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L'ospite

Patrick McHarlaw

Patrick McHarlaw (Pat per gli amici) entrò nella camera di decompressione della cupola numero sei alla fine del lungo e faticoso turno nella numero quattro, dove si trovava il Centro di Comunicazione e Controllo. Quando la spia verde sul portello che regolava l'accesso cominciò a lampeggiare, si tolse i guanti ed aprì la visiera del casco, attendendo pazientemente che la lunga procedura di sicurezza avesse termine. Finalmente poté entrare in quello che da qualche mese era diventata la sua abitazione e salutò distrattamente due o tre colleghi che girellavano per la struttura pressurizzata. Cottman IV era diventato un pianeta importante per l'Impero, non solo per la sua posizione strategica, ma anche e soprattutto perché si era scoperto che si trattava di una Colonia perduta, abitata da una popolazione di qualche milione di abitanti e con una cultura che qualcuno sulla Terra aveva definito quasi medioevale. Per lui, amante e studioso di storia antica (nonostante la sua laurea in ingegneria elettronica con specializzazione di informatica e cibernetica), era sembrato - in un primo momento - di toccare letteralmente il cielo con un dito. Poi la dura realtà aveva portato solo disillusione ed anche un po' di rabbia. Il Pianeta era stato dichiarato Mondo Limitato una dizione piuttosto rara che lasciava solo poche porte aperte alla cultura terrestre ed alla libera circolazione delle persone. Pertanto erano state veramente poche decine le persone a cui era stato consentito di scendere sul pianeta (o meglio in un limitatissimo spazio messo a disposizione dai nativi)... e la sua specializzazione lo metteva praticamente in fondo alla lista di quelli che ne avevano fatto richiesta.
Con l'aiuto di un collega si tolse la tuta e si avviò sospirando verso il reparto dei servizi per una meritatissima doccia. Storse il naso sentendo quanto puzzasse di sudore: era una cosa a cui non era riuscito ad abituarsi. Sulla Nave si puzzava lo stesso, è vero, ma molto di meno, non dovendo vivere per ore ed ore in una specie di sudario di plastica e fibre sintetiche. E poi... Da quando era arrivato erano cominciati il mal di testa e gli incubi. Il primo era abbastanza controllabile con degli antidolorifici, i secondi... erano proprio degli incubi notturni. Dei sogni stranissimi in cui sentiva parlare, vedeva ambienti in pietra in cui si muovevano strane creature con vestiti ancora più strani. Ed ancora esseri che comunicavano tra loro senza muovere le labbra; comunicazioni velocissime, come quelle dei computer che lui programmava ed usava, ma al tempo stesso... come dire... piene di concetti, immagini, sensazioni, sentimenti e mille altre cose. Non aveva mai avuto il coraggio di dirlo alla dottoressa Geltrud: pignola com'era per formazione e per origine, non avrebbe esitato un attimo a metterlo in lista per il rimpatrio con la prima astronave che fosse arrivata. E la sua carriera sarebbe finita prima ancora di cominciare...
Si spogliò completamente e prima di entrare nella cabina in plastica si accarezzò le guance per sentire se era il caso di farsi anche la barba. No, non era necessario, anche perché il rosso dei peli, molto più chiaro di quello dei capelli, tendeva a confondersi nel volto pieno di efelidi minutissime. Chiuse la porta ed attivò il generatore di ultrasuoni, stiracchiandosi sotto i delicati impulsi che venivano da ogni parte.
In quel momento ebbe un altro dei suoi incubi: ad occhi aperti questa volta. Era in una grande stanza con strane sculture circolari in plastica o vetro con filamenti elettronici che emettevano una fredda luce verdastra. E di nuovo vide - e sentì - due esseri umanoidi che comunicavano tra loro...


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Il meteorite che viaggiava nel sistema solare della Stella di Cottman, orbitava indisturbato intorno al vecchio sole da qualche milione di anni e si apprestava a riprendere il lungo viaggio verso l'esterno del sistema dopo aver sfiorato come sempre il quarto pianeta. Era però l'ultimo giro. Incontrò improvvisamente una forza sconosciuta che lo frantumò in cinque o sei frammenti: lo scudo magnetico dell'astronave terrestre. La sua dimensione iniziale di tre metri di diametro ne uscì quindi drasticamente ridimensionata, una parte vaporizzata dall'impatto, una parte bruciata nell'atmosfera del pianeta, ciò che rimaneva proiettato in un'orbita del tutto diversa.
Fu quel frammento, il più grosso, che piombò sulla cupola numero sei eretta sulla superficie della più grande delle quattro lune, bucandola come fosse un palloncino. I sistemi di sicurezza entrarono immediatamente in funzione, azionando le sirene e spruzzando le pareti di sostanze sigillanti. Ma il buco era troppo grosso per essere controllato e l'aria cominciò ad uscire velocemente sibilando: dopo quindici secondi esatti (come documentato dalle due successive commissioni d'inchiesta) la cupola esplose, proiettando nello spazio tutto quello che conteneva. I tre soli corpi (degli otto occupanti la cupola al momento dell'impatto) che vennero recuperati, vennero messi in un apposito congelatore per essere riportati nei pianeti di origine. Agli altri furono fatti semplici, ma solenni funerali, alla presenza di tutto il personale libero da impegni di servizio.


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Quando la sirena d'allarme cominciò a suonare Pat, anche se perso nel suo incubo, si rese conto quasi subito di quello che stava succedendo. Quando la decompressione lo strappò fuori dalla cabina della doccia e lo sollevò in aria come un fuscello, sentì la disperazione ed il vuoto che gli strappavano l'aria dai polmoni. E disperatamente desiderò rifugiarsi dentro il suo ultimo incubo, che gli parve terribilmente vero e spaventoso. Poi fu il buio.

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Anndra controllò per l'ennesima volta la griglia principale, che ancora non funzionava come avrebbero voluto. Si rivolse a Damon che lo guardava con aria interrogativa e disse scuotendo la testa: «Sembra che tutto vada bene, ma non è così. L'isolamento continua ad essere imperfetto perché la griglia di controllo non riesce ad imbrigliare tutta l'energia. E non abbiamo abbastanza nodi vergini per farne una seconda più grande...»
«In poche parole non sai come fare!» gli rispose l'altro continuando a controllarne la superficie con un delicato tocco del laran.
«No. E non ho nemmeno voglia di fare un altro viaggio a Neskaya. Dobbiamo trovare una soluzione diversa.»
«Nel tuo ultimo viaggio nel Sopramondo hai imparato nulla che possa esserci utile?» riprese serio Damon.
«Per questo problema no. Ho visto come è stata realizzata una grande matrice, ma solo per quanto riguarda la fusione finale. Come sono state create le quattro di base rimane per me un mistero...»
«Per fortuna.»
«Sì, sono d'accordo. Non vorrei imparare quella tecnica per tutto il ferro del mondo. Ma credo che l'Ardais non abbia volutamente fatto vedere di più. Ma comunque,» disse allontanandosi dalla griglia, «non ho visto nulla di tutto quello che mi potrebbe servire adesso.»
«Eccolo di nuovo!» esclamò Damon facendogli cenno di porsi in ascolto. Passò alla comunicazione telepatica e continuò: "È come un tentativo di contatto da lunga distanza..."
"Sì, è molto debole ed incerto... come se non venisse usata una matrice..." gli rispose Anndra.
"O venisse usata da un telepate non addestrato..." concluse l'altro.
In quel momento ricevettero in maniera molto forte un nuovo contatto. I due uomini erano in contatto mentale e videro l'uno nella mente dell'altro la stessa scena: un'improvvisa vortice d'aria che trascinava con sé oggetti strani e sconosciuti... corpi umani... un rumore fortissimo e spaventoso... Non fecero neppure in tempo a scambiarsi un pensiero: un corpo umano si materializzò all'improvviso davanti a loro, cadendo rovinosamente sul pavimento in pietra della stanza. Fecero istintivamente un balzo indietro, come se fossero attaccati da un banshee.
"Per Zandru!" disse Damon "E questo chi è?" Poi ritrovò la voce e ripeté: «Questo chi è?»
Anndra era rimasto quasi stordito per un attimo, anche se era saltato indietro con l'agilità di un purosangue di Armida, ma si riprese immediatamente ed osservò con curiosità e distacco il corpo steso sul pavimento. "Telecinesi." Si limitò a trasmettere.
Era il corpo nudo di un giovane maschio umano, senza dubbio. Era sicuramente molto alto ed aveva un fisico muscoloso anche se non robusto come quello di un soldato di professione. I capelli rossi, che gli erano stati tagliati in maniera strana (erano cortissimi), ed il corpo pieno di efelidi minutissime lo identificavano senza dubbio come un comyn. Ma non ricordava di aver mai visto nessuno così alto. L'uomo aveva in mano un oggetto di stoffa rossa che poteva assomigliare ad un copricapo... anche questo di foggia sconosciuta. Aveva gli occhi sbarrati color del miele di montagna, le pupille dilatate ed un rivolo di bava biancastra che gli usciva dalla bocca spalancata in un urlo silenzioso. Meccanicamente si accosciò vicino allo sconosciuto e gli passò le mani sopra il corpo per sentirne le funzioni vitali. Agì immediatamente: l'uomo era come in catalessi, il cuore batteva all'impazzata ma il meccanismo della respirazione era bloccato, come in uno dei peggiori attacchi del mal della soglia che avesse mai visto.
Anche Damon si era mosso con rapidità, unendo abilità a quella del compagno. Cominciò a regolare energicamente il battito del cuore, riuscendo, anche se a fatica, a ridurre il numero delle pulsazioni.
I polmoni ricominciarono a pompare aria ed anche la circolazione sanguigna ritornò ad essere quasi normale.
Il quel momento entrarono, quasi correndo, Dana e Manolo.
«Che è successo?» chiese Dana guardando Damon. Poi vide il corpo steso in terra e disse: «E questo chi è?»
Manolo fece uno dei suoi versi strani ed uscì correndo dalla stanza, quasi scontrandosi con la Custode.
«Ha preso un forte colpo alla testa cadendo in terra...» rispose Damon con tono sicuro, come se quell'affermazione spiegasse tutto.
«Anndra, cosa hai fatto? Chi è quello?» chiese Fiona guardando i tre uomini davanti a lei. Per un attimo le venne il dubbio che la figura dello sconosciuto provenisse da qualche misterioso livello del Sopramondo... poi lesse nelle menti aperte dei due quello che sapevano e tacque pensierosa.
In quel momento rientrò nella stanza Manolo, con le braccia cariche di pellicce: ne stese un paio in terra e senza fare tanti complimenti sollevò lo sconosciuto per le ascelle e lo trascinò sopra il giaciglio improvvisato, provvedendo poi a ricoprirlo.
L'uomo, ora, respirava quasi regolarmente ed aveva gli occhi e la bocca chiusi. Manolo si tolse da una tasca uno straccio piuttosto sporco e con quello ripulì il viso dalla bava che si era quasi seccata su una gota. E fece un suono che era di evidente soddisfazione.
Anndra, che era rimasto accosciato vicino allo sconosciuto fece un cenno a Dana: «Dagli una controllata anche te, a me sembra che stia bene, ma è scivolato in un sonno profondissimo.»
«Non possiamo tenerlo qui in terra,» disse Dana inginocchiandosi accanto all'uomo. Poi chiuse gli occhi cercando di fare un monitoraggio accurato del corpo che aveva accanto. «Anche per me sta bene. Ha preso un forte colpo alla testa, ma non vedo ematomi. Il fatto è che...» si rialzò guardando gli altri: «Beh... non ci crederete, ma non mi sembra del tutto umano. Ma al tempo stesso è uguale a noi. In tutto.»
Damon tossicchiò ridacchiando e disse: «È vero Dana, proprio in tutto.»
Fiona si intromise subito: «Damon! Non è il momento di fare battute. E tu Dana lascia perdere.» Fece un cenno a Manolo che rientrò subito con quattro kyrri (probabilmente erano accorsi anche loro ed erano fuori della porta in attesa di istruzioni. «Portatelo nella stanza piccola in fondo al corridoio e mettetelo sul letto. Uno di voi stia sempre nella stanza a sorvegliarlo. E avvertitemi subito quando si sveglia.» Poi rivolto agli altri: «Venite con me.» E si avviò verso il suo laboratorio.


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Pat percepì il colpo del suo corpo che cadeva sulla fredda pietra, ma senza provare alcun dolore, come se fosse quello di un'altra persona. Gli sembrava di volare leggero nell'aria e con grande meraviglia, guardando verso il basso, vide... se stesso steso sul pavimento. Accanto al suo corpo due uomini sconosciuti. Si sentiva come tirare verso l'alto da una forza sconosciuta, ma al tempo stesso si sentiva attratto dal suo corpo e l'avrebbe voluto raggiungere, ma non ci riusciva... e questo gli provocava un'angoscia incredibile. Poi vide che i due uomini si erano inginocchiati accanto a lui come in preghiera... E improvvisamente si sentì tirare con violenza verso il basso, verso il suo corpo... e fu di nuovo buio.

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Fiona convocò una riunione ristretta per quella sera stessa: oltre a lei Damon, Dana, Anndra e Shonnach. L'avvenimento era troppo misterioso e preoccupante per divulgarlo nella piccola comunità senza prima averlo analizzato in ogni suo aspetto. Per fortuna - a parte Shonnach - tutti coloro che erano venuti a conoscenza del nuovo arrivato potevano facilmente mantenere il riserbo. Manolo perché non parlava, i kyrri... perché erano kyrri.
Ed anche Shonnach non avrebbe parlato... un po' perché la Custode l'aveva detto in un modo che non ammetteva repliche e tanto meno trasgressioni, un po' perché si sentì lusingata dall'esser messa a conoscenza - lei e non altre - di una cosa così importante.
«Cerchiamo di analizzare i dati in nostro possesso,» iniziò la Custode dopo che tutti si furono seduti. «Di una cosa possiamo essere certi: questo individuo è probabilmente umano e si è teletrasportato da qualche punto imprecisato del pianeta.»
«Aspetta un momento,» l'interruppe Damon, «umano, sicuramente: l'abbiamo controllato sia io che Anndra, che Dana. Che si sia teletrasportato è quasi certo, non ho mai sentito dire che una possa esser stato teletrasportato. Ma per quanto riguarda la provenienza... beh qualche dubbio c'è: io non mi ricordo di aver visto comyn alti e grossi come lui. eppure ho girato un po' tutta Darkover, comprese le Terre Aride!»
«Comyn!» esclamò Fiona, «aspetta a definirlo tale! Al massimo il figlio nedestro di chissà chi! Ma credo... neppure quello.»
La donna si alzò in piedi e si accostò pensierosa alla finestra. «Vi devo mettere a, conoscenza di un fatto che al momento è noto a pochissimi, anche se il Consiglio ne è a conoscenza. E gli Aldaran,» disse guardando Damon. «Abbiamo scoperto che un'antica leggenda può essere invece una cosa realmente accaduta.» Respirò a fondo, come per prender coraggio, e continuò. «Degli uomini sono scesi dalle stelle con una grande... loro la chiamano nave, anche se non capisco come possa avere la stessa forma di quelle usate dai pescatori a Temora o a Dalereuth.» Si voltò guardandoli in viso uno dopo l'altro. «E come se non bastasse affermano che... che noi discendiamo da loro.»
Bastò un semplice inarcare le sopracciglia per porre fine all'improvviso e animato brusio seguito alle sue parole. Continuò: «Ho parlato con Marelie di Arilinn, lei mi ha raccontato tutto, punto per punto. Noi non ne abbiamo saputo nulla sia perché siamo così isolati, sia perché gli Hastur ed il Consiglio stanno ancora esaminando la situazione e la notizia non è ancora di pubblico dominio. Questi stranieri sono ospiti degli Aldaran e, come ha detto Lorill Hastur in Consiglio, molto spesso i desideri di Aldaran contrastano violentemente con gli interessi degli altri Dominii. Questi...» cercò il termine, «terrani sembra che non siano delle cattive persone. Ma sicuramente sono molto diverse da noi. Per fare una qualsiasi cosa, anche la più semplice, usano delle macchine e dispongono di una quantità di metalli tale che nemmeno cento Cerchi che lavorassero per cento anni riuscirebbero ad estrarne una quantità così elevata. Ma tutto questo... è il meno. La cosa più grave è che hanno delle armi terribili... e non rispettano il Patto!»
Questo fu troppo per tutti! Il silenzio fu subito interrotto da una serie di esclamazioni e di commenti che resero impossibile perfino a Fiona, per quasi un minuto, riottenere l'attenzione.
«Fatemi finire. Questi stranieri sono stati messi... in isolamento forzato negli Hellers ed hanno contatto solo con gli Aldaran. E non sembra che rappresentino una minaccia immediata. Torniamo allora al nostro ospite: io ho più di un sospetto, ho quasi una certezza. Quell'uomo è un terrano
«Non abbiamo considerato un aspetto,» si intromise Damon, «questi... terrani sono dotati di laran? E se sì, come mai usano delle macchine?»
«Certo che sono dotati di laran!» esclamò Anndra. «Non solo questo... tizio... si è teletrasportato nella nostra Torre, ma abbiamo distintamente percepito delle immagini mentali che possono essere trasmesse solo da un telepate! I terrani sono telepati? Che ne pensa Marelie?»
«Su questo punto è stata stranamente reticente. Da quello che ho capito i terrani NON hanno il laran, ma forse qualcuno sì, o almeno sembrerebbe. Insomma, non c'è nessuna certezza... o non me lo ha voluto dire. Lui potrebbe essere uno di questi. Di quelli che hanno il laran, intendevo dire.»
«Quando si sveglia dobbiamo esaminarlo a fondo, con ogni mezzo, magari facendo un incantesimo di verità,» la interruppe Shonnach.
«Insomma,» disse Dana, «ancora non abbiamo affrontato il punto più importante di tutta questa storia: quando si sveglia... che ne facciamo?»
Shonnach si mise a ridere: «Basta che Illa lo trovi nella sua stanza! Il problema si risolverebbe in un battito di ciglia!»
«Piantala Shonnach,» ribattè Dana con tono duro, «non dirlo neanche per scherzo! Certo che lo farebbe fuori, ma non prima di avergli messo una spada in mano per vedere come se la cava! Il problema è un altro: se risulta che è un terrano, e visto quello che ci ha detto Fiona ne sono quasi sicura, cosa ne facciamo? Lo rispediamo ai suoi? Lo mandiamo a Castel Comyn in una gabbia?»
Fiona si era nuovamente alzata e fece un cenno per ottenere il silenzio. «Vedo che nessuno di voi ha una soluzione... e se è per questo neanche io. Ha ragione Dana: dobbiamo decidere cosa farne. Io ho deciso questo: primo, manteniamo un riserbo assoluto sul nostro... ospite. Non una parola, non un pensiero devono uscire da questa stanza.» Si voltò verso Shonnach: «Ci siamo capite bene, vero?»
La donna diventò rossa e un'ondata mentale sgradevole si diffuse nella stanza. Ma Fiona la ignorò e continuò: «Non ne ho parlato neanche con le altre Custodi, né intendo farlo, almeno per ora.»
Con sollievo di tutti le emanazioni di Shonnach cessarono: evidentemente il pensiero di essere messa a parte di un segreto che non veniva comunicato nemmeno alle Custodi delle grandi Torri aveva prodotto un benefico effetto.
«Secondo,» continuò la Custode, «dobbiamo aspettare che si svegli e vedere quello che fa. Se è dotato, come penso, di poteri telepatici sarà forse in grado di comunicare con noi. Altrimenti cercheremo di capirlo lo stesso. Una soluzione la troveremo.»


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La coscienza di sé cominciò a pervaderlo lentamente, con alti e bassi di conoscenza e di oblio. Piccole onde di marea che bagnavano per un attimo la sua mente... per poi ritirarsi ripiombandolo nell'incoscienza. Le ultime scene vissute lambirono mille volte la sua mente, ma sempre e comunque come lampi nel buio. Un buio mentale del prima ed un buio fisico dell'adesso, anche se lentamente cominciò a percepire un suono forte e lamentoso al tempo stesso. Era un suono conosciuto che gli ricordava qualcosa, ma cosa? E allora si concentrò con quel suono, giocando con esso, come si può fare con una palla, come si può fare con una pelle di pecora gonfia d'aria che manovri col braccio contro il corpo. Ecco! Era la voce del vento. Del vento? Perché del vento? Ma il vento non c'era più da molti anni... perché del vento? E quel frammento di memoria gli trafisse nuovamente la mente come un ferro arroventato, facendolo gemere e urlare. Aiuto! Aiuto! Ma la voce non usciva, l'aria usciva dalla bocca ma non uscivano le parole. E quel ferro arroventato nella testa, nei polmoni che bruciavano. L'aria che usciva dal suo corpo e la luce che si accendeva e spegneva immediatamente davanti agli occhi. La decompressione... La decompressione, e che era? Lo sapeva naturalmente, ma che era? Cercò ancora di parlare, di chiedere aiuto. Ma la voce non usciva. Si sentì sprofondare nella disperazione. Perché non poteva chiedere aiuto? E le procedure di emergenza a che servivano allora? E cosa erano queste procedure di emergenza? E di nuovo quel vortice d'aria, quell'insopportabile strappo al petto, dentro il petto, con l'aria che usciva e lui che urlava ma non poteva urlare. E quei visi sconosciuti e quel bisogno immenso di raggiungerli perché forse solo là c'era la salvezza... E poi ancora il terrore e quel vuoto immenso e gelido che l'aveva avvolto per un lungo immenso interminabile indicibile istante. E il colpo doloroso su un pavimento di pietra e degli occhi che lo guardavano. E ancora il buio, il pietoso spaventoso buio che lo avvolgeva ancora...

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«Ha ancora degli incubi spaventosi,» disse Damon. Ed Anndra non rispose, si limitò ad assentire, non poteva fare altro che assentire.
«Gli incubi li abbiamo noi,» gli rispose Dana, «lui almeno sta rivivendo delle sue esperienze, noi le stiamo solo subendo. Trasmette in modo violento e senza alcuno schermo o tentativo di alzare le barriere.»
«Ho sentito raccontare una volta a Temora,» riprese Damon per nulla infastidito dall'interruzione, «che quando qualcuno cade per disgrazia in mare... beh, muore naturalmente se nessuno lo tira fuori dall'acqua. Ma a volte da qualche telepate sono state percepite le sensazioni di chi affoga e non sono sensazioni simili a questa: i polmoni non si vuotano dell'aria, si riempiono con l'acqua. Sembra una cosa del tutto differente.»
«A Nevarsin dicono che quando si cerca di salire troppo in alto su una delle montagne intorno alla città, l'aria viene a mancare, come quando si svuotano i polmoni. Mi sembra una sensazione più simile a quella di cui questo disgraziato ci sta facendo partecipi,» disse Anndra.
E poi riprese vedendo che nessuno gli rispondeva: «Ma lì c'è solo neve e ghiaccio e non gli oggetti sconosciuti che ha visto lui.»
Fece un'altra pausa per raccogliere le idee: «E poi anche la neve portata dal vento si muove in modo diverso, va in una direzione, poi si invortica e torna indietro... Ma qui è come se l'aria fuggisse in una sola direzione e non tornasse più indietro. Quello che ho colto, invece, è il guizzo del teletrasporto.»
«L'ho sentito anch'io!» confermò Damon.
«È quel tocco improvviso e violento di laran quando si fa qualcosa di potente, di forte. È la stessa scarica che ad esempio ho sentito quando Elaine ha usato la Voce lassù, sulla montagna, contro i banditi,» concluse Anndra.
«Beata Evanda!» rabbrividì Dana, «è una cosa che ho conosciuto durante il periodo dell'addestramento! È per questo che gli Alton hanno bisogno di alcuni esercizi particolari quando fanno l'addestramento di base alle Torri.»
«No, non sono esercizi proprio così particolari. Devono solo imparare a controllarsi di più quando si arrabbiano,» disse Damon, «e poi in ogni caso lo pagano a caro prezzo. La trasmissione del dono tra padre e figlio può comportare la morte del ragazzo. È un rapporto forzato spaventoso...»
«Lasciamo perdere gli Alton,» li interruppe leggermente infastidito Anndra, «e torniamo alla nostra realtà. Sono convinto sempre di più che questo terrano, se veramente ha il laran come sembrerebbe, ha subito un trauma troppo forte per la sua mente non addestrata. I suoi ricordi si ripetono sempre uguali e durano pochissimo. Forse dieci o quindici secondi. La sua mente gira su se stessa.»
«Per me è colpa anche di quelle piccole rotture e perdite di sangue che si vedono dove ha battuto la testa. Non ci sono grossi accumuli di sangue che premono il cervello o che si spandono a giro nella testa, ma qualcosa è sicuramente successo.» Dana mise nuovamente le mani a pochi centimetri dalla testa dello sconosciuto facendo apparire come d'incanto tutti i canali nervosi e quelli sanguigni. «E noi non possiamo fare più di quello che abbiamo fatto. Dobbiamo aspettare e basta.»
In quel momento, in modo del tutto inaspettato, l'uomo aprì gli occhi, ancora smarriti, ma vitali e si guardò intorno senza muovere la testa. Fissò i due uomini e la donna, che istintivamente si protesero verso di lui, ed aprì la bocca per parlare. Ma dalla sua bocca uscì solo un suono inarticolato. Uscì, invece, un pensiero incredibilmente forte e lucido. "Dove sono? Che è successo?"


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Pat aprì gli occhi e scoprì di essere in un luogo sconosciuto. Sentiva la testa dolergli con delle pulsazioni simili a martellate. Ma al tempo stesso il corpo era caldo ed avvolto in una pelliccia. Vide i volti di due uomini ed una donna che si chinavano verso di lui ed aprì la bocca chiedendo "dove sono, che è successo?" Ma sentì che dalle labbra gli usciva soltanto un suono disarticolato. Cercò ancora di parlare, ma proprio non gli riusciva e lo sgomento si impadronì di lui. Chiuse gli occhi e pensò: "Come mai non parlo? Chi sono quelli? Cos'è successo?" Sentì sotto la pelliccia la sensazione delle sue mani contro il proprio corpo nudo... "Perché sono nudo?" Cercò una risposta nella sua memoria... e sentì la paura farsi strada nel suo cervello... NON RIUSCIVA A RICORDARE NULLA! Strinse gli occhi e continuò a cercare disperatamente dentro di sé, dentro la propria mente un qualsiasi barlume, un qualsiasi brandello di ricordo... e trovò soltanto una sensazione di dolore profondo e lancinante ai polmoni ed alla testa, sentì nuovamente l'aria che gli usciva dai polmoni e cominciò ad urlare, urlando ancora più forte quando non sentì il suono della sua voce... E la paura diventò allora terrore, terrore cieco, istintivo, invincibile...
Ma sentì come una presa salda e al tempo stesso delicata sul suo corpo... dentro il suo corpo, come se delle mani sconosciute lo accarezzassero e lo calmassero... ed il battito impazzito del cuore tornare lentamente normale. Poi una voce di donna sembrò uscire dal buio e risuonargli nella mente: "Calmati ora, non è nulla, è tutto normale... stai tranquillo..."
Aprì gli occhi di scatto per vedere se veramente qualcuno gli aveva parlato: e scorse ancora davanti a sé gli sconosciuti. La donna era inginocchiata davanti a lui e gli teneva le mani a pochi centimetri dal torace (qualcuno gli doveva aver tolto la pelliccia e sentì improvvisamente freddo). Gli sorrideva. "Stai tranquillo," ripeté, "sei tra amici."
Sentì il suo corpo rilassarsi ed il sollievo invadergli la mente... sospirò piano, sollevato, mentre un torpore dolce e profondo si diffondeva nelle membra. Cercò di dire "Chi sei?" Ma non riuscì a pensare altro, scivolò nuovamente nell'incoscienza.


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Dana si alzò da terra, dove si era inginocchiata, ed aiutata da Damon stese nuovamente la coperta di pelliccia sul giovane. Aveva un fisico asciutto e muscoloso, da spadaccino o comunque da uomo abituato ad usare i muscoli, ma le mani erano lisce e rosee come quelle di un monaco e non avevano le tipiche callosità dell'uomo d'arme. Fece un segno ai due uomini ed uscì con loro dalla stanza, lasciando la porta accostata.
«Non ricorda nulla, ha perso completamente la memoria,» disse.
«L'abbiamo sentito anche noi,» le rispose Anndra. «Sei stata bravissima a calmarlo, la prossima volta che tornerò nel Sopramondo voglio che ci sia tu a controllarmi!» Lo disse con tono scherzoso, ma dentro di sé lo pensava davvero. La donna aveva affrontato una doppia crisi, fisica e mentale, ormai vicinissima alle convulsioni, dello sconosciuto, riuscendo a riacciuffarlo mentalmente e fisicamente con una bravura veramente notevole.
«Ora non darti tante arie!» celiò Damon, «io ero già pronto ad intervenire, se fallivi... Ma ha ragione Anndra, sei stata davvero brava!»
«Comunque ci troviamo davanti ad un bel problema...» cominciò Anndra, poi si fermò, sentendo il passo di Fiona.
«L'ha sentito sicuramente mezza Torre!» disse la Custode seria in volto. «Chiunque abbia un minimo di laran ha percepito il suo terrore.»
«Dovevamo metterlo in un ambiente schermato,» la interruppe Damon, «ma chi poteva immaginare quello che è successo?»
«Io farei una cosa,» propose Anndra, «è evidente che non possiamo tenerlo nascosto a lungo, ma il fatto che non parli ed usi solo il contatto mentale può servirci.»
«E come?»
«È semplicemente un comyn che viene da oltre il Carthon. È stato bastonato e derubato da un gruppo di banditi e noi l'abbiamo accolto e curato.»
«Sì,» disse Dana, «e le botte l'hanno reso muto! Ma chi la beve? No, non regge.»
«No, Dana,» disse Fiona, «quella del colpo in testa può andare bene... in fondo è proprio quello che ha avuto! Non regge la storia del comyn da oltre il Carthon... e la sua scorta? Morti tutti? E poi chi è? Basterebbe un rapido giro tra i relè delle Torri per sapere chi è in viaggio in questa stagione!»
«Hai ragione, Fiona. Non ho pensato anche ad un'altra cosa... non ha una matrice.»
«Non è quello il problema... potremmo mettergli al collo un sacchetto vuoto o con un pezzo di vetro! Il problema è proprio il trovargli una provenienza. Non possiamo certo dire che è un terrano teletrasportatosi chissà da dove...»
«Ma uno che ha raccolto il tuo invito nel Sopramondo sì!» esclamò Anndra illuminandosi. «Non capite? Qui siamo ad Elvas! E qui stanno arrivando telepati da un po' tutta Darkover...»
«...E nessuno chiede se sei un comyn od un nedestro...» continuò la Custode « Sì, è l'idea giusta! O meglio, l'unica plausibile che abbiamo.»
«Bene,» disse Dana, «domani farò circolare questa voce nella Gilda. Tutte si chiederanno il come dell'incidente e non il da dove viene. In quanto al chi è non diremo nulla, diremo solo come si chiama.»
«Eh già! e come si chiama?» la interruppe Damon. «Non possiamo dire che non lo sappiamo. Qualcosa dovrebbe aver pur detto!»
«Io lo so, come si chiama,» disse solennemente Anndra. Guardò sornione le facce stupite che lo attorniavano e si godé il loro stupore. «Si chiama Pat McHarlaw e l'ha scritto in fronte! Aspettate un momento.»
Entrò nella stanza dove si trovava ancora il loro ospite e ne tornò con uno strano oggetto di tessuto rosso. Lo sventolò davanti a tutti come fosse uno stendardo, poi se lo mise in testa. «È un copricapo. Lo aveva in mano quando è arrivato.» Se lo tolse e mostrò loro una larga scritta ricamata in bianco su quella che doveva essere la parte anteriore: «Ecco, questa è la scritta che vi dicevo, ed è sicuramente un nome.»
La Custode gli tolse di mano l'oggetto guardandolo con curiosità, poi aggiunse pensierosa: «Pat forse è il suo nome. Quello che mi fa pensare è il nome del casato: McHarlaw. Non è un nome di un nobile, ma ricordo un'antica ballata... La battaglia di Harlaw... Alas! alas! per Harlaw!» cominciò a canticchiare a bassa voce. Poi scosse la testa, «... è molto vecchia, sembra che risalga alle Ere del Caos. Conosco solo queste parole...»
«Io non l'ho mai sentita,» disse Damon, «ma ha poca importanza. È singolare, piuttosto la coincidenza.»
Tutti ebbero lo stesso pensiero... che davvero ci fosse un collegamento tra loro e i terrani? Nell'improvviso, profondo silenzio, il rumore del vento e della pioggia battente riecheggiarono nella Torre come un improvviso, sinistro presagio.









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Disclaimers

Di stanza sulla base dei terrestri su una delle lune di Cottman IV, Patrick si ritrova inaspettatamente sulla superficie del pianeta... a Elvas

Credits

La canzone scelta come accompagnamento al racconto è The battle of Harlaw, tradizione scozzese. Seguendo il link, che vi porterà alle pagine della sezione musicale, avrete ulteriori informazioni sulla canzone e sugli autori.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008