna si aggrappò alla ragazza più giovane lottando per restare in piedi.
«Pensi di poter arrivare al rifugio?» domandò Devra.
«Se Kas mi fa da bastone, sì, ma non credo di poter fare da apripista.»
«Questo è l'ultimo dei nostri problemi. Tamra starà davanti ed io chiuderò la fila.»
Mentre tornavano indietro Kas guardò alle sue spalle la cima della montagna, adesso velata dalla foschia. Così vicina eppure così lontana. Fu una processione mesta e silenziosa quella che scese dal passo. Prima di sera erano arrivate sotto la linea degli alberi e mentre moriva l'ultima luce del giorno si avvicinarono al luogo dove avevano dormito la notte prima. Ma il rifugio non era vuoto come avevano sperato.


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Capitolo Quinto - Una Banda Di Guai

"La via prosegue senza fine
lungi dall'uscio dal quale parte.
Ora la via è fuggita avanti,
devo inseguirla ad ogni costo
rincorrendola con piedi alati
sino all'incrocio con una più larga
dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa"
J.R.R. Tolkien "Il signore degli anelli"

Kas seguì Tamra fino alle stalle sul retro dell'edificio, mentre le altre entravano nel rifugio. All'interno c'erano già cinque cavalli sistemati nei recinti più vicini all'ingresso.
Se c'erano cinque cavalli significava che nel rifugio alloggiavano altrettanti cavalieri. Kasentlaya si sorprese a pensare a come se la sarebbero cavata se i viaggiatori si fossero rivelati ostili.
Sobbalzò quando Tamra le toccò leggermente una spalla:
«Sbrighiamoci,» disse la Rinunciataria, «sto morendo di freddo.» Poi aggiunse più gentilmente, «non è detto che siano banditi e se anche fosse tutti sono obbligati a mantenere la pace nei rifugi.»
Kas non rispose e tentò di mascherare la sua sorpresa cominciando ad occuparsi dei cavalli.
Come faceva Tamra a sapere cosa stava pensando?
Che i suoi sospetti fossero fondati? Ciò avrebbe spiegato anche lo strano comportamento di quel pomeriggio. Ma se anche fosse stato così lei non si sarebbe messa a farle domande. Stava già abbastanza antipatica a Tamra senza bisogno di mettersi a ficcare il naso in affari che non la riguardavano. Avrebbe semplicemente aspettato che fosse l'altra a parlarne e se non l'avesse fatto... beh, i suoi sarebbero rimasti sospetti... anche se doveva ammettere che moriva dalla voglia di sapere la verità.
Tolte le selle ai cavalli le due donne presero a pulirli con alcune manciate di paglia.
Nella stalla non c'era una mangiatoia e così furono costrette a mettere la musetta agli animali affinché potessero nutrirsi.
«Abbiamo quasi finito l'avena,» commentò Tamra frugando tra le provviste, «al prossimo villaggio dovremmo comperarne dell'altra.»
Kas rispose con un borbottio poco impegnativo e si chinò a controllare gli zoccoli del cavallo di Alanna. La giumenta era stata investita dalla slavina al pari della sua padrona ed era meglio assicurarsi che le protezioni non si fossero danneggiate.
Certo avevano denaro sufficiente per le provviste, ma se la bestia si fosse azzoppata sarebbe stato difficile rimpiazzarla.
«Io qui ho finito. Vado a vedere come stanno le altre.»
Kas si rizzò di scatto, picchiando la testa contro una delle travi del soffitto.
Soffocando un'imprecazione si portò una mano alla fronte.
Tamra scoppiò a ridere:
«Adesso che ci penso non so se posso fidarmi a lasciarti sola!»
Kas borbottò qualcosa e le indicò la porta.
«Me ne vado, me ne vado... dopotutto quando la domna comanda, il popolo ubbidisce!» commentò Tamra, con una punta di sarcasmo nella voce.
Detto questo la lasciò sola.
Kas rimase a fissare la porta chiusa. Quella donna lei proprio non riusciva a capirla.


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Alanna stava seduta su una coperta.
Aveva insistito per aiutare Devra, ma l'altra non ne aveva voluto sapere e l'aveva costretta a sedersi vicino al fuoco e a starsene tranquilla. Forse non aveva avuto tutti i torti: non appena Alanna aveva appoggiato la schiena alla parete, la stanchezza le era piombata addosso pesante come un macigno.
Mentre Devra preparava la loro cena, uno stufato ricavato dalle razioni da viaggio, Tamra era entrata nel rifugio. Nel vedere le facce degli altri viaggiatori fece una smorfia a metà tra disgusto e disperazione. Più o meno era la stessa espressione che Alanna aveva già visto sulla faccia di Devra, solo Tamra non si curava di nasconderla.
«Ma tu guarda chi c'è!» esclamò il capo dell'altro gruppo. «Da quanto tempo è che non ci vediamo, eh, Sorriso?»
«Troppo poco per i miei gusti,» rispose seccamente Tamra, «e piantala di chiamarmi a quel modo!»
L'uomo ridacchiò, per nulla intimorito dall'atteggiamento minaccioso della Rinunciataria. «Già, forse non ti si addice.» Esasperata la donna smise di dargli ascolto e andò a sedersi con le altre.
«Dov'è Kas?»
«Sta finendo di sistemare i cavalli e per quanto mi riguarda può restarsene nella stalla per tutta la notte!»
Alanna stava per rispondere, ma si bloccò nel vedere che Devra scuoteva il capo.
La giovane alzò le spalle in risposta. Forse Devra voleva che le altre risolvessero la cosa tra loro.
Quando la cena fu pronta, Tamra le allungò una ciotola di stufato. Kasentlaya non era ancora tornata e Alanna poteva vedere, dalle frequenti occhiate che lanciava alla porta, che Devra era preoccupata.
«Vado a vedere dove si è cacciata,» disse alla fine, poggiando la ciotola ormai vuota sul pavimento.
Proprio mentre si stava alzando, la porta del rifugio si aprì e il vento gelido penetrò nella stanza facendo sibilare le fiamme del focolare.
La figura che emerse dal buio della notte era avvolta da capo a piedi nel mantello incrostato di neve.
Kas si fermò per un attimo sulla soglia, scrollò la neve dagli stivali poi richiuse la porta lasciando fuori il gelo e il buio. Si guardò intorno per qualche istante strizzando gli occhi accecati dalla luce improvvisa. I proprietari dei cavalli che avevano trovato nella stalla si rivelarono essere tutti uomini.
Erano armati, ma non le sembrò che avessero cattive intenzioni.
Si tolse il mantello e buttatolo su un braccio si diresse verso le Rinunciatarie.
Devra le porse la sua razione di stufato senza fare commenti, ma continuò a lanciarle occhiate preoccupate mentre mangiava.
Finito di mangiare, Kas si mise a studiare l'altro gruppo di sottecchi, ma con grande interesse.
«Chi sono?» chiese alla fine, «sembra che vi conosciate.»
«Per nostra sfortuna, sì,» borbottò Devra.
Quello che sembrava essere il capo degli altri viaggiatori, un uomo alto e biondo con un'espressione sorniona che a Kas ricordava Alar, si era avvicinato con l'evidente intento di fare conversazione e aveva sentito la domanda della ragazza.
«Non sai chi siamo?» si intromise, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Tamra, «queste degne signore non ti hanno mai parlato delle nostre mirabili gesta?»
Devra tossicchiò un paio di volte e l'uomo alzò le mani in segno di resa.
«D'accordo, d'accordo! Non saranno state proprio mirabili, ma devi ammettere che vi abbiamo dato una mano per l'affare del sale.»
«Comunque,» annunciò poi con tono teatrale, «siamo mercenari.»
La studiò attentamente, aspettandosi un gesto di sorpresa o qualche altra domanda, ma la giovane si limitò ad osservare lui ed i suoi uomini.
«Illa si farebbe quattro risate,» commentò alla fine con un mezzo sorriso.
«Tutto qui?» l'uomo sembrava deluso, «e poi chi sarebbe questa Illa?»
Kas scrollò le spalle e non rispose.
«Lo vedi Darren?» commentò Tamra. «Almeno ha il buon senso di non parlare con te!»
L'uomo rise di gusto. «Sei sempre così dolce e gentile, Sorriso.»
I suoi uomini scoppiarono a ridere evidentemente divertiti dallo scambio di battute.
«Ehi, Rossa!» chiamò uno di loro, rivolgendosi a Kas, «fa attenzione a chi frequenti o Sorriso ti farà diventare acida quanto lei!»
«Sante parole, Thomas, sante parole!» uno degli altri mercenari menò una pacca sulla schiena di quello che aveva parlato con il risultato di fargli andare per traverso quello che stava bevendo.
«Beh, buonanotte signore.» Darren si inchinò con finta formalità. «Non vi intratterrò oltre se non volete ascoltare. Col vostro permesso vado a mettere ordine tra i miei camerati.»
Tornato dai suoi uomini, prese a confabulare animatamente lanciando, di tanto in tanto, qualche occhiata verso le Rinunciatarie.
«Stanno architettando qualcosa e qualsiasi cosa sia non mi piace,» commentò Tamra mentre sistemavano le coperte per la notte.
«Dei!» esclamò Alanna esasperata dal comportamento dell'altra, «stai diventando paranoica come Shonnach!»
Tamra stava per ribattere bruscamente, ma Kas intervenne attirando su di sé le ire della Rinunciataria.
«Non sono tanto male.»
«E cosa te lo fa pensare?» Tamra le si scagliò contro, ma Kas la fissò imperturbabile mentre rispondeva:
«Almeno a me hanno dato un soprannome decente!»
Alanna le lanciò un'occhiata di gratitudine. Tamra invece rimase a fissarla interdetta. E per una volta non trovò niente con cui ribattere.


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«Devi rassegnarti Darren,» ribatté Thomas, «non ci riuscirai mai!»
«Ah, no? Scommettiamo?»
«Che cosa? Sai che ho perso quasi tutto a Caer Donn.»
«Stasera mi sento generoso, io scommetto la mia daga contro la tua spilla di rame, hanno più o meno lo stesso valore.»
Thomas lo fissò a bocca aperta:
«Generoso? Brutto figlio di un cane! Dici di essere generoso, ma mi chiedi di separarmi dall'unico bene che mi ha lasciato la mia povera madre!»
«Oh, piantala e scommetti!» Elyas lo spintonò. «La spilla l'hai rubata e sappiamo tutti che tua madre non ti poteva soffrire.»
«Va bene, va bene. Tanto,» aggiunse Thomas con un ghigno, «sono sicuro di vincere. Te lo ripeto amico: non ce la farai mai!»
Darren sorrise, ma non disse nulla.
«Quale hai puntato?» chiese uno degli altri, «la Rossa?»
«Nah, troppo giovane. Devra...» rispose Darren.
«Allora puoi già darmi la daga, fratello. Quella è insensibile come una roccia. E tu ti ci spaccherai la testa sopra.»
«Staremo a vedere, Thomas. Staremo a vedere.»


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Darren si svegliò di soprassalto quando uno dei suoi uomini tossì nel sonno. Una debole luce filtrava da sotto la porta del rifugio. Si portò una mano alla testa: forse aveva esagerato col firi la sera prima.
Si voltò verso l'angolo dove si erano sistemate le Rinunciatarie. Sicuramente le donne stavano ancora dormendo, era ancora troppo presto per mettersi in viaggio.
Ma, a parte loro, nel rifugio non c'era nessun altro.
L'uomo si alzò di scatto buttando via le coperte. Le donne non avevano lasciato nulla dietro di loro. Sembrava che nemmeno fossero passate di lì.
«Sveglia, branco di idioti!» urlò, cominciando a prendere a calci i suoi uomini, «sveglia, accidenti a voi! Se ne sono andate!»
Thomas e altri due si tirarono a sedere. Elyas continuò a russare beatamente.
«Andato? Chi è andato?» chiese stupidamente uno dei mercenari ancora intontito dall'alcool.
Thomas si guardò intorno, poi scoppiò a ridere. «Cos'è fratello, ti brucia il culo perché hai fatto la figura del cretino?» Si tirò in piedi con tutta calma, recuperando le brache da sotto la testa di Elyas. L'uomo si girò di lato e continuò a dormire.
«Ti hanno fregato per bene. Devra è molto furba, dovresti averlo capito.»
«No maledizione! Io non perdo mai, Thomas, mai!»
Darren cominciò a camminare avanti e indietro. «Sì,» disse alla fine, «le seguiremo.»
Si voltò verso Thomas. «Va' a sellare i cavalli e non farti vedere finché non hai terminato. Jac, Cormac, svegliate quell'animale di Elyas. Se non è capace di stare in sella da solo legatecelo.»
Vedendo che gli uomini non si muovevano, imprecò.
«Beh, cosa vi prende adesso? Vi muovete o aspettate un invito scritto?»
I due mercenari si chinarono su Elyas cercando di farlo tornare in sé, Thomas invece si avvicinò a Darren.
«Non sopporti che una donna possa essere più furba di te, vero? Per te servono solo a...» ghignò facendo un gesto osceno con la mano.
«Vado a sellare le bestie,» aggiunse vedendo che il suo capo si faceva scuro in volto, «però te l'avevo detto che era una scommessa persa in partenza.»


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Dopo quella che era sembrata una fuga precipitosa dal rifugio, il viaggio fino a Dalereuth era stato rapido e senza imprevisti. Anche la visita alla Torre e a Fiora era durata meno del previsto e, mentre si allontanavano, Kas ripensava a quello che le aveva detto la Custode. Ora che il Consiglio aveva scoperto Elvas, avrebbero certamente avuto dei guai. Forse avrebbero convocato Fiona a Thendara, anche se Kas dubitava che il Re in persona potesse dare ordini ad una Custode. Oppure avrebbero mandato qualche ficcanaso a controllare quello che stavano facendo. Di certo, a quanto le aveva fatto capire Fiora, la Custode della Torre Verde non avrebbe ricevuto alcun tipo di appoggio dalle altre Torri. Nonostante ammirasse molto la sua Custode, Kas non invidiava la scomoda situazione in cui era venuta a trovarsi. Chissà che reazione avrebbero avuto gli altri telepati quando Fiona avesse reso pubblica la notizia. Probabilmente ognuno avrebbe pensato a salvare la propria pelle. La ragazza si chiese svogliatamente cosa avrebbe deciso di fare Rys. Ma forse non le importava più di tanto.
D'improvviso qualcuno la urtò, facendola quasi cadere a terra.
«Ma che diavolo...?»
«Finalmente ti ho trovata!» Kas si ritrovò a fissare negli occhi Tamra. «Devra mi ha mandato a cercarti.»
«Cosa succede? Alanna...?»
«No. Muoviamoci, ti spiego dopo.»
Kas non poté far altro che seguirla visto che si era lanciata di gran carriera in direzione della Gilda.
Si guadagnarono molto più di qualche occhiataccia mentre correvano a rotta di collo attraverso le strade affollate. Quando giunsero davanti alla Gilda, Kas dovette fermarsi a riprendere fiato. «Allora... cosa.. ?» riuscì ad articolare alla fine. Tamra non rispose, la prese invece per un braccio trascinandola verso l'edificio.
La Rinunciataria ignorò tutte le domande di Kas e quando alla fine si fermò davanti ad una porta chiusa, si limitò a dire.
«Qui dentro.»
Kas afferrò la maniglia ed aprì la porta cominciando a temere di aver inavvertitamente combinato qualche guaio.
Non era preparata alla scena che le si presentò davanti. Devra stava china su una donna distesa a letto e le diceva qualcosa, a voce troppo bassa perché Kas potesse udire. Nella stanza c'era anche un'altra Rinunciataria che la ragazza aveva visto solo di sfuggita quando erano arrivate al villaggio.
Devra le si avvicinò con un misto di sollievo e preoccupazione dipinto sul viso.
«Sta per partorire,» disse a bassa voce, «ma il bambino non ne vuole sapere. Io ho solo esperienza di cavalli, però credo che potrebbe essere podalico.»
Kas lanciò un'occhiata alla puerpera che gemeva piano.
«La levatrice?» chiese poi.
Devra sospirò. «Era fuori per assistere un'altra quando Silvana è entrata in travaglio. Alanna è andata a chiamarla con Lirene che per fortuna si ricordava dove era andata, ma non so quanto ci metteranno a tornare.»
La ragazza si tolse il mantello e poggiatolo su una sedia, si avvicinò al letto con la Rinunciataria.
«Posso controllarla,» disse a bassa voce, mentre estraeva la matrice dal suo sacchetto, «ma poi non saprei cos'altro fare.»
«Ci penseremo dopo. Pensi di potermi dire in che posizione si trova il piccolo?»
«Sì. Sì, questo almeno lo posso fare.»
La ragazza si concentrò sulla pietra che teneva tra le mani. Poteva percepire la forza vitale del bambino, il suo dolore e quello della madre, il terrore di entrambi.
Devra aveva ragione, il bimbo era rovesciato. In quelle condizioni non era certa che la donna sarebbe riuscita a partorire, ma bisognava far presto o sarebbero morti entrambi. Poteva già sentire che il bambino si indeboliva per la mancanza di ossigeno.
«Avevi ragione,» disse, riscuotendosi e fissando Devra. «Bisogna farlo uscire, altrimenti...»
«Ti prego! No!»
La puerpera che era parsa assopita afferrò il braccio di Kas con forza impressionante. «Il mio... il mio bambino... non pensate a me... il bambino! Ahhh!»
Kas che aveva abbassato un poco le sue barriere mentali per poter eseguire un controllo approfondito, si ritrovò investita da tutte le emozioni della donna. Si sentì mancare le gambe e cadde in ginocchio accanto al letto.
«Kas?» Devra si era subito chinata su di lei, la sua voce era colma d'angoscia.
«Sto... bene.» Kas lottava contro dolore e fantasmi non suoi per non esserne sommersa. «Pensa a Silvana.»
Devra annuì e cominciò a prendersi cura della donna, aiutata dall'altra Rinunciataria.
Kas rimase in ginocchio dov'era caduta. Avrebbe dovuto liberarsi dalla stretta con cui la donna le intrappolava il braccio. Le venne assurdamente da pensare che forse, mantenendo il contatto, avrebbe potuto portare un po' del fardello della donna sulle sue spalle. Non poteva lasciarla sola. Semplicemente, non era giusto. Con la mano libera cercò quella della partoriente. La strinse. Il dolore annullò ogni altra cosa.


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«Forza, ancora una bella spinta! Sta uscendo e tra poco potrai tenerlo tra le braccia! Forza!» Devra fece segno a Jarna di premere sul ventre della donna mentre questa spingeva.
Silvana raccolse tutte le energie che le erano rimaste in quell'ultimo sforzo. D'improvviso si rilassò, accasciandosi sui cuscini. Il silenzio regnò per un istante nella stanza. Poi un vagito, un altro, il suono della vita che annunciava il suo trionfo nonostante le avversità.
Devra sorrise, sollevando il neonato perché Jarna potesse legare e tagliare il cordone ombelicale.
«Ce l'hai fatta, Silvana! È una bellissima bambina! Sana e forte!» La bimba piangeva, agitando i piccoli pugni.
Jarna si voltò verso la puerpera. «Non dici nulla Sorella? Non sei contenta?»
La donna non diede cenno di aver sentito, teneva gli occhi fissi sul soffitto e respirava a fatica.
Kas alzò la testa. La presa di Silvana si stava indebolendo. D'un tratto la donna lasciò cadere il braccio sul letto come se non avesse più la forza di tenerlo alzato.
«Silvana?» Kas si voltò a fissare Devra ai piedi del letto. Poi il suo sguardo cadde sulle coperte.
«Dei! Ha un'emorragia!»
Anche Jarna aveva notato la macchia di sangue che si allargava sul tessuto.
«Kasentlaya fa qualcosa!»
La ragazza scosse il capo in preda all'angoscia. «È talmente debole che se intervenissi potrei ucciderla io!»
In quel momento la porta della stanza si aprì ed entrarono Alanna ed un'altra Rinunciataria, avvolta in uno scialle scuro.
Dopo aver lanciato un'occhiata alla partoriente, la sconosciuta disse con tono pratico. «Alanna, aiuta Jarna con la bambina.»
Si rimboccò le maniche e si avvicinò al letto.
«Devra procurami della neve. Con degli impacchi freddi forse riusciremo a fermare il sangue.»
Mentre Devra si precipitava fuori della stanza, Kas si tirò in piedi afferrandosi al bordo del letto.
«Non serve più...» le mancò la voce, ma lottò per proseguire. «È morta.»
Jarna la fissò incredula poi, dopo aver affidato il neonato ad Alanna, si avvicinò al letto spingendola via.
«Sorella! Avanti rispondimi!» gemette angosciata.
Silvana aveva gli occhi aperti, ma non si mosse. Jarna la prese per le spalle, cominciando a scrollarla. «Avanti, Silvana! Rispondimi maledizione!»
Quando comprese che non c'era più nulla da fare scoppiò a piangere. Anche la bambina ricominciò a vagire, disperatamente questa volta, quasi capisse che non sarebbe mai potuta stare tra le braccia di sua madre.
«Perché non hai fatto qualcosa? Perché?» Jarna si voltò verso Kas, gli occhi pieni di disprezzo. «Era tua Sorella! Avresti almeno potuto tentare!»
La donna che era arrivata con Alanna, indubbiamente la levatrice della Gilda, si avvicinò e si chinò sulla Rinunciataria.
«Non parlare così Jarna. Non rende onore né a te, né alla povera Silvana!»
Kas, per la quale le parole della Rinunciataria erano state come una doccia fredda, approfittò di quel momento per uscire dalla stanza. Jarna aveva ragione. Lei era solo una codarda. Chi voleva ingannare facendosi passare per una Rinunciataria?
Si diresse quasi di corsa verso le stalle, ignorando le domande e gli sguardi perplessi delle altre donne. Aveva bisogno d'aria. E di restare da sola.


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«Vado a vedere come sta Kas.» mormorò Alanna, facendo un cenno in direzione della porta. «Tanto qui non posso fare molto di più.»
Mentre Maigan, la levatrice, si prendeva cura di Jarna, lei aveva lavato e vestito la bambina, che ora dormiva esausta nella stanza a fianco.
«Aspetta Alanna. Sarà meglio che vada io.» Maigan si alzò, bloccandola prima che potesse uscire. «Tu resta con Jarna. Nello stato in cui è potrebbe crollare da un momento all'altro. Cerca di convincerla a lasciare Silvana. Ormai non può fare molto per lei e tormentarsi così le farà solo male.»
Uscita dalla stanza, si fermò per un istante chiedendosi dove potesse essere la ragazza. Probabilmente si sentiva responsabile per la morte di Silvana e le parole di Jarna, anche se dettate dal dolore, non avevano certo migliorato la situazione.
Sorrise lievemente, suo malgrado. Quando i giovani decidevano di prendersi delle responsabilità se ne assumevano persino troppe e spesso erano più duri con se stessi di quanto lo sarebbe stato un adulto. Lei lo sapeva bene. Dopotutto anche lei era stata giovane un tempo.
La ragazza se ne stava da sola come aveva immaginato. Era seduta all'entrata delle stalle, lo sguardo perso nel vuoto.
Maigan le si sedette accanto, ma Kas rimase in silenzio.
«Non sentirti in colpa, bambina. Hai fatto quello che hai potuto.»
«Non è stato abbastanza. Avrei dovuto...»
Maigan le passò un braccio attorno alle spalle. «Guardami piccola. Guardami. Faccio la levatrice da molti anni e ho visto morire tante donne. E ho imparato che è giusto piangere i morti, ma bisogna occuparsi dei vivi. Ora, pensa a questo: Silvana ha dato la sua vita per quella della figlia. Non lo trovi un gesto nobile e degno di rispetto? E tu hai avuto parte in tutto questo.»
Kasentlaya si alzò di scatto, cominciando a camminare avanti e indietro.
«E cosa le ho dato se non una vita da orfana? Io so cosa vuol dire crescere senza una madre, chiedendosi ogni giorno se sarebbe potuta andare diversamente!»
Maigan le si avvicinò poggiandole con gentilezza le mani sulle spalle.
«Ti sbagli bambina. Lei ha molte madri. Ogni donna della Gilda le farà da madre. E anche tu non sei sola adesso, siamo tutte tue Sorelle.»
Poi la strinse a sé e Kas le si aggrappò come se stesse per affogare. Maigan si limitò a tenerla tra le braccia senza aggiungere altro. Quando alla fine avesse prestato il Giuramento, avrebbe compreso.


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Capitolo Sesto - Il Castello Dei Ricordi Perduti

Un'atmosfera pesante gravava sulla Gilda di Arilinn. Molte delle Rinunciatarie portavano ancora il lutto per la morte di Silvana, nonostante il suo corpo fosse stato bruciato ormai da tre giorni.
Kasentlaya percepiva la presenza soffocante della morte tutt'intorno a lei: poteva avvertirla nei gesti lenti e quasi dolorosi delle Rinunciatarie, nei discorsi mormorati a mezza voce, negli sguardi colmi di cose non dette.
Lei se n'era rimasta in disparte, non perché non condividesse i loro sentimenti, ma perché si sentiva un'intrusa tra quelle donne così profondamente unite anche nella sofferenza. Inoltre aveva il timore che scoprissero che non era veramente una di loro.
Rimase perciò molto sorpresa quando una sera Jarna le si avvicinò, tenendo la bambina di Silvana tra le braccia. La Rinunciataria l'aveva evitata fin dal giorno del parto.
Jarna le si sedette accanto, la osservò per un minuto buono, poi disse:
«Mi chiedevo se ti sarebbe piaciuto tenerla un po' in braccio.»
Kas capì che quello era il suo modo di scusarsi per le male parole che le aveva rivolto.
«Mi piacerebbe, ma... uhm... non ho mai tenuto in braccio un bambino...» Arrossì imbarazzata nel vedere lo sguardo stupito della Rinunciataria.
«Non hai sorelle o fratelli?» chiese con curiosità.
Kas rimase in silenzio per un istante. Cosa doveva rispondere? Avrebbe forse dovuto mentire? E se Jarna le avesse fatto altre domande?
«Ho una sorella,» rispose alla fine, «o meglio, avevo.» In fondo quella era la verità. Non le avevano mai permesso di stare con Wren quando era piccola ed ora che era morta non le avrebbero nemmeno lasciato vedere la sua tomba.
Jarna notò che il suo volto si era intristito.
«Mi spiace Sorella. Non volevo farti ricordare cose spiacevoli.»
Agendo d'impulso le mise la bambina tra le braccia. La piccola tese le manine paffute ad afferrare i lacci della camicia di Kas. La ragazza la strinse a sé e la bambina gorgogliò felice.
«Assomiglia molto al padre,» commentò Jarna.
«Lo conosci?»
«Sì. È mio cugino Stephen. Vedi, lui è sposato, ma sua moglie non può avere figli e lui avrebbe voluto un erede che un giorno prendesse in mano la sua attività. Anche Silvana desiderava un bambino e lei e Stephen erano compagni di giochi. Probabilmente se Silvana non fosse diventata una Rinunciataria avrebbero finito per sposarsi.»
«Ma la bambina? A chi sarà affidata adesso?»
«Se fosse nato un maschio lo avrebbe allevato mio cugino, ma stando così le cose... Ho promesso a Silvana che me ne sarei occupata io se...» Non riuscì a terminare la frase.
Kas rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire per consolarla e quel mondo era così diverso da quello dei comyn e delle Torri che a volte ne restava sconcertata. Sicuramente Silvana aveva deciso da sola di compiere quel gesto. E nonostante la scelta di partorire un bambino per altri la mettesse a disagio, Kas dovette ammettere che le comynare facevano la stessa cosa. Loro partorivano per il clan.
Abbassò lo sguardo sulla bambina che le si era addormentata in grembo. Avrebbe voluto fare qualcosa di più per salvare Silvana, ma forse Maigan aveva ragione e lei si stava preoccupando per nulla. La piccola era circondata da persone che si sarebbero prese cura di lei e Jarna l'avrebbe allevata come una figlia. Eppure non poteva fare a meno di pensare che la morte della Rinunciataria gettava nuove ombre sul loro percorso.


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L'antica dimora dei Ridenow si ergeva su un alto sperone di roccia, profondamente scavato dagli elementi, e dominava il villaggio sottostante come un implacabile guardiano. Era un maniero poderoso che aveva resistito per secoli agli assalti dei predoni venuti dal deserto, almeno fino a che alcuni di questi non erano entrati a far parte della nobiltà darkovana, imparentandosi con i Serrais. Il castello era un tempo appartenuto ai signori delle Pianure che poi l'avevano ceduto ai nuovi cugini come segno di pace e alleanza. All'epoca non esisteva un vero e proprio castello, ma soltanto una torre-vedetta con mura di terra, l'ultimo avamposto delle famiglie comyn. Gli antenati di Kasentlaya avevano poi ampliato la struttura fino a renderla inespugnabile.
Sulla torre più alta del maniero garriva un vessillo, i cui colori erano indistinguibili nella bruma mattutina. Ma Kas non aveva bisogno del sole per sapere che il drappo era dipinto nelle tinte verde e oro della sua nobile casata. La presenza del vessillo significava che il signore del castello era in casa. La ragazza avrebbe quasi preferito il contrario; ora che era giunta alla meta, il suo obiettivo si era fatto più incerto. Pregò silenziosamente che gli Dei le concedessero la forza di affrontare le prove future.
Eppure assieme alla paura provava anche una sorta di felicità. "A casa," pensò. "Sono a casa."
Trasalì leggermente quando Devra le sfiorò il braccio.
«C'è un posto dove possiamo passare la notte? Non mi sembra che da queste parti ci sia una casa della Gilda.»
Kas scosse il capo negativamente. «A quanto pare nessuna Rinunciataria vuole avere a che fare con mio padre per troppo tempo. Sconsiglierei la locanda, è gestita da Ben Manocorta. Dannatamente tirchio col suo denaro, ma non con quello degli altri. Si dice persino che allunghi la birra, e si dice che lo faccia col piscio. Per risparmiarsi di prendere acqua al pozzo, sapete.»
«Un'altra notte sotto le stelle quindi?» l'espressione di Alanna la diceva lunga su quanto apprezzasse la cosa.
«Non necessariamente. C'è un vecchio capanno dei cacciatori poco fuori dal villaggio. Basta che seguiate la pista che costeggia i margini del bosco. A un certo punto giungerete a un bivio. Il sentiero si inoltra nella foresta per circa trecento passi. Di solito le Rinunciatarie utilizzano il capanno come rifugio quando passano da queste parti.»
«E i cacciatori?» domandò Devra.
«Oh, non ce ne sono più. Quei terreni appartengono a dom Rakhal e chiunque venisse sorpreso a cacciare in quei boschi finirebbe a marcire nelle segrete del castello.»
«Vorrà dire che mangeremo le nostre razioni,» stabilì Devra suscitando un grugnito da parte di Tamra.
«Sì, anche tu Tamra. Non stiamo cercando guai, ricordi?»
Kasentlaya fece voltare il cavallo verso il villaggio.
«Dove pensi di andare?» il tono di Devra era tagliente.
«Al castello.»
«Non da sola, ragazza. Siamo riuscite a portarti fin qui senza che ti accadesse nulla e non ho intenzione di mancare agli impegni presi proprio adesso!»
«Madre Gwennis ti ha forse chiesto di farmi da balia?» ribatté stizzita la giovane.
«Più o meno,» intervenne Tamra, «e tu hai promesso di comportarti come una Rinunciataria! Ti accompagnerò io se a Devra sta bene.»
La donna annuì. «Vi aspetteremo al rifugio. Cercate di non combinare guai.»
"Perfetto!" pensò Kas mentre attraversavano il villaggio, "adesso le cose non potranno che andare peggio."


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Attraversarono il villaggio in silenzio, guardandosi intorno. Kasentlaya riconobbe alcuni degli abitanti, ma nessuno di loro sembrò far caso alle due Rinunciatarie. La giovane Ridenow aveva quasi l'impressione che il paese si fosse svuotato. Alcune delle botteghe apparivano abbandonate e gli scuri di alcune case erano stati inchiodati con delle assi.
«Hanno avuto un inverno difficile a quanto pare,» commentò Tamra, senza ricevere risposta.
Mano a mano che salivano il sentiero che conduceva al castello, Kasentlaya sentiva il suo cuore farsi più pesante. Ricordava bene come due anni prima avesse percorso la stessa via nel senso opposto, spronando il cavallo a un folle galoppo con il rischio di rompersi l'osso del collo. Si accorse che Tamra la stava fissando incuriosita. Alla fine, esasperata da quel silenzioso esame, ruppe il silenzio.
«Sei pronta per assistere allo spettacolo?» Non riuscì a nascondere l'amarezza nella propria voce.
«Che cosa intendi? Non crederai che ti stia accompagnando solo per godere delle tue disgrazie!»
«Dal comportamento che hai tenuto nei miei confronti cos'altro dovrei pensare? Non dirmi che ti preoccupa la mia sicurezza, perché sentirebbero la puzza della bugia fino a Thendara!»
Tamra sospirò. «Sei ingiusta, ma non ho voglia di litigare, bambina. Se ti spiegassi non capiresti. Non con la tua attuale disposizione d'animo.»
Kasentlaya preferì ignorare l'ultimo commento e spronò il cavallo, lasciandola indietro di qualche passo. Non poteva lasciarsi dominare dalla rabbia, se avesse affrontato suo padre in quelle condizioni avrebbe di certo perso. Rakhal era dannatamente bravo a sfruttare le emozioni degli altri a proprio vantaggio.
Quando giunsero al portale del castello trovarono che era sbarrato. Kasentlaya fermò il cavallo, interdetta.
«È strano. Ricordo chiaramente che il portone non veniva mai chiuso prima del tramonto del sole. Non mi piace.»
«Forse le cose sono cambiate,» obiettò Tamra, «proviamo a chiamare. Di certo qualcuno ci risponderà.»
Kasentlaya annuì e si portò le mani a coppa davanti alla bocca.
«Ehi! Del castello! Aprite la porta!»
Dovette ripetere il richiamo altre tre o quattro volte prima di veder comparire qualcuno sulle alte mura merlate.
«Che volete? Il portone è chiuso e rimarrà chiuso.» La guardia che era comparsa le scrutava con disprezzo.
Kasentlaya sentì la rabbia avvampare dentro di sé. «Quindi è così che si onora il diritto di ospitalità nel Dominio dei Ridenow? Quando il comandante delle guardie era Lorcán Castamyr le cose erano ben diverse!»
L'uomo bestemmiò tra i denti e parve soppesarle. Quando si rese conto che non se ne sarebbero andate, disse loro di aspettare lì e scomparve.
«Sono tutti così simpatici gli armigeri di tuo padre?» domandò Tamra.
Kas scrollò le spalle. «Non l'avevo mai visto prima. Come hai detto tu, in due anni le cose possono cambiare.»
Pochi minuti dopo il soldato ricomparve. «Potete entrare. Ma non aprirò la Porta del Re per due soli cavalieri. Fate il giro ed entrate dalle cucine. E se non vi sta bene potete anche levare le tende.»
Tamra fece per rispondergli in malo modo, ma Kas la fermò.
«Lascia perdere. Non ne ricaveresti molto.»
Fecero come era stato loro detto e ben presto si ritrovarono davanti ad un altro ingresso, meno imponente, ma sorvegliato.
Ai lati della porta stavano due uomini in livrea verde-oro, appoggiati alle aste di due lunghe picche. Un terzo uomo che portava i gradi di ufficiale si frappose tra loro e l'ingresso.
«Perdonate, ma cosa posso fare per voi?»
Kasentlaya non riuscì a trattenere un sorriso nel riconoscerlo.
«Per intanto,» rispose, «potresti far tagliare la lingua dell'idiota al cancello. Forse imparerebbe un po' di buone maniere.»
I due soldati di guardia assunsero delle espressioni minacciose e si avvicinarono, abbassando le picche.
L'ufficiale alzò una mano per trattenerli. Adesso anche lui sorrideva.
«Conosco una sola persona capace di parlare in maniera tanto irrispettosa a quelli più vecchi di lei. Su servo, damisela,» si inchinò profondamente.
Kasentlaya smontò da cavallo. «Quel titolo non mi spetta più. Non vedi le vesti che porto, Adrian? Sono una Rinunciataria adesso. Anzi,» proseguì, indicando i gradi ricamati sulla tunica dell'uomo, «forse dovrei addirittura cominciare a chiamarti Capitano!»
Adrian rise. «Gli Dei non vogliano! Sai che sei stata come una sorella per me.»
La giovane sorrise, poi chiese: «Dimmi, perché fate entrare i visitatori dalla Porta dei Porci? Mio padre non è mai stato il ritratto dell'ospitalità, ma nemmeno lui cadrebbe così in basso.»
Nel sentire menzionare il suo signore, Adrian fece una faccia strana.
«Siamo stati costretti. Certamente avrai notato le condizioni del villaggio... bene non si può certo dire che quest'inverno gli Dei siano stati generosi con noi. Prima un'epidemia di febbre polmonare, poi sono arrivati i lupi. Eravamo rimasti troppo pochi per proteggere il paese e anche lo stesso castello. Così per ordine del dom i contadini sono stati ospitati qui e il portone principale è stato sbarrato.»
«Questo spiega le nuove guardie e le assi alle finestre. Il vecchio Lorcán...»
Il volto del giovane si incupì. «È morto purtroppo. La febbre se l'è portato via. Ha comandato le guardie fino a che gli è rimasto fiato in corpo.»
«Quindi adesso il comandante sei tu...»
«Sì. Anche se è un onore di cui farei volentieri a meno. Le nuove guardie che stiamo addestrando non sanno tenere correttamente in mano un badile, figuriamoci una spada!»
Kas gli batté una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento. «Non ti avvilire, Adrian. Impareranno così come abbiamo imparato noi.»
L'uomo lanciò un'occhiata al coltello che la ragazza portava alla cintura e fece una smorfia.
«Sono sempre dell'idea che le donne non dovrebbero portare le armi. Se mia moglie fosse costretta a impugnare una spada per difendersi non sarei degno di essere suo marito!»
«Moglie? Non ti sarai per caso sposato... ricordi, da piccola ti dicevo che eri troppo brutto!»
Adrian arrossì imbarazzato e cambiò argomento.
«Se posso chiederlo dam... Kasentlaya, perché sei tornata?»
La ragazza assunse un'espressione distante e si fermò, fissando negli occhi il suo amico d'infanzia.
«Devo parlare a mio padre,» rispose.


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Dopo aver risposto alla curiosità di Adrian, Kasentlaya rimase in silenzio per il resto del tragitto.
Il castello sembrava in effetti più vuoto, quasi immerso in un irreale letargo. Alcune guardie, riunite attorno ad un tavolo, stavano giocando a dadi e ridevano sguaiatamente, ma sembrava che nessun altro tipo di attività si svolgesse nell'edificio. Persino la fucina del fabbro era silenziosa e senza vita.
Quando giunsero all'ingresso della sala grande, Adrian fermò Kasentlaya ponendole una mano sul braccio.
«Prima che tu entri, c'è una cosa che devo dirti. Potresti trovare che le cose sono molto diverse da come le hai lasciate.»
La ragazza corrugò la fronte: «Diverse? Che cosa intendi dire?»
Adrian stava per rispondere, ma fu interrotto da un rantolo soffocato. Una figura stava aggrappata allo scranno del dom e fissava Kasentlaya con occhi sbarrati.
"Come se avesse visto un fantasma..." pensò assurdamente la giovane.
La figura li scrutava dalle ombre del salone e non sembrava avere la minima intenzione di avvicinarsi.
«Era a questo che ti riferivi?» chiese Kasentlaya, voltandosi verso il capitano delle guardie.
Senza aspettare risposta entrò nella stanza, tallonata da Tamra.
«Chi sei?» domandò, avvicinandosi lentamente allo sconosciuto.
La figura si ritrasse ancora di più tra le ombre.
«No...» sibilò, «stammi lontana, sgualdrina.»
Kasentlaya si fermò perplessa. La voce per quanto roca era quella di una donna. La giovane si voltò incerta verso Adrian.
«Che cos'è successo?»
Prima che il soldato potesse replicare, la sconosciuta parlò di nuovo:
«Cosa sei venuta a fare qui? Non c'è niente per te,» la sua risata crudele echeggiò nel salone, «se mai c'è stato.»
Un lampo d'improvviso riconoscimento attraversò la mente della ragazza.
«Alanna?» chiese esitante, "quella era la sua matrigna?" La donna che ricordava era una comynara altezzosa: nulla l'aveva preparata ad un cambiamento così improvviso.
Tamra le si era avvicinata silenziosamente e le poggiò una mano su una spalla, quasi ad offrirle il suo sostegno. "Avevi ragione," pensò Kas, lanciandole un'occhiata, "le cose sono davvero cambiate."
I suoi pensieri furono interrotti da Alanna.
«Sei sorpresa. Sono le preoccupazioni che mi hanno fatta invecchiare. Ah, ma tu non ne hai mai avute. Hai pensato sempre a te stessa, gettando il tuo povero padre nel disonore.» La sua voce si fece sferzante. «Allora? Cosa vuoi? Se è per il castello non me lo porterai via. Sei una di quelle adesso. Non rinunciate a tutto voi?»
«Tu pensi che mi interessi? Per quanto mi riguarda può anche caderti sulla testa ogni sua pietra. Non sono qui per la tua carità,» sputò fuori l'ultima parola come se fosse stata una bestemmia.
«Dov'è mio padre? Voglio parlare con lui.»
Kas si rese improvvisamente conto di quello che stava facendo. Mai nella sua vita avrebbe pensato di poter tener testa a quella donna.
"Ma in fondo," pensò, "perché dovrei avere timore di una vecchia?"
Alanna era rimasta immobile a fissarla. D'improvviso le si lanciò contro con un grido inarticolato, le mani protese per artigliarle il volto. Kasentlaya sollevò le braccia per proteggersi da quell'assalto inaspettato.
Dopo alcuni tentativi riuscì ad afferrare Alanna per i polsi, allontanandole le mani dal proprio viso. La scosse rudemente. «Si può sapere cosa ti prende?» chiese con rabbia.
«Non ti permetterò di portarmi via Rakhal! Hai già distrutto mia figlia... la mia Wren.»
La giovane la fissò per alcuni istanti ad occhi spalancati poi la spinse lontano da sé. Qualsiasi forza avesse animato Alanna parve scomparire e la donna cadde carponi.
Kasentlaya la fissava disgustata. «Come puoi dire una cosa del genere?»
«Se non te ne fossi andata, non avrebbe dovuto partorire al tuo posto e morire...»
«Non è certo colpa mia se Wren è morta di parto. Pensi forse che non m'importasse nulla di lei?»
«No! Se ti fosse importato qualcosa avresti obbedito a tuo padre! E invece abbiamo dovuto farla sposare al posto tuo. Ti odio! Dovresti esserci tu nella sua tomba!» Alanna scoppiò a piangere convulsamente, stringendosi le braccia al petto.
«Kas...» Tamra, che fino a quel momento aveva osservato in silenzio, si avvicinò alla ragazza più giovane che impietrita fissava il vuoto e le scosse gentilmente una spalla.
Kasentlaya parve riemergere dallo stato di apatia in cui era sprofondata. Lanciò un'ultima occhiata alla matrigna e poi si diresse in silenzio verso le scale che conducevano all'appartamento privato del dom.


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«Aspetta Kasentlaya! Maledizione aspetta!» Adrian le si parò davanti lasciandole appena il tempo di fermare il cavallo. L'uomo afferrò le redini dell'animale con decisione e levò lo sguardo verso di lei.
«Se te ne vai anche tu cosa ne sarà del castello e di coloro che lo abitano? Hai... hai visto con i tuoi occhi. Ti prego.»
Kasentlaya liberò le redini con uno strattone, il cavallo sbuffò infastidito.
«Non è affar mio.» ribatté irritata.
«Non puoi dire sul serio, non è da te.» Sembrava che le parole della ragazza avessero cancellato la speranza dal volto del soldato.
Kasentlaya sospirò. «Se temi di ritrovarti senza un dom a cui obbedire, non devi preoccuparti troppo. Diego ha molti figli e non appena si spargerà la notizia cominceranno a volteggiare attorno al castello come kyorebni
Adrian scosse il capo. «Sai che non mi riferivo a questo.»
«Io ho altri obblighi.» tagliò corto Kas. Poi spronò il cavallo, dirigendosi verso la porta che conduceva all'esterno. Gli armigeri che montavano la guardia ebbero appena il tempo di spostarsi, pena l'essere calpestati.
Tamra esitò un istante prima di seguirla. Adrian si rivolse a lei.
«Mestra, abbiate cura di lei. È giovane e potrebbe commettere qualche sciocchezza.»
La Rinunciataria annuì e poi seguì la compagna giù dalla collina. Kas doveva aver spinto il cavallo ad un galoppo indiavolato perché riuscì a raggiungerla solo all'ingresso del paese.
Per la seconda volta in pochi minuti la ragazza si vide strappare le redini di mano.
«Spezzarsi l'osso del collo non è una soluzione,» le disse severamente. I suoi occhi però esprimevano comprensione.
«Me lo meriterei,» replicò Kas.
«Forse per la tua stupidità, ma il cavallo non ha fatto nulla di male. E nemmeno io. Perché di sicuro Madre Gwennis mi torcerebbe il collo se ti accadesse qualcosa mentre sei affidata alla mia custodia,» la sua voce si addolcì. «Andiamo, le altre si staranno chiedendo dove siamo finite.»
Quando la Rinunciataria trattenne le redini Kas non protestò. Si voltò solo una volta sulla sella per guardare la dimora dei suoi antenati. Sapeva che non ci sarebbe più tornata.

   By the shores of the Swilly
   Two children are playing.
   The king of the castle,
   the queen of the may.

   Just me and my sister,
   in a world of pretend
   where the sun would keep shining,
   and the day never end.

   By the shores of the Swilly,
   with an aching inside.
   I watch as a body,
   is raised from the tide.

   Her life has been taken,
   and I'll never know why.
   But I feel in that moment,
   a part of me dying.









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Disclaimers

Dopo una lunga serie di incubi che le ricordano il passato, Kasentlaya decide che è venuto il momento di affrontarne i fantasmi.

Credits

La canzone citata alla fine del racconto è The shores of the Swilly di Phil Coulter feat. Sinéad O'Connor

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008