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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +1, novembre (19)] [Credits & Disclaimers]



Ciò che desideri

Chya

Quando mi diressi verso il vicino bosco ebbi un attimo di smarrimento: nella fretta della fuga avevo fatto in tempo a prendere la piccola bisaccia che portavo sempre con me e un borsone che qualche ingenuo aveva lasciato incustodito.
Dovevo scappare, e velocemente, ma l'unica via di fuga erano gli Hellers.
Si stava avvicinando l'inverno e il viaggio sarebbe stato difficilissimo, perciò avrei dovuto avere con me abiti pesanti, cibo e anche qualche arma. Purtroppo però non c'era tempo per controllare ciò che avevo con me e, abbandonando la pista battuta, perché troppo presto sarebbero venuti a cercarmi anche da quella parte, mi inoltrai nel folto del fogliame.
Ero in buona forma fisica perciò camminai tutto il giorno prima di fermarmi per trovare un riparo per la notte. Nelle vicinanze non c'erano caverne o rientranze dalla roccia, quindi mi accontentai di un punto poco discostato dal sentiero dove sarei stata al riparo almeno dal vento freddo che spirava implacabile. Lì finalmente potei controllare ciò che avevo portato con me in quella precipitosa fuga.
Nella mia bisaccia c'era un po' di cibo, un mantello pesante, qualche spicciolo e il medaglione che avevo fin da piccola. Addosso avevo il mio pugnale, e la pietra che usavo per affilarlo.
Non era per nulla l'equipaggiamento adatto per attraversare gli Hellers, perciò confidavo nel borsone. Slacciai la cinghia tremando silenziosamente, sia per il freddo pungente che per l'ansia. All'interno c'era un mantello foderato in pelliccia, dall'aria molto calda, un pugnale dall'elsa lavorata, un altro po' di denaro e anche una discreta quantità di cibo.
Sospirando stesi per terra il bel mantello foderato, e usando il borsone come cuscino e il mio mantello come coperta mi addormentai.
Il mattino dopo mi svegliai all'alba, e anche se non ero vissuta tra quelle ostili montagne, nell'aria sentivo il profumo della neve. Ero assai preoccupata quindi radunai velocemente le mie poche cose, raggiunsi la traccia di sentiero che mi aveva condotto fin lì la scorsa notte e ripartii.
Per strada mangiai un po', e fino a mezzogiorno avanzai veloce e silenziosa. Non era la stagione adatta a viaggiare tra gli Hellers, perciò non pensavo di incontrare nessuno che potesse darmi fastidio, anche se la maligna sensazione di essere seguita mi perseguitava da quando avevo lasciato la locanda.
Veduta degli Hellers Fu con mia grande sorpresa che, superato un passo particolarmente accidentato, vidi una valle ripida e scoscesa, che solo utilizzando una sorta di ripida scaletta tagliata nella pietra conduceva ad un villaggio. C'era perfino una locanda, ma tutto in quel paesino gridava miseria e povertà.
Mi sedetti a un tavolo e chiesi da mangiare, ma quello che mi portarono fu un ben misero pasto. Poi chiesi una stanza, non troppo pulita e molto spartana. Nonostante i disagi crollai subito in un sonno profondo, e quando mi svegliai, circa un paio d'ore dopo, mi sentivo molto meglio.
Scesi nella sala principale, ma il locandiere, che immediatamente mi era sembrato viscido e bugiardo, mi accolse con un sorriso insidioso.
In me scattò un sesto senso, in quel periodo ero troppo sotto pressione, e mi girai velocemente, con il pugnale in mano, giusto in tempo per infilzare un uomo che mi stava silenziosamente assalendo alle spalle.
«Codardi!» esclamai, e balzai sul vicino tavolo.
Dall'ombra sbucò un altro sicario, mentre con una risata crudele si fece riconoscere anche il viscido uomo a causa del quale, dopo che mi ero difesa lealmente, ero stata costretta a quella ridicola fuga.
Il sicario era abile e riuscì a colpirmi su un fianco, perciò lo eliminai senza nessun rimorso.
L'Alton però non si arrese, e sentii qualcosa di viscido ed estraneo che cercava di insinuarsi nella mia mente. Ribrezzo e paura mi fecero urlare, uscii di testa, incontrollabile.
Colpii il Comyn, ed egli cadde a terra, morto o stordito, e mi lanciai all'esterno dell'edificio, non prima di aver afferrato i miei borsoni.
Fuori l'aria era fredda e il fiato si condensava davanti a me in tante nuvolette bianche. Il fianco continuava a sanguinarmi, così premetti un po' di neve cercando di fermare il sangue e il dolore.
Ero impazzita, non mi ricordo neppure più quello che feci dopo che mi fui allontanata da quel maledetto villaggio, andai avanti a camminare stringendo i denti, solo con la mia forza di volontà, conscia soltanto di essermi persa e sperando in un miracolo.
La tempesta che avevo previsto al mattino stava infuriando, ma io dovevo essere più forte di lei. Non riuscivo a vedere più in là del mio naso, faceva freddo e mi ero completamente persa. Quando raggiunsi il limite della resistenza caddi, e il mio fu un sonno senza sogni.


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Capelli rossi, veste rossa, una voce che sussurra nella memoria del tempo un nome, il mio nome.
No! Non è il mio nome.
Ora sangue, pianto e dolore, un urlo e un pianto di bimbo, e un ammonimento, ricorda.


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«Nooo!!!» Mi svegliai ansimante, e per un attimo non compresi dove mi trovassi.
Ero stesa al centro di una grande distesa coperta di neve e spazzata dal vento, i capelli sparsi per terra e i vestiti sporchi di sangue e fradici di neve. Poi i ricordi riemersero, e fantasmi di lacrime apparvero nei miei occhi.
La neve continuava a scendere, lenta e inesorabile, ma il sogno che mi aveva fatto urlare non riuscivo a rammentarlo, come al solito.
Mi alzai, e radunai le mie cose. A pochi passi da me c'era un precipizio, e chissà a quale dio dovevo votarmi per avermi salvato da esso, perché ero cosciente di essere stata senza controllo per un lungo periodo.
Cosa mi aveva fatto impazzire in quel modo?
Quando avevo sentito che quell'uomo cercava di entrare nella mia mente, ecco il momento.
Mi pare che lo chiamassero rapporto forzato, o una cosa di questo tipo. Era orribile e ripugnante.
Esaminai la ferita: non era profonda come credevo, e il freddo e la neve avevano fermato l'emorragia.
Cercai di pulirmi alla meno peggio, fasciai la ferita con bende di fortuna e iniziai a riflettere.
Ma dov'ero veramente finita?
Non avevo la minima idea di dove mi trovassi, sapevo solo che dovevo muovermi, tra poco ci sarebbe stato il tramonto (Ero stata senza controllo per un giorno intero?).
Continuai la mia marcia, e dietro ad un crinale scosceso scorsi una Torre, alta e sicura, che dominava una valle illuminata dal sole morente.
All'immagine si sovrapponevano immagini di altre torri e di molte genti, non ero sicura di quello che vedevo.
Mi diressi verso di lei, perché non avrei saputo dov'altro andare, e presto arrivai in un villaggio pieno di pace. Presto trovai la locanda, sul cartello era scritto Northern Scoundrel, ed entrai, barcollando come un'ubriaca.
Per qualche misteriosa ragione sapevo di essere al sicuro in quel luogo, e l'oste, un uomo dall'aspetto burbero, mi dava fiducia. Chiesi una stanza, e mi gettai sul letto per recuperare le forze. Mi svegliai nella tardo pomeriggio, e scesi.
Sulle scale sentii l'oste che parlava con qualcuno: «Non sta per niente bene, è pallida e stanca, ed ha del sangue sugli abiti. Potrebbe essere una fuggiasca, anche se non credo che sia pericolosa per noi. Mi chiedo se...»
Mi ero avvicinata ulteriormente e mi avevano sentito. Mi diressi ad un tavolo cercando di conservare più dignità possibile. Mi ero cambiata e pettinata, ma sapevo di non avere una faccia tranquilla, di chi non ha niente da nascondere.
Lo sconosciuto che parlava con il locandiere mi si avvicinò con fare amichevole, ma io lo guardai con aria assai imbronciata. Era di altezza media, un po' robusto ma tutto sommato di bell'aspetto.
«Sono Damon Aldaran, e vivo qui a Elvas. Potrei sapere il vostro nome, damigella?» mi disse con un gran sorriso.
Io però non ero molto incline a fare amicizia, ne avevo fin sopra i capelli della gente che incontravo nelle locande, perciò risposi, a mia volta con un gran sorriso: «Non sono una damigella e, no, non potete chiedere il mio nome. Damon Aldaran.»
All'uomo sfuggì un gran sospiro, e fu allora che mi si avvicinò una donna, e gli si mise accanto.
«Qui sei ad Elvas, e potrai rimanerci quanto vuoi. Mi chiamo Dana, Dana n'ha Angela, e sono una Rinunciataria, vivo qui. Vuoi dirmi il tuo nome?»
Al sentir parlare delle Rinunciatarie mi scossi un poco, e replicai velocemente: «Mi chiamo Chya, Chya e basta. Sono vissuta con i girovaghi fin da piccola, ma so badare a me stessa.»
«Non abbiamo nessun dubbio su questo, te lo posso giurare!» rispose Damon.
Sospirai pensosa, ormai ero veramente stanca, quando avrei potuto stare tranquilla per conto mio? Perché attiravo sempre ogni genere di guai? Sotto sotto mi faceva piacere vedere che qualcuno si interessasse a me, ma avrei voluto ritornare alla vita di sempre, relativamente calma e tranquilla...
Perciò mi girai improvvisamente di scatto, avevo intenzione di ritornare nella mia stanza.
Grave errore: la testa iniziò a girarmi, e la vista mi si fece confusa.
Stavo cadendo a causa di un'improvvisa vertigine quando Dana mi afferrò velocemente un braccio.
«Nooo!» urlai io, «Non toccatemi, non usate il vostro laran, andate via!»
Nel dire questo mi ero liberata dal braccio della ragazza che voleva curarmi, ed ero balzata indietro con fare guardingo ma con le lacrime agli occhi.
Tutte le persone nella locanda si erano girate stupite, ma più di tutti era la monitrice che mi sembrava ferita.
Purtroppo fin da quando ero piccola se qualcuno tentava di usare il laran su di me ero colta da un panico improvviso e assoluto, un terrore che mi faceva perdere il controllo, come nella precedente locanda.
«Cosa sta succedendo qui? Chi grida in maniera così disperata ad Elvas?»
Mi girai verso la porta, da dove proveniva quella voce gentile, e vidi una sagoma illuminata in controluce, i lunghi capelli rossi raccolti, un abito rosso da Custode e una dignità regale.
«Chi è così disperato?» disse ancora la nuova venuta facendo qualche passo avanti.
Tutti si affrettarono a mostrarle il rispetto che le era dovuto, ma io ero persa nei ricordi del sogno che spesso facevo, dove c'era una donna come lei dai capelli e dall'abito rosso che... Non riuscivo mai a ricordare niente di quel sogno se non il terrore che provavo... E infatti mi ero rannicchiata contro una parete, tremando come una foglia e con gli occhi come quelli di un animaletto spaventato.
In lei era forte il laran, e ciò mi bloccava.
«Cosa le state facendo!» disse. «Ragazza, lascia che ti guardi.»
Cominciai a piangere senza controllo, senza dare la possibilità a nessuno di aiutarmi. La testa era un abisso di dolore, gli occhi mi bruciavano e sentivo voci e sussurri nella mia testa. Mi riapparve l'immagine della misteriosa donna dai capelli rossi e mi lanciai fuori dall'edificio, troppo veloce per essere fermata da qualcuno.
Molto più avanti caddi nella neve, ma trovai la forza per rialzarmi, anche se il fianco aveva ripreso a sanguinare e la testa mi girava orribilmente. Mi bloccai, inginocchiata sul sentiero, con gli occhi sbarrati. Un brusio continuo e fastidioso mi ingombrava la mente e immagini veloci e senza alcun significato mi lasciavano senza la capacità di pensare.
Sentivo l'aria intorno a me densa come la melassa, e ogni respiro era una lancia nel cuore. Il respiro era affannato, e solo inconsciamente sentivo che gli abitanti del villaggio mi stavano lentamente raggiungendo.
Mi premetti con forza le mani sulla testa, cercando di lenire quel tormento.
Rividi la misteriosa donna dai capelli rossi e dall'abito elegante, e a fianco a lei c'era un uomo dall'aria distinta. La donna era giovane, e mi assomigliava molto, in un altro lampo la vidi nella carovana dov'ero nata, ma le immagini erano troppo veloci. Sentivo anche la preoccupazione di quelli intorno a me. Se erano veramente loro. Altre immagini, immagini di un lungo viaggio e di una bimba tra le braccia, tra le mie braccia, una bella bimba dai capelli rossi e ricci.
Capii improvvisamente che continuavo a vedere immagini del passato e del futuro e rischiavo di perdere il presente, anche se in realtà non volevo tornarci perché quelle voci invadenti che sentivo, quei pensieri erano invadenti e orribili.
Tremavo senza controllo, e non ce la facevo più.
Brandii il pugnale che avevo al fianco perché volevo porre fine a quella sofferenza ma qualcosa mi impediva di farlo, una presenza, se tale si poteva chiamare. All'improvviso mi trovai abbracciata da qualcuno, che mi tolse il pugnale dalle mani e che mi tranquillizzò.
Piano piano le voci si affievolirono e la calma scese come una liberazione. Con stupore mi accorsi che finalmente erano arrivati anche le persone della locanda e che qualcuno si stava cautamente avvicinando per controllare le mie condizioni.
Ero stata una stupida a comportarmi così!
In realtà tutti in questo villaggio erano gentili e premurosi, anche la strana creatura umanoide contro il quale ero ancora rannicchiata e che mi trasmetteva quel gran senso di tranquillità.
Oh, ero così stanca, ormai non riuscivo neppure più a tenere gli occhi aperti.
Ero forse arrivata finalmente in un luogo da poter chiamare casa?









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Disclaimers

In fuga da nemici reali e del proprio passato, Chya arriva a Elvas.

Credits

Veduta degli Hellers immagine fornita all'autore, provenienza sconosciuta

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008