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Titolo: Bellatrix - Capitolo 1
Autore: Genkai
Serie: Saint Seiya (dal manga/anime di Masami Kurumada)
Pairing: nessuno
Spoiler: nessuno in particolare, il racconto si posiziona tra la battaglia al Grande Tempio e quella ad Asgard
Rating: PG 13
Parti: 6
Status: in lavorazione
Archivio: HSC

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: Bellatrix :

< Genkai >



Capitolo Primo

Pamir, sei anni dopo

"Bellator! Bellatrix! Dove siete? Venite subito qui!"
I due bambini gli comparvero davanti dal nulla. Identici in tutto: portavano gli stessi abiti ed i capelli rossi lunghi e sciolti sulle spalle, nessuno avrebbe potuto dire quale dei due fosse il maschio e quale la femmina, almeno per altri due o tre anni. Neanche nel Cosmo erano rilevabili delle differenze: Bellator e Bellatrix sembravano un'unica persona divisa in due corpi!
Mur si sedette su un masso e fece cenno ai bimbi di avvicinarsi ed essi si sedettero sulle ginocchia.
«Avete sei anni e ormai siete grandi abbastanza e sufficientemente capaci coi vostri poteri per cominciare l'addestramento da cavalieri. Anche Bellatrix, sono sicuro che vostra madre avrebbe voluto così.» Mur aveva da tempo perso l'abitudine di cercare di distinguerli, sapeva che era inutile, a meno che non lo volessero loro o che fossero nudi.
«Bellator andrai al Polo Sud, mentre Bellatrix ad Asgaard.»
I due bambini si guardarono negli occhi per comunicare telepaticamente. Quei bambini erano per lui una continua fonte di sorprese: nonostante il suo eccezionale potere ESP non riusciva a sentire cosa si dicessero. Poi cominciarono a parlare in contemporanea.
«Ma zio Mur, noi non vogliamo separarci, vogliamo stare insieme.» Quello seduto sul ginocchio destro tacque. «Io sono forte tanto quanto Bellator, anzi forse di più, posso benissimo essere addestrata al Polo Sud come lui. Perché devo andare ad Asgaard? Non mi addestreranno a combattere lì!»
Finalmente poteva guardare Bellatrix quando si rivolgeva a lei.
«No piccola mia, verrai addestrata a combattere da Thor, il più forte guerriero di Asgaard. Diventerai una sacerdotessa guerriera, ed in più imparerai anche la musica e altre arti più femminili che ti avrebbe insegnato tua madre se fosse stata viva.» Un velo di tristezza calò sugli occhi dell'uomo.
«Zio Mur, se nostro padre fosse vissuto, ci avrebbe addestrati lui?» Chiese il bambino alla sua destra con voce mite e lievemente triste.
«No Bellator, come non posso addestrarvi io, vi voglio troppo bene e rischierei di essere indulgente a vostro discapito. Un maestro deve essere severo coi propri allievi cosicché diventino forti, perché nessun nemico sarà gentile con loro, e possano essere dei cavalieri in grado di servire Athena a...»
S'interruppe, di colpo il Cosmo di Bellatrix era esploso ed intorno a loro l'aria stessa si trasformava in chicchi di grandine grossi come pugni. Mur guardò la bambina e vide gli occhi viola, come i suoi, fiammeggiare di un odio selvaggio.
«Andate a giocare adesso.»
I due bambini si alzarono sorridendo e scomparvero per riapparire una decina di metri più lontani di nuovo indistinguibili e cominciarono a rincorrersi, usando a volte il teletrasporto. Mur restò seduto a guardarli pensieroso per qualche istante, poi si chinò e raccolse un chicco di grandine che ancora non si era sciolto. "Com'è possibile che Bellatrix possieda un Cosmo così grande? D'accordo è figlia del cavaliere di Sagittar, che era il più forte di noi, e di Rea che possedeva un Cosmo enorme... Perché in questi anni di addestramento all'uso dei poteri non l'ha mai mostrato? E perché è esploso così all'improvviso quando ho nominato Athena e quell'odio sconvolgente che ho letto nei suoi occhi, è un sentimento troppo adulto per una bambina di sei anni. Certo i bambini quando amano lo fanno totalmente e lo stesso quando odiano, ma non può odiare qualcuno che non ha mai visto o conosciuto. E che potere, ha congelato l'umidità nell'aria, forse Camus, ne è capace, ma adesso, sicuramente non quando aveva sei anni! Forse non dovrei mandarla ad Asgaard, se suo fratello riuscisse a diventare cavaliere della Grande Nube, dovrei mandarla al Polo Nord e farle tentare l'armatura della Piccola Nube. In fondo le due Galassie sono collegate e anche questi due bambini possiedono un legame fortissimo. Sempre che non crollino per via della separazione. Quanti interrogativi... Non so cosa fare e non è prima volta con questi bambini."
Mur si concentrò e si teleportò in Cina, ai Cinque Picchi, per chiedere consiglio al vecchio saggio. Dopo alcune ore di colloquio decisero di lasciare tutto come era stato stabilito, il destino trovava sempre modo di compiersi, e poi Mur aveva già organizzato ogni cosa per i viaggi dei due fanciulli.
Una settimana più tardi si teleportò con loro fino ad un vicolo nel porto di XY dove li imbarcarono su due navi in partenza, una per Capo Nord e l'altra per la Terra del Fuoco. Bellator era in lacrime dimostrando i suoi sei anni, mentre Bellatrix si dava un contegno altero, ricacciando le lacrime ogni volta che cercavano di scenderle dagli occhi, Mur era sicuro che una volta sulla nave si sarebbe lasciata andare, aveva sempre fatto così, davanti a lui mai una lacrima o un sospiro, per poi piangere disperatamente nascosta da qualche parte.


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«Bellatrix?» la voce di Bellator nella mia testa suona disperata e sconvolta, mi faccio forza e cerco di rispondergli se non allegramente, almeno con un tono più fermo del suo. «Che c'è fratello?»
«Ho paura. Mi hanno messo in una stanzetta buia quando siamo, partiti e fino adesso non si è visto nessuno.»
«Anche a me è successa la stessa cosa, ma non sanno che non siamo veramente soli: io ho te e tu hai me. Finché possiamo comunicare tra noi, non possono separarci veramente.»
«Hai ragione sorellina.»
"Non so cosa fare se mi teleportassi da lui sarebbe felice, ma poi? Dovrei andarmene e saremmo da capo. Forse è meglio restare qui! Però..." «Prova a dormire adesso. Ci sentiamo più tardi.»
Alcune ore più tardi la porta della stiva si apre, accecata dalla luce improvvisa non riesco a vedere nulla, solo sento il rumore di un piatto metallico che viene sbattuto sul pavimento. Mangiando provo a contattare Bellator.
«Sorellina, ti sento appena! Tu mi senti?»
«Sì Bellator,» devo urlare i pensieri da inviare a mio fratello. «Mi hanno portato da mangiare, una pagnotta rafferma a mollo nell'acqua! E ho dovuto lottare coi topi perché non se lo mangiassero loro!»
«Anche a me hanno portato del cibo. Qui non ci sono topi. Vorrei che tu fossi qui con me!» Il suo tono è molto vicino alle lacrime.
«Bellator, non piangere, sei grande ormai! Stai per cominciare l'addestramento e diventerai un grande cavaliere! Una volta diventato cavaliere potrai venire ad Asgaard, torneremo a casa e staremo sempre assieme!»
«Bellatrix... Bellatrix... non ti sento più!» Bellator scoppia in un pianto disperato, adesso è davvero solo, si era illuso di poter restare sempre in contatto con me, ma non ci riesce! All'improvviso si sente abbracciare e stringere forte. Apre gli occhi e si trova tra le mie braccia!
«Oh Bellatrix! Non ti sentivo più, ero davvero solo!»
«Lo so, Bellator, anche per me è stato terribile capire che non mi sentivi più! Ma adesso non piangere, sono qui con te!»
Lo cullo finche non si addormenta. Albeggia quando ci svegliamo.
«Bellator... adesso devo andare, devo tornare sulla mia nave.»
«No ti prego resta con me!»
«No Bellator, non posso, tu devi essere forte e vedrai che crescendo e diventando più forte potrai sentirmi di nuovo, ne sono sicura. Ma adesso dobbiamo salutarci, tra poco ti porteranno la colazione e se mi trovano qui, non so cosa possa succedere! A presto fratellino!»
Tra le lacrime Bellator riesce a sorridermi.
«Vedrai sorellina mi impegnerò a fondo e potremo di nuovo sentirci presto.»
Gli sorrido.
«Ne sono sicura.»
Lo stringo ancora una volta e poi sparisco diretta alla mia nave.
Nella stiva fa più freddo della sera prima, ma non rabbrividisco anzi mi sento ristorata dal freddo, come sempre mi accade fin da piccola.
I giorni passano uguali gli uni agli altri riesco a distinguerli solo tenendo conto delle volte che mi portano da mangiare.
Una notte la porta che si apre di scatto inaspettata mi sveglia di soprassalto. Sento una voce sbiascicata che parla in un dialetto indiano di cui non conosco che le poche parole che mi hanno rivolto sulla nave; capisco che il marinaio è ubriaco. Faticando ad assecondare il movimento della nave l'uomo si avvicina a me, cade e ridendo cerca di rialzarsi, non riuscendoci decide di venirmi vicino a gattoni. Mi si getta addosso, il suo alito puzza in maniera insopportabile, tento di scansarlo, ma è troppo pesante. Le sue mani frugano il mio corpo e quando capisce che sono una femmina scoppia in un'altra risata sguaiata. Mi straccia la tunica lasciandomi praticamente nuda. Sempre tenendomi ferma con il suo peso comincia a litigare con il nodo della corda che gli tiene su i pantaloni. Non riesco a capire cosa voglia, ma sono sicura che non sia niente di buono. Le sue mani sono bollenti e non mi piace come mi sta toccando. Urlo, ma nessuno interviene, all'improvviso l'aria intorno a noi si fa sempre più fredda e l'uomo comincia a rabbrividire, lo tempesto di pugni, ma le mie piccole mani non hanno abbastanza forza neanche da fargli il solletico. "I poteri!" Come ho fatto a non pensarci. Smetto di tirare pugni e l'uomo fa un commento soddisfatto. "Come se mi fossi rassegnata!" Mi concentro un minimo, lo sollevo da me e lo scaglio dall'altra parte della stanza, gli piovono addosso chicchi di grandine. L'uomo cerca di ripararsi la testa con le mani, ma la grandinata è troppo forte, probabilmente le ossa di un braccio gli si spezzano perché lancia un urlo e il braccio cade inerte ed inutile a proteggerlo. Sempre strisciando riesce a raggiungere la porta e a fuggire. Io resto nell'angolo più buio del locale stringendomi le ginocchia al petto, tremo, ma non è per il freddo. Non chiudo occhio per il resto della notte. La mattina la porta si apre di nuovo ed entra un uomo vestito un po' meglio di quello della notte. Io cerco di farmi più piccola silenziosa ed invisibile che posso, ma mi vede e si avvicina.
«Non preoccuparti piccolina!» La sua voce è burbera, ma le parole riescono comunque a rassicurarmi. «Ho fatto appendere quell'ubriacone per gli alluci all'albero maestro! Nessuno ti infastidirà più. Se vuoi puoi anche salire in coperta e prenderti una boccata di aria fresca.»


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Asgaard

Al mio arrivo ad Asgaard ci sono altri sei ragazzini che si addestrano, ognuno di loro diverrà cavaliere, ma non di una costellazione, la loro stella guida sarà una sola, una delle sette stelle dell'Orsa Minore, saranno i Santi di Odino! Sono Fenrir, Mime, Sigfried, Megres, Hagen e Syd. Sono tutti bambini più o meno della mia età tranne Thor, il mio maestro, è un giovane Santo di Odino, l'unico in carica per il momento, e come diceva lo Zio Mur è il guerriero più forte di Asgaard ed è molto severo ed esigente.
Viviamo in una capanna nei boschi, siamo isolati dal resto della popolazione e ci nutriamo solo di quello che Thor caccia. É molto abile e ogni sera abbiamo qualcosa di cui nutrirci, spesso insaporito da bacche ed erbe che raccoglie nei boschi e che mi insegnerà a riconoscere.
Nonostante il viaggio solitario nella stiva della nave la prima notte che mi ritrovo su un pagliericcio fresco mi sento veramente sola. Thor dorme dall'altra parte della piccola stanza. Con un lieve fruscio della paglia mi alzo e sulla terra pressata i miei piedi nudi non fanno rumore. Adesso sono davanti a lui, è da tanto tempo che non sento la presenza di un altro essere umano al mio fianco! Piano piano mi sdraio al suo fianco cercando di non svegliarlo, e per qualche minuto credo di avercela fatta. Appoggio la testa sulla sua spalla e con i piedi sfioro appena le sue ginocchia. Improvvisamente Thor rabbrividisce e apre gli occhi, girando la testa, mi vede e si sveglia del tutto.
«Cosa ci fai qui ragazzina?»
«Io mi sentivo sola...»
«E sarai sola per molti anni a venire quindi è meglio che ti ci abitui subito. Fila al tuo pagliericcio e mettiti a dormire. Domani mattina ti sveglierò molto presto e saranno guai se non sarai pronta in meno di due minuti!»
Non ha urlato non ha neanche alzato la voce. Mi ha guardato con uno sguardo duro e gelido e non sono riuscita a fare altro che abbassare la testa alzarmi e trascinare i piedi fino al mio pagliericcio.
Mi sveglia prima dell'alba, molto prima, e andiamo a correre attraverso le foreste. Corriamo per tutto il giorno all'inizio. Col passare dei giorni il programma si intensifica e si differenzia: corriamo solo la mattina ed il pomeriggio mi fa fare degli esercizi per rafforzare la mia muscolatura e le meditazioni per accendere il mio Cosmo.
É dura, ma il clima è fantastico, nel Pamir stavo bene, ma faceva sempre un po' caldo, qui invece solo a mezzogiorno l'aria è un po' tiepida.
La sera mi trascino sul letto distrutta, ma se voglio essere una guerriera e tener fede al nome che mi ha dato mia madre, devo sopravvivere e diventare sempre più forte, così potrò dimostrare allo zio Mur cosa valgo.
É passato un mese da quando sono giunta qui e ogni giorno Thor aumenta il mio carico di lavoro ed in più ogni sera devo passare almeno un paio d'ore in meditazione nella neve alla ricerca del mio Cosmo. Almeno in questo batto il mio maestro e lui se ne stupisce: di notte, qui da Asgaard, la temperatura è di decine di gradi sotto lo zero, anche l'aria sembra ghiacciarsi e per non soccombere Thor attinge energia e calore dal suo Cosmo, mentre io che ancora non ho raggiunto quella scintilla dentro di me, me ne sto senza problemi seduta immobile nella neve o sul ghiaccio.
Nonostante la stanchezza, ogni sera tento di contattare Bellator senza mai ottenere risposta.
Una mattina invece di andare a correre, Thor mi accompagna alla città di Asgaard perché impari la strada e io che guardo a bocca aperta ogni palazzo non osservo la strada e così la sera mi perdo tra le strade della città. Mi ritrovano le guardie, e mi accompagnano al limite della foresta a nord dove Thor mi aspetta con una faccia talmente truce che mi nascondo dietro la gamba della guardia che mi ha accompagnato. Vedendomi così il suo cipiglio aumenta e, anche se mi spaventa ancora di più, so che devo farmi coraggio e affrontarlo, forse così mi toccherà soltanto la predica. Che mi viene inflitta lungo la strada.
«Non è possibile! Ti ho accompagnata fino al palazzo e tu non hai saputo tornare indietro, ma non avevi mai visto dei palazzi!? La prossima volta fai in modo di osservare la strada che percorri e non il panorama perché potrebbero non esserci le guardie a ritrovarti e se non tornerai io non verrò certo a cercarti!»
«No maestro, no avevo mai visto dei palazzi così. Sì maestro imparerò la strada, maestro.»


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Ogni dieci giorni Thor mi manda a palazzo perché le istitutrici della principessa Flare diano delle lezioni anche a me, in modo che io mi possa anche comportare da dama e non solo da guerriero. La principessa è dolce e simpatica, ma le istitutrici proprio non le sopporto: non mi insegnano nulla di utile! Durante le lezioni di ricamo mi sgridano perché non faccio progressi ed i miei lavori sono sempre orrendi, ma non si rendono conto che io ho di meglio e ben di più da fare che non ricamare?
Dopo la terza lezione di buone maniere la sera me ne lamento con Thor.
«Maestro non è possibile che io debba stare a perdere tempo con quelle galline delle istitutrici della principessa! Io devo diventare un cavaliere! Secondo loro,» e mi produco in una delle migliori interpretazioni della voce nasale dell'insegnante di ricamo, «dovrei esercitarmi nel ricamo tutti i giorni perché i miei punti siano regolari come quelli della principessa e non storti ed irregolari come sono di solito!»
«Tuo zio è stato categorico. Ha richiesto espressamente che tu imparassi anche le buone maniere come una signorina!»
«Ma non mi serviranno mai: io sarò un cavaliere ed un cavaliere non ricama!»
«Non importa, devi seguire quelle lezioni! Il discorso lo chiudiamo qui!» Si gira come per dormire «E non fare il verso alle tue insegnanti!»
«Si maestro.» E mi metto a dormire, quando Thor usa quel tono, non c'è da discutere: ha deciso così e così sarà!


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Mi sto per addormentare quando nella mia mente risuona la voce di Bellator. É un urlo disperato, ieri non aveva ancora la forza per contattarmi, eppure la voce che sento è sua.
Anche se oggi Thor mi ha fatto sgobbare come un mulo e mi lascia poche ore di sonno, mi concentro e seguo il richiamo di mio fratello.
Mi ritrovo in una landa ghiacciata, battuta da un vento terribile, più forte di quello che spira ad Asgaard. Davanti a me, immerso in un blocco di ghiaccio fino al petto mio fratello. La sua pelle ha una sfumatura bluastra, sta per morire, e come lo so io, lo sa lui.
«Bellatrix,» dice nella mia mente, non riesce a parlare. «Ci sono riuscito, mi hai sentito!» Un piccola lacrima si forma tra le sue ciglia, ma viene subito gelata da questo vento implacabile e resta lì piccolo ornamento dei suoi occhi. «Bellatrix, non riesco più a resistere a questo freddo che mi entra sotto la pelle, sotto i muscoli, fino al cuore, sto morendo ma sono felice. Ti ho rivista per un ultima volta.»
«No, Bellator, tu sei molto più forte di questo ghiaccio, puoi sconfiggere il freddo, ne sono sicura, devi conquistare l'armatura e poi torneremo insieme dallo zio Mur nel Pamir!» Sono tutte balle, ma ne rendo conto, ma devo riuscire ad infondergli un po' di coraggio così forse potrà farcela.
«No, Bellatrix, è troppo tardi. É buffo non trovi che solo in punto di morte sia riuscito a trovare la forza di raggiungerti all'altro capo del mondo?»
«No, non è buffo, è la prova che puoi farcela, da oggi potremo comunicare tutte le sere.»
Bellator chiude gli occhi, "se ne sta andando, mi sta lasciando sola."
«Non puoi farmi questo! Non puoi lasciarmi anche tu. Bellator!» Urlo, ma non può sentirmi, è incosciente. Dentro di me si accende una fiamma ghiacciata che arde e mi consuma interamente. Sbatto i pugni chiusi sul ghiaccio che imprigiona il corpo di Bellator, si apre una crepa ed il corpo quasi senza vita di Bellator scivola verso terra lo afferro al volo e lo cullo tra le braccia come avrebbe fatto nostra madre, mi chino e gli bacio le labbra gelide, non so cosa mi abbia spinto a farlo, ma sento l'essenza di Bellator fluire in me e rintanarsi al calduccio in un angolo della mia mente.


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Guardo il corpo che era di Bellator. In fondo al burrone e mi chiedo se stiamo facendo la cosa giusta.
«Anche se i lupi di Fenrir ne faranno scempio quello è solo un guscio, tu sei dentro di me. Così riconosceranno i vestiti e ...»
Sento gli unici amici di Fenrir che ululano. Hanno già sentito l'odore della morte e vengono a controllare.
«Addio Bellatrix. Da oggi c'è solo Bellator!»
Corro alla capanna che Bellatrix divideva con Thor ed in silenzio entro. Thor dorme ed anche se il suo sonno è leggero riesco ad avvicinarmi, dargli un bacio sulla guancia e scomparire nel momento in cui apre gli occhi. É stato severo, ma gli ho voluto bene.
Mi teleporto sulla piana gelata al Polo Sud e mi immergo nel blocco di ghiaccio in cui stava prima il corpo che tra poche ore verrà riconosciuto come quello di Bellatrix caduta in uno dei burroni di Asgaard e sbranata dai lupi. Il freddo mi attanaglia immediatamente, ma concentrandomi riesco a riprodurre quella fiamma ghiacciata dentro di me e a riempire la crepa che avevo creato nel blocco di ghiaccio. Che sia questo il Cosmo che Thor cercava così faticosamente di farmi raggiungere? Hai visto maestro ci sono riuscita! Esulto, ed improvvisamente realizzo che sono da sola, nessuno gioirà con me di questo successo, ma ormai devo farci l'abitudine. Ora sono davvero sola, anche se non riuscivamo a contattarci sapevo che all'altro capo del mondo c'era l'altra metà di me, vivo che lottava per diventare cavaliere e poterci ricongiungere alla fine del nostro addestramento, di nuovo a casa nel Pamir, di nuovo e per sempre assieme. Ma questo sogno oramai è finito ed io ho preso il posto di Bellator, "no io sono Bellator" e conquisterò quest'armatura e tornerò a casa!
Improvvisamente sento una presenza davanti a me, apro guardingo gli occhi, devo essermi addormentato perché non l'ho sentito arrivare ed il cielo è molto più chiaro. É un uomo anziano, ma ancora in forze.
«Dunque ci sei riuscito fanciullo. Questa notte ho sentito per ben due volte il tuo Cosmo. Ero sicuro che con questa prova saresti riuscito ad contattare la fonte della tua energia. Non è stata un'esperienza gratificante? Finalmente hai potuto contemplare la musica dell'universo. Sono contento per te. Ora liberati, oggi avrai un giorno di riposo.» Mi gira le spalle e se ne và.
Come posso liberarmi da questa prigione di ghiaccio se le mie braccia sono bloccate? Questa notte sono riuscito a romperlo da fuori, ma da dentro? Se mi concentrassi ed esprimessi di nuovo il mio Cosmo potrei riuscire a sciogliere questo blocco? Mi concentro e tento di raggiungere l'energia Cosmica. Niente, non sento niente dentro di me, forse non sono abbastanza concentrata. Cerco di fare il vuoto nella mia mente e di accendere anche solo una scintilla di quella fiammata che ho sentito questa notte. Nulla...
Nel silenzio della piana ghiacciata la voce del mio nuovo maestro mi risuona nelle orecchie. "Non è stata un'esperienza gratificante? Finalmente hai potuto contemplare la musica dell'universo. Sono contento per te." Un'esperienza gratificante?
«Mia sorella è morta per questa splendida esperienza gratificante!» Urlo al nulla. «É contento per me! Non me ne faccio niente della sua contentezza, io ho appena perso metà di me stessa!» Una rabbia cieca mi sale dentro e con essa la scintilla che si alimenta da sé fino a riempirmi completamente. Sento una nuova forza scorrere dentro di me, alzo le braccia ed il ghiaccio va in pezzi. Sono libera, e ho capito che le vie per giungere al mio Cosmo sono la rabbia e l'odio. Ho un giorno libero, ma Thor mi ha insegnato a non oziare e so che se lo facessi penserei a Bellator e non posso permettermelo. Così vado a correre e per tutto il giorno mi esercito come facevo ad Asgaard. Corro per tutto il giorno e buona parte della notte fino a crollare a terra esausta incapace di mettere insieme un solo pensiero coerente, in questo modo riesco quasi a non sentire il dolore per la perdita di Bellator.


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Polo Sud

Fanciullo, finalmente ti ho trovato! Ti avevo dato un giorno libero e tu ne hai approfittato! Sei sparito per due giorni. Sono stati i tuoi compagni a farmi notare la tua mancanza!»
Alzo lo sguardo, il mio nuovo maestro incombe su di me, con uno sguardo desolato negli occhi, come se l'avessi deluso, ma se non si era neanche accorto della mia assenza! Thor se ne sarebbe accorto immediatamente! Che razza di maestro è questo che non si accorge neanche se uno dei suoi discepoli manca all'appello?
«Avanti alzati, fanciullo! Torniamo al campo di addestramento.» Mi volta le spalle e s'incammina. Mi alzo e nonostante la vertigine che mi assale lo seguo più in fretta che posso. In meno di un'ora siamo al campo di addestramento: è la piana ghiacciata dove ho superato l'ordalia di mio... la mia ordalia.
Ad un certo punto della mia corsa devo aver invertito la direzione, ho corso per quasi venti ore e adesso in meno di una sono tornata al punto di partenza.
Ai lati di un tratto delimitato da dei paletti sono allineati altri ragazzi, una decina in tutto di varie età e corporature, il più vecchio è anche il più muscoloso, c'è anche una ragazza che arrossisce violentemente quando si accorge del mio esame.
«Bene fanciullo, ora ti batterai con tutti i tuoi compagni. Avanti entra nel campo! Il tuo primo avversario sarà Pablo.»
Pablo è un ragazzo dalla pelle olivastra e capelli neri come la notte, un po' più alto di me, longilineo, ma scommetto che i suoi muscoli sono comunque ben allenati. A occhio e croce avrà quattordici anni. Giriamo in tondo nel campo di combattimento mentre ci studiamo a vicenda. Io sono in svantaggio perché non so come combatta, ma Thor mi ha insegnato cosa fare in un caso del genere: stare in difesa per un po' e studiare i movimenti dell'avversario. Ma neanche Pablo sa come combatto io, si aspetta un combattimento come i precedenti, ma io posso sorprenderlo e questo potrebbe portarmi in vantaggio. Lo provoco con uno sguardo di sfida e lui ci casca anche prima di quel che credessi. Si lancia in un attacco scoperto a sinistra, io mi limito a parare e deviare il suo colpo alzando il braccio sinistro, potrei abbatterlo con un semplice gancio allo sterno, ma sarebbe troppo facile e poi voglio vedere cosa sa fare. Riesce a fermarsi entro i limiti del campo e parte in una nuova corsa, all'ultimo scivola per terra e tenta di falciarmi le gambe, non faccio altro che saltare.
«Non crederai di battermi solo con queste miserie?»
Mi sono distratto e non mi accorgo che i piedi servivano proprio a distrarmi: il suo braccio destro è teso e rigido, sento un colpo dietro le ginocchia. Ci avevo provato anch'io una volta con Thor credendo che, data la sua altezza, le ginocchia fossero il suo punto debole, mi sbagliavo. Anche se non l'ho mai fatto prima tento la risposta che mi aveva dato Thor. Piego le ginocchia sotto il suo colpo e lascio che la sua forza mi dia la spinta, inarco la schiena alzando le mani, compiuta la capriola in aria, appena le mie mani toccano terra mi slancio verso l'alto e torno coi piedi per terra pronta a sferrargli un calcio nella schiena. Thor era stato delicato e mi aveva toccato appena, ma questa volta io ci metto tutta la mia forza. L'attrito del ghiaccio l'ha fatto fermare proprio alla distanza giusta perché il mio calcio sia doloroso, ma non letale. Pablo si rialza, massaggiandosi la schiena e mi guarda come se mi odiasse e si lancia di nuovo in un pugno come il primo, ma adesso mi sono stufato e mentre con la sinistra paro con la destra gli sferro un pugno al torace che scricchiola paurosamente. Pablo crolla a terra boccheggiante e senza fiato. Mi chino su di lui e gli mormoro in un orecchio:
«Mi sono moderato, se non l'avessi fatto tu adesso saresti morto!»
Lui urla la sua rabbia ma il maestro dichiara la fine del combattimento, la mia vittoria e chiama in campo Oleg. É quello grosso, ma non posso concedermi il lusso di credere che tutti quei muscoli lo rallentino, infatti scatta quasi cogliendomi di sorpresa, me lo trovo di fianco pronto a menare un colpo di taglio sulla mia nuca, se arrivasse a segno rimarrei stordito se non addirittura cadrei a terra privo di conoscenza. Più in fretta che posso scivolo a destra e così il colpo mi raggiunge di striscio, ma non riesco ad evitare il gancio che parte immediatamente dopo e nemmeno l'uppercut che mi coglie impreparato e stringermi lo stomaco. Adesso basta, tocca a me dargliene un po'! Ma non è così facile, mi ha visto combattere contro Pablo e conosce già uno dei miei trucchi. Contro Pablo avevo il vantaggio della sorpresa, ma è del tutto svanito dopo il primo combattimento. Tento anch'io uno scontro diretto ma non ottengo altro che impattare contro i suoi muscoli duri come l'acciaio. É molto più forte di me quindi devo batterlo in astuzia. Decide che è di nuovo il suo turno ed io vengo colta del tutto impreparato, istintivamente alzo le mani e, senza neanche rendermene conto, genero un muro di ghiaccio contro il quale s'infrangono le ossa della mano di Oleg.
«Bravo fanciullo era proprio questo che volevo vedere! Oleg sei stato sconfitto, puoi ritirarti a cercare il tuo Cosmo!»
Scontro dopo scontro li batto tutti, a volte ricorrendo al mio Cosmo altre no. Se ricorro al mio Cosmo ed il mio avversario non riesce a fare altrettanto il maestro dichiara chiuso l'incontro e manda lo sfortunato a riflettere.
Per ultima tocca alla ragazzina Amanda, che non fa nulla per attaccarmi, io non combatto contro le ragazzine e mi limito ad osservarla.
«Amanda, il tuo avversario è davanti a te! Perché te ne stai lì impalata? Attaccalo!»
«Non posso maestro. Bellator ha già raggiunto la consapevolezza Cosmica, io non ancora, per quanto lo desideri ardentemente. Non posso che uscire sconfitta da questo incontro. E poi voi sapete bene che io non voglio divenire cavaliere, ma sacerdotessa di Athena!» Ha le lacrime agli occhi. Ma il maestro non si lascia impietosire.
«Amanda se vuoi diventare sacerdotessa devi dimostrare di saper combattere non solo contemplare il Cosmo e officiare i riti! Adesso attacca!»
«Mi ritiro!»
Il maestro e Amanda mi guardano a bocca aperta.
«Sta bene. Andate entrambi a meditare!» E come sua abitudine ci volta le spalle e s'incammina per andare a meditare per i fatti suoi.
Il giorno seguente siamo tutti di nuovo riuniti sulla piana, in semicerchio davanti al maestro, i miei compagni si tengo gli arti rotti o contusi, nello scontro di ieri.
«Tutti avete tentato la prova del ghiaccio, tutti siete sopravvissuti ma questo significa solo che siete abituati a questo clima! Solo uno di voi l'ha vinta. Ieri vi ho dato una seconda possibilità di esprimere il vostro Cosmo, ma avete fallito di nuovo! Questa sera al tramonto vi imbarcherete e tornerete in Grecia, lì se riuscirete a dimostrare di valere qualcosa diverrete sacerdoti, altrimenti sarete o soldati semplici o morti! Bellator tu rimarrai e ti allenerai per tentare la prova del Cavaliere della Grande Nube.» Si gira, e, seduto sul ghiaccio, si mette a meditare, relegando la nostra presenza, le nostre stesse vite, fuori dalla sua mente.
Sento gli sguardi, carichi di risentimento, degli altri ragazzi puntati su di me, io sono stupita, non credevo che tutti avessero dovuto passare una notte nel ghiaccio! Credevo fosse una punizione che Bellator stesse scontando. Mi allontano in silenzio evitando gli altri, vado a correre come ho imparato a fare ad Asgaard. Per tutto il giorno resto isolato, non credo che gli altri gradirebbero che li salutassi, li farei sentire peggio, si sentirebbero umiliati una volta di più. La sera li vedo avviarsi verso la banchisa, li seguo in disparte, ma Amanda che non fa altro che guardarsi intorno, lungo tutta la strada, mi nota e si ferma, lascia che io la raggiunga. É in piedi davanti a me, la testa china come se non avesse il coraggio di guardarmi in faccia, parla sottovoce:
«Bellator, sei stato molto gentile con me in tutti questi mesi, e ti prometto che in Grecia farò di tutto per dimostrare che posso essere una buona Sacerdotessa, così potremo rivederci. Non ho paura di quel che mi aspetta, tanto peggio di qui non potrà di sicuro essere. Di sicura farà più caldo! Addio.»
Mi posa una mano sul braccio e alzandosi sulle punte dei piedi posa un bacio sulla mia guancia, poi si volta e con una corsa leggera raggiunge gli altri.
Sulla passerella si volta di nuovo e agita la mano nella mia direzione. Sorride, s'impegnerà per me, non immagina nemmeno che io non sarò un Santo di Athena!


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Nei mesi che seguono le giornate si accorciano fino a raggiungere una notte quasi eterna, il cielo si schiarisce come prima dell'alba solo a quello che dovrebbe essere mezzogiorno. La maggior parte del tempo la passo da solo allenandomi come Thor mi ha insegnato: corro tra montagne di ghiaccio per alcune ore ogni mattina aumentando sempre di più la distanza e cercando al contempo di ridurre il tempo che impiego, nel pomeriggio sono flessioni, piegamenti e pugni su pugni contro rocce di ghiaccio eterno. La sera medito cercando di accendere il mio Cosmo, ma per quanto svuoti la mente, non trovo la scintilla, solo quando penso a mio padre che ci ha abbandonati, a Bellatrix morta tra le nevi di Asgaard la rabbia prende il sopravvento ed il mio Cosmo esplode, allora il maestro giunge e duelliamo, mi batte ogni sera, ma ogni sera osservo le sue tecniche e di giorno cerco di replicarle.
Alla notte eterna succede un giorno eterno nel quale il sole si avvicina all'orizzonte solo a mezzanotte. Ma le mie giornate sono sempre uguali, non importa ci sia luce ininterrotta o buio costante, io mi alleno, medito e vengo battuto dal mio maestro.
Il suo atteggiamento non è cambiato di una virgola, mi ignora per quasi tutto il tempo. Un giorno rinuncio ai miei allenamenti per osservarlo: se ne sta lì fuori dalla grotta dove, credo, dorma, a gambe incrociate e medita, percepisco il suo Cosmo dilatarsi e comprimersi al ritmo di un respiro lentissimo, non si muove di un millimetro per tutto il giorno e buona parte della notte. Improvvisamente apre un occhio:
«Allora fanciullo? Non hai voglia di combattere questa notte? Espandi il tuo Cosmo e combattiamo!»
Ormai mi è diventato facile accendere ed espandere il mio Cosmo. Combattiamo e per un momento lo metto in difficoltà, ma si riprende immediatamente e con un ultimo colpo mi sconfigge clamorosamente. Mi ritiro dolorante e striscio fino al riparo che mi sono fatto nella parete che delimita un lato del campo di addestramento.


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Otto volte il giorno e la notte infiniti si sono alternati e così i miei solitari allenamenti ed i duelli, da quella notte in cui ho messo in difficoltà per un attimo il maestro ne sono seguite altre in cui i suoi momenti di difficoltà sono stati due o tre o nessuno anche. Quando cominciamo non so se riuscirò a metterlo in difficoltà, anche solo per un attimo o mi sconfiggerà.
Covo l'odio per Athena dentro i me come i carboni ardenti sotto la cenere per farlo divampare alto come un falò nei duelli, a volte mi sconfigge così sonoramente che giaccio gemente per giorni nel mio riparo.
A volte il vento soffia talmente freddo e forte che sembra strapparti la carne dalle ossa, ma anche se ne sono molto tentato non mi lascio fermare e vado a correre e ad allenarmi, il maestro sembra non farci neanche caso, medita davanti alla sua grotta come se niente fosse. Quando il vento cala l'aria è così limpida e tersa che si può guardare sul mare per chilometri e vedere i dorsi dei grandi cetacei che incrociano al largo.


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«Allora fanciullo, sono passati otto anni da quando sei giunto e sette da quando hai acceso il tuo Cosmo. É ora di provare che sei degno di portare l'armatura della Grande Nube.»
Mi fa cenno di seguirlo. Ci inoltriamo tra le montagne; camminiamo per più di dodici ore, fino ad una piccola valle. Durante il tragitto non mi rivolge una parola, né si volta per vedere se lo seguo. Finalmente si ferma al centro della valletta e si volta.
«Siamo al dunque fanciullo! Hai dimostrato di sopravvivere al ghiaccio, hai dimostrato di saper accedere al tuo Cosmo senza difficoltà e di saperlo espandere, hai dimostrato di saper combattere duellando con me ogni notte, ma tutto questo non è sufficiente. Ora devi espandere il tuo cosmo fino ai limiti massimi... ed oltre. Devi battermi! Allora ti dirò come accedere all'armatura e poi dovrai dimostrarti degno d'indossarla!»
Si mette in posizione d'attacco, io lo imito. Facciamo bruciare i nostri Cosmi. Mi concentro cercando d'espanderlo al massimo ed oltre. L'aria intorno a noi si fa nebbia e poi si cristallizza in fiocchi di neve che cadono al suolo.
Improvvisamente il maestro si slancia verso di me pronto a colpirmi. Senza quasi rendermi conto di quel che faccio alzo una mano e creo un muro di ghiaccio davanti a me sul quale s'infrange il suo attacco. Ora tocca a me, mentre carico il fendente con le dita tese, il muro di ghiaccio si polverizza in milioni di schegge di luce ed io colpisco di taglio la base del collo del mio maestro. Il duello prosegue serrato, per la prima volta nessuno dei suoi attacchi giunge a segno, non solo lo fermo con muri di ghiaccio, ma paro i suoi colpi anche con le mani. Mi sento orgoglioso di questo, purtroppo non tutti i miei tentativi di colpirlo hanno risultati positivi, anche lui para, ma non riesce a creare muri di ghiaccio. Ad un certo punto si allontana ansante, non era mai successo.
«Allora fanciullo, sei pronto all'ultimo attacco?»
Non aspetta la risposta e si lancia contro di me, vedo un varco nella sua guardia e gli vado incontro e lo centro alla bocca dello stomaco e lui cade a terra boccheggiante. Sputa sangue... Mi chino su di lui per vedere come stia, improvvisamente mi manca il fiato, mi ha colpito al piatto solare, istintivamente mi tiro indietro e gli lancio contro una tempesta di ghiaccio che lo trasforma in una statua. Ho vinto, ma tremo all'idea di aver ucciso il mio maestro, riduco il mio Cosmo ad una scintilla e mi concentro su quella statua di ghiaccio, facendolo sciogliere. Devo sbrigarmi altrimenti il suo cuore si fermerà. Faccio appena in tempo, le sue labbra sono blu e lo stesso le mani fino ai polsi e parte delle gambe.
Si accascia tra le mie braccia.
«Bene fanciullo, mi hai battuto! Adesso devi raggiungere col tuo cosmo l'armatura alla base di questa montagna, farla uscire e plasmare l'armatura su di te.» Tossisce e sviene. Resto lì indeciso, non posso dedicarmi all'armatura prima di sapere se vivrà o no. Per ore il maestro non si muove, non vedo alcun miglioramento in lui. Vorrei aiutarlo, ma temo che col mio Cosmo freddo farei più danni che altro.
«Allora fanciullo, devo morire prima di poterti vedere quell'armatura addosso?» Tossisce sangue.
«Maestro...»
«Avanti fanciullo, hai già perso troppo tempo. Appoggiami a quella roccia e compi il tuo destino.»
Faccio come dice, sento anch'io la morte che scivola verso si lui. Devo fare in fretta mi porto al centro della valletta, mi concentro e sondo la montagna: nelle sue viscere sento una lieve risonanza alla mia vibrazione, espando il mio Cosmo e la vibrazione aumenta in armonia col mio Cosmo. Porto l'espansione del mio Cosmo al massimo, la montagna intera vibra, ma non basta: ho attivato l'armatura, ma non è sufficiente, devo portarla a me. Provo con la telecinesi, ma non funziona, il trasporto non deve partire da me, ma dall'armatura stessa. Devo concentrarmi di più, chiudo gli occhi; ripenso a Bellatrix: è per lei e nostra madre che oggi devo trionfare. Perdo coscienza di quello che mi circonda, non ci sono più la valle, il maestro, al montagna. Ci siamo solo io e l'armatura, mi sento circondato dalla potenza del Cosmo, percepisco una colonna di luce che trafigge la montagna. Riapro gli occhi e l'armatura è lì davanti a me, il suo potere mi giunge in onde fredde, non ho mai sentito tanto freddo, neanche al notte in cui Bellatrix morì. L'armatura si scompone davanti a me e viene a posizionarsi sul mio corpo. Sento un fuoco liquido e freddo che mi scorre nelle vene, devo domare il freddo, io sono più freddo e più forte. Devo esserlo. Sento l'armatura che cambia, si modella sul mio corpo. Il freddo diminuisce, adesso mi sento bene, a mio agio dentro quest'armatura, come se non avessi mai indossato altro. Contraggo il mio Cosmo e torno cosciente di quel che mi circonda, o meglio mi accorgo del senso di vuoto che mi ha preso alla bocca dello stomaco. Mi volto e corro dal maestro: è morto ma col sorriso sulle labbra, deve aver resistito fino a vedermi modellare l'armatura sul mio corpo.
Compongo il suo corpo con le braccia incrociate sul petto, col viso rivolto a oriente, al sole nascente, mi concentro appena e creo attorno al suo corpo una teca di ghiaccio. Lo proteggerà dai venti terribili che soffiano in questi luoghi.
Torno alla spianata degli allenamenti, ora sono da solo non so cosa fare, non so come chiamare una nave che mi possa portare da qualche parte, ma non posso passare la vita qui!
Sento il potere dell'armatura che mi pulsa nelle vene, con questo potere potrei riscattare il mio nome dall'infamia che vi ha gettato mio padre. Devo andare in Grecia al Santuario, farmi riconoscere e farmi incaricare del recupero dell'armatura del Sagittario! L'ho già fatto una volta, allora è stata la disperazione a darmi al forza, ma adesso, con quest'armatura posso farlo senza alcuno sforzo, posso andare dove voglio con un semplice pensiero.
Grecia, Atene, il Santuario. Un pensiero solo.














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