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[torna a Racconti][E.S.T. dE +2, luglio (24)] [Credits & Disclaimers]



La vita da girovaga

Liane

Era bello sentire la pioggia battere in piccoli tonfi sul tetto la notte.
Liane rimaneva ore a sognare ad occhi aperti, cullata dal respiro regolare e caldo di suo padre, che le dormiva accanto. La sua vita le sembrava bellissima, ogni giorno diversa e piena di divertimento: tutto ciò che una ragazzina irrequieta e vivace come lei poteva desiderare. Altro che castelli e torri... pareti grigie e fredde che l'avrebbero separata dal mondo! Poteva a malapena tollerare le pareti del carrozzone dove viaggiavano, che sembravano sempre sul punto di rompersi. Ma tra le coperte con suo padre accanto nulla le faceva paura; in un modo o nell'altro un poco di cibo non mancava mai e i membri della compagnia erano simpatici e rispettavano suo padre, il buon vecchio Daniel. Faceva di tutto per non farle sentire la mancanza della madre, che era morta di parto dandola alla luce; lui l'aveva amata teneramente e il suo sguardo sempre ilare e luminoso si perdeva nel tempo quando ne parlava.
«Accidenti a me! Ti ho cresciuta come un ragazzaccio di strada. Ti servirebbe una madre... o qualcosa di simile.»
«Papà, a me piace essere un ragazzaccio di strada!» rispondeva lei, divertita dalle sue rimostranze.
«Eh, non dirai così quando crescerai e vorrai trovare un bel giovanotto...»
Ogni anno le ripeteva le stesse cose e quando era cresciuta non era cambiato nulla.
Ma a quanto aveva visto, per gli altri non faceva differenza se era un ragazzaccio di strada: da quando il suo corpo aveva cominciato ad assumere la tipica sinuosità femminile aveva dovuto faticare parecchio per tenere lontani certi volgari vecchiacci che le sbavavano dietro. La vedevano agli spettacoli e solo per il fatto che era lì a giocherellare con le palline colorate o con il fuoco (era molto soddisfatta di averlo imparato!) o ad interpretare la parte di qualche nobildonna isterica o qualche Rinunciataria imbranata, credevano di poterle saltare addosso. In ogni posto era la stessa cosa! Fortuna che ogni tanto c'era anche qualche bel giovanotto... ma doveva stare attenta a non avere problemi, altrimenti non avrebbe potuto aiutare suo padre nel lavoro. Così Marilla, una donna grassa e bassa della compagnia che era stata ciò che di più vicino a una madre avesse conosciuto, le aveva insegnato alcune tecniche per impedire che quei rapporti avessero conseguenze. Finora avevano funzionato.
Non sempre le cose andavano bene però. Dovevano lottare per sopravvivere, perché sembrava che tutti li odiassero, o almeno tutti quelli che contavano! E perché poi? Solo perché dicevano quello che pensavano e gli piaceva prendere in giro tutti indistintamente. Che male c'era a ridere un po'delle cose? Il loro astio era per lei solo una conferma di quanto quelle persone fossero noiose e prive di immaginazione.
Comunque si era dovuta arrangiare a fare ogni sorta di lavoretti, come li chiamava lei.
Insieme al suo amico Dyan, che era bravissimo nel lancio dei coltelli e le aveva insegnato un po' della sua arte, sapevano come scassinare qualunque serratura e come distrarre le persone e poi far scivolare le mani nelle loro tasche senza che se ne accorgessero. Il lato negativo era che spesso dovevano scappare di tutta fretta, mettendo a frutto tutte le acrobazie che avevano imparato tra i Girovaghi per saltare giù dai tetti e schivare i bastoni e gli oggetti che gli venivano lanciati dietro.
Il suo colpo migliore era stato procurarsi gli splendidi pugnaletti da lancio da cui non si separava mai: dovevano essere stati di un nobile o di un grande guerriero o forse di una Rinunciataria! O almeno a lei piaceva immaginarlo: il tizio a cui li aveva sottratti non sembrava nulla di speciale, un ubriacone da taverna, ma forse li aveva presi anche lui a qualcun altro.
Per il suo diciottesimo compleanno suo padre e Dyan le avevano preparato una bella sorpresa. Li trovò nel carrozzone nervosi e imbarazzati.
«Che avete voi due? State tramando qualcosa?»
«Beh, piccola mia, in un certo senso...»
«Allora sputa il rospo, papà! Sai che la pazienza non è il mio forte.»
«Oh, insomma! Ma che modi sono?»
Dyan rideva. «Zio Daniel, tua figlia è più scorbutica di una Rinunciataria!»
Faceva sempre quel tipo di battute, le Rinunciatarie erano il bersaglio preferito degli uomini della compagnia e per come Liane le aveva sempre viste interpretare le sembrava normale: tutte quelle arie solo perché si amavano tra di loro invece che con gli uomini!
«Allora?!» grugnì la ragazza.
«Bambina, che ne pensi di... di Dyan?»
Liane guardò il ragazzo stupita. «Che vuoi che ne pensi...? Che è uno zotico senza cervello!»
Il padre scosse la testa, sconsolato, mentre l'altro sorrise.
«Quello che tuo padre sta cercando di dirti è... che ne pensi di me come marito?!»
«Cooosa?!» Liane scoppiò istintivamente a ridere senza riuscire a fermarsi. «Che sciocchezze andate dicendo?»
«Piccola, ormai sei una donna. È mio dovere sistemarti.»
«Sistemarmi? Io sono in grado di cavarmela da sola.»
«Liane, sai cosa pensa la gente se una ragazza della tua età non si sposa. Io non sarò più in grado di proteggerti a lungo...»
Dyan si intromise. «Non ti sembrava così brutto quando... In fondo abbiamo sempre vissuto insieme: non sarebbe una grande novità, Lia. Non trovi?»
Liane li guardò divertita, ma vedendo il volto serio di suo padre sospirò.
«Oh, sentite... mi serve del tempo! Ecco tutto! Non avevo mai pensato a me come a una mogliettina!»
I due uomini si guardarono. «E va bene! Dyan, dalle qualche giorno ragazzo! Sai quant'è selvatica mia figlia: non è colpa sua in fondo!»
«D'accordo zio. Mi basta avere il tuo consenso. In quanto a te, Lia, ne riparleremo e non ti farò pentire di essere mia moglie.»
Cenarono in silenzio quella notte, il cibo era poco e Liane tirò fuori da un sacchetto ciò che aveva rubato di nascosto da una bottega al villaggio. Suo padre fece uno sguardo divertito e Liane sapeva che era anche un po' orgoglioso di quella figlia così abile.
Quella notte addormentarsi non fu facile. Che bisogno c'era di sposarsi a un solo uomo? E poi avere dei figli... lei! Magari Dyan si sarebbe rimbecillito come aveva visto fare a molti uomini e non le avrebbe permesso di continuare a recitare e fare spettacoli! No, questo, non era probabile: lei e Dyan avevano sempre fatto tutto insieme. Ma i figli... brrr! Poteva anche morire, come sua madre.
Era immersa in quei nuovi pensieri, quando sentì un forte rumore alla base del carro. Suo padre scattò su dal letto e lei vide delle sagome scure che si gettavano su di loro all'improvviso. Cercò di dimenarsi e riuscì a sgusciare via, prima che due braccia riuscissero ad afferrarla. Si trovò sul pavimento e stava per saltare fuori, quando sentì suo padre gridare e imprecare sotto i colpi feroci di due persone.
«Fermi! Lasciatelo!» gridò.
La afferrarono e cominciarono a sferrarle pugni e calci all'addome e al viso. Il padre gridava: «Lasciatela! Lei non c'entra!» Ma quelli continuarono.
Fuori cominciarono a sentirsi dei rumori. Liane perse conoscenza, dopo un pugno alla testa.
Quando si risvegliò era sdraiata sul suo solito giaciglio e Marilla le asciugava il sangue sulla fronte.
«Liane! Ti sei svegliata.» Di colpo la donna cominciò a piangere e a singhiozzare. Dyan la scansò via brutalmente.
«Che ti hanno fatto quelle schifose?» La abbracciò forte, ma il suo pensiero ancora frastornato corse subito a suo padre.
«Papà! Dov'è papà?» Dyan la allontanò un poco da sé e assunse un'aria grave. «Dyan! Dyan rispondimi!»
«È... È morto Liane!»
Liane sentì il suo cuore che si spezzava, che andava in frammenti e si disperdeva furioso in una tempesta senza vento. Lanciò un grido di angoscia profonda, che fece accorrere anche gli altri girovaghi, affollati attorno al carro, col viso buio. Pianse e gridò fino a sfinirsi tra le braccia di Dyan.
Suo padre era avvolto in una coperta, attorniato dagli altri girovaghi. Lei gli saltò addosso e dovettero trascinarla via con la forza: Daniel era tutto quello che aveva, tutta la sua famiglia ed ora non c'era più.
Più tardi Dyan cercò di rassicurarla. «Non preoccuparti, penserò io a te. Ci sposeremo e non dovrai preoccuparti di nulla.»
Come poteva pensare a certe cose, ora? Pensò indignata, ma non aveva la forza per dirlo.
Di colpo Liane, che si sentiva svuotata e priva di forze, sentì come se qualcosa le si accendesse dentro.
«Chi è stato? Dyan , dimmi chi è stato?»
«Quelle schifose Rinunciatarie: le ucciderei una per una quelle schifose!»
«Le avete viste? Erano proprio loro?»
«Beh... non proprio... Ma ragiona. Ieri abbiamo fatto lo spettacolo su di loro! E poi... non credi che ti avrebbero violentato se fossero stati uomini?!»
Liane tacque di fronte a quella logica stringente.
«Sapevano che tuo padre era l'autore, lui stesso l'ha detto sul palco ricordi?»
«Mio padre amava scherzare! Perché l'hanno fatto?! Perché?!»
In quell'istante Liane era piena di rabbia e di odio, avrebbe voluto ucciderle, vendicarsi.
«Ma ora non pensarci. La nostra vita è questa. Non ti devi preoccupare, ti sposerò e non dovrai più pensare a nulla: non dovrai più lavorare se non ti va . Non voglio che tu rischi ancora di...»
Liane ebbe un moto di disgusto irrefrenabile e lo spinse con forza lontano da sé. Dyan era allibito.
«Io non ti sposerò! Non sposerò nessuno! Ti pare il momento...?»
Dyan la guardò con uno sguardo indefinibile, fece per dire qualcosa, ma poi uscì dal tendone mogio e triste. Forse aveva capito che doveva lasciarla stare, anche se non capiva dove aveva sbagliato.
Adesso Liane era proprio sola. Che avrebbe fatto? Nella compagnia le cose non sarebbero più state le stesse ora. Dyan non si sarebbe arreso e a lei veniva il vomito solo a pensarci. E come poteva stare lì, mentre le assassine di Daniel ridevano raggianti per la loro vittoria...?
Si toccò delicatamente il viso pesto e si sentì fremere di rabbia. Perché la gente li odiava tanto? Eppure anche le Rinunciatarie erano odiate come loro: perché avevano fatto questo? Sentendo le chiacchiere della gente su chi aveva ucciso suo padre, non le venne nemmeno in mente che potessero sbagliarsi: aveva bisogno di un appiglio, qualcosa in cui credere.
Di certo non poteva restare lì con le mani in mano.
Prese il suo mantello più pesante, i pugnali, le sue palline colorate e altre poche cose che non voleva lasciare e uscì senza guardarsi indietro. La sua vita doveva cambiare, era già cambiata e non era stata lei a chiederlo.
Non era giusto che, solo perché era povero, suo padre non ricevesse vendetta: solo i nobili contavano in quel dannato mondo, loro erano solo pezzenti, odiati da tutti.


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Al villaggio nessuno aveva visto le Rinunciatarie. Chiese a tutti, con disperazione. Alla fine una vecchia con gli occhi allucinati, le indicò la strada che usciva dall'abitato. «Di là; là c'è il covo dove si radunano quelle serpi!» sibilò la vecchia. «Di là! »
Ora aveva una direzione, almeno... non aveva altro, ma aveva una direzione.
Da Caer Donn prese dunque la via per Nevarsin, dove non era mai stata. Procedeva piano, immersa nei suoi pensieri brucianti. Che cosa avrebbe fatto? Trovare quelle maledette Rinunciatarie tanto per cominciare... E poi? Istintivamente strinse i due pugnaletti da lancio che portava alla cintura, come per convincersi che avrebbe potuto usarli, che ne aveva la forza. A poco a poco si sentì terribilmente stanca.
«Devo trovare un posto per dormire.» si disse, mentre lo sguardo già le si annebbiava. Trovò un riparo per i viaggiatori, di sicuro più confortevole del selciato e si gettò esausta sul pagliericcio. D'improvviso si rese conto di avere molta fame; la sua pancia brontolava, ma ormai non poteva porci rimedio lì da sola: ci avrebbe pensato poi.
Si svegliò solo la mattina dopo, quando albeggiava. Non si spiegava come aveva fatto a dormire così tanto e perché nonostante tutto si sentisse la mente torbida e il corpo debole e malaticcio.
Riprese la strada per Nevarsin di buon'ora, con la fame che le attanagliava lo stomaco e un forte mal di testa. Immersa nuovamente nei pensieri che la accompagnavano ad ogni passo, quasi non si accorse di aver svoltato per un sentiero che si inoltrava nella foresta. Si stava così bene, c'era una tranquillità assoluta fatta di suoni naturali e di respiri arborei.
Peccato non aver portato con sé uno strumento, le sarebbe piaciuto suonare qualcosa ora: la musica le addolciva il cuore e leniva il dolore. Ma perché aveva quel terribile dolore alle tempie, accidenti? Si passò la mano sul capo e sentì un grosso bernoccolo. Doveva essere un ricordino della notte prima.
Quando le apparve la valle di Elvas non riuscì a trattenere un sorriso per quel villaggio ridente e luminoso tra i boschi. Strano non essere mai andati là con i suoi amici Girovaghi, la gente sembrava allegra e semplice.
Fermò una donna che stringeva un bimbo per la mano e le ispirava fiducia.
«Scusatemi... Sapete se in questo villaggio si è fatta viva qualche Rinunciataria in questi giorni?»
«Oh, beh, non saprei: loro sono sempre in movimento e non rendono conto a me di certo.» La donna sorrise maliziosa. «Però puoi chiedere alla Gilda,» le disse, indicandole l'imponente costruzione alle sue spalle. Liane rimase qualche secondo a osservarne le mura ed ebbe un piccolo brivido lungo la schiena: le comunicava un senso di grandezza. «Grazie,» rispose alla donna e fece per andarsene. «Vuoi diventare anche tu una di loro o cerchi solo qualcuno che ti curi?» la bloccò l'altra con aria indagatrice. Liane non ci aveva pensato, ma quella poteva essere una buona copertura in fondo. «Oh... forse mi fermerò.»
Al di là di come le aveva sempre rappresentate negli spettacoli Liane non sapeva molto sulle Rinunciatarie. Ed ora ciò che era successo l'aveva riempita di disgusto e rabbia nei loro confronti. Ma perché tutti ne parlavano male? Sembravano odiarle, quasi quanto su Darkover erano odiati i Girovaghi.
Ora che si trovava di fronte alla Gilda però, i suoi propositi cominciarono segretamente a vacillare, senza che lei volesse ammetterlo. Si sentiva piccola e persa e doveva ricordare il volto senza vita di suo padre per ridestare la rabbia. Non poteva entrare lì a chiedere informazioni simili senza una buona scusa, avrebbe destato sospetti.
E se avesse finto di voler diventare una di loro? In fondo fingere era sempre stato il suo lavoro, non le sarebbe stato difficile. Loro si sarebbero fidate e magari avrebbe potuto ascoltare le loro chiacchiere trovandosele vicino. Altrimenti come avrebbe fatto a sapere se le assassine di suo padre si trovavano lì?
Con le gambe che le tremavano un po', decise di entrare. Non doveva far altro che recitare e raccogliere informazioni. Per il resto... non doveva pensarci ora. E non era detto che avrebbe dovuto fare tutto da sola, avrebbe potuto chiedere aiuto a Dyan una volta scoperte le responsabili e...
No, doveva fare da sola, non poteva tornare indietro!
Non si rendeva conto di vacillare ancora una volta.
Ma sarebbe riuscita a uccidere come era stato fatto a suo padre? Lei uccidere un'altra persona?!
Strinse i pugnali e un istante dopo era già all'interno.









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Disclaimers

Dopo un tragico incidente alla carovana di girovaghi dove è cresciuta, Liane decide di raggiungere Elvas e la sua Gilda.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008