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[torna a Racconti] [E.S.T. dE +2, agosto (1)] [Credits & Disclaimers]



L'arrivo a Elvas

Diotima Aillard & Dana n'ha Angela

da un'idea originale di

Anthea Yllana Crowley

Non era facile per i terrestri vivere su Darkover e non solo per colpa del clima, sempre troppo freddo e inospitale, o per la carenza di materie prime che li costringevano ad importare tutti i materiali necessari per la costruzione della piccola città che li ospitava. Il problema più grande, per il personale tecnico e amministrativo, era il non poter uscire liberamente dal perimetro della loro piccola fortezza.
Per gli studiosi l'imposizione di non farsi riconoscere come abitanti non originari del pianeta, costringendoli a vivere tra i darkovani come darkovani, era stata fonte di opportunità sempre maggiori mano a mano che approfondivano le loro conoscenze. Ma, se per i burocrati la permanenza su Darkover era di una noia interminabile, per i militari era una sorta di inferno in terra.
Le abitudini dei nativi erano assurde ai loro occhi e nulla poteva convincerli ad uscire dal loro quartier generale, visto che poi non avrebbero potuto fare nulla per difendersi in caso di bisogno. La legge locale vietava l'uso di qualsiasi arma che non fossero spade e pugnali: niente laser, phaser, o altre armi ad energia. Erano lì come difesa al personale terrestre, e non avrebbero potuto fare nulla, neppure lanciare sassi ad eventuali aggressori perché era vietato dalla legge.
Il Capitano Crowley, pur di assecondare il desiderio della figlia di visitare quel fantomatico villaggio che sembrava ospitare le sole persone in grado di riportarle la salute mentale, aveva intrapreso una lunga girandola di code, visite, appuntamenti, pur di ottenere i permessi per uscire dal perimetro della base.
Alla fine, dopo quasi due settimane di peregrinazioni, quello che era riuscito ad ottenere erano un permesso per se stesso e il visto di uscita temporaneo per la figlia, oltre alla nota di imbarco della ragazza sul primo volo verso Wainwall... che, ovviamente, non sarebbe servito a nulla. Fortunatamente, una volta fuori non avrebbero dovuto subire controlli e il posto sulla nave sarebbe stato occupato da qualche clandestino, appostato in attesa di un passeggero mancante, senza che l'equipaggio se ne accorgesse fino a destinazione... se se ne fosse accorto, naturalmente.
Nonostante il pensiero delle file interminabili che avrebbe dovuto fare al ritorno alla base, per riconfermare la presenza di Anthea su Darkover, e far cancellare le note che la volevano su un altro dei pianeti dell'Impero, il Capitano Crowley sembrava di buon umore il giorno della partenza.
Il suo ottimismo e l'aria decisa avevano contagiato anche gli addetti ai vari posti di blocco e, in meno di un'ora, i due erano fuori dalla base, oltre i confini della città di Caer Donn, intenti a scrutare dall'alto il piccolo spazioporto malamente mimetizzato tra le costruzioni locali.
Erano poi partiti verso sud, facendo affidamento su alcune carte locali, poco sicuri della loro esattezza e consapevoli di non poter chiedere a nessuno la benché minima informazione. Ma, dopo parecchi giorni di viaggio, secondo il Capitano passati girando intorno allo stesso punto, sembravano essere finalmente arrivati al bivio che li avrebbe condotti nella valle. Quanto meno, erano arrivati in un punto dove la strada sembrava svanire nel mezzo della foresta a poche centinaia di metri dalla sua origine o, almeno, era quello che sembrava. Anthea aveva ridacchiato sentendo il padre imprecare e, per la prima volta coscientemente, aveva esteso i sensi per individuare il nucleo di potere che aveva identificato con la Torre.
Quando suo padre aveva nominato la valle di Elvas, dopo l'incontro con la strana vecchia nei vicoli dell'angiporto, la ragazza aveva improvvisamente ricordato entrambi i sogni, quello della Torre e quello della valle, e in quel momento poteva veramente percepire il potere che la costruzione verde sembrava emanare. Con aria sicura, aprì gli occhi e indicò a suo padre il sentiero che, soprattutto al Capitano, sembrava solo la conseguenza del costante passaggio di una mandria di grossi animali.
«È di là papà. Sono sicura.»
Suo padre non le chiese come lo sapeva. Semplicemente, si fidò del suo tono sicuro, un tono che non ammetteva repliche, un tono che anche lui aveva usato spesso quando era ancora un vero Capitano.
"Sta crescendo," pensò. "E sono così orgoglioso di lei..."
Anthea colse il suo pensiero, il primo da quando aveva cominciato a prendere gli antipsicotici, e si sentì rafforzata dal suo amore e dalla sua fiducia. Dopo un po', la strada cominciò a delinearsi meglio e poterono proseguire un po' più agevolmente. A un tratto, dopo una curva del sentiero, si trovarono davanti la valle. Anthea sussultò, rendendosi conto che si trattava della valle del suo sogno. C'era il castello, c'era il villaggio e c'era la Torre.
"È bellissima!" Pensò Anthea estasiata. Nella luce del tramonto la Torre brillava infatti come uno smeraldo incastonato nella pianura dorata. La ragazza non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Ora che la vedeva, Anthea percepiva ancora più chiaramente il suo pulsare ritmico e rassicurante.
Erano quasi arrivati e la ragazza cominciava a sentirsi un tantino a disagio. Quando finalmente entrarono nel villaggio, era preoccupatissima. Cosa sarebbe successo se non l'avessero lasciata restare? Sarebbe dovuta tornare a Caer Donn e restare sotto psicofarmaci per il resto della sua vita. Il solo pensiero la fece rabbrividire. Giunti davanti alla Torre, Anthea sentì una stranissima sensazione, come se da quel momento fosse dipeso il resto della sua vita.
«State cercando qualcuno?»
Una donna si avvicinò a loro. Era abbastanza alta e piuttosto carina, con i capelli rosso chiaro, legati in una corta coda. Anthea si stupì molto, perché da quando era su Darkover non aveva ancora visto nessuna ragazza o donna con i capelli tagliati a quel modo. Aveva pensato che ci fosse qualche tabù al riguardo. Poi notò che la ragazza portava i pantaloni, un'altra cosa molto insolita, e pensò che forse faceva parte di quel gruppo di donne che si facevano chiamare Rinunciatarie, una sorta di setta di cui aveva sentito parlare ai corsi sulle tradizioni e le usanze del pianeta tenuti al comando generale della base terrestre.
«Una... anziana signora ci ha indirizzati qui,» disse il Capitano Crowley.
Anthea si rese conto che stava per dire una vecchia, e cercò di trattenersi dal sorridere, senza molti risultati. Suo padre non era proprio portato per la diplomazia.
«Lascia che parli io, papà,» gli disse piano, preoccupata dagli errori che avrebbe potuto fare con la sua scarsa dimestichezza con la lingua locale. «Ho avuto dei problemi con le mie capacità mentali. Mi hanno detto che qui potreste aiutarmi senza bisogno di usare medicine,» proseguì rivolgendosi alla ragazza dai capelli rossi.
«Medicine?» Anthea percepì il dubbio nel tono della donna e temette di aver commesso un errore.
«Sostanze che modificano la mente,» continuò la ragazza, con meno sicurezza di prima.
La donna rimase in silenzio per un breve istante, e Anthea ebbe la sensazione di essere stata rapidamente sondata, come in cerca di un qualche dettaglio che permettesse alla sconosciuta di inquadrarla meglio.
«No,» commentò la donna, «solitamente non li usiamo.» Fece un'ulteriore pausa, osservando con più attenzione i loro abiti e le cavalcature. «Scusatemi,» aggiunse, come soddisfatta di quello che sembrava aver trovato, «non mi sono ancora presentata. Io sono Dana n'ha Angela, una Rinunciataria della Gilda di Elvas.»
«Io sono Anthea Yllana Crowley,» rispose la ragazza, «e questo è mio padre, Samuel Crowley.»
«Venite da Caer Donn?» chiese ancora Dana, quasi certa della risposta.
Aveva percepito qualcosa di anormale nei due sconosciuti, una sorta di vibrazione di sottofondo che ormai aveva imparato a conoscere molto bene: era la stessa vibrazione che permeava la mente di Patrick McHarlaw. In quel momento, anche se la ragazza sembrava parlare discretamente il dialetto di quelle regioni, Dana avrebbe scommesso senza problemi sulla loro vera identità.
Anthea sorrise. «Sì,» disse, «e non siamo abituati a passare molto tempo a cavallo. Potreste indicarci un luogo dove riposarci e trovare qualcosa da mangiare?»
Dana indicò una bassa costruzione sul lato sinistro della Torre. «Quella è l'unica locanda della valle. Potrete trovare cibo e ristoro per tutto il tempo della vostra permanenza.» Si voltò poi verso l'alto edificio che dominava completamente il villaggio. «Ma se il problema che vi ha condotti qui risiede nello scarso controllo delle vostre capacità mentali,» fece una breve pausa, mentre Anthea annuiva con fin troppo entusiasmo, «allora cercherò di farvi incontrare qualcuno che possa esservi di aiuto.»
«Ve ne sarei grata,» rispose la ragazza, «prima sarò in grado di trovare qualche risposta, prima riuscirò a ritrovare il mio equilibrio.»
«A presto allora,» salutò Dana, allontanandosi verso la Torre, lasciando i due terrani alle prese con l'ospitalità di Alar.


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Tutta la sicurezza mostrata da Anthea durante la lunga contrattazione con il locandiere venne meno nell'esatto istante in cui la porta della loro stanza si chiuse alle sue spalle.
L'uomo, dopo averli studiati a lungo, soppesando quanto poteva chiedere come prezzo di partenza da cui iniziare poi a mercanteggiare, non aveva tenuto lo sguardo educatamente lontano dal suo, come le avevano spiegato fosse abitudine e segno di buona educazione, ma l'aveva fissata con ostentazione, fino a farla sentire in imbarazzo. La cosa l'aveva irritata e, cosa ancora più deprimente, suo padre non sembrava neppure essersi accorto della cosa, lasciando che le avances del locandiere diventassero sempre più evidenti.
«Anthea, mi ascolti?» suo padre le toccò gentilmente una spalla per attirare la sua attenzione.
«Scusami,» rispose la ragazza, sdraiandosi sul letto più vicino, «sono più stanca di quel che credevo. Cosa stavi dicendo?»
«Mi stavo chiedendo cosa farai se ti permettessero di rimanere,» disse l'uomo, aprendo i pesanti battenti in legno che chiudevano la finestra. Fuori il cielo iniziava a scurirsi e la leggera pioggerella stava trasformandosi rapidamente in neve. «Come la metterai con gli studi, con Sean... non puoi permetterti di abbandonare tutto a lungo.»
Anthea sospirò. Dal momento in cui era apparsa all'orizzonte l'opportunità di sanare i suoi disturbi psichici, con l'aleatoria possibilità di non dover più stare sotto trattamento medico, non aveva pensato a nient'altro.
«Non lo so,» rispose sinceramente. «Nessuno mi ha saputo dire nulla. Mentre tu cercavi di ottenere il permesso di uscire dalla base, ho cercato di scoprire qualcosa di più riguardo questo posto... nessuno però sapeva nulla. Né di questa valle, né, tanto meno di una qualche tecnica che mi permetta di gestire le mie strane capacità.»
«Tu sei convinta di avere dei poteri PSI, non è vero?» il tono del Capitano Crowley era dubbioso. «In molti pianeti abbiamo incontrato razze che sembravano dotate di capacità simili, ma non abbiamo mai trovato prove che le confermassero.»
Anthea si mise a sedere. «Perché non provare comunque? Anche se fosse solo superstizione, perché non lasciarmi la possibilità di tentare, la cosa peggiore che può accadermi è di dover passare la mia vita sotto farmaci che annullino totalmente anche la mia personalità...»
«Inizieranno col proporti le cose più assurde.» Il tono del Capitano era quello di chi si è già fatto un'idea ben precisa di come sarebbero andate le cose. «Potrei dirti esattamente quelle che saranno le loro richieste.»
«Domani vedremo,» sospirò Anthea. «Ora dormiamo... non ho neppure voglia di mangiare.»


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«Scusa il ritardo,» Dana entrò nel salotto di Fiona senza bussare, dopo aver parlato con lei per tutto il tragitto dallo Scoundrel alla Torre. «Ma il nostro locandiere doveva riferire sugli ultimi arrivi sospetti.»
La Custode scosse la testa ridendo. «Sta diventando peggio di Shonnach, oppure è solo un tentativo per rientrare nelle tue grazie?»
L'Amazzone si sedette sul piccolo divano, davanti alla poltrona in cui era sprofondata l'altra donna. «Credo sia buona la seconda ipotesi,» rispose, «anche se la vicinanza di Shonnach forse gli manca... anche se solo dal punto di vista fisico.»
Fiona evitò di ribattere. Argomenti del genere erano fuori dalla sua comprensione e non amava indulgere in pettegolezzi piccanti, come invece sembravano fare molti dei suoi telepati nelle giornate di inattività.
«Dimmi di questa ragazza,» disse invece, riportando il discorso sul motivo della visita di Dana.
«Sono terrani, lei e suo padre,» riprese la Rinunciataria, ripetendo quello che aveva iniziato a raccontarle mentre si recava da lei. «Da quello che mi ha detto, quando ci siamo incontrati, stavano cercando proprio noi.»
Lo sguardo della Custode si rabbuiò. «Chi potrebbe aver parlato di Elvas a dei terrani? Vengono da Caer Donn, hai detto?» Dana annuì. «Potrebbero aver incontrato qualcuno dei parenti di Damon?» il tono di Fiona non sembrava convinto, sapeva che i fratelli di Damon avevano ben altri problemi per preoccuparsi del giocattolo del loro fratello minore.
«Non credo. L'uomo ha parlato di una vecchia, che gli avrebbe fatto il nome di Elvas, dicendogli che qui saremmo stati in grado di risolvere il problema di sua figlia.»
«Hai letto le loro menti?»
«Trasmettevano come una decina di Cerchi sintonizzati sulla stessa griglia di matrici.»
Fiona sospirò, scuotendo la testa. «Sarà complicato anche solo il primo incontro. Non possiamo mostrare a nessuno dei due il vero aspetto della nostra organizzazione. Gli ordini del Consiglio dei Comyn sono stati ben chiari: i terrani non devono scoprire nulla del laran e del lavoro delle Torri.»
«Non dovrei essere io a dirlo, ma credo che la cosa migliore sia farli incontrare con Damon e Anndra.»
La Custode annuì. «Hanno bisogno di figure rassicuranti e decise, due uomini maturi e sicuri di loro sono l'ideale.» Il tono ironico, ereditato dal sangue Aillard che scorreva ancora nelle sue vene, compensava la serietà delle intenzioni. «Inoltre, entrambi sanno come comportarsi con i terrani, anche se Pat non è un rappresentante esemplare della razza.»
«Sanno cosa aspettarsi e sanno quali sono le direttive da rispettare.» Fiona fece una breve pausa, mentre contattava telepaticamente i due prescelti e li informava del compito che li attendeva l'indomani. «Subito dopo colazione, prima che i due ospiti possano avere il tempo di girare per il villaggio.» Sentenziò alla fine la Custode.
«Sarà fatto,» confermò Dana, uscendo dal salotto sorridendo soddisfatta.


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Quando, la mattina dopo, i due Crowley aprirono gli occhi era ormai trascorsa buona parte della mattinata e, una volta completamente svegli e pronti a scendere nel locale sottostante in cerca di un po' di cibo, trovarono la taverna quasi deserta.
«Temevo che non vi alzaste più,» il buon giorno del locandiere venne accompagnato da un paio di boccali colmi di jaco e da alcune frittelle di farina di noci. «Alyson quasi disperava di poter sistemare la vostra stanza.»
Il Capitano ebbe la tentazione di rispondere per le rime a quell'individuo, la cui maleducazione era un evidente fastidio per Anthea, ma fu proprio la figlia a trattenerlo.
«Non possiamo inimicarci il padrone dell'unica locanda del villaggio,» gli sussurrò all'orecchio, parlando in standard, «non prima che io abbia scoperto quale sarà il mio futuro qui.»
Il Capitano sospirò rassegnato e, mentre il profumo del cibo ancora caldo gli ricordava che non mangiavano ormai dal pomeriggio prima, iniziò a guardarsi discretamente intorno.
A Caer Donn, quelle poche volte che usciva dalla loro zona, aveva sempre avuto la sgradevole impressione che la popolazione dell'angiporto accennasse solo ad una pallida imitazione delle vere abitudini della loro gente, per lasciare nel mistero più assoluto le loro vere usanze.
Nella taverna, visto l'orario, c'era pochissima gente. La maggior parte degli abitanti doveva essere al lavoro, chi nei campi, chi curando le bestie o persi in chissà quale strana attività. Seduti attorno al bancone stavano solo una mezza dozzina di individui, alcuni con gli abiti dimessi, un paio con vesti più ricche e con al fianco spade dai foderi riccamente decorati.
Solo dopo qualche istante si accorse che uno di questi due uomini lo stava fissando con altrettanto interesse e, distogliendo immediatamente lo sguardo, il Capitano si concentrò sulla sua colazione e su quello che Anthea sembrava stargli raccontando.
L'uomo, dall'altezza superiore alla media, i capelli nerissimi e due penetranti occhi verdi, si era voltato a parlare con quello che sembrava il suo compagno, più o meno della stessa età e dagli abiti altrettanto curati e dai profondi occhi blu cobalto. I due si erano scambiati un paio di parole, rispondendo ad una domanda fatta dalla donna bionda che sembrava essere l'unica dipendente della locanda. Avevano usato un dialetto per lui incomprensibile e Crowley fu contento che nessuno sembrasse intenzionato a rivolgere a lui qualche domanda sulla loro presenza lì.
Anthea stava cercando a sua volta di capire cosa i tre si stessero dicendo, ma era molto poco quello che riusciva a comprendere.
«Credo che uno di loro sia stato male ultimamente,» disse poi al padre, mantenendo sempre un tono di voce appena percettibile. «Ma, da quello che dice il più basso dei due, ora sembra andare tutto bene.» La ragazza fece una breve pausa, ascoltando più attentamente la conversazione. «Stanno aspettando qualcuno, un... fratello o sorella, non capisco bene, che dovrebbe arrivare dalla torre.»
Il Capitano si sentì orgoglioso della figlia che, in poco tempo e con l'utilizzo delle sole attrezzature della base, era riuscita ad impadronirsi degli strani dialetti locali al punto da riuscire a seguire una conversazione come quella.
Anthea arrossì leggermente, percependo lo stato d'animo del padre. «Mi hanno aiutato molto anche Sean e Chandra. Capitava spesso che parlassimo solo in darkovano, tra di noi...» dovette interrompersi. Per la prima volta, da quando erano partiti, la mancanza di Sean l'aveva colpita a tal punto da farle sentire un dolore profondo in fondo al petto.
«Mi pare che abbiate ottenuto un ottimo risultato,» ribatté il padre, cercando di apparire il più disinvolto possibile. I due nobili, o per lo meno credeva che lo fossero, vista la fattura degli abiti, stavano nuovamente guardando verso di loro, confabulando sottovoce.
Il rumore della porta principale che sbatteva chiudendosi distrasse tutti gli occupanti del locale. Il più basso dei due nobili ebbe un moto di disperazione, fin troppo eccessivo per essere vero, mentre la donna che i Crowley avevano incontrato al momento del loro arrivo si avvicinava a loro, in compagnia di un altro giovane.
I due nobili parlottarono brevemente con lei, mentre il nuovo arrivato sembrava essersi improvvisamente accorto della presenza dei Crowley e, cercando di non darlo a vedere, li fissava con evidente interesse. Il Capitano temette per un breve istante che qualcosa, nel loro aspetto o nel loro atteggiamento, avesse rivelato la loro origine non darkovana ma, dopo qualche minuto, ed una gomitata arrivata nelle costole del giovane da parte della donna, lo convinse che era solo incuriosito da loro in quanto volti sconosciuti.
Crowley stava per accennare i suoi timori alla figlia quando, abbandonando i tre uomini nel bel mezzo di una discussione, la donna si avvicinò al tavolo. Lungo il bancone i tre continuarono a discutere, meno animatamente di prima, coinvolgendo anche altri degli avventori. Avrebbe voluto chiedere alla figlia di cosa stavano parlando, ma non ne ebbe il tempo.
«Dubitavo di vedervi prima di pranzo,» fu il saluto della donna, «mi sembravate molto stanchi ieri, quindi non mi sono preoccupata di passare prima.»
Il Capitano si produsse in qualche convenevole d'obbligo, imparato nel corso di sopravvivenza che veniva fatto a tutti quegli ufficiali che difficilmente sarebbero usciti dai confini della base, se non per brevi periodi. Anthea sorrise, ammirando gli sforzi del padre, ma tenendo incrociate le dita nella speranza che non commettesse qualche errore grossolano.
«Siamo ansiosi di incontrare le persone di cui parlavate ieri,» disse, non appena il padre ebbe terminato il suo lungo sproloquio. «Qualcuno che possa essermi di aiuto.»
«Credo che dipenderà molto anche da voi,» fu il poco rassicurante commento. «Seguitemi.»
Il capitano si voltò verso il locandiere, che li stava scrutando con espressione torva. «Non dovremmo pagare?» chiese preoccupato.
«Potrete farlo dopo l'incontro,» rispose Dana, salutando con un cenno Alar. «O domani, prima della vostra partenza.»
Anthea si aggrappò al padre, colpita dalle parole della donna. «Siete così certa che non mi fermerò?» chiese, cercando di trattenere la disperazione che stava accumulandosi in lei. «Non credete che sarò all'altezza?»
Dana si fermò davanti alla porta dell'alta Torre, la mano posata sulla pietra che spiccava al centro del pannello finemente decorato. «Non credo sarà questo il problema,» rispose, il tono della voce si era fatto freddo e distante. «Ma vi spiegheranno tutto dentro. Dom Damon Aldaran e il Nobile Anndra Castamir vi stanno aspettando...»
«Perché non ci anticipate qualcosa,» il tono del Capitano voleva essere neutro, ma un potente alone di sospetto lo circondava e permeava le sue parole, anche se faceva di tutto per nasconderlo. «Sempre che la cosa non sia contro le regole.»
Dana tenne aperto il portone, permettendo ai due ospiti di entrare, e li scortò fino alla grande scala che dominava il piano terra e conduceva al primo piano dell'alta costruzione.
«Preferisco che siano loro a parlarvi,» disse piano la donna. «Non vorrei...»
«Dana!» l'arrivo improvviso di un'altra Amazzone la interruppe.
Con evidente aria di malcelata sopportazione, l'interpellata si voltò verso la consorella, sospirando nel tentativo di trattenersi. «Dimmi, Shonnach. Cosa c'è di così importante da non poter aspettare?» La seconda donna si voltò verso i due sconosciuti, scrutandoli come se fossero due pericolosi banditi introdottisi nella Torre con la forza, rifiutandosi di rispondere. «Shonnach, Damon e Anndra ci stanno aspettando... cosa c'è?»
«Abbiamo un problema con i gemelli,» si decise. «Credo che sia necessaria la tua presenza,» concluse, allontanandosi a grandi passi verso la serra, andando quasi a scontrarsi con Diotima Aillard che, distratta ad osservare i due sconosciuti, non si era spostata abbastanza velocemente dalla sua strada.
Dana la guardò, indecisa sul da farsi. «Una nostra consorella ha da poco partorito due gemelli...» iniziò a spiegare.
«Non pensate a noi,» la interruppe Anthea. «Se dovete andare...»
«Credo sia meglio,» convenne l'Amazzone. «Diotima, spero di non disturbarti. Potresti accompagnare i nostri due ospiti da Damon e Anndra?» "Sono i due terrani," aggiunse mentalmente, se mai ce ne fosse stato bisogno, "non voglio che gironzolino per la Torre da soli. Soprattutto il padre."
«La Nobile Diotima Aillard,» la comynara sorrise, inchinandosi leggiadramente ai due sconosciuti, mentre Dana concludeva le presentazioni. «Il Nobile Samuel Crowley e sua figlia, Anthea Yllana.» Salutando con un cenno del capo, Dana si allontanò rapidamente, abbandonando la povera Diotima con i due terrani.
Senza aggiungere altro, il terzetto salì al primo piano, fermandosi davanti ad una delle porte, in un imbarazzato silenzio. Diotima li introdusse in un piccolo salottino.
«Prego accomodatevi,» disse, indicando un divanetto posto accanto al camino. «Prima ho notato una... particolarità. Avete detto di chiamarvi Yllana?» chiese incuriosita alla ragazza.
«Sì, è il mio secondo nome. Me l'ha dato mia madre prima di... morire.»
L'espressione di Diotima si incupì, ma l'arrivo di Anndra e Damon la sollevarono dal gravoso impegno di proseguire la conversazione. Rapidamente fece le presentazioni e, inchinandosi ai presenti, salutò per accomiatarsi da loro.
«Perché non restate?» chiese all'improvviso il Capitano Crowley. «Sono certo che una presenza femminile renderebbe meno nervosa la mia... chiya
Anthea arrossì. «Non importa,» cercò di schermirsi. «Non ho bisogno di una balia, padre.»
Anndra sorrise, scambiando un rapido sguardo con Damon. «Se Diotima non ha altri impegni...»
La comynara sospirò piano, rassegnata. Il messaggio telepatico che le era giunto da Damon diceva ben altro. «Nulla di importante,» disse, sedendosi sul divanetto, facendo cenno agli altri di imitarla. «Kasentlaya non sarà dispiaciuta di saltare la sua lezione di ricamo.»
Damon annuì, ben sapendo della predisposizione della giovane Ridenow ai lavori prettamente femminili come il cucito o il ricamo. Aliciana continuava a raccontargli delle prodezze dell'amica durante le lezioni di Diotima.
«Il nostro arrivo vi ha interrotte,» disse l'Aldaran, cercando di rompere il ghiaccio. «Di cosa parlavate?»
Fu Anthea a rispondere, grata del fatto che non avessero iniziato subito con un terzo grado riguardo il suo desiderio di fermarsi lì, a Elvas. «Domna Diotima era stupita dal mio secondo nome,» rispose. «Yllana.»
«In effetti è un nome piuttosto diffuso su Darkover,» commentò Anndra, versando per i presenti un po' di jaco caldo. «Credo di avere molte parenti con lo stesso nome.»
«Io non l'ho mai sentito da nessun'altra parte,» continuò Anthea, accettando con un sorriso la bevanda. «La maggior parte delle persone lo pronuncia nel modo sbagliato, come se fosse Ailana.»
«Ritengo che la pronuncia dei nomi sia uno degli ostacoli più grandi, quando dovete imparare nuove lingue,» commentò Damon, con apparente noncuranza, cogliendo del tutto impreparati i due terrani.
Il Capitano Crowley si mise immediatamente sulla difensiva. «Non capisco cosa volete intendere,» disse, con altrettanta noncuranza. «Certo, il vostro dialetto...»
«Sei stato molto scorretto, Damon,» si intromise Diotima, preoccupata più dall'espressione di Anthea che non dal braccio di ferro psicologico che il comyn e il terrano stavano per innescare. «Mi stupisco di te!»
«Sono venuti qui per chiedere il nostro aiuto. Comportarsi civilmente con loro è il minimo che gli dobbiamo,» concordò Anndra, sorpreso dalla decisa reazione della Aillard. «Sappiamo che siete terrani,» disse poi, rivolgendosi quasi esclusivamente al Capitano. «Stiamo correndo dei grossi rischi, permettendovi di restare tra di noi e concedendovi questo colloquio.»
«Rischi?» Anthea sbiancò in volto, sempre più preoccupata.
«Non temere, piccola,» cercò di rassicurarla Diotima. «Purtroppo è solo un gioco politico. Sono certa che tuo padre potrà comprendere i nostri problemi.»
Damon annuì, confermando quanto accennato dalla donna. «Abbiamo ricevuto ordine dal nostro governo di non entrare in contatto diretto con voi e, per contro, i vostri capi hanno assicurato che nessuno di voi avrebbe tentato di fare lo stesso.»
«Voi siete un Aldaran,» commentò Crowley. «Dovreste sapere che molti dei nostri studiosi si sono mescolati alla popolazione, cercando di apprendere sul campo le vostre tradizioni e la vostra storia.»
«Il ramo della mia famiglia, nonostante quello che pensa mio padre, non è così importante da essere informato di tutte le novità che riguardano voi terrani. Quello che sappiamo è solo frutto di voci e pettegolezzi...»
«E di quel poco che i nostri governanti ci comunicano,» concluse Anndra per lui. «Il nostro problema, ancor prima di scoprire cosa vi ha condotti fino a noi, è di farvi comprendere che non possiamo permetterci di contrastare le loro disposizioni. I rischi che potremmo correre sono troppo elevati e ricadrebbero su tutta la nostra comunità, che sia colpevole o meno.»
Crowley aveva ascoltato in silenzio le parole dei due nobili. Si era aspettato di trovarsi davanti ad un gruppo di esaltati, che avrebbero approfittato della buona fede della figlia per coinvolgerla in chissà quali pratiche al limite del legale. Invece, contro ogni previsione, i due darkovani gli avevano esposto gli stessi dubbi e le stesse problematiche con cui dovevano convivere ogni giorno persino all'interno della base terrestre. Ma tutto ciò non era ancora abbastanza per tranquillizzarlo.
«Quindi, se mia figlia volesse rimanere, cosa sarebbe costretta a fare?» chiese, con tono tagliente.
«Credo che tutto dipenda dal perché lei è qui,» rispose tranquillamente Damon, appoggiandosi allo schienale della poltrona.
Sotto lo sguardo interrogativo di tutti i presenti nel piccolo salottino, Anthea sentì il proprio viso andare in fiamme.
«Ho avuto dei... problemi.» Si sentì un nodo in gola. Non riusciva a spiegare la cosa e, dopo tutti quei discorsi su problemi politici e punizioni, se per caso li avessero scoperti lì, si sentiva ancora più bloccata.
«Mia figlia ha avuto degli episodi di qualcosa di simile alla schizofrenia, e anche un attacco di epilessia.» Il capitano Crowley, non più spaventato dall'eventualità di essere scoperto, si lanciò in una accurata descrizione dei sintomi della figlia, pur consapevole della complessità della terminologia medica terrestre per quei nobili ma barbari darkovani. «L'unico modo che hanno trovato i medici per curarla è stato usando degli psicofarmaci, ma sotto l'effetto di quella roba non era più se stessa, e non credo che fosse felice.»
Anthea si limitò ad annuire, sbirciando le espressioni dei tre darkovani e sperando che l'assalto verbale del padre non li portasse a scacciarla da Elvas.
«Cosa è la... schizofrenia?» chiese Diotima, utilizzando la difficile parola che il terrano aveva utilizzato, non trovando nel suo limitato vocabolario un termine locale adatto a descrivere la situazione della figlia.
«È una malattia mentale che causa allucinazioni,» spiegò, l'uomo. «Anthea era convinta di... sentire i pensieri degli altri.»
Anthea lo fissò a occhi sbarrati. «Papà! Vuoi dire... vuoi dire che non mi credi?» Esclamò in standard. La sorpresa di scoprire come il padre non avesse mai prestato fede alle sue parole le fece scordare che nessuno dei tre darkovani avrebbe potuto comprendere quella discussione... e poco le importava, davanti a quello che sembrava un improvviso voltafaccia del padre. «Non era questo il problema!»
«Certo che era questo! Cos'altro se no?» infierì ulteriormente Crowley.
«Pensavo... pensavo... le crisi! E le convulsioni! Io non soffro di allucinazioni!» Anthea era sull'orlo di una crisi isterica. Dopo tutto quello che avevano passato in quelle ultime settimane. Il viaggio, l'abbandono di tutte le persone care che erano diventate la sua famiglia su Darkover, la certezza che il padre condividesse la sua speranza di trovare qualcuno che potesse aiutarla... solo per scoprire che tutto era stato solo uno sporco tentativo per convincerla che non c'era nulla da fare.
«Mi hai mentito,» singhiozzò la ragazza. «Mi hai assecondato solo per poter dimostrare che sono pazza...»
Diotima si alzò, fissando con espressione risentita il terrano. «Non so cosa vi siate detti, ma non voglio neppure scoprirlo. Vostra figlia è fin troppo sconvolta.» Aiutò Anthea ad alzarsi, cingendole le spalle con un braccio. «Vieni chiya,» le disse, conducendola verso la porta, «scendiamo nelle cucine e vediamo di preparare qualcosa che possa calmarti un po'.»
Nessuno degli uomini cercò di fermarla. Non dissero nulla fino a quando le due donne non furono fuori della stanza poi, dopo qualche istante di imbarazzato silenzio, presero a parlare tutti e tre contemporaneamente.
«Prima voi, Mastro Crowley,» disse alla fine Damon, alzando una mano per interrompere gli altri.
Il terrano sospirò, lasciandosi andare contro la schienale del divanetto, «Non pensavo sarebbe finita così,» esordì. «Questo viaggio doveva servire solo a dimostrare a mia figlia quanto fossero folli le sue idee. Per poi tornare alla base e riprendere la terapia.»
«Ma avete detto che questi... farmaci,» Anndra utilizzò la parola in standard, pronunciandola con difficoltà, «che questi prodotti non sono serviti a nulla, che lo spirito di vostra figlia era come spento.»
«Cos'altro potrei fare?» chiese ironico Crowley. «Lasciare che passi la vita convinta di poter sentire i pensieri e le emozioni di chi la circonda? Allora, tanto varrebbe portarla su qualche pianeta dove sono convinti dell'esistenza dei poteri PSI!»
Damon e Anndra si scambiarono un'occhiata mentale. Era un sollievo scoprire che per i terrani il loro pianeta non era tra questi.
«Forse una soluzione ci sarebbe,» disse all'improvviso il Capitano. «Anche se potrebbe mettere a rischio sia voi, che la mia posizione...»
L'espressione di Damon si fece preoccupata. «Non mi pare il caso, dopo tutto quello che vi abbiamo detto...»
«Lascia che ce ne parli, Damon,» lo interruppe Anndra. «Dobbiamo considerare la via migliore per quella povera fanciulla.»
Il capitano Crowley si alzò, dirigendosi alla finestra. I pesanti tendaggi coprivano l'apertura, ma dalle fessure l'aria fredda dell'esterno riusciva comunque a filtrare, facendolo rabbrividire.
«Per motivi che non starò a spiegarvi, mia figlia risulta essere in viaggio per una delle colonie più affollate dell'Impero Terrestre.» Il tono di voce era pacato, sempre più convinto mano a mano che l'idea andava consolidandosi nella sua mente. «Conoscendo la lentezza dei controlli su quel pianeta, nessuno si accorgerà mai che Anthea non vi è mai arrivata.»
«Ci stata proponendo di tenerla qui, con noi?» chiese stupito Anndra. «Nonostante la vostra convinzione riguardo la gravità delle sue condizioni?»
Crowley sospirò tristemente. «Restare alla base la porterebbe presto a rifiutare ogni tipo di aiuto farmacologico. Neppure il suo fidanzato era più in grado di convincerla della necessità di continuare ad assumere i farmaci,» fece una breve pausa, cercando di non dipingere la situazione in maniera fin troppo pessimistica. «Se non le concedo la possibilità di provare quello che lei ritiene la sua salvezza, sono sicuro che si lascerebbe morire.»
«Un momento,» lo bloccò Damon. «Un fidanzato? Anche se il vostro piano potesse funzionare, cosa vi fa credere che vostra figlia rinuncerebbe ad un legame così importante per salvaguardare solo i nostri interessi?»
«Avete ragione,» ammise il terrano. «Da come appare ora la situazione, forse Anthea farebbe di tutto per mettermi in difficoltà, per rendermi la sofferenza che le ho fatto provare in questi pochi minuti... ma sono certa che il suo... sogno, una follia che riguarda questa valle, sia più forte di qualsiasi legame. La perdita del suo fidanzato e di tutti gli amici è un'eventualità che ha già valutato.»
Anndra scosse la testa negativamente, come se il riflettere sulla proposta del Capitano stesse diventando troppo anche per lui. «Non si tratta solo del fidanzato o degli amici,» disse, «vostra figlia non potrà più comunicare in alcun modo neppure con voi. Sarà completamente tagliata fuori e, soprattutto, sarà completamente sola ad affrontare qualsiasi problema le si dovesse presentare davanti.»
«Capisco,» Crowley sospirò tristemente. «Se una comunicazione dovesse essere scoperta, tutti noi ci ritroveremmo in una situazione ben peggiore di quella attuale.» Il capitano restò per un attimo in silenzio, come se stesse meditando sulla cosa. «Credo che la cosa migliore sia parlarne direttamente con mia figlia. Lasciare a lei la responsabilità della decisione.»
Damon annuì, alzandosi. «Ritengo sia la scelta più giusta,» concordò. «Vado vedere come sta vostra figlia e a chiederle se vuole rientrare.»


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Diotima era restata in silenzio ad osservare Anthea sorseggiare la tisana che la comynara le aveva preparato. La donna non osava contattare telepaticamente Fiona o Dana, nella speranza di ricevere qualche indicazione sul comportamento da adottare, temendo che la giovane terrana potesse in qualche modo intercettare la comunicazione. Solo quando l'espressione sul volto della giovane si fece più rilassata, Diotima si decise a parlare.
«Mi spiace per quanto è accaduto,» disse, sondando con cautela i pensieri più superficiali che affollavano la mente della ragazza. «Capisco la tua delusione ma, da quanto ho capito, tuo padre ha acconsentito ad accompagnarti fin qui, rischiando personalmente,» fece una breve pausa, in attesa di una qualsiasi reazione. «Non deve essere stato facile, per lui.»
Anthea sollevò lo sguardo dalla tazza, ondate di risentimento, molto simili ad odio, si propagavano attorno a lei. Diotima alzò le proprie barriere istintivamente, come per proteggersi da un attacco. La ragazza era un telepate non addestrato della peggior specie, non essendo neppure consapevole del fatto che in lei risiedessero poteri anche mortali. Dopo qualche istante la calma sembrò tornare nella mente della ragazza, mentre con lo sguardo tornava a perdersi nelle profondità del liquido ambrato che andava raffreddandosi nella tazza.
«Lo ha fatto solo per dimostrarmi che sono pazza,» disse, la voce lamentosa come quella di una bambina. «Così sarei stata costretta a fare quello che voleva, prendere le sue medicine, frequentare i corsi che avrebbe ritenuto più opportuni e allontanarmi da qui, per rinchiudermi in qualche esclusivo college, lontana da tutti e da tutto.»
Diotima aveva capito solo un terzo di quello che la terrana le aveva detto. Il discorso era infarcito di termini appartenenti alla sua lingua natale e intraducibili nei dialetti darkovani. Solo le immagini che provenivano dalla sua memoria riuscivano a dare un senso, sia pure parziale, alle sue parole.
«E, per farlo, ti avrebbe accompagnata in questo viaggio, correndo il rischio di essere scoperto e di violare così le regole imposte dai vostri governanti?» il tono di Diotima era incredulo. «Può anche non credere a quello che dici, ma di certo farebbe qualunque cosa pur di farti felice.»
Il volto di Anthea aveva assunto un'espressione quasi offesa. Suo padre l'aveva scortata fin lì, ma solo per dimostrarle quanto fossero assurde le sue idee. Come poteva una sconosciuta parlare con così tanta sicurezza di quello che suo padre poteva provare nei suoi confronti, giustificandolo dopo aver ascoltato le sue parole.
«La tua decisione sarà comunque quella più difficile da prendere,» continuò Diotima, senza darle tempo di parlare. «Abbandonare tuo padre, i tuoi amici, il tuo fidanzato, la vita che hai sempre conosciuto, per seguire quello che potrebbe essere solo un sogno e con la certezza di non poter più comunicare con nessuno di coloro che ami, se non quando potrebbe essere troppo tardi.»
«Cosa vorresti intendere?» chiese Anthea, preoccupata dal tono severo e, per certi versi, quasi disinteressato della donna. «Cosa potrebbe capitarmi? Cosa potreste farmi?»
Diotima la fissò direttamente negli occhi, la sua espressione decisa e severa costrinse Anthea ad abbassare lo sguardo, arrossendo. «Noi non ti faremo nulla, se non rischiare nel permetterti di rimanere qui. Ma tuo padre potrebbe avere ragione, tu potresti peggiorare, noi non saremmo in grado di fare nulla e, quando riusciremmo alla fine a metterci in contatto con lui, tu potresti non essere più in grado di tornare indietro... mentalmente se non fisicamente.» Fece una breve pausa, in modo che il concetto fosse abbastanza chiaro nella mente della giovane terrana.
Diotima, come tutti gli altri telepati della Torre, era consapevole del fatto che in quella ragazza fossero presenti forti potenzialità ma, dopo tutto, era una aliena, forse più aliena di qualsiasi delle razze non umane del loro pianeta, e loro potevano anche non essere in grado di intervenire. Avevano Pat come riferimento, ma il terrano aveva completamente perso la memoria e non erano stati costretti ad affrontare le conoscenze così estranee al loro modo di essere che invece avrebbero trovato nella mente di Anthea. Se avessero fallito sarebbe stato in maniera terribile ma, se fossero riusciti ad aiutarla, il risultato finale sarebbe stato forse peggiore perché la ragazza non sarebbe mai più potuta tornare indietro, se non perdendo tutto quello che le avrebbero insegnato, visto che la loro sopravvivenza valeva di certo di più di quella di una sconosciuta ragazza terrana.
«Tu,» riprese Diotima, «sei disposta ad affrontare tutto questo?»
Anthea rimase in silenzio. Era stato facile partire, pensando che fosse solo lei la persona coinvolta nella faccenda. Ora si trovava come una semplice pedina, incastrata all'interno di un gioco che riusciva a stento a comprendere. Sarebbe stata costretta a vivere lì, senza contattare nessuno che potesse veramente comprenderla, senza poter utilizzare nessuno degli strumenti che la sua società e la sua cultura le avevano da sempre messo a disposizione. Era davvero in grado di farlo?
«L'alternativa è non essere più me stessa,» rispose, il tono basso e triste. «Preferisco rischiare di morire seguendo il sogno che credo possa salvarmi, piuttosto che non vivere la mia vita come vorrei.»
Diotima non fece in tempo a rispondere. Damon era arrivato per ricondurle nel salottino al primo piano.


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Anthea aveva ascoltato in silenzio quello che il padre aveva deciso. La possibilità di rimanere al villaggio, la certezza che nessuno avrebbe scoperto la cosa visto che lei risultava imbarcata per Wainwall, la consapevolezza di non poterla contattare per nessun motivo, il rischio di non rivedersi... le sue parole riecheggiavano nella sua mente, mescolate a quelle di Diotima, all'infinità di dubbi che, in quel momento, stavano crescendo e ingigantendo le sue paure.
Ma sapeva anche di non avere alternative.
«Credo che questa sia la soluzione migliore per tutti,» Anthea percepiva il dolore che suo padre provava nel pronunciare quelle parole. «Anche se non credo che la cosa potrà risolvere i tuoi problemi.»
Anthea si sforzò di sorridere. «Ti ringrazio lo stesso,» disse, stringendolo in un forte abbraccio, «capisco quanto sia difficile per te...»
"Non quanto lo sarà per te, piccola mia," il pensiero non pronunciato del padre la colpì più di quanto avessero mai fatto le sue parole che la descrivevano come una pazza senza speranza.
Ad un cenno di Diotima, Anndra e Damon uscirono dalla stanza, stupiti dalla fermezza che la donna aveva riversato in quel piccolo gesto.
La comynara sorrise alla ragazza e, salutando il terrano con un piccolo cenno del capo, li lasciò da soli, per quello che poteva essere il loro ultimo addio.


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Ad Anthea era stato concesso di trascorrere l'ultima notte in compagnia del padre, nella stanzetta che avevano preso in affitto allo Scoundrel, ma, nel guardarlo partire, alla ragazza sembrava che quelle lunghe ore fossero state del tutto inutili, che troppe cose fossero rimaste in sospeso, che non si fossero detti tutto quello che si sarebbero dovuti dire.
Ferma davanti alla porta della Torre, in attesa che qualcuno la facesse entrare, Anthea ripensava a quello che non era stata in grado di dirgli, cercando di trattenersi dal rincorrerlo per digli che aveva cambiato idea.
«Devi entrare?» Anthea sobbalzò, cogliendo di sorpresa anche il proprietario della voce.
«Non volevo spaventarti!» aggiunse il ragazzo indietreggio di qualche passo, quasi temendo una reazione improvvisa della giovane. «Devi entrare nella Torre?» chiese nuovamente, la mano posata sulla matrice per attivarne il meccanismo e sbloccare così la porta di accesso.
«Cosa ci fai qui così presto, Keith?» Toccò al ragazzo sobbalzare, colto di sorpresa dalla voce di Diotima. «Di solito Mikh deve trascinarti qui con la forza!»
Il McKee arrossì fino alla radice dei capelli e, borbottando un rapido saluto rivolto alla giovane sconosciuta, corse dentro, diretto verso la biblioteca dove, in teoria, il suo tutore lo aspettava tutte le mattine per la lezione.
Diotima seguì la scia dei pensieri di Keith, sorridendo ad Anthea e invitandola ad entrare. «Sei pronta?» le chiese, controllando che la porta si chiudesse completamente alle loro spalle.
«No,» ammise la ragazza, trasmettendo involontariamente alla donna la sensazione di essere caduta in una trappola senza uscita. «Non lo sarò mai...»
«Allora è inutile attendere oltre,» commentò allegra la comynara. «È giunto il momento di conoscere veramente il nostro mondo.»









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Disclaimers

Accompagnata dal padre, Anthea arriva ad Elvas ma non riceve l'accoglienza che si era immaginata.

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Ultimo aggiornamento: 31/12/2008